PROPRIETÀ LETTERARIA
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È assolutamente proibito di rappresentare queste produzioni senza il consenso scritto dell'Autore (Art. 14 del Testo Unico 17 Settembre 1882).
Off. Tip. Sandron — 12 — I — 080817.
Questo dramma fu rappresentato per la prima volta in Italia, al teatro Alfieri di Torino, la sera del 10 gennaio 1895, dalla compagnia drammatica Zacconi-Pilotto.
PERSONAGGI:
Lucio SaffiNoraDon PaoloGiovanniZieglerFelsaniRosaGiustinoUn Contadino
Lucio Saffi — 28 anni: viso espressivo, mobilissimo, segnato dall'intensa sensibilità spirituale.
Nora — maestra di pianoforte: 24 anni; natura debole, impressionabile.
Giovanni — un bel giovane gagliardo, sulla trentina, pittore.
Ziegler — violinista: poco più di 30 anni; piuttosto brutto, capelli castani un po' a zazzera, disordinato negli abiti e nei gesti.
Felsani — medico celebre: 74 anni; spalle curve, barba fluente e capelli bianchissimi, modi assai signorili; incesso grave; voce monotona, sottile, insinuante; parla lentamente, sillabando le parole, con pacatezza eccessiva e aristocratica.
Don Paolo — prete molto disinvolto, spregiudicato e giovialissimo; faccia bonaria e ridanciana: 56 anni.
Rosa — giovanetta bella, fresca, piena di salute: 21 anni, vesti e maniere tra di contadina e di provincialotta ricca.
Giustino — benestante campagnuolo, giovanissimo, sano, arzillo, e, a modo suo, elegante.
Un salotto semplice, modesto, adibito provvisoriamente a camera da letto. Il letto, difatti, situato verso il lato sinistro, ha il capezzale un po' discosto dalla parete, quasi avanti a una porta chiusa. Alla parete opposta, una finestra. In fondo, la porta comune, dalla quale si vede un'altra piccola stanza. Presso il letto, una larga poltrona. Pendono ai muri alcuni quadri anatomici. Nell'angolo più lontano dal letto, un'ampia tavola, su cui sono, confusamente, fiale e scatole di medicinali, qualche bottiglia, qualche piatto, qualche asciugamano, qualche bicchiere, delle arance, una candela di cera, un paralume.
Qua e là, nella camera, altre suppellettili, in disordine. — È sera. — La candela è accesa, diffondendo poca luce. — L'ambiente è concentrato e triste.
LUCIO, GIOVANNI, FELSANI.
(è adagiato sul basso letto tutto bianco, ma dalla cintola in su è quasi ritto, con le spalle e il capo sorretti da una catasta di guanciali. Ha gli occhi infossati, lo sguardo debole e vagante, il volto pallidissimo e smunto, la barbettina incolta. Ha un braccio serrato al petto, tenendo sotto l'ascella un piccolo termometro.)
(è seduto sulla poltrona.)
(in piedi, presso la candela, ha in mano una lettera.)
(parlerà con voce fioca; ma quando, a poco a poco, o ad un tratto, egli si animerà, il suo accento avrà vibrazioni affannosamente vivaci.)
(guardando la lettera) Qui c'è una cancellatura. Si vede che gli era sfuggita qualche parola eccessivamente efficace....
Dottore, sono passati i dieci minuti?
(consultando il suo orologio) Non ancora.
Questi termometri! Che noia! (A Giovanni:) Continua, Giovanni. Vedi che bel tipo!
Lei permette, dottore? Tanto per ammazzare il tempo....
Ammazzi pure.
(a Giovanni:) Ma grida un po'....
Non l'avevi letta?
Me l'aveva appena leggiucchiata la signorina Nora.
(leggendo:)... «Sicchè, Sua Eminenza, che, standomi ad ascoltare, s'era grattata, con rispetto parlando, un poco dappertutto — segno evidente che non avevo saputo grattarla io —, all'ultimo, alquanto impacciata, così mi parlò: «Voi don Paolo, non ne dubito, di qui a cento anni sarete anche beatificato, visto che nel villaggio tutti dicono, ed io lo credo, che siete un curato esemplare e miracoloso; ma io sostengo che lassù sarete un santo come non ve ne sono stati mai». E il giorno dopo, nipote mio, Sua Eminenza se n'è partita, salutata, acclamata da tutto il paese, ma giurando in cuor suo, — te lo dico io — di non metterci mai più il piede.» (A Lucio:) Egli però non se ne mostra troppo afflitto. (Legge:) «Insomma, non le piacqui. Anzi, la infastidii, specie con le mie risate. Santa pazienza!... Come si fa a fingere sempre? E poi, mascherare la faccia forse è possibile, ma la voce come si maschera? È quella che è. La mia ride; e a Sua Eminenza piacciono le voci che piangono. De gustibus, caro nipote! La vaccherella neonata sta come un pesce. Rosina fa all'amore con un giovinetto lavoratore e ricco. La semina del grano è terminata. E io me la godo. — Sperando di ricevere finalmente tue nuove, ti abbraccia e benedice il tuo affezionatissimo zio Paolo.»... Bel tipo davvero! (A Lucio:) Non sa che sei malato?
Non sa?... Che cosa?
(alzando la voce) Dico: tuo zio non lo sa che sei malato?
No, no. — Dottore, sono passati i dieci minuti?
(dopo aver consultato il suo orologio) Ora sì. (Si alza lentamente, prende il termometro, si avvicina alla candela.)
Per conto mio, abolirei i termometri.
Benissimo, collega. In qualità di medico, lei può abolire anche la medicina. Ma in qualità di ammalato, non deve che subirla.
(a Lucio:) Hai capito?
(a Felsani, che osserva il termometro:) Quanti gradi, dottore?
Ah?... Non così abolizionista come dice di essere! Trentanove meno qualche decimo.
Siamo in porto, perbacco!
E anche senza questa importante diminuzione non ci sarebbe più niente da temere. Il superare la crisi dell'altra notte, fu vittoria decisiva. Sono quarantotto ore che Lucio Saffi ha concluso e sottoscritto il suo trattato di pace con la Vita. Questa volta (si avvicina a Lucio) possiamo congratularci con la scienza.
Con la scienza? (Tentenna un poco il capo.)
(parlandogli assai dappresso) Con la nostra Scienza, collega.
Nostra, no. Io non saprei che farmene.
Ottimamente. Nondimeno, veda, lei è un medico come me.
Ho una laurea come lei.
Ottenuta, io lo ricordo, con esami onorevoli.
Ma non sono medico, e non potrò esserlo mai. Oh!... La scienza!... Io l'ho studiata con passione, anzi con avidità.... Me ne sono abbeverato avidamente, come... come un viaggiatore del deserto si abbevera alla prima sorgente che trova; ma poi!... Ma poi!....
Ma poi... io la prego di parlare poco e di pensare meno. Mi fa questa grazia?
(continuando senza badargli)... Più bevevo, e più avevo sete. Sicuro! Quando mi si disse: «ohè, ohè, sei dottore!», io ebbi la coscienza di essere un ignorante...
Mi fa la grazia di chetarsi?
(animandosi) ...E tutte le ricerche febbrili tendenti a scoprire il segreto dell'esistenza, non lasciarono in me che un gran disprezzo per l'inanità della scienza, dei cui simboli grotteschi — guardi dottore, guardi — ho voluto ornare i muri in segno di scherno, e un gran desiderio, anche, mi rimase, un gran bisogno di cercare... di cercare... di cercare altrove! (Si abbatte.)
(dopo una lunga pausa, si accosta a Lucio) Ecco, lo vede? È stanco. Avrà tanto tempo — glielo prometto io — per dire alla scienza ed agli scienziati tutto il male che ne pensa; ma per ora, signor Lucio, (con severità paterna) io non la prego più, bensì le ordino di fare a modo mio. (Pausa. Poi, andando verso Giovanni e abbassando la voce) Senta. Sino alle due della notte, desidero che lo si lasci tranquillo. Alle due, o un po' più tardi, l'infermo ricomincerà a prendere la cartina consueta. E durante la notte, se avrà sete, potrà bere abbondantemente la sua aranciata. Ha niente da obiettare il signor pittore?
Si figuri! Niente.
Non mi riesce di udire nemmeno una parola. Le sue droghe, dottore, mi hanno fatto diventar sordo.
Benissimo! Potremo così sparlare di lei senza domandargliene il permesso.
(a Felsani:) Appunto, dottore, volevo dirle....
(socchiude gli occhi in una specie di dormiveglia.)
(a Giovanni:) Dica.
Egli si lamenta della residenza precaria in questa stanza, e non sogna che di ritornarsene lì, nella sua cameruccia abituale.
Quella cameruccia sembra una tomba, e noi gliene vieteremo l'ingresso, perchè, suo malgrado, lo vogliamo vivo. Qui, caro signor Giovanni, c'è un poco più di luce.
Ed egli odia la luce.
Una stravaganza che nasconde Dio sa quale dei suoi attorcigliamenti d'idee.
Lo so, ma, purtroppo!... guai a contraddirlo.
Contraddirlo no; secondarlo sempre, neppure. È necessario distoglierlo, distrarlo dai suoi sofismi, dai suoi cavilli, da quel ragionare eccessivo in cui il suo pensiero si contorce. Ahimè! Ragionar troppo significa correre il pericolo di non ragionar più. Con la febbre a quarantuno, delirava. Questo era naturalissimo. Ma il male è che, passato delirio, egli ricorda la visione e i fantasmi del delirio e qualche volta ne parla come d'un fatto veramente accaduto, come di una persona veramente vista. Proclive a crearsi un altro mondo, determina, in sè stesso, una specie di sovrapposizione. Da che cosa è prodotto tutto questo? Io credo da una sproporzione, da uno squilibrio. Egli consuma, cioè, del suo cervello più di quanto possa consumare. Non ha notato lei che dopo uno dei suoi sforzi riflessivi egli, accasciato, si assopisce nel riposo? La natura medesima, dunque, gli chiede un risarcimento. Ed ecco perchè bisogna evitargli l'eccesso della riflessione. È del mio parere il signor pittore?
Ma... naturale!...
E sarà utile che del mio parere siano gli altri amici che assistono l'infermo.
Avvertirò Ziegler.
Avverta, prima d'ogni altro, la signorina Nora....
(a questo nome si desta.)
Quella donna, se non vado errato, ha un certo ascendente su lui....
In verità, non lo conosce che da quando è venuta ad abitare qui accanto; ma, senza dubbio, per lui, è una vicina eccellente.
Una vicina eccellente! Ben detto! Ben detto! Ed è ciò che si può desiderare di meglio.
Giovanni, è illuminata la sua finestra?
Ah! Lei ascoltava? Cosicchè l'effetto delle mie malefiche droghe non è completo?
M'è parso dì udir pronunziare il nome di Nora. Mi sono, forse, ingannato?
Ingannato? Punto. E solamente questo nome ha udito?...
Questo nome, dottore.
Benissimo.... Benissimo....
È illuminata la sua finestra, Giovanni?
(guardando la finestra) No. Ella non deve essere ancora tornata dal concerto. Già, sarebbe venuta direttamente qui. Ma non potrà tardare. I pezzi che doveva suonare con Ziegler erano segnati al principio della seconda parte del programma.
(a Lucio, fissandogli addosso gli occhietti scrutatori:) È una pianista valorosa?
È una incomparabile infermiera.
Simpatica, anche....
Assai mite.
Quasi bella....
(breve pausa) Peccato!
(ha un lieve moto di stupore. Indi, rivolgendosi pianissimo a Giovanni:) Che ne dice lei, signor pittore, di tutto ciò?
Non è un innamorato.
Molto ben detto. Senonchè, io non sono della sua opinione.
(chiamando:) Giovanni! Giovanni! Va, ti prego, va ad aprire la porta. La signorina Nora è su per le scale. Non ne hai udita la risatina?
Io, no; ma non monta.... (Esce dalla comune.)
(accostandosi a Lucio) Non le pare d'aver udita quella risatina più col pensiero che con gli orecchi?
(dilatando istantaneamente le pupille) Perchè lo vuol sapere?
LUCIO, GIOVANNI, FELSANI, ZIEGLER, NORA.
(porta in mano un mazzo di fiori. Ha un'elegante e semplicissima veste bianca dallo strascico molto lungo. La ciarpa che le covre i capelli, e un po' il viso, e il mantello in cui si avvolge, mettono nell'ambiente caldo l'impressione dell'aria fredda della strada.)
(indossa, sbottonato e col bavero alzato, un largo e vecchio paltò svolazzante, sotto il quale il frak inelegante e il nitido cravattone bianco completano il carattere della figura alquanto bizzarra. Ha in mano il violino chiuso nella cassetta e alcune carte di musica avvoltolate.)
(entrando) Buone notizie, nevvero?
Sempre buone quando un medico tiene a darle egli stesso.
(a Felsani:) Lei qui a quest'ora? Giù, non avevo riconosciuta la sua carrozza.
(andando premuroso verso Lucio) Si va bene, eh? (Mette in un angolo la cassetta, il cappello, le carte.)
(a Nora) Io qui a quest'ora. Ma non tema, signorina, non usurpo il suo posto d'infermiera. Glielo abbandono tutto intero il nostro ex ammalato. (Prende di su una seggiola la sua pelliccia. — Giovanni lo aiuta a indossarla.)
Oh, garbata questa infermiera che entra munita di fiori nella camera dell'infermo! Ziegler, abbiate pazienza, buttateli via. (Glieli dà.)
Lusinghiero pel Comitato che ve li ha offerti. Piuttosto ve li porto in casa. Volete?
No, no: buttateli via. Tanto, domani saranno secchi.
I fiori!... Colore... profumo... niente altro!
(a Giovanni:) Grazie. (A Ziegler:) Dia a me, se non le dispiace, dia a me....
(consegnandogli il mazzo di fiori) Volentieri.
Sino a domani li serberò io.
Così poetico, dottore? (Si toglie la ciarpa, il mantello, i guanti.)
Poetico, precisamente, no. Ma mi permetto di fare osservare alla signorina Nora che è una crudeltà il buttar via dei fiori freschi solo perchè domani saranno secchi. Secondo lei, signorina, invece di curare un uomo, noi dovremmo ucciderlo, cioè.... buttarlo via, solo perchè, tanto, un giorno o l'altro dovrà morire. Poetico, no. Un po' umanitario, ecco. E l'umanità comincia dove si vuole. Per alcuni comincia dalla scimmia.... Benissimo! Per me comincia.... dai fiori. «Vivere! Vegetare forse?» si domanderebbe un Amleto a rovescio.... E lei, signorina, che ne dice?... Qual è la sua opinione?...
Non ne ho, dottore. Sono una ignorante, io.
(sorpreso di sentire la stessa dichiarazione fatta poco prima da Lucio) Ah?... Anche lei?
Perchè «anche»?
Nulla.... Non ci badi. (A Lucio:) A rivederci, collega. E si ricordi che la vittoria è nostra.
(sorride.)
(salutando) Signorina... Signor Ziegler... Signor Giovanni....
(cortesemente, lo accompagnano.)
(uscendo lentissimamente) Chi vedesse uscire a quest'ora da una casa un vecchio medico con un mazzo di fiori in mano, farebbe le più varie e fantasiose supposizioni, ma di certo non sospetterebbe che il vecchio medico abbia voluto salvare il mazzo di fiori... dalla crudeltà d'una infermiera gentile.... (Ancora salutando) Signori.... (Via.)
(resta sulla soglia.)
LUCIO, NORA, GIOVANNI e ZIEGLER.
(rientra, imitando lievemente l'andatura e l'accento del dottor Felsani) «E così il benefico Comitato ha finito coll'offrire dei fiori al dottor Felsani. Benissimo!... (a Nora:) E lei, signorina, che ne dice?»
Oh! Io dico, sul serio, di non averli meritati.
Non le prestar fede, Lucio. Ha suonato divinamente. E anch'io mi sono piaciuto. La sonata di Grieg l'abbiamo — come dire? —... l'abbiamo sviscerata. E al secondo tempo, Nora, a suo marcio dispetto, è stata grande....
(ridendo e declamando:) «Come nessun fu mai!»
(pazientemente si sdraia sulla poltrona, ascoltando.)
(a Nora:) Date retta a me. In quell'andante appassionato.... (a Giovanni:) Bada, era il secondo tempo della seconda sonata di Grieg; e lì dentro, sai, c'è tutta la Norvegia coi suoi fiordi e con le sue aurore boreali.... (Continuando a rivolgere la parola a Nora e alzando il tono affinchè Lucio non resti estraneo alla conversazione:) Sì, perdinci, in quell'andante appassionato avete messo tanta profondità d'intenzioni e tanta intensità di dolcezza sentita... quasi direi, di dolcezza vissuta... che quel Kaps, non so, pareva avesse un cuore, pareva vivere come voi, come me... (entusiasmandosi) e le corde del mio violino sconquassato cantavano, non perchè io le grattavo con l'archetto, no, ma perchè vivevano esse pure.... Proprio così!... Vivevano, intendete?, vivevano per una suggestione. Già, io non so esattamente che diamine significhi la parola suggestione, che tutti diciamo cento volte al giorno...; ma questa volta devo averla detta a proposito. Suggestione, incantesimo, malìa, magìa, miracolo!... Una di queste cose, insomma, ovvero... tutte quante insieme!
(ridendo) Addirittura?!
Addirittura! (Sempre più entusiasmandosi) Vi garantisco io che, dato un accompagnamento come il vostro, un violino suona da sè. E quando voi sedete al piano, Norina, parola d'onore, o che suoni io o che suoni Tartini redivivo, è precisamente lo stesso!...
(lo guardano comicamente.)
Cioè... credo di avere un poco esagerato. Ritiro la parola d'onore.
(sorride.)
(levandosi) Hai finito, chiacchierone?
(mortificato) Vi vedevo attenti: supponevo di farvi piacere, parlando.
Be', se hai finito, (stendendogli la mano) buona notte.
(stringendogliela) Te ne vai?
No! Sei tu che te ne vai.
Ma che! Io ho da restare. Stanotte siamo di guardia Norina ed io.
Se ci sei stato la notte scorsa con lei! Stanotte spetta a me.
E tu non c'eri stato già due notti di fila? Spetta a me, caro mio.
E io sostengo che spetta a me.
Bisticciatevi per questo, adesso!
Decidete voi, Nora.
Andiamo, decidete voi.
Non spetta a nessuno dei due. Il signor Lucio sta meglio, e quindi non c'è' bisogno di una duplice sentinella. Stanotte, ci resto io sola. Ecco la mia decisione.
E basta così.
Non parlo più.
(dando a Giovanni il pastrano e il cappello) A voi.... (e a Ziegler il cappello, le carte e la custodia del violino) A voi.... E dritti a casa, da bravi ragazzi. (A Giovanni:) La consegna?
La consegna è questa. Sino alle due, possibilmente, riposo. A cominciare dalle due, le solite cartine, e se ha sete, la solita bibita. (Indi, parlando pianissimo, ma con disinvoltura, affinchè Lucio non sospetti:) D'un discorso molto serio fattomi dal dottore, parleremo poi a lungo domani.
Va bene.
(rialzando il tono e guardandola tutta) Intanto sarete a disagio in questo abito di fantasma.
Andrò a svestirmi quando il signor Lucio si sarà addormentato.
E se non si addormenterà, i vostri piedini staranno ad agghiacciarsi nelle calze di ragnatela e in questi petali di magnolia che chiamate scarpine.
Vi proibisco d'essere tanto bene informato della mia calzatura! Del resto, all'alba, Ziegler verrà a sostituirmi.
Beninteso!
E perchè non io?
(vivamente) Perchè voi, no!
E basta così.
Che tiranna, eh?
Tiranna?... Non lo so.
È vero, signor Lucio, che sono un pochino tiranna?
È la tirannia della Saggezza.
Ah, sì?
(piano a Ziegler:) Ti secca di non restar qui con lei?
(piano a Giovanni:) Per carità, Giovanni, non dirlo neanche per ischerzo.
(a Lucio:) Noi ce ne andiamo, Lucio. (Indicando Nora) È lei che lo esige.... A domani, dunque.
(a Lucio:) Domani, senza febbre e con gli occhioni luminosi e irrequieti come due fari. Mi sono spiegato?
(sorridendo dice di sì col capo.)
(a Nora.) Buona veglia, Norina! (E via.)
(stringendole la mano) A rivederci....
Ahi! Ahi! Mi fate male....
Eh!... Troppo fragile per essere una tiranna, troppo sensibile per essere un fantasma!
(quasi fra sè, con rancore) Cattivo!
LUCIO e NORA.
(si accinge a mettere in ordine gli oggetti che sono sulla tavola.)
Fa freddo, fuori?
Un poco. Voi avete freddo?
Sento che fa un poco di freddo, ma io non ho freddo.
Invece, io credo che abbiate freddo. Volete uno scialle?
No.
Lo volete?
Siete voi che volete darmelo. Ebbene, io lo voglio.
(stende sul letto uno scialle bianco, e ritorna a rassettare gli oggetti sulla tavola.)
Nora....
Signor Lucio?
Perchè odo la vostra voce meglio di quella degli altri?
(con lieve celia gentile) Perchè le medicine che momentaneamente potevano indebolirvi l'udito ve le ho somministrate io. È giusto che esse abbiano fatta una eccezione per me.
(sorride) Ah?.... Ho inteso. (Pausa) E adesso che fate?.... Sedete, adesso.... Raccontate.
Un momento.... C'era una gran confusione quassù.... Tutta colpa del signor Giovanni! (Seguendo il zig-zag del suo pensiero) Un po' matto, ma vi vuole molto bene anche lui.
Sì. Giovanni e Ziegler sono due amici eccezionali.
Ed io? (Poggia il paralume verde davanti alla candela. Si volta, e ascolta.)
Voi, no.
No?!
Voi, non siete.... un'amica.
E che sono, io?
Ecco. Pocanzi il dottor Felsani diceva che la scienza mi ha ridata la vita....
È vero!
Io sono convinto che me l'avete ridata voi.
Oh Dio! In che modo? (Ascoltandolo, muoverà impercettibilmente verso di lui, e si fermerà un po' discosta dal letto.)
In che modo?.... La vita è la vita. Si sa come si scompone il corpo d'un uomo; non si sa... o, meglio, io non so di che si componga la sua vita. Quel che io so è di averla riavuta a guisa d'un dono,... di averne sentita la trasfusione. (Pausa.) Ricordate?... (Pausa.) Agonizzavo... Cominciavo a morire... La mia anima, liberandosi a poco a poco dalle sue spoglie, già si affacciava al mondo dì là... Vedeva!... Vedeva!... Comprendete?
Sì.
Poi... un alito dolce, in cui era una segreta intercessione, un segreto richiamo, la trattenne, la fece retrocedere, me la ricondusse... e la congiunse, di nuovo, completamente, a questo misero corpo... restituendogli la vita, che — demeritata — gli si era dispersa. (Come in una ispirazione) Chi aveva richiamata l'anima mia?
Chi?
Voi. E, difatti, mentre essa mi ritornava dentro, mentre io... rinascevo, voi mi stavate vicina, vigilando... aspettandomi... Mi stavate vicina...
(intenta, si accosta ancora un poco e, a piè del letto, resta fissa, dinanzi a lui, suggendone ogni parola.)
(Il biancore del suo abito, il cui strascico si distende, e quello del letto compongono, nell'ombra, tutta una vaga forma bianca.)
... Così... Così... come state ora: secura, diritta, solenne, grande, eppure umile.... Assai umile... assai umile....
(assorta) Lucio....
(spalancando gli occhi che diventano d'una luminosità soave) E così, con questa voce, con una voce che è soltanto vostra, mi dicevate: Lucio... Lucio....
(Muti, immobili, si guardano. — Il silenzio incombe.)
La medesima stanza. Ma l'ambiente è divenuto quasi gaio. Non c'è più il letto. Dove erano le fiale e i medicinali, si vedono, ora, piatti, bottiglie di vino, un fornello con su una caffettiera, una zuccheriera e parecchie tazze. Nel mezzo della stanza, una mensa. Son le prime ore del pomeriggio.
LUCIO, DON PAOLO, NORA, GIOVANNI e ZIEGLER.
(Essi stanno seduti intorno alla mensa. Don Paolo ha a destra Nora, a sinistra Ziegler. Lucio è alla destra di Nora. Giovanni è fra Lucio e Ziegler. Si è alla fine del pranzo. Si mangia la frutta. Si chiacchiera. Si beve. — Il fornello del caffè è acceso.)
(sbuccia una mela e ne offre una fetta a Don Paolo.) Un'altra fettina di mela, Don Paolo?
(condiscendente) Un'altra fettina di mela. (La prende e la mangia.)
Ancora?!
Lasciate fare! (Ride) Ah ah ah! Sono i piccoli vantaggi dell'innocuità.
Se c'è l'innocuità, non ci sono i vantaggi.
Dal vostro punto di vista è vero. Ma dal mio, (ridendo) ah ah ah!, è un altro paio di maniche.
Voi le avete larghe le maniche....
E me ne tengo! Sono misericordioso, io.
La misericordia è stoffa a buon mercato. Si dice che anche il Signore Iddio se ne sia fatto un manto assai largo.
Che ne pensate voi, Don Paolo?
Io penso... (beve con voluttà un ultimo bicchiere di vino) penso che con queste cose è meglio di non scherzare.
(a Giovanni e a Ziegler:) Se voialtri non la finite con le vostre eresie!...
Non andate in collera, Nora, chè in fondo poi, convenitene, sono un buon credente.
Sì, quando vi accomoda.
(per scansare quei discorsi) Un sigaro chi me lo dà?
Io.
Io.
Vediamo. (Guarda e stringe tra le punte delle dita i due sigari.) Scelgo questo e fumo quest'altro. (Ridendo, se ne mette uno in tasca e uno in bocca) Ah ah ah!
(col viso alquanto acceso e le gambe alquanto dinoccolate) Santa pazienza! Mi avete fatto mangiare e bere un po' troppo!
Ed ora vi do una tazza del mio caffè.
Purchè non mi facciate perdere il treno come ieri.
(cavando dalla saccoccia una scatoletta di fiammiferi) State tranquillo: terrò io d'occhio l'orologio.
(accendono i loro sigari.)
(smorzando la fiamma del fornello) Lo brustolai io stessa, ieri sera....
Lo sappiamo, perchè la vostra finestra era aperta e il fumo aromatico giungeva fin qui.
Moca e Portorico.... Sentirete.
(tuttora seduto, è assorto, co' pugni uniti sulla tavola e il mento sui pugni.)
(lo guarda, gli si avvicina e gli sfiora il viso col gesto con cui si scacciano le mosche) Ohè!...
(sussultando) Scusate, zio...
Ma che hai? Che hai?
Ecco:... riflettevo che....
(interrompendo di proposito) Don Paolo, dolce o amaro?
Come il vostro cuore vi detta.
Allora dolcissimo.
(offrendo la tazza ricolma a Don Paolo) A voi.
(saggiando subito col cucchiaino) Perfetto!
Me la date anche a me una tazza di caffè?
(mescendolo agli altri) È assai forte, Lucio. Coi vostri nervi!...
Un sorso, almeno. Mi solleverà.
Un sorso, ve lo cedo io. (Gli porge la propria tazza.)
(se l'avvicina alle labbra, delicatamente.)
(pianissimo, confabulando con Don Paolo.) Insistete nella proposta di stamane. Fate che egli venga con voi in campagna. Il dottor Felsani dice che ciò è indispensabile....
E dice bene.
Lucio, credetemi, non è completamente guarito.
(sospirando) Lo so. Lo vedo.
(a Lucio, che beve troppo caffè:) Ma così compromettete il solito sonnellino del dopo pranzo.
Non importa.
(con severità gentile) Basta, ora! (E riprende la tazza.)
Che avara!
E giacchè siete così avara... io vi chiedo un'altra mezza tazza del vostro caffè.
Intemperante! (Tentennando il capo, lo accontenta.)
Avara! Avara!
(chiama a sè Ziegler con gli occhi e gli dice qualcosa all'orecchio.)
Eh! Senza di lei, egli si ammalerebbe peggio.
E dunque?
Con un pretesto qualsiasi, fate venire anche lei. Tanto, voi siete un prete di spirito....
Ma quella è una donna di carne!
Per Lucio non è che di aria.
E buon pro gli faccia! (Avendo finito di bere il caffè, sta per riporre la tazza.)
(cerimoniosamente, gliela toglie di mano e la posa.) Contro chi congiurate voi due?
Contro chi? Posso dirlo? Posso dirlo? (Con uno slancio di franchezza) Contro il vostro amico Lucio... e anche un po' contro di voi.
Oh! Oh! Sentiamo.
(dopo breve esitazione) Be'!... Bisogna decisamente accettare il mio invito. In campagna, caro nipote, in campagna!
(di scatto) No, zio, ve l'ho già detto: in campagna con voi, non ci vengo!
(Un silenzio. Tutti sono imbarazzati. Nora arrossisce. Lucio tenta invano di dissimulare il suo turbamento. Ziegler fa segno a Don Paolo di non preoccuparsene e di andare avanti.)
(risoluto) Sentite, ragazzi miei. Io ho il vago sospetto che, oramai, la città sia diventata l'anticamera del manicomio.
(ha un involontario movimento di pena.)
(vorrebbe avvertire Don Paolo di mutar tono.)
(non intende e continua) Ah! In città ci ho vissuto anche io e ci ho fatta la mia educazione.... E che educazione! Ma erano altri tempi, e, quando mi ritirai in villaggio, portai con me tale una provvista di saviezza da seminarne largamente le mie campagne affinchè germogliasse nel buon concime del cretinismo campagnuolo. Ahimè! Mi accorgo che il cervello cittadino è deperito. La civiltà è una sua eterna debitrice, perchè non rende tutto ciò che esso le dà. Certo, da quel pastore alla buona che sono... (guarda tutti e continua un po' comicamente)... o, se vi piace meglio, da quel pretaccio esperto che sono..., parecchie stranezze ho creduto possibili sotto la cappa del cielo, ma quella che m'è capitato di vedere venendo a fare una visita a mio nipote dopo tanti anni, no, non l'ho creduta e non avrei potuto crederla possibile mai! (Pausa. — Con le dita si allarga il colletto che gli dà fastidio.) È inutile, veh!, che mi facciate quei visi lunghi... Voglio parlare, io, e parlare franco... E voglio dire tutto quello che penso... N'avrei il diritto, anzi il dovere, santa pazienza!, pure se quel vinetto, di cui m'avete fatto bere più del necessario, non mi sciogliesse ora lo scilinguagnolo. Oh bella!... Credevo d'avere per nipote un medico e trovo invece un capitale nemico della medicina. E sin qui, transeat: non è di questo che mi affliggo. Credevo di avere per nipote un giovanotto vivace, allegro, che magari corresse la cavallina, come, purtroppo, alla sua età faceva la buon'anima di suo padre, e invece trovo un ipocondriaco misterioso, un asceta andato a male, un malinconico contemplatore di non so che cosa. Credevo di avere per nipote un uomo abituato e indurito a tutte le tempeste di questa vitaccia, e non trovo che un naufrago avviticchiato a uno scoglio; il quale scoglio non si chiama con nessuno dei nomi che, più o meno, affidano. Esso non è nè il matrimonio, nè il celibato; non è nè la catena coniugale, nè la libertà individuale; non è nè la virtù, nè il vizio; non è nè l'amore legittimo, nè quello illegittimo. E sapete che cosa è?... È semplicemente una anomalia!
(tirandogli di nascosto la sottana) Don Paolo!
Sì, sì, una anomalia: lo ripeto e lo sostengo. Ammettiamo perfino un'amicizia fraterna, a base di gratitudine o di qualcosa di simile, fra un uomo a ventotto anni e una donna a ventiquattro. Uno scetticone sorriderebbe d'incredulità, e io no, non sorrido, perchè non sono scettico e mi piace ancora di credere nella bontà umana. Ma quando questo uomo e questa donna non vogliono o non possono più districarsi l'uno dall'altra, quando essi s'innestano, si cuciono fra loro a fil doppio per respirare la stessa aria, per dire le stesse parole, per vivere la stessa vita, ah! santa pazienza!, quest'amicizia fraterna, se non è una finzione, è una cosa sciocca, effimera e mostruosa!
(gli tira di nuovo la sottana.)
Che bisogno c'è di pizzicarmi ogni tanto la sottana?... Credete che io non intenda il suono delle mie parole?... Vi porto un po' del mio ossigeno. Se non vi entra nei polmoni, di chi è la colpa? Del resto, quello che ho detto, ho detto. Non ci pensiamo più.... Io desidero soltanto — e questo soltanto volevo assodare — che Lucio venga a star qualche tempo con me, lì, in campagna, dove la natura si sviluppa sinceramente in tutta la sua semplicità, dove anche il semplice spettacolo della vegetazione rigogliosa risolve i problemi più complicati e più astrusi e concilia l'umanità un po' con Dio e un po' con sè stessa. Ci siamo intesi?
(dimena il capo, dicendo quasi fra sè:) Pare di no! (Sbuffa e si gratta il mento. — Mentre parlava, il sigaro gli si è smorzato fra le dita. E ora se lo ficca in bocca come per fumare e con le labbra lo tormenta.)
(cavando di tasca la scatola di fiammiferi) Volete accendere, Don Paolo?
(scattando) Ma che accendere! I vostri sigari non tirano! Via! Via anche il sigaro! (Lo getta a terra con violenza. — Poi, paziente) Signorina Nora, voi mi sembrate una brava ragazza... e le parole che mi sono uscite di bocca..., ammesso che non fossero tutte piacevoli..., voi le avete già dimenticate. Siete persuasa d'essere quasi una sorella d'adozione di Lucio? Ed io precisamente alla sorella di lui mi rivolgo. Esortatelo voi a raggiungermi in campagna... e, giacchè... in casa mia non debbo render conto a nessuno..., voi, che siete una donnina emancipata, voi sua amica, sua sorella, se vi degnate d'accettare il mio invito, verrete a tenergli compagnia... proprio come fate qui, e così, in un'opera saggia, vi unirete a me, che diventerò, naturalmente, un vostro zio... nei modo che meglio piacerà alla Provvidenza. Quanto all'occhio del mondo, non ve ne date pena. Dirò... dirò... che siete proprio una parente. E poi, lassù, in villaggio, tutto il mio mondo è composto di quattro persone: il solito farmacista, il medico condotto, la mia pupilla e il suo fidanzato; e questo mondo, capirete,... ha l'occhio che voglio io. (Ride) Ah ah ah ah ah! Ecco qua, torno a ridere, finalmente. Si dice che io rida troppo spesso.... Eppure, lo vedete, quando mi accade di parlare senza ridere, arreco fastidio alle orecchie e do ai nervi come... come un trombone che voglia farla da flautino. Viva il buon umore, dunque, viva l'allegria!
(Tutti sono evidentemente preoccupati, e, come dianzi, guardano a terra, tacendo.)
Viva l'alle...gria!... Eh!... difatti... non si potrebbe immaginare un'allegria più allegra di questa! (Sbuffa.)
(consulta il suo orologio, ed è felice di trovare un pretesto per risolvere la quistione) Don Paolo, se non volete perdere il treno, è ora.
Oh, tanto meglio! La mia roba dov'è?... Dov'è?
(si affrettano a dargli chi il cappello, chi il mantello, chi la sacca da viaggio.)
Ecco.
Ecco.
Ecco.
Vi accompagneremo tutti alla stazione!
(irritato) Grazie tante! Non voglio accompagnamenti! (Si mette mantello e cappello.)
E noi vogliamo accompagnarvi.
E io ve lo proibisco.
Ma perchè?
Si accompagnano i morti, non i vivi. Addio!... Addio!... (Con fretta esagerata, fa per andare.)
(chiamandolo:) Zio Paolo....
(fermandosi) Eh?
Ebbene..., sì:... ci verrò in campagna con voi. Avete ragione... Ne avrò giovamento... Credo che anche la... signorina Nora accetti il vostro invito...
(titubante)... Senza dubbio.
(ritornando) Oh, che il Signore sia lodato! È uscito il sole! È uscito il sole!
(animandosi) Domani, col penultimo treno, vi piomberemo addosso.
Bravi! (A Giovanni e a Ziegler) E questi birboni?... Venite, venite anche voialtri... Il signor Giovanni porterà i suoi pennelli, il signor Ziegler porterà il suo violino.... E dipingeremo, suoneremo, balleremo.... (Ridendo) Ah ah ah! Ci ho posto per tutti, che credete?
(con istantanea malinconia) Grazie, Don Paolo, ma io non posso....
(a Giovanni:) E, voi,... Don Giovanni?
Io... per lo meno verrò sin là a consegnarveli tutti e due sani e salvi.
E ogni promessa è un debito.
Presto, presto. Don Paolo!... Il treno non vi aspetta mica.
(festosamente) A domani, dunque.
A domani, zio.
A domani.
A domani.
Buon viaggio!
Buona permanenza! (S'avvia per uscire.)
(ostentando una celia) Io poi da voi, un giorno o l'altro, ci verrò, ma di nascosto.
(uscendo) Insieme col violino, beninteso....
Sì, per portare una serenata alla vostra pupilla.
(la cui voce s'allontana) Quella lì non è pane pei denti vostri. (Ride) Ah ah ah ah!
— Arrivederci.
— Arrivederci.
— A domani.
— Buon viaggio! Buon viaggio!
LUCIO, GIOVANNI, ZIEGLER e NORA.
Ecco un uomo che ha parecchie dita di cervello.
È buono. (Si accinge a sparecchiare la tavola.)
Intelligente, soprattutto.
Nora!... Che fate? Più tardi verrà la serva.
Non è piacevole veder la tavola in disordine, dopo pranzo. (Continua a sparecchiare con l'aria di una persona di casa.)
Allora, vi aiuto io.
Bene! Aiutatemi.
(si affaccenda anche lui, sparecchiando.)
(prendendo un libro che trova chiuso in un angolo della stanza, lo mostra a Lucio) Se non vuoi leggerlo tu, passalo a Nora.
Ma sì: sto leggendolo.
Ah?
Nè nuovo, nè interessante. Spencer rifritto. D'altronde!...
«Spencer rifritto», s'intende. Senonchè, devi notare....
(interrompendo con vivacità) Non deve notar niente....
(seguitando con la stessa intonazione di lei) Perchè, dopo pranzo, la roba rifritta... Non so se mi spiego!
(piegando la tovaglia, ne tiene due punte nelle mani con le braccia tese, e ha il mento abbassata sul lembo superiore, giusto nel mezzo.)
(a un tratto, fissandola) Ferma, ferma così, Nora!
Cos'è?
Ferma così, ve ne prego. (Cava di tasca un album.)
Ma che vi piglia?
È una posa originalissima! Ve ne faccio lo schizzo. Aspettate. (Comincia a disegnare.)
(immobile) Io mi stancherò.
(disegnando) Immaginatevi di stare dinanzi a uno specchio e non vi stancherete.
Questo non lo potete dire, perchè in casa mia ho abolito gli specchi.
(con soddisfazione) Brava!
Avete fatto malissimo!
(mirando Nora e imitando col pollice della destra un gesto da pittore) Sì, sì: è un quadretto.
Con questa tovaglia in mano?
Tovaglia?... Quella potrebbe essere... un velo, una stoffa antica, non so,... una specie di breve siparietto simbolico... A me preme la linea che voi mi date.
Via, ti dà pochino!
(tuttora disegnando) Meravigliosa.
Nientemeno?
(impaziente) Ah!...
(vede il disegno di Giovanni e malinconicamente esclama:) Come t'invidio!
Vorresti saper mettere questi pochi segni sulla carta?
No, non mi basterebbe. Anche, vorrei sentirne la compiacenza che ti leggo negli occhi. Sai precisamente che cosa t'invidio? T'invidio questo culto della forma che io non ho e che non voglio avere.
Se non vuoi averlo, perchè me lo invidii?
Non ne posso più, Giovanni!
Un momentino ancora.
(a Giovanni:) Non mi capisci, non mi capisci. Io non voglio averlo, e intendo perfettamente che mi privo d'un diletto.
(sincero, con entusiasmo) D'un grande diletto!
Eppure, è così. Se su quella carta tu componessi le sembianze d'una qualunque altra donna, invece che le sembianze di Nora, per me sarebbe lo stesso.
È fatto, sì o no?
Non è fatto, (sorridendo) perchè io non sono mica un pittore da cafè-concert, di quelli che improvvisano in cinque minuti il ritratto capovolto di Garibaldi o di Bismark. Ho preso qualche appunto....
(gettando via la tovaglia e andando verso Giovanni) Vedere.
Ci è! Ci è!
Ci sono?
Oh, altro!
(chiudendo l'album) Ma che! Non ci siete niente affatto.
E dunque?!
Dunque, fiasco. E sfido io! Con la sua impazienza!...
No, non mi capisci. Intendo dire che a cento piccole circostanze accidentali è connesso ciò che un pittore chiama linea o colore e che io chiamo... parvenza: ciò che, insomma, colpisce più o meno i nostri sensi. Tutto quello che riproduce questa parvenza è problematico, è sfuggente, è fittizio, è incerto... come la parvenza stessa.
(dà un'occhiata significativa a Giovanni e a Nora.)
(a Lucio, per non contraddirlo:) Sì, sì.
(celiando a malincuore per cambiar discorso) Vi prometto, Giovanni, che un'altra volta, sparecchiando una tavola, vi ispirerò un capolavoro.
(guardandoli) E già! Io ho detto una scioccheria, come di solito.
Tutt'altro!
Si fa una partita a scopone? Siamo in numero....
Ah! Voi credete che io non mi accorga che mi trattate come un pazzo o come uno scimunito?
Che ti salta in mente adesso?
Anche zio Paolo crede che io non abbia la testa a posto.
Scherzava.
(animandosi) Scherzava? E voialtri?
Ma noi! Noi!... Noi — giacchè lo vuoi sapere — non facciamo che evitare le conversazioni troppo astruse che da qualche tempo ti seducono e che tutti coloro i quali ti vogliono bene credono... molto inopportune! Mio Dio! Perchè dobbiamo romperci il capo con tanti discernimenti paradossali e stiracchiati? Quanto a me, non stiracchio che le corde del mio violino, ed è perciò che esse si spezzano così spesso. Che, del resto, la vita me la piglio com'è — benchè non sia sempre di mio gusto, te io assicuro io — e desidererei che anche tu, che diamine!, non ti prendessi la briga di capovolgere l'umanità e di trasformare il mondo. Ascolta il consiglio mio: facciamo una partita a scopone, che è più semplice.
Facciamola! Facciamola!
Capovolgere l'umanità? Trasformare il mondo? Io non voglio capovolgere nulla. Non voglio trasformare nulla! (Accalorandosi) Ho le mie idee, ho le mie convinzioni e non ci rinunzio. E quando vedo che appunto per una mia idea manifestata alla buona, senza nessuna pretesa, incidentalmente, voialtri vi turbate, v'impensierite come se io avessi detto chi sa che cosa orribilmente strana, (tutto vibrante nella persona e nella voce) e mi spezzate la parola in bocca e m'impedite di parlare con pretesti puerili, io mi cruccio, io mi addoloro, io mi irrito, perchè mi pare che vogliate strapparmi il pensiero dal cervello, come se per strappare questo pensiero bastasse sopprimere la parola; e mi pare che vogliate esercitare su me un falso diritto, sì, un diritto che non avete e non potete avere. Io vivo dentro di me una vita che non ha niente di comune con tutto quello che attrae gli altri, una vita che non subisce influenze esteriori e non subisce la volontà altrui! Non mi importunate, dunque, non mi opprimete.... Lasciatemi vivere a modo mio... Lasciatemi tranquillo... (Emozionato, affaticato, cade a sedere ansimando) Lasciatemi tranquillo.
(umile, affettuoso) Ma, abbi pazienza, Lucio, a che proposito tutta questa sovraeccitazione?
(con lo stesso tono) Difatti... chi è che crede di avere dei diritti sull'animo tuo?
Nessuno! Nessuno!
(pentito, stringendosi la testa fra le mani) Ho torto. Perdonatemi. Io mi eccito per un nonnulla.... E, con voi, proprio non dovrei. Siete così buoni. Mi perdonate, Nora?
Di che?
... Sì.... Sono un po' eccitabile... un po' nervoso... I primi giorni di primavera mi fanno questo effetto.... E ora poi... ecco... mi pare di aver sonno.... Vedete, Nora, che avete calunniato il vostro caffè. Stanotte, già, ho dormito male.... Riposerò un poco... Mi permettete? (S'avvia verso la porta a sinistra.)
Ti pare!
È bene che tu riposi.
Se ve ne andate tutti, consegnate la chiave giù al portinaio, per la serva.
Ma no, io resterò ancora. A casa non ho nulla da fare.
Allora, arrivederci presto. Mi basterà di riposare una diecina di minuti.
(esortandolo) Un po' di più.
Lo sapete... non mi piace di dormire, perchè io diffido del sonno. (Esce ripetendo quasi fra sè:) No... non mi piace di dormire... non mi piace....
GIOVANNI, ZIEGLER e NORA.
(prende il cappello e la custodia del violino e dice a Giovanni, sottolineando le parole:) Andiamo, eh?
Sì, andatevene anche voi, Giovanni.
Grazie della premura!
Credevo....
Di farmi piacere?
Che so!...
Mi scacciate?
Vieni via! Che stai a fare lì?
Noioso!
Va bene: «noioso». (Pausa) Addio, Nora.
Ci si vedrà, domani?
Ma ci andate davvero da don Paolo?
(preoccupata) Se le mie allieve me lo permetteranno. E voi?
Io l'ho detto che non posso.... E invece chi sa ch'io non vada più lontano....
Dove?
Lassù: a Colonia..., dal mio vecchio nonno che ho appena conosciuto e che sempre mi scrive di volermi vedere prima di morire.
Che novità è questa?
La morte non è una novità. Basta: domani verrò a salutarvi o qui o alla stazione. (Si avvicina a Giovanni, e, battendogli la mano sulla spalla, gli dice quasi sul serio:) Con te, poi, faremo i conti!
(con vivace risentimento) Noioso! Noioso!
(con vivace e sincera acredine) Io, noioso. Ma tu... qualche cosa di peggio!
(infastidito) Ziegler!
(padroneggiandosi) Niente, niente.... Scherzavo.... Di nuovo, Nora, arrivederci.
Veniteci a salutare, vi raccomando.
Sì, sì, non dubitate. (Esce.)
NORA e GIOVANNI.
(dopo un silenzio) Ziegler è innamorato.
Non credo.
È innamorato di voi.
No.
Una volta, prima che vi conoscessi, lo ha confessato a me. Oggi, forse, non lo confesserebbe neppure a sè stesso.
Dice sempre che gli uomini brutti come lui non devono innamorarsi.
E questo che significa? Significa che c'è capitato.
Me ne sarei accorta.
Non vedete ch'egli stenta a dissimulare la sua sofferenza? Non vedete che è geloso?
Di chi?
Ah, non di Lucio, beninteso! Di me.
Giudicate assai male! Ziegler è d'una delicatezza singolare, e, se è geloso, come voi dite, non lo è che per conto di Lucio.
Questo soddisfa la sua coscienza d'uomo buono e modesto, ma in fondo egli non può esser geloso per conto di un uomo che vuole esservi fratello....
Fratello?... Ziegler comprende bene che il povero Lucio è vittima d'un equivoco creato dalle sue fisime spirituali,... dalla sua mente malata....
Avete voi la convinzione che quello di Lucio non sia un affetto fraterno?
Ne ho la convinzione.
Ah no! Siete voi che, per farmi indietreggiare, mi minacciate il rimorso. E siete voi che a forza volete persuadermi che il mio amore è una perfida insidia.
Una perfida insidia non è, o, almeno, non è una insidia premeditata. Di ciò io sono sicura, Giovanni. Ma è certamente un errore. Un errore che colpisce un'esistenza cara a voi ed a me....
Ed ecco la minaccia del rimorso!
A prescindere dal vostro rimorso, c'è un'altra circostanza che dovete ben valutare, ed è questa: (energicamente) io non voglio che mi amiate.
Non è vero!
Io non vi amo.
Non è vero!
Io amo Lucio.
Non è vero!
(con un impeto di esasperazione) Ma perchè non è vero?
(dopo un breve silenzio) Se lo amaste veramente, voi, senza avvedervene, lo sottrarreste all'equivoco, ammesso che in lui l'equivoco ci sia. Che sappiate essere un'eroina non ne dubito....
Parlate piano....
Non dubito che sappiate sacrificarvi a un'Idea, che sappiate sacrificarvi a qualche cosa che voi medesima non potete determinare e che è, secondo me, l'illusione indefinibile con cui le creature migliori vorrebbero ribellarsi alle necessità della vita reale. Egli, oh!, è più illuso di voi. Voi non fate che seguirlo, che secondarlo docilmente; e voi confondete la docilità vostra con l'amore.... Ah! Nora!... volete che ve lo dimostri?... Datemi la mano... (Le prende una mano.) Così!... Lo sentite quello che c'è qui dentro, in questo sangue, in queste fibre?... Lo sentite voi questo contatto?... Lo sentite? Sì. Sì. Ebbene, ciò che provo io mentre la mia mano stringe la vostra, è lo stesso di ciò che provate voi. E questa è la Realtà, Nora, questa è la Realtà unica, ineluttabile. Non ce n'è un'altra. Fuori di essa non c'è che il sogno, non c'è che l'inganno della fantasia. Sognando, voi potrete ancora ripetermi: «non voglio che mi amiate»; ma io, io che non saprò mai sognare, vi ripeterò mille volte: non è vero, non è vero!
(umilmente).... E basta, adesso!... Basta! (Con un intimo sforzo energico libera la sua mano da quella di Giovanni.)
Sì, basta.
(scossa, perplessa, timida, e simulando disinvoltura, va a guardare all'uscio della camera di Lucio.)
Dorme?
Pare. (Pausa) Ed ora, andatevene, ve ne prego.
Me ne vado. (Piglia il cappello e s'avvia.)
Prima però debbo chiedervi un favore.
Dite.
Non venite in campagna, Giovanni!
Ho promesso al prete di accompagnarvi fin là.
Ma non ci resterete?
(con lieve sorriso tra di sodisfazione e di rassegnazione) Non ci resterò.
Ve ne ringrazio.
(sùbito) Dunque, confessate?
Non confesso niente.
E perchè mi avete chiesto ch'io non resti con voi? Perchè mi ringraziate?
Perchè è ridicolo che tanta gente estranea piombi in casa di quel brav'uomo.
V'affaticate continuamente a negare il vostro pensiero.
(con rabbia) Per carità, Giovanni, finitela!
La mia presenza, lì, in campagna, vi annoierebbe?
Sì.
Molto vi annoierebbe?
Sì, molto.
Fino a riuscirvi insopportabile?
Fino a riuscirmi odiosa!
(incalzando) E la ragione? La ragione?
(severa) La ragione è che voi siete un egoista.
Lo vedete: siamo da capo. Questa per me è una confessione. (Pianissimo, insinuante) Voi temete che l'egoismo mio — quello che voi chiamate così — vi faccia abdicare al vostro eroismo. (All'orecchio di lei) Voi temete di diventare una egoista come me... Senza contare, poi, che, essendo egoisti in due, non lo saremmo più nè io nè voi,... senza contare che io potrò essere necessario alla vostra vita come già voi siete necessaria alla mia.
No, Giovanni: voi siete un uomo quasi felice, voi non avete bisogno di me. Egli, invece, egli è un infermo, è un infelice....
È un infelice perchè non vi ama! Quale che sia la mia amicizia per lui, dovrò io cedergli un tesoro che egli non vuole avere? Non vi ama, o non può o non sa amarvi, o sa amarvi male.... È lo stesso. Ma io, io vi amo bene, vi amo completamente, vi amo tutta, e nell'ordine naturale delle cose umane il vostro amante devo essere io....
(con dolcezza implorante) Giovanni, sono tanto stanca d'ascoltarvi....
(continuando) Devo essere io: e nessun proponimento sublime, badate, nessun ragionamento, nessuna idealità, possono opporsi a questa affinità sincera, che tende ad unirci....
Sono stanca d'ascoltarvi....
(conchiudendo)... e contro di essa, Nora, è inutile combattere!
Andatevene.
È inutile!
Andatevene.
Sì. (La guarda ancora assai dappresso. Poi, rapidamente, esce.)
NORA, indi LUCIO.
(è profondamente turbata. Appare dubbiosa, trepidante. Sembra voglia sottrarsi al suo tormento. Risoluta, piglia di su una seggiola il suo cappello e infila la porta in fondo.)
(entra in tempo, e, vedendola uscire, la chiama:) Nora!
(fermandosi) Oh, Lucio!
Non mi avevate detto...?
Che sarei rimasta? Sì, ma poi... (ritornando) ho pensato di anticipare la mia lezione alla piccola Vannuzzi, e giacchè dormivate....
Dormendo, però, ho sentito che voi stavate per uscire....
Davvero?
E mi sono svegliato di soprassalto. Ho dormito molto?
Un quarto d'ora, credo....
Ah? Solamente?... (Un silenzio. ) Avete un po' letto, intanto, questo libro che Giovanni mi ha imposto? (Indica il libro.)
In verità, non me n'è venuta l'idea...,
Meglio. (Con disgusto) Figuratevi! È il libro d'uno scienziato: un poveretto, che, come tanti altri, non si accorge d'avere una benda sugli occhi, e gira, gira intorno ad una tavola convinto d'andar dritto e molto lontano. Quando è stanco, si ferma, dicendo: sono arrivato! Ma dov'è arrivato, se si trova allo stesso punto dal quale era partito? (Un silenzio.) Volevo dirvi.... No, no.... Parleremo stasera.
Parliamo adesso.
E la piccola Vannuzzi?
Aspetterà.
... Una semplice domanda volevo farvi.
Fatela.
(Pensa. Indi le si avvicina, quasi con circospezione) È poi così strano che un uomo e una donna siano legati da un sentimento d'amicizia più forte di quello che si chiama l'Amore?
Non è strano.
È un'anomalìa che il grande affetto per una creatura purissima si astragga dalle attrattive che accomunano lei, suo malgrado, a tutta una folla di femmine?
Certamente no.
Ecco... Voi potete comprendermi, soltanto voi... Io non voglio trasformare il mondo, come mi dice Ziegler. Io cerco, bensì, di non attaccarmi a ciò che esso ha di più tangibile, di più precario, di più caduco...
(secondandolo)... e di meno bello!
Benissimo!... «Di meno bello!» (Riflettendo) Se di una donna si amano (analizzandola senza volere) gli occhi, i capelli, la bocca... tutto quanto costituisce le sue prerogative appariscenti, il suo fascino materiale, che garanzia ha questo amore? Nessuna. Il fascino materiale può esaurirsi a poco a poco, o può cessare a un tratto per mille ragioni, e allora che resta? Niente. E considerate a quali circostanze, a quali innumerevoli vicende è sottoposta la nostra carne. E debbono esse mutare o diminuire o distruggere il nostro affetto? E c'è di più. Una momentanea condizione morbosa, un fatto eccezionale, che so io?, un fenomeno fisiologico, un caso accidentale qualunque può lasciare senza difesa il corpo di una donna... anche d'una donna sublime!, può spingerlo, può trascinarlo in un istante solo alla perdizione; e noi vorremmo concentrare in esso le speranze, i desideri, le aspirazioni, le esigenze, le soddisfazioni del nostro essere?
(vivissimamente) No! no!
E dunque, perchè mi si dà del pazzo?
(timidamente) Perchè... perchè siete diverso dagli altri.
E voi pure siete diversa dalle altre.
Io?
Così diversa che proprio voi con la vostra assistenza avete saputo impedire che dal palpito di questa seconda vita ch'io vivo risorgesse in me l'uomo spregevole, fatto — come gli altri — di vecchie volgarità! E non, forse, proprio voi vorrete, ancora, ancora, e sempre, ch'esso non risorga?... (Pausa.) Norina, io sarei oramai felice, felice della redenzione, felice della perfezione, se non avessi un'intima paura: (confessandosi) la paura di tornare indietro. Il giorno in cui la nostra amicizia (con terrore) diventasse amore, io sarei perduto! È vero, avrei la vostra bellezza, questa bellezza giovane, piena di grazie e piena di misteri; ma per quanto tempo l'avrei? E in essa che cosa troverei di durevole e di sicuro per la mia felicità, che cosa troverei di benefico per il mio spirito?... No, no, no! Ciò non sarà! È necessario che ciò non sia. E voi, Nora, mi aiuterete. Mi aiuterete a non guastare quello che insieme abbiamo voluto, quello che insieme abbiamo creato. Voi, voi mi aiuterete! (Tace assorto.)
(si nasconde la faccia fra le mani e piange senza singhiozzare.)
(quando s'accorge che ella piange, soavemente le solleva la testa) Norina? Che è?
(piangendo) Nulla. Noi donne... esprimiamo... con le lagrime tante cose che non sappiamo dire con le parole....
(contemplandola) Già!... Tante cose!
(si calma, si asciuga gli occhi, sorride) E questo è tutto.
Eh, che maniera! (Esce dal fondo.)
NORA, LUCIO, ZIEGLER.
(di dentro, annunziando) È Ziegler. (Poi, rientrando con lui) Che hai? Sei pallido, sconvolto....
(ansiosa) Che vi è accaduto, Ziegler?
(ha il volto bianco, la voce tremolante) Son venuto appunto per dirvelo.... Ma non vi spaventate. Un incidente piuttosto grave....
Mio Dio! Dite!
Ho litigato con Giovanni.
(impressionata) Oh!
E come?!
L'ho incontrato quaggiù per caso.... Anzi, no.... Con voi non voglio mentire.... Ho cercato apposta di incontrarlo... perchè dovevo parlargli molto sul serio....
Di che?
Questo è inutile che lo sappiate. In sostanza, gli ho rivolta una preghiera... per un fatto che assai mi stava a cuore... (con forza) ma che non riguardava me, ve lo giuro! E il suo contegno, vedete, è stato tale che io ho perduto la mia calma abituale... e ho pronunciato parole durissime.... Sì, ne convengo, gli ho detto cose orribili, orribili!, che hanno fatto male più a me che a lui. (Disperandosi) Fra due compagni che si dividono la camera e il pranzo, fra due vecchi amici come noi!... Capite!?
(ascolta, intende, allibisce, e si concentra in sè stessa.)
Ma calmati, ora.... Non esagerare. Che diavolo! Giacchè tu riconosci d'aver ecceduto, andrai lealmente da lui. Ci andremo insieme, se vuoi.... O lo pregherò di venire qui, da me. Insomma, con un po' di buona volontà aggiusteremo tutto.
No, non aggiusteremo niente. Per quanto concerne le formalità, gli ho già fatte le scuse prima di separarci. Le formalità non mi preoccupano. Ma quel che ho detto, purtroppo, io lo penso!... Io lo penso!... Ed è perciò che ne sono torturato. Oramai, non c'è rimedio. E, tant'è, Giovanni ed io non saremo più amici, e probabilmente... non ci vedremo più.
Nientedimeno!
Sì, ho deciso di partire stasera.
Partire stasera? Va là! Il litigare con un compagno è senza dubbio molto doloroso, ma non si parte per questo.
Avevo già il progetto d'andarmene per qualche tempo a Colonia, da mio nonno che mi chiama presso di sè.... Voi lo sapete, Nora....
È vero, sì, lo sapevo....
E dopo quello che è accaduto, ho presa una risoluzione definitiva.
Va bene:... del tuo progetto avevi parlato anche a me. Ma partire così, da un momento all'altro,... è stranissimo!
(sforzandosi) Certo!...
(con fermezza) Ziegler, noi vogliamo che tu ci dica tutt'intera la verità....
Una parte della verità... è quella che avete intesa. Ma la verità tutta intera... vi confesso che non la so neanche io.... Ho un'oppressione, un incubo..., un presentimento inesplicabile,... ed ho nelle orecchie, da dieci minuti in qua, una voce che mi dice: «Vattene, Ziegler! Vattene!...» E io me ne vado.
E tu sei l'uomo che ti pigli la vita come viene?
(sorridendo malinconicamente) E quando fra me e la mia vita c'è un'evidente incompatibilità, io, che non posso cambiare la vita, faccio il tentativo di cambiare me stesso.... Tenterò di ridiventare tedesco....
Aspetta almeno il nostro ritorno dalla campagna.
(scattando un po') Il vostro ritorno? (Poi, pentendosi dello scatto) Che che! A certe risoluzioni non bisogna ripensare. Stasera! Stasera!... E senza altri addii, senza solennità!... Ci saluteremo adesso... così... allegramente... e (s'interrompe, dà un'occhiata a Nora ed escogita un pretesto per allontanar Lucio) ...A proposito, Lucio, prima di andarmene vorrei....
Che vorresti?
Vorrei il manoscritto della mia Tarantella grottesca..., quella che suonai qui l'altro ieri.
Te lo portasti via.
No!... Mi pare che lo conservasti tu, nella tua camera.
Vedrò, ma non credo.... (Esce a sinistra.)
(a Nora, sùbito, parlando piano e concitato) Scusatemi se mi son permesso di ricorrere all'espediente del manoscritto per potervi dire una parola da solo a sola. Nora, io ho fatto quanto mi era possibile per impedire che Giovanni commetta un'azione che ritengo ignobile.... Non ci sono riuscito, e tutto fatalmente accadrà!
Non accadrà, Ziegler. Non deve accadere.
Accadrà. Egli ne è sicuro.... Accadrà, ma io non sarò ne complice, nè spettatore.... Non ci resiste —
(ritornando) Fra le mie carte non c'è. Io ricordo perfettamente che te lo portasti via....
Allora, sarà così. (Lunga pausa.) Dunque, Lucio, noi ci separiamo. Ci separiamo forse per un paio d'anni,... forse per dieci anni... chi sa!... forse... per sempre! Dipenderà da molte circostanze.... Tu, tieniti su.... Hai capito?... Tieniti su! E, ti raccomando, cura la tua salute.... Questo è l'essenziale.... (Trattenendo le lagrime, lo abbraccia assai forte e lo bacia.)
Ziegler!... (Con gli occhi rossi anche lui, penosamente) Te ne vai davvero?...
A voi, Nora, nessuna raccomandazione. Ma salutiamoci bene. Qua la vostra mano....
(si stringono lungamente la mano.)
(ha un brivido per tutto il corpo.)
Di voi due sono stato... e continuerò ad essere amico.... Senonchè... da lontano (la voce gli si rompe in gola)... da lontano non potrò più far nulla per voi due.... (Piangendo) Nulla!
Ziegler!...
(con uno sforzo) Addio!... Addio! (Ed esce.)
(restano sinistramente commossi, in silenzio.)
(come invaso da un timor panico, quasi tremando) Nora!...
Lucio!
(lentamente) È un triste fatto questa partenza....
(con la faccia bianca, con lo sguardo fisso a terra, scrolla il capo.)
Una grande stanza rustica e pittoresca. Un ambiente assai pulito. In fondo, verso destra, un'ampia porta a due battenti. Una parete s'inoltra di sbieco dal fondo, formando un angolo ottuso con un'altra parete più avanzata, nella quale s'apre un finestrone arcuato. Alla parete che s'inoltra di sbieco è addossata una scaletta comoda, per la quale si accede a un breve corridoio scoperto che sormonta l'arco del finestrone, e questo breve corridoio confina a sinistra con l'uscio del quartierino di Don Paolo. Giù, due porte a destra e due a sinistra, la seconda delle quali è quella della stanza di Rosa e càpita proprio sotto l'uscio di Don Paolo. Tavole, stipi, scansìe di noce, seggiole impagliate. Su qualcuna delle tavole, scodelle, tazze, coltelli, cucchiai, forchette, una caffettiera, delle frutta, dei pani, un vecchio lume di ottone. Qua e là alle pareti, immagini della Madonna e di qualche santo.
È sera. Il lume è acceso. Entra un bel chiaro di luna attraverso le invetriate della finestra.
ROSA e GIUSTINO.
(rassetta e ripone negli stipi biancheria e altra roba, mostrandosi indispettita.)
(ha un garofano in petto ed è seduto sull'angolo d'una tavola, zufolando e facendo dondolare lo gambe.)
(a un tratto) Vuoi?
(stizzoso) No.
Crepa.
(continua a zufolare, poi s'interrompe:) E sai perchè non voglio dartelo? Perchè quando mi pigli per un traditore io faccio tanta bile in corpo che vorrei crepare davvero.
Buono per te.
E per te, no? Ti mariteresti con un altro.
Con chi?
Non avresti che a scegliere. Don Paolo ti fa la dote.
E tu per la dote mi sposi?
Io ti sposo perchè mi piaci.
Quand'è così, dammi quel garofano.
Te lo do se mi giuri che non sospetti più.
Lo portava oggi nei capelli Teresina.
Come lo sai?
Ho visto.
Che hai visto?
Le ho visto il garofano proprio qui. (Indica con precisione dove le ha visto il fiore.)
E c'è un sol garofano in tutto il paese?
Non lo so. Dammelo.
E sospetti?
Si, che sospetto.
E allora, niente!
Se non me lo dai con le buone, me lo prendo a forza.
A forza?... Vediamo se ne sei capace!
(Rosa gli corre addosso. Giustino fugge di qua e di là. Rosa lo insegue. Casca una sedia. Giustino inciampa. Rosa ne approfitta.)
(afferrando il fiore) Ah! Ci sono!
Ma ci sono anche io. (La stringe nella vita.)
(ride sgangheratamente.)
(baciandola e ribaciandola) Tè, tè!... Questo per castigo.
ROSA, GIUSTINO e DON PAOLO.
(uscendo dal suo quartierino, con un breviario in mano, proprio mentre Giustino sta baciando Rosa, si ferma sull'alto del corridoio e, affacciato alla balaustra, sgrida:) Al solito! Al solito! Ci siamo al baciucchiamento! Ci siamo! Eccoli lì.... (Imita il rumore dei baci.)
(si staccano, arrossendo.)
È una vera sconvenienza! Senza dire poi che è anche una grulleria! Che bisogno c'è, santa pazienza!, che bisogno c'è di stare a baciucchiarsi ora, se dovete sposarvi apposta per questo? (Scende la scaletta.) Hanno fretta, hanno!... Sconvenienti e grulli! Sì, sì, lo ripeto: sconvenienti e grulli!
(confuso) Avete detto sempre che....
Che cosa ho sempre detto, io?...
Che... che la minestra per averla buona a tavola si ha da saggiarla in cucina.
Ma se te la mangi tutta in cucina, briccone, a tavola ci vai senza minestra e senza appetito! Hai capito? (Se li avvicina tutti e due, e, in mezzo ad essi, assume un'aria di mistero.) La notte scorsa, mi sono accorto di tutto.
(pudibondi) Don Paolo...
Ma io domando a voi: è una cosa decente quella che fate, o è una...? (Mettendosi la mano sulla bocca) Uhm!... me ne fareste dire delle grosse. E, intanto, adesso avremo gente in casa, e, se voialtri continuerete così, sarà uno scandalo. Che si penserà di me? Bel tutore!... E che prete modello!... (Pausa. Vedendoli mortificati) Be'.... Non importa: quello ch'è fatto è fatto... Ma per evitare le tentazioni, la notte chiuderò bene a chiave la porta d'ingresso. E per l'avvenire staremo tutti quanti più attenti. Giustino, vuoi dare il buon esempio?
Sì.
Saluta da quel bravo galantuomo che sei e piglia la via di casa. È ancora probabile che i miei ospiti arrivino stasera, e non voglio che a quest'ora ti si trovi qui. Per mio nipote non me ne preoccuperei, ma c'è qualche amico suo e c'è... quell'altra parente... con cui ho poca dimestichezza. Ho udito già da un pezzo il fischio del treno, e a venire dalla stazione non s'impiegano più di dieci minuti. Va, figliolo mio: sii ragionevole. Va a dormire.
Obbedisco.
(Giustino gli bacia la mano. Si avvia. Poi indugia, guardando Rosa che a sua volta lo guarda. S'interrogano così, senza parlare, e sono sulle spine.)
(li contempla e conclude quasi tra sè:) Ho capito. (Ride) Ah, ah, ah! (Indi a Rosa, con intenzione furbesca:) Rosa, è tutto pronto nelle camere? Biancheria, acqua, candele?
Se volete darci un'occhiata voi stesso.... I vostri occhi vedono meglio dei miei.
E chi ne dubita? Vado e torno sùbito. (A Giustino:) E qui non ti ci voglio ritrovare. Mi spiego? Si saluta, e si va a casa a dormire.... Siamo d'accordo?
(col capo fa cenno di sì.)
E che il Signore t'accompagni. (Esce per la prima porta a destra.)
(parlano frettolosamente sottovoce.)
Stanotte, come facciamo?
Come al solito.
Non potrai entrare.
Perchè?
Don Paolo chiude a chiave.
Meglio! Resto qui addirittura.
Dove?
Mi nascondo nella tua stanza.
E poi?
E poi me la svigno per la tua finestra. Due uomini di altezza.
Ma tu sei un uomo solo.
Che fa? Di sotto ci sono anche gli alberi.
E se da quella parte incontri il cane?
Il cane mi conosce e non dice niente.
Aspetta. (Prende di su una tavola del pane, ne rompe un pezzo e glielo porge.) To', prendi.
(prendendolo) Che è?
È pane. Glielo dai a mangiare e abbaierà sottovoce.
Vedremo.
Presto, nasconditi. E non far rumore. (Lo spinge verso la propria camera, che è la seconda a sinistra.)
(dandole un bacio in faccia) Questo è senza rumore. E tu, sbrigati. Hai capito? (Esce.)
(chiude subito la porta, e, accorgendosi che Don Paolo ritorna, va alla finestra, fingendo di salutare con amore) Buona notte, Giustino! Buona notte, Giustino mio bello! Pensa a me. Buona notte!
Non tante smancerie dalla finestra.
Salutavo.
Era dispiacente d'andarsene?
Eh!...
Se non vi avessi lasciati ancora un momento soli, poveretto, non si sarebbe deciso ad andar via. Il... (ammiccando) bacino della staffa, non è vero?
Già.
Te la consuma la faccia quello lì! S'ha da affrettare questo benedetto matrimonio, altrimenti.... Con la primavera c'è poco da scherzare!
Perchè?
«Perchè?» (Diventando quasi grave, accenna al cielo con gli occhi e con le mani) Perchè siamo stati fatti così!
DON PAOLO, ROSA, NORA, LUCIO e GIOVANNI.
Zio! Zio!
Siamo qui!
Siamo qui, Don Paolo, siamo qui!
Oh! Eccoli! Benone! Eccoli! (A Rosa:) E tu muoviti.... Andiamo.... (Esce, correndo, dal fondo.)
(lo segue.)
Finalmente! Finalmente!
Viva lo zio!
E fuori i lumi!
(Entrano, portando in mano chi un fagotto, chi una borsa da viaggio, chi un valigiotto, chi una scatola.)
Speravamo d'esser ricevuti per lo meno con le fiaccole.
Vi ho preparato questo po' po' di luna piena. Altro che fiaccole!... Qui, qui tutto. (Accumula la roba sopra una tavola.) E poi avreste meritato veramente ch'io vi facessi trovare la porta chiusa. Come! Proprio con l'ultimo treno? V'aspettavo col penultimo.... Son venuto anche alla stazione, son venuto!
E il mio telegramma?
Che telegramma?
L'ho fatto io.
Rosa, ti è stato consegnato un dispaccio quand'io ero alla chiesa?
(vedendo Rosa che era rimasta indietro) Oh, Rosina!
(si fa avanti tutta spaurita, cava di tasca un dispaccio... e con timidità lo mostra.) È questo.
(prendendo il dispaccio e irritandosi un poco) Santa pazienza!...
Non sapevo che....
Che la tua testa è diventata un arcolaio!
Eh, via, non importa! Come s'è fatta grande!
Ventun'anno, sai. E si sposa fra giorni. Vedrai che tocco di fidanzato! — Signorina Nora, signor Giovanni, questa è la pupilla di cui parlammo ieri.
Un tipo assai gentile!
Molto bellina.
(serio) Il suo babbo e la sua mamma mi furono amici preziosi, quando io, come prete e come agricoltore, venni qui ad amare gli uomini e la terra. (Con qualche reticenza).... Sì, la mamma, morendo, l'affidò a me. E adesso ella... ella dimentica in saccoccia i miei telegrammi, è verissimo, ma in fondo poi mi vuol bene.
Tanto!
(si toglie il cappellino.)
(lo mette in un canto.)
(cambiando tono) Be'! Sic rebus stantibus, patti chiari. Nessuna cerimonia, nessun complimento. Questa è casa vostra. Ne più nè meno. La camera della signorina Nora è lì, accanto a quella di Rosa. Tu, Lucio, da questo lato. (Indica il lato opposto.) Eh! Eh! Eh! Il signor nipote starà come un principe. Egli avrà il suo studiolo per leggere e contemplare, e laggiù, laggiù, bene appartata, la sua camera da letto, che è un vero paradiso. Per l'amico Giovanni, poi....
Un altro paradiso?
(dandogli un buffetto) Di paradisi, mio caro, non ce n'è che uno.
Per conto mio, non voglio incomodare nè Dio nè il diavolo. Ho bisogno d'una poltrona per aspettare l'alba e di null'altro. Ve li ho consegnati, e domani, col primo treno, via!
E siete pittore, voi? E dopo aver visto questo meraviglioso paesaggio al chiaro di luna, non vi sentite affascinato e costretto a rimanere? Del resto, io vi ricatto. (Accennando il motivo della Norma:) «In mia mano alfin tu sei!» O un bozzetto fatto sotto i miei occhi, o la vita!
A scanso d'equivoci, vale più il bozzetto.
Dunque, rimarrete?
Ma sì...
(insistendo) Rimarrete?
(non vista, sdegnosamente fissa Giovanni.)
(senza lasciarsi scomporre dallo sguardo di lei) Va bene!... Rimarrò per qualche giorno.
Oh! Bravo!
Adesso sì che siete un grande pittore! (Affaccendandosi) Ecco: a voi, il numero uno. (Indica la seconda porta a destra.) Non sono un albergatore coi fiocchi?
Davvero!
Mostratemi la mia reggia, zio.
Aspetta. Tu, Rosa, prendi la roba di questi signori, e mettila a posto.
Qual'è la vostra, signor Lucio?
(con insolita giocondità) Non v'incomodate. Faccio io. Questa è della signorina Nora....
Io non ci ho che una borsa e un nécessaire.
Per ora!... (Sempre più affaccendato) Vieni, Lucio.
(prendono alcune valigette ed escono per la prima porta a destra.)
(con in mano qualche altra valigia e qualche scatola, esce per la prima porta a sinistra.)
(severamente e rapidamente, a Giovanni:) Voi dunque non mantenete la vostra parola!
Se sono stato pregato....
Ma non dovete restare.
Sarebbe una scortesia.
Quello che fate è disonesto.
È umano.
È turpe, vi dico.
Non esagerate.
È tutta una premeditazione.
Io vi adoro.
(con rabbia) E io vi sfuggirò anche a costo di....
(vedendo venir Lucio e Don Paolo) Badate....
(si ricompone d'un sùbito e finge di prorompere in una risata) Ah! ah! ah! ah!
(secondandola, ride come lei.)
Cos'è? Cos'è? Voglio ridere anch'io.
(frettolosa, rientra, prende la borsa e il nécessaire di Giovanni e li porta nella camera destinata a lui.)
E anch'io. Cos'è? Sarebbe strano che questa volta proprio io non ridessi.
È Giovanni..., è Giovanni che me ne dice di tutti i colori.
Naturale! Un pittore come lui!
(E ridono tutti, chi di buona e chi di mala voglia.)
(ritornando) Ogni cosa è in ordine. Ho acceso pure le candele nelle camere della signorina Nora e del signor Giovanni.
Hai fatto bene; ma non credo che questi signori vogliano rintanarsi a quest'ora. Per noi campagnuoli, è diverso. Perciò, chiedi licenza, tu, e vattene a letto.
(piano, a Lucio:) Vi debbo parlare.
(sussulta.)
(osservano.)
Felice notte a tutti.
Altrettanto a voi, bella ragazza.
Altrettanto, altrettanto!
(bacia la mano a Don Paolo e si avvia.)
(quand'ella è presso l'uscio) Le orazioni, eh?
(con umiltà religiosa) Me le vado a dire.
Benedetta!
(esce.)
E io, figliuoli miei, faccio lo stesso. Si avvicina la mezzanotte, e domani è domenica e ci ho la messa dell'alba. Voialtri potete starvene qui finchè v'aggrada. Io me ne salgo lassù, e dove dormo io non c'è pericolo che giungano i rumori di questo basso mondo. (Ride) Ah! ah! ah! Ricordatevi che siete in casa vostra. Parlate, gridate, fate quello che vi pare e piace, e, soprattutto, cercate di stare allegri. Io non v'impongo di rinunziare alle vostre abitudini; ma umilmente vi consiglio di sperimentare le mie. La signorina Nora (con bonaria ironia) ha inaugurata la villeggiatura con una gran risata risonante. L'aria comincia a produrre i suoi buoni effetti.... Meno male! Vado a dormire contento.
E io v'imito.
Sul serio andate già a dormire?
A dormire no, ma a rintanarmi e a dire le orazioni come la vostra Rosina.
Scomunicato!
Arrivederci, Lucio. Arrivederci, Nora. A voi, Don Paolo, ho da baciare la mano?
Si capisce! (Gli mette il dorso della mano sul muso celiando.)
(gliela bacia comicamente.)
(ne approfitta per domandargli piano:) Che novità c'è fra quei due cipressi?
(pianissimo) Novità, credo, nessuna.
Lasciamoli alle loro elucubrazioni.
Beninteso!
(forte, a Lucio, a Giovanni e a Nora:) Dunque, felicissima notte! (Comincia a salire.)
Buon riposo, Don Paolo! Buon riposo, Giovanni!
E buoni sogni!
(scherzando) Grazie, ma i sogni non sono il mio forte. (Esce per la seconda porta a destra.)
(già sul corridoio, si ferma e borbotta:) Uh! Santa pazienza! Dimenticavo le visite notturne di Giustino. Ma l'ha da fare con me! (Pazientemente, ridiscende e va a chiudere la gran porta in fondo. Gira due volte la chiave, e se ne ode il rumore nella serratura.) La chiave, qui, in saccoccia. (Se la caccia in tasca. Indi, risalendo la scaletta) Non crediate che io abbia paura dei mariuoli, veh! Da noi, mariuoli non ce ne sono.... Cioè, ce ne sono e non ce ne sono.... So io!... So io!... E quando mi ci metto!... (Apre l'uscio del suo quartierino, dà un'occhiata a Lucio e a Nora, e, prima di scomparire, furbescamente, si affaccia e li risaluta:) Di nuovo, felice notte!
Felice notte! Felice notte!
LUCIO e NORA.
Voi avete qualche cosa da dirmi, Nora?
Sì.
Bene. È un pezzo che preferite i lunghi silenzi, mentre una volta, ricordate?, voi riempivate i silenzi miei con la vostra parlantina di bambinona gaia. Dite. Dite.
Non sarò gaia neanche ora.
Poco fa, ridevate....
Giovanni mi faceva ridere, ma... io non ne avevo punto voglia....
Mi spaventate.
Spaventarsi è male. Io vi chiedo, invece, una saggia serenità.
Contateci.
Lucio, io sono venuta qui, con voi, perchè... perchè, forse, senza di me, voi non vi sareste deciso a questo cambiamento d'aria e d'ambiente che era indispensabile per la vostra salute. Son venuta in casa di vostro zio, che è un uomo di mondo e che sa comprendere e compatire. Ma non posso non riconoscere....
Nora!
Mi avete promesso d'essere sereno. Non posso non riconoscere la bizzarria del fatto.
Vi lascerete vincere, voi, da un gretto convenzionalismo?
Da nessun convenzionalismo mi lascio vincere. Io non mi disdico, io non muto le mie convinzioni. Ieri, mi domandaste se io credessi strano il vostro affetto fraterno e io vi risposi di no. Questo pensavo, e questo penso. Ma venire a vivere in casa di vostro zio, con voi, sia pure per quindici, per dieci giorni, conveniamone, Lucio, è una cosa molto diversa!
E volete andarvene?
Debbo andarmene.
E vi pare possibile che io guarisca lontano da voi?
Verrò a trovarvi.
Non basterà.
Verrò a trovarvi spesso.
Non basterà, non può bastare.
Eppure, secondo i vostri ideali, dovrebbe bastare.
(come un bambino, accalorandosi) Ho bisogno di voi, oramai.
Ma non della mia presenza.
Ho bisogno di sapervi vicino a me.
Il mio spirito starà con voi anche quando non ci starà la mia persona.
Ma alla vostra persona voi mi avete abituato.
Vi ho abituato all'affezione migliore di cui è capace il mio cuore.
E non contate per nulla le vostre cure?... la vostra voce?... la vostra mano buona e sicura?... i vostri occhi buoni e indulgenti?... Non contate per nulla (animandosi sempre più) ciò che è in voi, solamente in voi, e che io non trovo in nessun'altra donna? Tutto questo... tutto questo... (quasi circondando con le mani il volto di lei)... non lo contate per nulla, voi; e credete che possa essere dimenticato o sostituito o non desiderato quando voi non siete lì, tutta quanta vicino a me?
E non avete il sospetto, Lucio, che quello che mi dite stanotte, qui, non somigli a quello che mi dicevate ieri in casa vostra?
(colpito) Come!?
Non v'accorgete che questo attaccamento comincia a non aver niente di comune con l'amicizia purissima, che è più benefica e più duratura di ogni altro legame?
Nora, che dite?!
Che dico? Siete voi che mi avete insegnato a penetrare l'importanza intima di tutti i nostri desiderii, di tutte le nostre tendenze, di tutte le più lievi variazioni dell'anima; siete voi che mi avete iniziata a certi sottili discernimenti; e ora penso col vostro cervello, parlo il vostro linguaggio, dico le vostre parole. Tutti avrebbero il diritto di non comprendermi. Voi, no!
.... È la prima volta che mi trattate con tanta severità.
Ed è per me una fatica atroce. Ma ho finito. Lucio, noi ci siamo intesi.
(dopo un tormentoso dibattito con sè medesimo, appare risoluto.) No.... Ascoltate. Sono io che vi domando la grazia di non ragionare troppo. E, d'altronde, ogni vostro ragionamento sarebbe vano perchè, sappiatelo: senza di voi, qui, io non resterò nemmeno un giorno!
(con un misto d'asprezza è di tenerezza) Ciò significa che sinora avete ingannato voi stesso, e, ingannando voi stesso, avete ingannata anche me.
Nora!
Lo so, vi sembra crudele la mia sincerità; ma nel mio pensiero non c'è nessuna intenzione che non sia degna di me e di voi. L'abitudine giustifica la vostra inconsapevolezza; ma giacchè voi, sempre, e in buona fede, mi avete parlato di affetto puro, di amicizia, di fraternità, e giacchè il fantasma dell'Amore vi fa paura e voi lo scacciate, convinto ch'esso rappresenti il Pericolo e l'Infelicità, io ho il dovere di dirvi: — Badate, Lucio, badate! Voi non mi siete fratello, voi non mi siete amico, no! no! Voi mi amate o state per amarmi: questa, Lucio, questa è la verità!
(resta come schiacciato. Dilata le pupille, si caccia le mani nei capelli e ripete sommessamente:) La verità?!... (Si accosta a Nora, le piglia le mani, ne ha una sensazione evidente, un fremito che gli attraversa il corpo. Poi lascia cadere le proprie braccia penzoloni. Le si accosta di nuovo, e, trepidando, le fiata:) E... voi?
(come se avesse ricevuto un urto) Io?
... Mi amate?
(esita, e poi dice con fermezza:) Sì.
Volevate dirmi di no?
Volevo dirvi di no.
Avete anche voi paura dell'amore?...
Ho paura della mia coscienza.
E che vi rimprovera essa?
(risoluta) Per ora, niente.
E che potrebbe rimproverarvi più tardi?
Non conosco l'avvenire.
Ma voi soffrite, povera Nora!
Molto.
E non dovete soffrire.
Io non sono perfetta come voi credete.
Perchè non siete perfetta? Avete mentito qualche volta?
Non ho mentito. Ho taciuto.
Spiegatevi.
Ho taciuto perchè voi non mi avete mai interrogata....
Su che?
Non m'avete mai domandato che cosa sono io.
La vostra esistenza, per me, comincia da quando vi ho incontrata, da quando mi avete beneficato. Il resto non m'importava.
Non v'importava sino a che non sospettavate d'amarmi. Ma, adesso?
Adesso, nulla è mutato. Non vi ho ripetuto che tutto quanto è inerente alla debolezza umana non costituisce, per me, l'essenza della vita? Sarete stata debole, avrete potuto cedere a una tentazione, a un'aberrazione, avrete potuto errare: ma, dentro, voi avete sofferto, Nora...
(è in preda a uno spasimo ineffabile.)
... come soffrite in questo momento. Avete sofferto e, aspettando me, vi siete serbata spiritualmente intatta. Lo stesso martirio che ora i vostri ricordi v'infliggono mi dice che cosa siete voi. La confessione delle vostre debolezze e l'orrore che esse destano in voi ci aiuteranno a salvarci. E siamo ancora in tempo perchè la mia bocca non ha sinora neppure sfiorata la vostra. Noi ci salveremo. Datemi, datemi questa grande onestà dell'anima, e io non vi chiederò niente altro, mai!
No, Lucio, è necessario che mi respingiate addirittura.
Sentite, forse, di potere amare un altro?
«Amare?» (Sicura ed energica) Amare, no!
E dovrei respingervi?
Quello che pretendete dal vostro cuore è inverosimile. (Come chiedendogli una grazia) Respingetemi, Lucio, respingetemi!
Non è inverosimile quello che pretendo dal mio cuore. Ammettiamo che io non vi sia amico, che io non vi sia fratello. Sì, ammettiamolo. Ma io so di essere tuttora così distaccato, così lontano dalla miseria materiale di cui voi, forse, siete stata vittima e mi sento tuttora così forte della mia fede, che sono convinto di poter combattere contro quella miseria, di poter combattere sino all'ultimo e di potervi amare, sempre, come voglio io! Nora, non vi lasciate vincere da non so quale sfiducia. Nora! Nora!... ve ne prego.
(disfatta, si abbandona su di una seggiola.)
Scacciate i pensieri che vi torturano, mia buona creatura.... Il vostro Lucio è qui dinanzi a voi, devotamente, come dinanzi a Dio.... Vedrete, vedrete che non verrà mai il giorno in cui voi dovreste ricordare e arrossire e in cui io dovrei transigere. Intanto, io mi rassegnerò alla vostra lontananza. Mi rassegnerò. Voi, quando vorrete, anche domani, tornerete in città.... Mi sentite, eh? Mi sentite?... E così comincerò a dimostrarvi che la vostra presenza non mi è indispensabile e che nulla ancora mi avvince a voi che possa farvi temere un avvilimento ed una profanazione. (Pausa) Siete... siete pìù calma?
(accompagnando con lento cenno del capo la parola appena pronunziata) Sì.
Non mi rimproverate più?
(fa cenno di no.)
Grazie. (Si leva. Respira stentatamente. Va alla finestra, e la spalanca.)
(respirando meglio) Ah! Questa luce, quest'aria fresca e fragrante mi fanno tanto bene!
(si alza e lo saluta con gentilezza dolcissima.) Buona notte, Lucio.
(Lucio va verso di lei. Nora gli stende la mano. Lucio gliela stringe e la trattiene.)
Siete più calma?
Sì.
Anch'io! Anch'io! (Le bacia appena le dita.)
(lentamente esce.)
(la segue con gli occhi. Quand'ella è sparita, egli si tocca le tempie, parlando fra sè:) Calmo io?! — Non è vero.... Non è possibile! La sua confessione!... E poi... e poi!... (È assalito dal convulso.) Se ella se ne va, io non saprò sopportare la sua assenza.... Io starò male! Starò molto male! (Egli sente le vibrazioni della carne. Si esaspera. Vorrebbe domarle, quasi vorrebbe percuotersi; e, fiaccato, vacillante, conclude:) Non dovrebb'essere così;... ma così è. (Inorridisce) Così è! (Pausa) «Tu vuoi trasformare il mondo» mi diceva ieri Ziegler... «Amare come voglio io!» (Pausa.) E che significa?... Che significa?... (Pensando acutissimamente, prende il lume e, piano piano, se ne va nelle sue stanze.)
(Le ombre si allargano, solcate dai raggi della luna.)
DON PAOLO e GIOVANNI.
(Il gran silenzio notturno impera serenamente. Ad un tratto, è interrotto da lontani latrati, a cui succedono un rumore d'invetriate che sbatacchiano e la voce di Don Paolo la quale si perde spandendosi nell'aria aperta.)
Anche stanotte, eh? Anche stanotte? Ma per dove sei entrato, malandrino?... Sì, corri, corri adesso!... Ringrazia il cielo che non ti sii rotta la schiena e che il cane non ti abbia mangiato un orecchio.... Vorrei sapere pel matrimonio che cosa vi conservate voialtri. (Pausa. Chiama:) Rosa! Rosa!...
(sporgendo il capo dall'uscio semiaperto resta in ascolto.)
(continuando) Per dove è entrato Giustino? Ah? Non rispondi? Fai la sorda? Ma tu e quel malandrino, santa pazienza!, volete mettermi con le spalle al muro, volete!
(mormora tra sè, rendendosi conto dell'accaduto:) È la ragazza che riceve di nascosto il suo fidanzato....
Vergognatevi! Vergognatevi!
(Si distingue, nel silenzio, il fracasso delle invetriate, che Don Paolo richiude.)
(girando lo sguardo) E Lucio? Non c'è,... M'era parso.... Mi sono ingannato. (S'avanza verso la porta di Lucio, chiamando con poca voce:) Lucio! Lucio! (Pausa.) Mi sono ingannato. (Sta per rientrare nella sua camera. Ma, come se una forza occulta glielo vietasse, si ferma e guarda la porta di Nora.) Se n'andrà, forse, all'alba. (Smaniosamente indugia.)... Parlarle, almeno!... Parlarle prima che se ne vada.... (Accosta l'orecchio a quella porta e mormora.) Ancora in piedi.... Tentiamo. (Picchia cautamente, con le nocche.)
NORA e GIOVANNI.
(aprendo) Lucio! (Vede Giovanni nella penombra) Oh! Voi! (Retrocede tirando a sè l'uscio.)
(la trattiene) Un momento....
(sforzandosi di chiudere l'uscio) Credevo che fosse Lucio....
(opponendo la sua alla forza di lei) Lucio è a letto....
E voi che volete?!
Non vi allarmate così.
Ma che volete?!
Parlarvi, ecco tutto.
(recisamente) A quest'ora, no. (Retrocede di nuovo per chiudere.)
(glielo impedisce con energia, quindi le prende un braccio, e, imponendosi una relativa mitezza, cerca di trarla e di allontanarla dalla soglia.) Un momento, ve ne supplico.
Sbrigatevi.
Perchè avete detto a Lucio di voler partire?
Ci avete spiati? Una bassezza di più.
Vi giuro che ho ascoltato senza volerlo. Nel silenzio della campagna, alcune parole vostre giungevano sino a me.
(con rabbia concentrata) Maledizione!
E perchè gli avete detto che non siete quella che egli credeva?
Non l'ho detto.
Sì, l'avete detto!
Non dovevate ascoltare. Addio!...
(afferrandole le mani) Non vi permetterò di fuggire se prima non mi abbiate risposto.
Lasciatemi.
E perchè volevate ch'egli vi respingesse? Perchè?
Se non mi lasciate, io grido.
Per trattarmi come un sopraffattore?
Come un sopraffattore!
Ma io, invece, sono qui per aiutarvi.
Non voglio il vostro aiuto.
Voi vi perdete, Nora. Voi impazzite! Impazzite come lui!
Non c'è rimedio.
Sì, il mio amore.
Il vostro capriccio!
Il mio amore vero.
Il vostro desiderio!
Il mio amore genuino, intero, completo.
L'anima mia è sua.
Ma di ciò non potete dare una prova nè a me, nè a voi stessa....
È sua, Giovanni, è sua!
Ma vicino a me tremate.
Questa è un'altra cosa. Lasciatemi.
E ditemi tutto quello che sentite!...
Lasciatemi.
Ditemi ancora che non mi amate....
(cedendo a poco a poco senza che ne abbia coscienza) Lasciatemi....
(circondandola cupidamente con le braccia) Ditemelo, ditemelo....
Per pietà, lasciatemi....
Fatemelo ben capire....
(con un ultimo tentativo di ribellione nelle parole e con un soave abbandono nella voce e nella persona) No... Non ti amo.... Non ti amo.... Non ti amo....
(le bacia la bocca.)
La stessa stanza del terzo atto. Il finestrone è tutto aperto. È appena l'alba. Le ombre andranno a poco a poco dileguando.
DON PAOLO, ROSA, UN CONTADINO.
(Si picchia reiteratamente alla porta. Qualche momento di vuoto e di silenzio.)
(comparisce sul pianerottolo del suo quartierino, in maniche di camicia, con la faccia bagnata e in mano l'asciugamani.)
(Si picchia di nuovo.)
(asciugandosi il viso, chiama:) Rosina! Rosina! (Pausa.) Rosina!
(di dentro) Vengo, vengo. (Dall'uscio della sua camera, sporge la testa e un po' il corpo. Ha la sottana e il busto. La camicia lascia nude le braccia e le spalle.)
Dormivi ancora, eh?.... Già, il sole spunta soltanto per chi dorme la notte. Spudoratella!
Stavo vestendomi....
E non sentivi picchiare?
Non potevo aprire.
Perchè non potevi aprire?
La chiave non ce l'avete voi?
(ricordando) Ah! (Esce, e rientra subito.) Prendi. (Fa cader giù la chiave.)
(mettendosi uno scialletto sulle spalle, si avanza e raccoglie la chiave ridendo un poco.)
Sì, ridi tu. Ma la notte ventura chiuderò a chiave anche le finestre.
(va in fondo ed apre.)
Latte. (E consegna la secchia piena di latte a Rosa.)
Che non sia poco. Abbiamo gente in casa.
(vedendo Don Paolo, s'inchina e si toglie devotamente il berretto.) Servo di vostra eccellenza.
(guardando nella secchia) Ce n'è, ce n'è. (Comincia ad affaccendarsi per il caffè e accende il fornello.)
(al contadino) Ehi! Don coso! È la prima domenica del mese mariano. Badiamo a non mancare alla messa anche stamattina.
Domenica scorsa avevo l'asino malato, ecco.
E oggi, come sta l'asino?
Eh!... il Signore se l'è chiamato.
(quasi fra sè:) Non ci mancherebbe altro!
Servo di vostra eccellenza, e buona giornata a tutti.
Altrettanto.
(salutando con la mano) Arrivederci, caro.
(esce.)
Be', animo, Rosa! Prepara caffè e latte, e tre o quattro chicchere ben pulite.
Non sto a fare che questo.
E, sulle punte dei piedi, va a vedere se mio nipote dorme o è sveglio.
DON PAOLO, ROSA, LUCIO.
(entrando a tempo) Il nipote vostro è qua.
Oh! Bravo! Bravo! All'alba, già alzato!... Niente di più salutare, sai?
«Fiorin di primavera,«Lévati all'alba, e fa all'amor di sera.»
(Ride) Ah! ah! ah! ah!... Come si va dunque?
Abbastanza bene, zio.
Ringraziamo il cielo! E s'andrà anche meglio. Vedrai! Rosina, mi raccomando, eh! (Torna nelle sue stanze.)
(sbadiglia, e sgranchisce le braccia) Provvedete sempre voi alle faccende di casa?
(intenta alla bisogna) Sempre.
E ora che vi maritate?
Lo stesso.
E lo sposo?
Sarà contento.
(distrattamente) Sicchè, resterete ad abitare con Don Paolo?
Certo.
Chi sa che non ci resti io pure!
Eh!... Voi, abituato a stare in città.... Che fareste, qui?
Non so. (Sorridendo) Per esempio, il medico....
Qui, ammalati non ce ne sono.
Mai?
Mai.
E che fa il medico condotto?
Ha nove figliuoli.
Ah! Questo fa?... È ammogliato, s'intende.
E come!... Da noi, tutti gli uomini sono ammogliati.
E perchè?
Sarà l'aria.
E le donne?
Lo vedete?... Ci maritiamo.
A voi piace di maritarvi?
Altro se mi piace!
Eppure, ricordate quando io venivo da Napoli a trovare lo zio?
(con prudenza pudica) Veramente... non ricordo....
Che cosa credete che voglia ricordarvi? Rassicuratevi. Parlo del tempo in cui io ero ancora un fanciullone e voi eravate piccina piccina e rotonda come una palla.
Ah! Quando io stavo con la povera mamma?
Sì, stavate con lei. Lo zio mi ci conduceva ogni giorno, ed io, per divertirmi, vi facevo tanto arrabbiare. Qualche volta vi dicevo: «appena che diventi grande, ti compero un bel marito» e voi... voi scoppiavate a piangere come se avessi nominato il diavolo. E adesso invece?
Adesso è tutt'altro! So di che si tratta. (Versando latte e caffè) Questo è per voi. (Gli porge la tazza.)
(prendendola) Grazie. E affinchè dimentichiate le arrabbiature di allora... (beve) vi farò un bel regalo il giorno delle vostre nozze.
E anch'io ve ne farò uno quando voi sposerete la signorina Nora.
(turbandosi e irritandosi) Chi v'ha detto che io debba sposare la signorina Nora?
Nessuno. Don Paolo m'ha detto che è una parente..., ma io ho capito!
(posando la tazza sopra una tavola) Vi prego, Rosina, di non ripetere più queste sciocchezze.
(mortificata e ingenua) Che male c'è? È così bella!... (Pausa) Intanto, vado a vestirmi.... Qui è tutto pronto. Per il signor Giovanni e la signorina Nora non c'è che da riscaldare il caffè....
Sì, sì, ci penso io.
Non è forse bella la signorina Nora?
(con vivace severità) Basta, Rosina!
Non parlo più. (Si avvia, piagnucolando) Se avessi saputo di... di farvi andare in collera.
Ma che! Non sono andato in collera.... State di buon animo....
Se l'avessi saputo... (Piange più forte. Esce.)
(tra sè, inquieto:) M'ero svegliato così bene, e le chiacchiere di questa buona stupidina mi hanno....
LUCIO, NORA, DON PAOLO.
(venendo fuori dalla sua camera, risolutamente) Lucio!
Nora, che avete?
È necessario che voi abbiate il coraggio di ascoltarmi, visto che io avrò il coraggio di parlare.
Nora! Nora! Che altro dovete dirmi di così terribile?
Che altro?... Tutto ciò che può uccidervi o può darvi la salute.
(implorante) Ma voi sentirete un po' di pietà per me. Oggi ne avete il dovere.
No. Non è questo il momento della pietà. Io debbo compiere e compierò un dovere che mi sembra superiore a tutti gli altri doveri.
Nora! Qualche cosa di molto grave state per dirmi. Io non voglio ascoltarvi.
E voi mi ascolterete.
Forse, più tardi, potreste pentirvene....
Non me ne pentirò mai!
Ma voi siete sovraeccitata....
Ho la coscienza di quello che faccio.
Considerate che sono io che vi trascino a tutte le allucinazioni.
E questa volta sarò io che dalle allucinazioni vi trarrò, e per sempre!
(comparisce dall'alto del corridoio, e, udendo le ultime parole di Nora, si ferma un istante.)
(se ne avvedono. Tacciono, confusi, interdetti.)
(il cappello in testa, il breviario fra le mani e con un'aria insolitamente sacerdotale, scende pian piano la scaletta. Giù, si ferma ancora per dir loro qualche cosa. Poi, non sa risolversi, e si limita a salutare.) Buongiorno, signorina.
(con voce tremula) Buongiorno.... (Pausa.) E così di buon'ora uscite, Don Paolo?
.... Vado a dire la messa. (E a passi lenti si allontana. Esce dal fondo.)
(a un tratto e con asprezza) Lucio, la confessione di questa notte non è stata completa.
(atterrito) Nora!
Vi ho lasciato sospettare solamente del passato, e non ho voluto parlarvi del presente.
(quasi mettendole la mano sulla bocca) Nora, tacete.
Un uomo come voi non deve essere ingannato; una donna come me non deve ingannare.
Tacete, ve ne scongiuro....
(con crudeltà recisa) Io ho un amante!
(dà un acuto grido come chi riceve una coltellata) Ah! (E indietreggia, inorridito, con le mani sul volto.)
(animata da una energia solenne) Ora mi conoscete davvero!
(come istupidito, guarda intorno a sè, quasi per assicurarsi che non sogni.)
La mia confessione di stanotte non è stata completa, questo è certo; ma non è stata bugiarda. (La sua voce è di nuovo umile.)
(sommessamente, con un accento da ebete) Non mi avete detto... di... amarmi?
Ve l'ho detto. E se potessi invocare in questo momento le idee di cui vi pareva d'essere convinto fino a ieri l'altro, avrei l'audacia, l'onesta audacia, di asserire che, così dicendovi, stanotte non mentivo. Ma... non oso invocarle. Pur troppo, siamo stati vittime di esse tutti e due. Ho creduto d'amarvi. E, per una di quelle complicazioni della natura a cui non è possibile sottrarsi, io lo credo tuttora e forse veramente tuttora io vi amo. Ma non ho più il diritto di crederlo, e soprattutto non ho più il diritto di dirvelo.
E lo avevate questo diritto, stanotte?
(angosciosamente) Sì....
Quando abbiamo parlato insieme in questa stanza?
Sì.
(sempre più sofferente) E dunque? Che mistero è questo?... (Pausa.) È già esaurito il vostro coraggio?... (Febbricitante) Ditemi chi è il vostro amante?
(tace.)
(riflettendo e acuendo il pensiero) Sino a stanotte... avevate un diritto... che adesso non avete più! Sino a stanotte!... (Trasalisce. Resta con lo sguardo fisso nel vuoto. Indi, obbedendo ad un impulso istantaneo, va verso la porta di Giovanni, chiamando forte:) Giovanni! Giovanni!
(con disperazione) No! Non lo chiamate!
(terrorizzato) Lui!!
(Simultaneamente, Giovanni, entrando, si ferma dinanzi alla porta.)
LUCIO, NORA, GIOVANNI.
(dopo un lungo silenzio, comincia con voce fievole, che a poco a poco diventerà vibrante di strazio:) È giusto! È giusto!... Io non ero un ostacolo. Al contrario! Ero un anello di congiunzione.... È giustissimo!... Ho messo insieme un maschio ed una femmina, ed è accaduto quel che doveva accadere. L'umanità non è fatta che così.... E io? Io? Sono diverso, io?!... Questo dolore immenso... immenso come non ho mai provato... questo dolore supremo che mi prende tutto, che mi stritola, tutto, che cosa è? Che cosa è?... Gelosia? — Io geloso?... Di che? Perchè?... Voi due non vi amate. (Guardandoli) Lo intendo.... Lo vedo.... Eppure, io soffro! Io soffro! Io soffro! E quel che mi fa soffrire è soltanto la certezza del possesso altrui. Ma dunque? Dunque non ci è che questo, e non ci può essere che questo, se io, proprio io — io medesimo — soltanto di questo sono geloso! (Li guarda aspramente, stranamente) No, non siate come al cospetto di un giudice. E non crediate d'essere colpevoli. Qual'è la vostra colpa? Voi siete in perfetta regola con le leggi umane. Sono stato io l'uomo guasto, sono stato io l'uomo assurdo, sono stato io il degenerato; ed ora, ora che voi mi salvate, vorreste battervi il petto e chiedere una condanna? Oibò! Voi dovete esultare... voi dovete prendere parte a questo trionfo, a questa magnifica festa della mia vita. (In una sinistra vampata) Qui, qui! Tutti e due presso di me! Statemi accanto, perdio! Anzi... completate l'opera benefica...: abbracciatevi dinanzi a me... (Afferra per un polso Nora, la strascina verso Giovanni, e, al colmo della concitazione, gliela spinge addosso) Fate che io veda coi miei occhi com'è fatta la felicità!
(al contatto, hanno un fremito di repulsione e subito si distaccano.)
(sfinito, cade sopra una sedia.) (Pausa.) (Indi, con una fioca intonazione di preghiera) Adesso, via! via!... Ho bisogno di restar solo... (E con una improvvisa violenza brutale) Voglio restar solo!
(convulsa, supplichevole) Ma..., solo,... in questo stato,... che cosa volete voi fare, Lucio? (Lo sguardo di lei è attirato dai coltelli che sono sulla tavola.)
Ah!... Il luccicchìo di quei coltelli vi turba?... Pensate, forse, che io voglia ammazzarmi?... Ma no! Ma no! Non temete. Oramai, è preziosa anche a me questa carne che ci copre!... (Cupidamente, toccandosi come per constatare la propria esistenza) Oramai, mi è cara più di quanto non vi sia cara la vostra, e... me la serbo! (Come una proclamazione:) Sono impastato come gli altri!... (Con un accento velenoso) E andate via, perchè vi odio!
Sì,... è indispensabile. Partirò immediatamente. (Prende in un canto il suo cappellino, e, sempre convulsa, si affretta a metterselo.) Troverete voi stesso... un pretesto per vostro zio.... Direte... direte... che ho ricevuto un telegramma urgente... che non ho avuto neanche il tempo di prendere le mie robe... e che sono partita col primo treno... (Lagrimando) Sì... Sì... l'equivoco si è chiarito.... Ognuno per la sua strada!... La mia — me ne accorgo — è molto umile.... Addio, Lucio.... (Poi, con uno sforzo di energia, severamente, senza piangere e dando al saluto un significato di risoluzione definitiva:) Addio, Giovanni! (Ed esce dal fondo.)
(a Giovanni:) E tu non vai? Non l'accompagni? Non la segui?
(con tristezza) Nora non mi ama.
Ma è la tua amante.
Nora non ama che te.
(levandosi con impeto d'ira furibonda e sprezzante) No! perchè se ciò fosse vero, oltre a essere un amico falso, tu saresti un seduttore grottesco....
Lucio!
Un seduttore grottesco e un ladro infame!
Lucio!... (Sta per avventarglisi addosso.)
Vuoi battermi anche? E battimi se ne hai il coraggio. Battimi....
(retrocedendo con orrore) Oh! (Vorrebbe nascondersi, vorrebbe sparire. Balbetta:) Perdonami... perdonami... (e fugge nella sua stanza.)
(in tono tragico e trionfale) Solo! Ma guarito finalmente! (La crisi incalza. Egli comincia a singhiozzare. Siede presso la tavola. Si nasconde il volto fra le mani come per sottrarsi anche all'aria che lo circonda, e scoppia in un libero pianto quasi puerile) Ziegler! Ziegler! Perchè almeno tu non mi sei vicino?! (A poco a poco, il pianto cessa ed egli resta affranto, colle braccia sulla tavola e la testa piegata sulle braccia.)
LUCIO, ROSA, la voce di GIUSTINO.
(Ora il sole è più alto, la luce più chiara e più vivida. Si ode la campanella festosa della chiesa. Sale dalla strada la voce di Giustino.)
Ohi, Rosa! Ohi, Rosina! Vieni giù per la messa, chè Don Paolo è pronto.
(di dentro) Eccomi, eccomi.
E non ti scordare i fiori per la Madonna.
(in una sfarzosa veste quasi contadinesca, recando un fascio di fiori, entra imbarazzata. Sogguarda Lucio e gli si accosta timidamente.)
(voltandosi appena) Che è? Che vuoi?
(riluttante) Vi hanno dato un gran dispiacere?
No!... E poi, che capiresti tu?
(sincera) Per voi, io sono una sciocca... sono un'estranea....
Un'estranea? (La guarda tutta dalla testa ai piedi.) Un'estranea, no. Bambina, eri il mio trastullo.... Più tardi, quando avevi tredici anni, io, (misteriosamente) di nascosto, ti baciavo....
Signor Lucio....
Sì, (ravvivandosi al ricordo) e, un giorno, lo zio ci sorprese laggiù, nella vigna, e, rimproverandomi acerbamente, mi disse: «Bada, io esigo che tu rispetti quella ragazza come si rispetta una cugina!...»
(vergognandosi) Signor Lucio....
Lo disse lui. E io, che ho risoluto di stabilirmi qui, quando resteremo soli, ti chiamerò appunto: cugina. (Le prende le mani. I fiori cadono a terra ai piedi di Lucio. Egli continua abbassando la voce:) E tu lo sai, tu lo sai che io posso chiamarti così!...
(tutta spaurita, arrossendo) Io non so niente!
No, non arrossire! Il tuo rossore è un'ingratitudine: — è un'ingratitudine verso quell'uomo che, pur facendo un poco di bene a se stesso, ne fece sempre anche agli altri....: a te specialmente, perchè ti diede la vita, e la Vita è un Bene!... E sarà lui che m'insegnerà a vivere! (Sempre più ravvivandosi nell'esaltazione d'un'ebbrezza dolorosa) Sarà lui che m'insegnerà a ridere, a star sano, a godere, a godere un'altra volta come quando avevo vent'anni.... (Levandosi e tenendola tuttora per le mani, la trae a sè con uno spasmodico sforzo di giocondità)... E vivremo allegramente, credimi, e faremo baldoria.... Oh, se faremo baldoria!... E chi sa... chi sa... che l'antica vigna non ci riveda!... (Le dà un bacio rovente.)
(tremante) Signor Lucio...
(lasciandole le mani) No! Non ho detto nulla... Non ho fatto nulla.... Va, ragazza mia, va a messa col tuo fidanzato, va a messa... (Raccoglie i fiori e glieli ridà. Poi, subito, gliene strappa un ciuffo e se ne copre il viso odorando avidamente) Va... va... va...
(La campanella della chiesa riempie l'aria di squilli allegri.)
(si allontana in un raggio di sole.)