This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at http://www.gutenberg.org/license.
Title: Infedele
Commedia in tre atti
Author: Roberto Bracco
Release Date: July 30, 2012 [EBook #40377]
Language: Italian
Character set encoding: UTF-8
*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK INFEDELE ***
Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli, Barbara Magni, and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net.
This file was produced from images generously made available by The Internet Archive.
PROPRIETÀ LETTERARIA
I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi, non escluso il Regno di Svezia e quello di Norvegia.
È assolutamente proibito di rappresentare queste produzioni senza il consenso scritto dell'Autore (Art. 14 del Testo Unico 17 Settembre 1882).
Off. Tip. Sandron — 12 — I — 080817.
Questa commedia fu rappresentata la prima volta al teatro Sannazzaro di Napoli dalla Compagnia Beltramo-Della Guardia il 22 maggio del 1894.
PERSONAGGI:
Contessa Clara Sangiorgi, 24 anni.Conte Silvio Sangiorgi, 29 anni.Gino Ricciardi, 28 anni.Due Servi ed una Cameriera.
Un salotto elegante, bene illuminato da lampadine elettriche. Una porta in fondo; due porte laterali. Nel mezzo della stanza, fra le altre suppellettili graziose, una doppia poltrona dos-à-dos1. Su qualche seggiola e su qualche tavolino, il mantello magnifico e la ciarpa di merletto della contessa Clara, la pelliccia, il cappello, il binoccoletto, i guanti e il bastone del conte Silvio.
CLARA e SILVIO, poi UN SERVO.
(innanzi ad uno specchio, dopo di essersi lungamente mirata) Che ne dici? Ti va?
(seduto sopra una seggiola a sdraio, fumando una sigaretta) Il Lohengrin?
No. La mia acconciatura.
Credevo che tu parlassi ancora del Lohengrin. Sì, mi va.... Io poi ho una competenza molto limitata.
Per il ritratto a pastello vorrei posare proprio in questa toilette.
De Negris è un provetto ritrattista... Ti rimetterai al suo parere.
(sempre mirandosi allo specchio) Non ti pare un po' troppo scollata?
Voltati, fammi vedere. (Clara si volta. Egli dissimula il fastidio che gli produce la eccessiva scollatura) No... Troppo scollata non mi pare....
Guardami bene in faccia.
Ti guardo.
(ridendo) Ah! ah! ah!
Che c'è?
I tuoi occhi non hanno la stessa opinione della tua bocca. Sai che dicono essi?
Sentiamo.
Dicono... dicono: «che indecenza!».
Nondimeno, io non te ne faccio una colpa! La decenza non è che una diplomazia delle donne, perchè tutto ciò che esse nascondono aumenta di valore. Non è indispensabile, quindi, che alle fanciulle... affinchè possano trovare marito.
Obbedisco alla moda, io!
Ma la moda per le donne la fanno le donne.
Anche gli uomini, sai.
Oh! gli uomini, al più al più, fanno la moda per le donne altrui.
Lo vedi, lo vedi che sei scontento!
Dio mio, se mi stuzzichi, mi fai dire quel che non vorrei dire.
(rimproverandolo con affetto) E credi mi basti che certe cose tu non le dica? Credi male. Io desidero che tu non le dica e non le pensi. (Si sdraia sopra un canapè.)
Sottilizzi sempre, tu. E sottilizzi troppo!
(col tono con cui si parla ad un bimbo) Poverino, poverino! Che pretendono da lui?... Che pretendono? (Pausa.) Qui... vicino a me... vicino a questo mostro di moglie....
(va a sederle accanto)
(lisciandogli la barbetta) Passa?
Tranquilla!...
Passa?
Cosa passa?
Il malumore per la scollatura?
(sorridendo bonariamente) Eh, sì! Il malumore passa..., ma la scollatura resta.
Via, chiudi un po' gli occhi....
Preferirei, veramente, che li chiudessero gli altri. Ma purtroppo!... (Sospirando, si alza) Di': non è l'ora d'andare?
Sì: va pure.
E tu?
Io aspetto Ricciardi. L'ho pregato di accompagnarmi.
(con falsa disinvoltura) Sicchè... posso andare?
Ma sì.
(lentissimamente, prende il cappello, la pelliccia, i guanti, il binoccoletto, il bastone. Poi, ad un tratto, rimette tutto sopra un mobile. Poi, riprende la pelliccia e adagio adagio l'indossa. Poi, riprende il bastone, il binoccoletto, i guanti, il cappello.) Dunque, vado!... (Indugiando) Buona sera, eh?
Verrai a farmi una visita, o resterai tutta la serata, come al solito, sprofondato nella tua poltrona?
Se non ci sarà troppa gente nel tuo palco, verrò. (Si avvia per andarsene.)
(quando egli è giunto all'uscio in fondo) Silvio!...
Clara? (Ritorna.)
Che è?
Non mi hai chiamato?
No. Ho semplicemente pronunziato il tuo nome: «Silvio», così, per tenerezza: non t'ho mica chiamato...
Avevo creduto....
Va, va.
(arriva un'altra volta sino all'uscio: si sofferma).... E se Ricciardi non venisse?...
Verrà, verrà.... Oh! non dubitare, verrà.
Però... non sarebbe meglio che aspettassi anch'io?
Sarebbe meglio, perchè?
Perchè... se, per una circostanza qualunque, egli non venisse, t'accompagnerei io: è semplice.
Ti assicuro che verrà....
D'altronde, si potrebbe andare tutti insieme....
(recisa) Questo, poi, no!
In fin dei conti, non t'ho detto nulla di così strano.
Silvio! Silvio! Che hai stasera? Che significa questa recrudescenza?
Recrudescenza di che?
Di che? Lo vuoi proprio sapere? Lo vuoi proprio sapere? Recrudescenza di... ge-lo-si-a.
Io, geloso!
Tu geloso, sì, tu, tu! E ciò non va bene! Di tanto in tanto, caro Silvio, tu dimentichi il nostro patto.
Io lo ricordo e lo mantengo.
Tu non lo mantieni niente affatto!
(col pretesto della briga, ritorna di nuovo, molto felice di restare) E io ti ripeto che lo mantengo. Oh bella! Dov'è questa mia famosa gelosia? Tu vai, vieni, fai quello che ti pare e piace.... Io non sono mai vicino a te.... Il tuo salotto è sempre pieno di giovanotti.... Te li conduci a teatro, te li conduci alla passeggiata, te li metti in carrozza, a tutte le ore, coi loro grandi carciofi all'occhiello e con quell'aria sfiaccolata di conquistatori esausti.... Ti scrivono delle lettere, tu ne scrivi a loro, e io non so che diamine avete da scrivervi dopo che vi siete visti quattro volte in una giornata!... Essi ti circondano, ti sequestrano, ti assediano, ti mangiano con gli occhi, ti esaminano dalla testa ai piedi e... dai piedi alla testa, ti chiamano confidenzialmente: Clara: Clara, tout-court, così come chiamerebbero una di quelle donnine a cui..., quando non possono dare altro, si contentano di dare del tu... e io? Io, zitto: lascio fare, lascio dire, e non un lamento, non un rimprovero, non un'osservazione, e, con una santa pazienza, aspetto ch'essi ne abbiano abbastanza per ricordarmi d'essere tuo marito. Era questo il programma della nostra vita? Era questo il programma enigmatico proposto... cioè, che dico?..., imposto da te? E io mi ci sono uniformato....
Per forza....
Ma giacchè vedo che è stato inutile, sì, te lo voglio dire: la corte di Gino Ricciardi m'impensierisce, mi secca. Egli è più vanesio, ed è forse meno imbecille degli altri. Anzi... è un giovane intelligente, esperto, simpatico, colto, infarinato d'arte e di letteratura, ed è abituato a non farsi canzonare. Sicuro! Gino Ricciardi è un pericolo:... è un pericolo anche per una donna onesta.
Anche per me?
Un uomo non sarebbe pericoloso se non lo fosse per tutte le donne!
E una donna non sarebbe onesta se non lo fosse per tutti gli uomini! (Pausa.) Ma già, perchè discutere? (Severa, nervosa).... Forse, non ci tengo neppure a essere una donna onesta, e non so neppure se lo sono. Ti sposai solamente perchè t'amavo; ti sono fedele solamente perchè t'amo. Se questa è onestà, io sono onesta. (Sempre acre, sempre nervosa) E del resto, tu lo sai, tu lo comprendi come e quanto io t'ami. Se tu non lo comprendessi più, io non ti amerei più. Ed è questa, in fondo, la chiave del sedicente enigma. Non mi basta, no, che tu non sembri geloso; è necessario che tu non lo sii. Il nostro patto dovea consistere non soltanto nella forma, ma anche nella sostanza. «Io, fedele; tu, fiducioso....» Ma tu, a quale programma ti sei uniformato? Sciocco! Credi tu che io non m'accorga delle tue continue indagini e di tutto ciò che fai allo scopo di ricostruire minutamente la mia giornata, di controllare quel che ti racconto, di tenermi d'occhio, di spiarmi?
Di spiarti?!...
Di spiarmi, e peggio ancora. Un mese fa hai perfino aperta una lettera diretta a me!
Clara!
Eppure, finsi di niente, perchè... (con un moto d'orgoglio e di gentilezza pietosa) perchè mi facesti pietà. Ma, bada, Silvio. Te lo avvertii quando eravamo sposati da pochi giorni e te lo avverto ora, solennemente, per l'ultima volta: la gelosia, a lungo andare, mi renderebbe infelice, e la infelicità potrebbe rendermi colpevole. Tanto, il mio carattere non so cambiarlo. Sono nata così. Io non commetterò mai neanche un peccato di pensiero; ma non rinunzierò mai alla mia innocua libertà!... Sono civetta? Meglio! La civetteria di una moglie serve a tante cose! — Prima di tutto la civetteria è la valvola di sicurezza dell'onestà femminile, e poi è un eccellente regime per guarire la gelosia d'un marito. Ti sono e ti sarò fedele illimitatamente; ma saresti indegno di questa mia fedeltà se tu mi offendessi col dubbio, con la diffidenza, col sospetto. E, vedi, (molto energica) ti giuro che il giorno in cui tu osassi d'accusarmi davvero, io — mettitelo bene in mente, Silvio — io mi risolverei a tradirti davvero. E adesso vattene a teatro, e arrivederci.
(umile) Arrivederci. (Indugiando ancora) Ora, sei in collera con me?...
Non sono in collera, no.
Mi perdoni?
Ti ho già perdonato: e ti perdonerò anche meglio....
(con ansia affettuosa) Quando?
Più tardi, più tardi....
Ma quando?
... Te lo dico all'orecchio....
Dimmelo forte: non c'è nessuno.
Come! Ci sei tu in frac e cravatta bianca, e ci sono io in gran toilette. In questi abiti, non si è mai veramente soli.
E allora dimmelo all'orecchio.
(gli dice qualche cosa all'orecchio con graziosità intima e birichina.)
Ti conviene?
Altro che mi conviene!... (Continuando a ridere) Che matta!...
(annunzia) Il signor Ricciardi. (Via.)
L'uomo del pericolo!
Io te lo lascio tutto intero... sai... e me ne fuggo... perchè non vorrei che egli s'illudesse di darmi delle preoccupazioni.... (Si avvia precipitosamente.)
GINO RICCIARDI, CLARA, SILVIO.
(incontrandosi con Gino Ricciardi ed esagerando eccessivamente la fretta) Oh! caro Gino... ti aspettavamo..., cioè, mia moglie t'aspettava.... Io corro.... Non voglio perdere neanche una nota....
Ma un momento... non scappare così ...
Ho fretta... ho fretta.
È inutile d'aver fretta: il Lohengrin di stasera è andato a monte.
(fermandosi) Davvero?
(stringendo la mano a Clara) L'ho saputo un'ora fa.
E invece del Lohengrin?
Invece del Lohengrin... mi hanno annunziata la solita Gioconda.
Ah, io ve la regalo! Preferisco starmene in casa. Meno male per Silvio, a cui la Gioconda piace.
No... in verità... non ho mai detto che la Gioconda mi piace.
A me lo hai detto.
L'ho detto a te?!
(guarda Silvio significativamente, avvertendolo così di non cercare pretesti per rimanere.)
(intende.)
(celiando) Tante volte!
(celiando anche lui, ma a malincuore) Se tu mi assicuri... che io sono entusiasta della Gioconda, me la vado subito a godere.
Divèrtiti. E ti raccomando le danze.
Nella Gioconda non c'è che la danza... delle Ore.
Bada: ore carine, ma perdute.
Per conto mio, molto perdute!... Buona sera!
Buona sera!
CLARA e RICCIARDI.
(sedendo) Venite qua, Gino. Avvicinatevi.
(resta in piedi, lontano.)
Avvicinatevi.
Non troppo, Clara. Stasera siete....
Sono?... Come sono?
Stasera avete....
Cosa ho? (Guardandosi) Nulla più del solito.
(accennando appena con un gesto alla scollatura) Anzi... qualche cosa di meno....
Vi turba? Rimedieremo. Prendetemi quella ciarpa.
(prende la ciarpa di merletto che era sopra una sedia) Questa?
Sì, questa.
(gliela porge.)
(senza prenderla) Copritemi le spalle.
Solamente... le spalle?
Sbrigatevi, e finite di dire delle sciocchezze!
(le avvolge la ciarpa di merletto intorno al collo con molta lentezza e con lo sguardo argutamente indiscreto.)
Mio Dio! Come siete lento!
Se fossi cieco, potrei essere più svelto. Ecco... È fatto. (Sospira.)
Sedete. Parlate. Vi confesso che avrei preferito il Lohengrin a voi. Ma vi confesso pure che esclusivamente voi potete in certo modo sostituirlo. Siete mezzo poeta, e nelle vostre parole c'è sempre un po' di musica. Parlate.
(siede) Ma poichè Lohengrin è costretto ad andarsene quando rivela il suo segreto, io, che non ho l'intenzione di andarmene, mi guarderò bene dal rivelare il mio.
Voglio sapere il segreto.
Vi ripeto che non ho punto l'intenzione d'andarmene.
Garantisco che resterete.
Promettetemi che, in ogni caso, sarete voi che mi obbligherete a restare.
Ve lo prometto! Fuori il segreto!
Il segreto è che... il segreto è che io ho detto una bugia.... Stasera, al San Carlo, niente Lohengrin... e niente Gioconda.
E che spettacolo c'è?
Nessuno. Raffreddore generale a porte chiuse.
(in collera) E perchè avete mentito?
Perchè?... Perchè, vedendo che vostro marito era molto disposto ad andare a teatro, io, che volete?, non ho avuto il coraggio di rinunziare... alla sua assenza.
Ma io non vi permetto di trattare mio marito come un fanciullo; no, non ve lo permetto!...
Ecco, vedete, ora state lì lì per mandarmene via.... Se ve l'ho detto che dovevo tacere....
Non vi mando via; ma voi sarete punito lo stesso. E sapete come?... Silvio sospetterà la ragione della vostra bugia, e tornerà subito.
Non è geloso, e non sospetterà.
Tutt'i mariti sono gelosi quando non sono stati traditi.
E vi dà delle noie la sua gelosia?
Non me ne dà, ma io me ne piglio.
Ecco un inconveniente che voi potete eliminare con molta facilità. Se è vero che i mariti sono gelosi proprio quando non sono traditi, per ottenere che il vostro non sia geloso basterà... che prendiate un piccolo provvedimento.
Tradirlo!
Appunto!
Con voi!
Con me, o con un altro. Io preferirei, s'intende, e lo faceste con me.
Avete ragione, mio caro Gino; ma non c'è nulla di più incomodo che un tradimento.
Non vi ci siete, finora, provata.
Chi ve l'ha detto?
Ne sono convinto.
E mi fate la corte!
Naturale!
Perchè me la fate?
Perchè vi amo!
Senza speranze....
È sempre probabile che accada precisamente quel che non è mai accaduto!
Ma, qualche volta, non è accaduto precisamente, (sottolineando) quel che non può mai accadere.
(accostandosele di più) Vi sentite così forte, Clara?
Fortissima!
Proprio?
Inespugnabile!
Addirittura!? (Pausa.) Mi permettete... — per una vostra indulgente concessione di gran signora dello spirito — mi permettete di dirvi tutto quello che penso?
Ve lo permetto.
(con un piccolo gesto descrittivo) Anche se io debba rasentare... l'impertinenza?
Rasentate (imitandone il gesto)... quel che volete.
Voi vi sentite forte; ma — scusate — in che consiste la vostra forza?
Ho da rispondere?
No. Rispondo io.
Ottimo metodo per discutere!
La vostra forza, Clara, non consiste che nel sapervi debole.
Se desiderate ch'io capisca, siate più limpido.
Mi spiego. Guardatemi negli occhi....
«Che sono tanto belli!»
Non scherziamo!
Dunque?
Voi siete inespugnabile, perchè il vostro nemico non è mai in condizione di circuirvi, di assediarvi, di assaltarvi: non è mai in condizione di... aprire la breccia.
Al contrario! Io vivo in un permanente stato d'assedio. Non faccio che circondarmi di seduttori. Mi fareste l'offesa di non accorgervi della mia civetteria?
Ci tenete?
Ci tengo.
Me ne dispiace tanto, perchè ho da dirvi che, vostro malgrado, voi non appartenete alla categoria delle... delle civette autentiche. Voi siete migliore di esse, cioè più donna, cioè più affine all'uomo, cioè più attratta da lui, cioè... più pericolante. Esse, vedete, osano tutto; eppure non c'è caso che caschino. Hanno il potere e lo serbano. Diamine! Una civetta che finisce con l'avere un amante è come un sovrano che abdica. Voi, invece, non lo avete per la semplice ragione... — perdonatemi se abuso del permesso di rasentare l'impertinenza — voi non lo avete per la semplice ragione che... lo evitate. Infatti, quali sono gli esperimenti della vostra resistenza? Quali sono? Il vostro boudoir è sempre pieno di troppa gente; e quando non c'è la gente, ci sono le porte aperte, il che è lo stesso; le vostre passeggiate non le fate che al cospetto del mondo; le vostre conversazioni non possono avere mai niente d'intimo e non possono esporvi agli attacchi dell'altrui sapienza e dell'altrui valore....
Non c'è che dire: parlate assai graziosamente!
(continua, ascoltandosi) Vantate la vostra impassibilità? Non ne avete il diritto. Di quale seduzione avete voi trionfato? Quattro chiacchiere, una stretta di mano, uno sguardo, un mazzo di fiori, un tête-à-tête in carrozza aperta nelle ore in cui le vie rigurgitano.... Oh! queste cose non sono una seduzione. Ed io, per esempio, che vi faccio la corte e che non ho nessuna voglia di rinunziare a voi, quale ragione ho d'esser convinto della vostra inespugnabilità? Voi sfuggite tutte le occasioni in cui io sarei — lo dico con una frase da tenore — «nella pienezza dei miei mezzi»; voi sfuggite tutte le occasioni in cui io potrei essere io; — voi insomma, presentite dove e come e quando comincerebbe la vostra debolezza: ed ecco, vi ripeto, ecco qual'è la vostra forza.
Sicchè, concludiamo: io ho paura di voi.
Non lo so, ma nulla m'impedisce di crederlo.
Se vi fa piacere di crederlo, accomodatevi pure.
Lo vedete! Vi schermite. Se foste sicura di voi stessa, mi sfidereste.
Dio buono! Sarebbe crudele e superfluo defraudarvi d'un trionfo immaginario!
Attenta! Ciò che dite è arguto, ma vi denunzia sempre più debole. Scommetto che se v'invitassi a disilludere la mia immaginazione, voi rifiutereste l'invito.
Come siete complicato stasera! Via, semplifichiamo.
Semplifichiamo. Volete dimostrarmi, realmente, di sapermi respingere?
O che! Parlate sul serio?
E se parlassi sul serio?
Mi divertirei un mondo.
E acconsentireste a darmi una prova?
Senza dubbio.
Posso farvi la mia proposta?
Fatela.
Non ve ne pentirete?
Non me ne pentirò. Fatela!
Ebbene, vi propongo... di venire in casa mia!
In casa vostra?
In casa mia.
(scoppiando a ridere) Ah ah ah!... la gran prova non è che questa?
Abito solo.
Benissimo.
Vi troverete per la prima volta vicino a me, in un ambiente segreto, fra quattro mura, senza testimoni....
Benissimo.
Senza porte aperte....
Benissimo.
Senza difesa!
Benissimo.... E poi?
E poi... e poi vedremo. Accettate?
(ridendo sempre più forte) Sicuro che accetto. Ah! ah! ah!
Ma che! Voi non verrete!
Ed io vi dico che ci verrò.
Su, dunque: quando verrete?
Domani.
L'ora?
Alle due?
Alle due.
Le armi?
Le sceglieremo sul terreno!...
Sta bene!
(ammonendola, diffidente) Contessa Clara!...2
Signor Gino!... Sino a domani, è vero, voi potete dubitare di tante cose, ma della mia parola... no!
È giusto....
Grazie!
(galantemente, alzandosi) E adesso, è necessario separarci.
Separarci?!
Quando è corsa una sfida, i due avversari non hanno più nulla da dirsi, e non debbono dirsi più nulla.
Perfettamente. (Si leva e lo congeda con una profonda e lunga riverenza settecentesca.) Signore...
(inchinandosi caricatamente) Contessa....
A domani?
A domani. (Sta per uscire. — Silvio entra.)
SILVIO, CLARA, RICCIARDI.
Oh!...
Destinàti ad incontrarci sempre sul peggio passo: quello dell'uscio.
(un po' imbarazzato) Già di ritorno?
(ingoiando un po' di rabbia e fingendo di celiare) Sai, per istrada, mi sono accorto che decisamente la Gioconda... non mi piace.
Va là, che avrai trovato il teatro chiuso.
Eh eh!... Come hai fatto a indovinare?
Anche l'altra sera dapprima si mutò cartello, e poi si tolse completamente.
Bisognerebbe protestare.
(alquanto acre) Sì, bisognerebbe protestare...; ma per questa volta... non protesteremo.
Ci vediamo al club?
Per ora, rimango in casa: ho un po' d'emicrania.... E te ne vai così presto?
Un momento fa tua moglie mi ha messo alla porta.
Non è vero. Si è messo alla porta da sè.
(a Ricciardi, con esagerazione) Ma resta, resta ancora un poco.
No, Silvio, me ne vado....
Te ne prego. Anche Clara te ne prega.
Io, no.
(sinceramente sorpreso) Oh!
Per una ragione che non posso dire, io stasera... non debbo più parlare con lui.
Ah? Tu non devi? (Guarda tutti e due più acutamente che egli non voglia mostrare. Pausa. — A Ricciardi:) Lei... non deve?
(mal celando l'imbarazzo).... Lei non deve.
Be'!... allora, vattene.
(Un lunghissimo silenzio fastidioso, in cui pare che tutti e tre aspettino qualche cosa.)
(a un tratto, risolutamente) Di nuovo, contessa!
Di nuovo....
Arrivederci, Silvio!
Arrivederci!
(esce di corsa.)
CLARA e SILVIO.
(sforzandosi di sembrar calmo e gaio) Cos'è tutta questa faccenda?
Mistero!
Io non sono punto curioso e non voglio punto sapere di che si tratti.
Persuasissima.
(Pausa.)
(prende un giornale, siede sopra una delle poltroncine del dos-à-dos e finge di leggere.)
(gli si avvicina con affetto) Di': hai veramente l'emicrania?
Un poco.
Che fai?... Leggi il giornale capovolto?
Io?... Ah, sì!... (Addrizzandolo) Tanto, è lo stesso.
Non sei di cattivo umore?
Che! che! Sono così allegro! (Ride falsamente, meccanicamente.) Ah ah ah! Non lo vedi?
Vogliamo andare insieme da lady Wolff?... Vogliamo starcene qui come due colombini?...
(con eccessiva gentilezza) Ma perchè non ci vai sola da lady Wolff? C'è giù la carrozza: profittane. Va, piccina mia, va....
E se non volessi andarci sola?
Mio Dio! Che novità, stasera!
Che novità! Che novità! Avevo stabilito di passare con te il resto della serata. Ti secca?
Anzi!
Ebbene..., (tocca il bottone del campanello) resteremo in casa.
Tanto meglio, cara.
(entra.)
Avvertite giù che non ricevo. E dite al cocchiere che stasera non si esce. (A Silvio) Va bene? (Al servo) Per domani poi.... (Riflette.)
Ricòrdati che domani verrà De Negris per cominciare il famoso ritratto.
Stordita!... A che ora verrà?
Non so.... Dall'una alle due, disse.
All'una facciamo colezione.
Dopo.
Impossibile dopo!
Impossibile, perchè?
Ho da fare.
Non sarà nulla di così urgente.
(con durezza) Ho da fare! Ho da fare!
(notando la caparbietà di Clara) Eppure ci tenevi moltissimo a questo ritratto.... Era diventato la tua idea fissa.... Io poi dico: che ti costa di posare un'oretta dopo colazione?
(recisamente) È inutile, Silvio, non insistere!... (Pausa.) Sta tranquillo...: scriverò io due righe al pittore. (E subito licenzia il servo:) Andrea, potete andare.
E per domani, eccellenza?
Il mio coupè all'una e mezzo.... O meglio, no...: Darò gli ordini domattina.
(tra sè) All'una e mezzo!... Che storia è questa?
(corre a lui con vivissima espansione) Ed ora, tutta per te!
(tormentandosi nella finzione) Come sei buona!
(sedendogli sulle ginocchia) Non è vero: forse non sono nè buona nè cattiva.... Forse sono una buona moglie e una cattiva donna, o viceversa. Chi sa!... Ti sembra strano?
(assorto sempre più nelle sue preoccupazioni) Piuttosto!
E non mi dici nulla di grazioso.... Sei così freddo!... Non mi abbracci, non mi carezzi,... non mi baci.... (S'alza.) Auff!
Stavo per farlo....
(scattando) Troppa preparazione, mio caro! Diventi un pessimo marito.... Sì, sì, un pessimo marito! Il vero amore coniugale è sempre estemporaneo!
Non mi hai tu detto che in frac e in gran toilette non si è mai veramente soli?
Teorie passeggere!
E l'emicrania non la conti per nulla?...
Ah! La chiama emicrania, lui!
Aspetta che passi e vedrai.
(sedendo sull'altra poltroncina del dos-à-dos, alle spalle di Silvio) Aspetterò. (Prolungatissimo silenzio. — Poi, chiama piano:) Silvio...
(più che mai assorto) Che vuoi?
... Pronto?
No.
Sempre l'emicrania?
Già.
Aspetterò. (E piega le braccia, paziente.)
(riconcentrato in sè stesso, rumina ed arzigogola.)
(voltando appena la testa gli guarda i capelli con la coda dell'occhio: indi si allunga sulla poltroncina, piega le braccia, stende le gambe, e dà un sospiro profondo:) Ah!!!...
Salotto elegantissimo e bizzarro. Un carattere artistico predomina. La stanza è ottagonale. Nella parete di fondo, si apre, a due battenti, una grande porta, da cui, discendendo pochi scalini, si va in un grazioso giardino. Nella parete a sinistra, collaterale alla gran porta, un'altra porta. Nella parete a destra, un'ampia finestra attraverso la quale si vede, ancora, il verde del giardinetto. Qua e là, mensole con sopra gingilli squisiti, statuine in marmo e in bronzo, vasi di fine maiolica. Sparsi dovunque, ritratti di donne di tutte le dimensioni e in grandissimo numero. Un'ampia scrivania sovraccarica di carte, di libri e di giornali. Un pianoforte. Librerie, tappeti, stoffe antiche.
La camera è inondata di sole.
RICCIARDI, solo, poi, il servo LORENZO.
(va aggiustando i mobili capricciosamente. Apre il pianoforte, cerca fra le carte di musica) Ah!... Il mio Chopin!... Questo ci vuole! (Colloca l'album di Chopin sul leggìo. Riflette. Apre l'album.) Suggestivo!... (Mette più in mostra qualche bel ritratto di donna) Bene.... Così.... (Va alla scrivania, prende un foglio scritto e, in piedi, legge a bassa voce:)
«O voi, madonna, che vivete dovegiammai non giunge alcuna umana cosa,dite: la vostra immagine che movedall'alto e scende a me più luminosadel sole...»
(Pensa per comporre il resto.) «... del sole... del sole...»
Hai aperto il cancello?
Eccellenza sì.
Distribuisci questi fiori nei vasi,... dappertutto. (Continua a pensare.) «... Più luminosa, del sole....» Vediamo un po'... (Siede e scrive. Poi legge con compiacenza e a poco a poco alza la voce nel volo lirico:)
«... e più gentile e pura e biancad'una bianca colomba immacolata....
(credendo che il padrone abbia parlato a lui) Vostra eccellenza comanda?
Niente. (Legge:)
... darà a la vita mia giovane e stancala morte che, sognandovi, ho sognata?»
(Tra sè:) Questo basta per.... (Lascia il foglio sulla scrivania) Qui.... (Indi, al servo:) Più sparpagliati, più diffusi.... E qualche fiore lascialo cadere tra quelle statuine, tra quei ritratti. No!... No!... Non nascondere quel ritratto lì dietro i fiori. Diamine! Non vedi che è una donna magnifica? Le belle donne sono come le ciliege. Con una ne pigli dieci.... E che dedica! Un effetto sicuro! (Pausa.) La Venere di bronzo mettila un po' più in fuori. (Il servo muove una statuina rappresentante una donna vestita.) Che fai? La Venere è quella nuda.... Non si sono mai viste delle Veneri vestite, scioccone! In fuori, in fuori.... Lascia che si veda.... Bravo! E adesso, vecchio mio, sentirai bene. (Gli si avvicina.) Al giardiniere dirai di allontanarsi per un paio d'ore. Se ne vada a fare una passeggiata... una lunga passeggiata. (Lorenzo si avvia.) Aspetta. (Il servo si ferma. Ricciardi guarda il suo orologio: e, gioiosamente concitato, si frega le mani.) Quanto a te, poi, fra una quindicina di minuti ti metterai in un cantuccio del giardino, dal quale tu possa vedere chi entra. Mi spiego? Verso le due, entrerà una signora. Tu non ti avvicinerai a lei e non ti mostrerai a lei. Mi spiego? Sinchè ella sarà qui, tu non ti muoverai dal tuo cantuccio, ma terrai d'occhio il cancello, il quale dovrà restare sempre aperto perchè non so s'ella vorrà uscire di là o, più prudentemente, per la mia porticina particolare.... Se vedi venir qualcuno — chiunque sia —, tu sbuca dal cantuccio, avverti ch'io non sono in casa, e torna al tuo posto. Mi spiego, sì o no?
Eccellenza sì.
(tendendo l'orecchio) Ohè... zitto!... Non senti un rumore di passi?... (Emozionato) Che sia già lei?... Così presto! (Al servo:) Via, Lorenzo, nasconditi. (Spingendo il servo nella stanza a sinistra) Non voglio ch'ella, entrando, si adombri! Poverina! (Appena cacciato il servo dentro, raggiante di gioia, s'avvia verso il giardino.)
SILVIO e RICCIARDI, e ancora il Servo.
(vivamente sorpreso e turbato) Oh! Tu!
Che è? T'ho fatto paura?
Ma che! Tutt'altro!... Mi hai fatto un piacere, un vero piacere. Come va da queste parti?
Ti dirò.... Facevo una passeggiata al sole.... Trovandomi dinanzi al tuo giardino, mi son lasciato tentare dal cancello aperto e mi son detto: bah! andiamo a vedere cosa fa quel caro Gino.
Bellissima idea!
T'incomodo forse a quest'ora?
Incomodarmi a quest'ora? Tu incomodare me?... Oibò! Sei pazzo?
(tra sè:) Scandagliamo il terreno. (A Ricciardi, cavando di tasca l'orologio:) Sono le due meno venticinque.
(cavando fuori anche lui l'orologio) Già... le due meno... venticinque.
Anzi... vedi... le due meno venti.
Sei sicuro che il tuo orologio non avanzi?
Sicurissimo.
(aggiustando il suo) Perbacco!
Scusa, perchè poi perbacco?
«Perbacco»? Ho detto: «perbacco»? Ah... perbacco, siedi... che diavolo! Fuma una sigaretta.... Non fare complimenti. Piglia, piglia una di queste egiziane. (Gli porge una scatola di sigarette.)
Egiziane? (Ne prende una.)
Egiziane.
E... non devi uscire?
(dandogli da accendere) Sì... sì... infatti, devo uscire.
Oh! allora non seggo. Usciremo insieme.
Bravo! Usciremo insieme. (Chiama nervosamente:) Lorenzo!... Lorenzo! (Lorenzo comparisce.) Il cappello, i guanti, il bastone. Presto!
Come! Vostra eccellenza esce?
Esco, esco.... Meno osservazioni!
(Lorenzo, via.)
Grazioso il tuo nuovo quartierino!
Non ci eri mai stato?... Non c'è male.... Per un garçon, capirai....
(andando attorno e cacciando lo sguardo indagatore nelle stanze attigue) È un ambiente che mi piace molto!
(pianissimo a Lorenzo, che è tornato, e prendendo dalle mani di lui il cappello, i guanti, il bastone:) Mettiti dinanzi al cancello... e se arriva la signora che aspetto, dille... dille.... Ma che cosa bisogna dirle?!...
(proseguendo l'ispezione) Libri, oggetti d'arte, un arem... in fotografie! Mi piace, mi piace.... Verrò a trovarti spesso....
Me lo prometti?
Certo! Te lo prometto.
(a Lorenzo, alzando la voce, irritato:) E tu, che fai lì impalato?
Aspettavo....
D'andare all'inferno?
Eccellenza sì.
E bada che non sono in casa per nessuno! Hai capito bene tutto?
Dunque, non esci?
Oh bella!... Se ho detto al servo che non sono in casa per nessuno significa che esco.
Il più delle volte quando non si è in casa per nessuno, si è in casa per sè stessi. Ma giacchè esci davvero, andiamo.
Andiamo.... (Indugia, cava di tasca l'orologio e lo guarda, mostrando, suo malgrado, d'essere inquieto.)
(osservando ogni moto di lui, simultaneamente cava fuori anche lui di nuovo l'orologio)... meno quindici.
(risoluto) Tutto sommato, io non esco.
Se te l'avevo detto!
Gli è che ero in dubbio, ecco.
Gino, io mi accorgo d'essere capitato in un cattivo momento.
Cosa ti salta in mente, adesso?
È così! È così! O hai da uscir solo, o aspetti qualcuno.
Ma ti pare! E poi con te non farei cerimonie....
Non ci mancherebbe altro! E giacchè tu mi garantisci ch'io non sono di troppo,... facciamo quattro chiacchiere. (Si stende sopra un canapè.) Dammi un'altra egiziana.
Prendi. (Passando di dietro a Silvio, con la scatola di sigarette in mano, ha un moto di rabbia, e, non visto, accenna di battergli la scatola sulla testa.)
Buone le egiziane, ma si smorzano facilmente. (Piglia un'altra sigaretta.)
(gli dà da accendere) Facilissimamente!
Oh, benone!... (Pausa.) Povero Ridolfi! Sai quel che gli è capitato?
Lo so.
Che te ne pare?
Cioè... non lo so. Perdona.... Ero distratto: non so nulla.
Te lo racconto io. È tutto un romanzo.
(irrequieto, agitato, andando su e giù) Ah?
Un lungo romanzo.
Lungo? Meglio!
Avrai sentito parlare qualche volta d'una certa viscontessa d'Aribert...: quella che stette a Napoli una ventina d'anni fa e che all'improvviso se n'andò... non si è mai saputo dove.... La sua casa era una specie di lanterna magica.... Già, le case delle viscontesse sono sempre così! Allora io ero un ragazzetto, come te. Pure, ricordo tutti gli aneddoti piccanti che venivano fuori sul conto di lei....
(nervosissimo, alla chetichella, guarda il suo orologio.)
(se ne avvede e guarda il suo)... meno dieci. Mio nonno faceva una gran collezione di quegli aneddoti.... E li smaltiva poi con quel suo accento insinuante, bonario.... Ah, che delizioso raccontatore! Che raccontatore efficace!... Per esempio....
Ma, dico, non mi parlavi di Ridolfi?
Ci vengo, ci vengo. Ridolfi frequentava appunto il salone della viscontessa... e non soltanto il salone.... Te ne meravigli?.... Perchè?... Era troppo giovane? Ma ti prego di considerare che oramai Ridolfi ha cinquant'anni suonati.... Dici di no? (Pausa.) Dici di no?
(che non lo ha ascoltato) Cosa?
Secondo te, non ha cinquant'anni?
(prendendo un'improvvisa risoluzione, tra sè:) Coraggio! (A Silvio) Sì, ce ne ha cinquanta, ce ne ha settanta, ce ne ha cento, ma io, Silvio, ti confesso che aspetto qualcuno, e tu... te ne devi andare!
(colpito, contenendosi, si alza) Ah, perdio! Avevo indovinato!
Ed ora ti dico anche la causa del mio imbarazzo.... Io avevo un appuntamento alle due... con... la tua signora... allo skating..., e non mi ci posso recare.
(battendosi la fronte con subitanea contentezza) Ah! Ora capisco! Alle due?!
Sì.... Che capisci?
Niente.... Lei mi aveva accennato.... Ma perchè non dirmelo prima?
Mi sembrava strano di rivelare proprio a te la scortesia che io stavo per commettere a tua moglie.... Le avevo promesso di darle oggi la prima lezione di pattinaggio, con la speranza....
(ridendo)... di farla cadere....
Forse; e invece....
Non preoccuparti....
Senti, senti, Silvio mio: aiutami un po': corri allo skating: la troverai già lì, e, che so!, inventa tu, col tuo spirito, qualche cosa per farmi perdonare. Ma subito, perchè già sono le due....
... meno cinque. Non darti pena.... Vado io, vado io....
Ti raccomando.... Ed ora che esci, prendi la via a destra... scendi per la scalinata che fiancheggia il West-End-Hôtel.... (Accompagnandolo alla porta) È una scorciatoia.... Arriverai in un lampo....
Non dubitare.... Corro.... Volo.... Lascia fare a me.... Buona fortuna, cattivo soggetto! (Esce correndo.)3
(sulla soglia) Mi affido alla tua fantasia.... E grazie, sai! (Tra sè, trepidando:) Dio voglia che non s'incontrino dinanzi al cancello!... (Presso la finestra, ansiosamente, segue Silvio con lo sguardo.) Se ne va.... Se ne va.... (Pausa. Indi, parla dalla finestra:) Lorenzo,... vieni qui:... accòstati. Il conte Sangiorgi è uscito dal giardino?
(da fuori) Eccellenza sì.
Da che parte è andato?
Ha voltato a destra ed è sceso a rotta di collo per lo scalone.
È venuto qualcuno, intanto?
Eccellenza, no.
Ah! Respiro!... (A Lorenzo, sempre dalla finestra:) Adesso, a te. Ricòrdati tutte le mie disposizioni. Attento, eh? (Tra sè:) Non mi par vero! (Passeggia per la stanza, fantasticando e febbrilmente aspettando. Siede. Si alza. Va alla porta. Va alla finestra. Guarda. Torna a sedere, inquietissimo. Torna ad alzarsi. Ad un tratto, scorge Clara, e, al colmo dell'emozione, esclama:) Ah, ci siamo! (Corre in giardino.)
RICCIARDI e CLARA. Poi, il servo LORENZO.
(ha una graziosa e semplice toilette da mattino. Indossa un piccolo paltò. Entra, con le mani nel manicotto, con un'aria di persona molto affaccendata e frettolosamente va difilata a sedere sopra una delle seggiole che sono nel centro della stanza.)
Ah! Eccomi qui....
(seguendola con pari velocità, chiude subito la porta d'ingresso, e, con evidente sodisfazione, s'inchina a lei in un atteggiamento galante e sentimentale.) Prima di tutto, lasciate che io vi ringrazi della cortese puntualità con la quale....
(interrompendolo, sempre con la stessa aria frettolosa) Basta, basta! Eccomi qui: — Seducetemi!
(tentando di sottrarsi alla burletta) Ma io, contessa....
Non ci sono ma e non ci sono contesse. Io, mio buon Gino, non ho tempo da perdere. Sono in casa vostra, sono nelle vostre mani, le porte sono chiuse... almeno lo spero; nessuno ci vede e nessuno ci sente. Poche chiacchiere, e procedete subito alla seduzione.
E voi credete ch'io abbia avuta davvero l'ingenuità di vagheggiare una seduzione?! Come v'ingannate! Il sedotto, purtroppo, senza che voi ne abbiate colpa, veh!, il sedotto sono io. Clara, voi lo avete capito che io vi amo. Voi lo avete capito che la mia sfida e la mia baldanza non erano che l'artifizio del mio amore. Io ho desiderato che voi veniste in casa mia, questo sì, ma perchè? Per avere agio di vedervi e di parlarvi liberamente, fuori dell'ambiente in cui voi ed io abbiamo il dovere d'essere delle persone di spirito. L'ho desiderato per potermi confessare a voi, l'ho desiderato per dirvi ch'io sono null'altro che un povero innamorato, (scaldandosi di proposito) l'ho desiderato per....
Per... per... per.... Tutto questo è completamente inutile!
Inutile!?
Sì, inutile!, inutile!
(con slancio) Eppure....
Sentite, caro Gino: io sono venuta da voi per essere sedotta: se voi non avete voglia di sedurmi, io me ne vado.
Ah! Clara! Clara! Voi siete venuta da me per umiliarmi, ecco, e ci riuscite perfettamente. Ma se l'insistenza del vostro sarcasmo potrà almeno esaurire la vostra crudeltà, io lo accetto come un beneficio.
(guardandolo e ascoltandolo con curiosità birichina) E poi? Avanti!... E poi?
Sì, sì, voi avete l'aria di non credere alle mie parole!... E avete torto. Ridete, ridete anche, se vi piace: ridete della mia pochezza e di questo mio pazzo innamoramento: tormentatemi se il tormentarmi vi diverte: ma non mi attribuite la volgare puerilità di una finzione.... No! Voi non potete attribuirmela. La vostra intelligenza non può non intendere (esagerando la propria eccitazione sincera) che in questo momento io sono schietto! Clara, scusatemi, siete voi, siete voi che fingete! Fingete di non intendermi, fingete di non credermi, fingete....
Ma no: rassicuratevi! Io vi dichiaro formalmente d'intendervi, di credervi e di non mettere in dubbio il vostro amore. Voi siete innamorato di me; e ciò mi fa molto piacere. Parola d'onore, vedete, ne sono contenta. E appunto perciò sono venuta. Io ho fiducia nelle vostre forze, ho fiducia nelle vostre seduzioni, ho fiducia nel vostro fascino. Sono qui, sola, solissima, nel vostro incantevole salotto, e son piena di buona volontà. Ora spetta a voi di fare il resto. Su, via, caro Gino, ve ne prego, innamoratemi, e non ci pensiamo più.
(scoraggiato, si lascia cadere sopra una seggiola, sospirando:) Siete inesorabile!
(crucciandosi ostentatamente) No! no! no!... Così non ne faremo niente! Quell'aria di martire non vi si addice.... E poi, che so?, io mi aspettavo tutt'altra cosa! Troppa prudenza!... Troppa mitezza!... Troppa umiltà!... (Impaziente, si alza.) Non ne faremo niente, vi dico, non ne faremo niente!... (Pausa.) Che bel sole!... Che aria tiepida!... (Lo guarda con civetteria lievemente beffeggiatrice.) Sembra primavera! (Butta via il manicotto, e comincia a togliersi il paltoncino, accostandosi molto a lui.) Ho perfino caldo. Tiratemi queste maniche. (Allunga un braccio per farsi aiutare.)
(le toglie del tutto il paltoncino, lo mette in un angolo, e siede un'altra volta, accasciato.)
Come vedete, non ho ancora perduta ogni speranza!... Non me ne vado. Resto, e mi metto à mon aise.... Lo permettete? (Un silenzio. — Va in giro per la stanza, osservando, curiosando. Presso il pianoforte, si ferma, guarda l'album aperto sul leggìo, con caricata sentimentalità.) Chopin!... Secondo notturno. Ah! quello in cui è un delizioso effetto d'organo, così pieno di misticismo.... Che soavità! (Con una mano accenna sul pianoforte le prime note d'una volgare canzone napolitana: «La ritirata».) Che dolcezza!... (Continua la rassegna.) Questa stanza è il simbolo del vostro cervello: c'è tutto!... (Si ferma presso la scrivania) Laboratorio letterario. Officina epistole e annessi. (Prende il foglio scritto.) Si può?
Scarabocchi.... Robuccia appena abbozzata.... (Con la speranza ch'ella legga) Non voglio che leggiate.
Ci scommetto che l'avete lasciata quassù apposta per farmela leggere.... Vediamo.
Io vi prego, invece, di non leggere.
(senza dargli ascolto, legge:) «O voi, madonna.... (A Ricciardi, con curiosità:) Dice... madonna?
Forse.
(ricomincia con enfasi e gesticola seguendo il senso di ogni parola:)
«O voi, madonna, che vivete dovegiammai non giunge alcuna umana cosa,dite: la vostra immagine che movedall'alto e scende a me più luminosadel sole, e più gentile e pura e biancad'una bianca colomba immacolata,darà a la vita mia giovane e stancala morte che, sognandovi, ho sognata?»
Punto interrogativo! (A Ricciardi:) Versi?
Pare.
Sì, me ne sono accorta. Volevo dire: versi che scrivete per me?
Probabilmente.
«La morte che, sognandovi, ho sognata?...» Brrr.... Questa faccenda della morte si riferisce proprio a me? Vi faccio un bello effetto!... Meno male che ve lo faccio in sogno. Non siete un poeta decadente. Io adoro i decadenti. (Con declamatoria intonazione laudativa) Quelli lì dicono tutto ciò che vogliono, ma almeno nessuno li capisce! (E continua a gironzolare, osservando.) Quanti bei ritratti di donne! Tutte vostre amanti... beninteso!... Tutte più fortunate di me.... Questo, per esempio, di chi è? (Prende un grandissimo ritratto di vecchio con una immensa barba bianca e lo mostra a Ricciardi.)
(alzando le spalle) È il ritratto d'un uomo.
Marito d'una vostra amante?
Ma che!
Padre d'una vostra amante? (Pausa.) Fratello?
Mio Dio, contessa, non siate così ingenerosa! Basta, ora!
Basta che cosa? Fra tante donne trovo un uomo: è naturale che io me ne interessi. Chi è?
Non lo so.
Come non lo sapete?
È un russo.... Lasciatelo in pace.
Il nome?
(paziente) Paikowsky.
Paikowsky? Ho capito: musicista. Che ha composto?
(trattenendo l'irritazione) Non è musicista!
Poeta?
(rabbioso) Nemmeno!
Pittore?
(quasi tra sè:) C'è da morirne!
(accalorandosi) Ma si può almeno sapere che diamine fa il vostro russo?
(scattando) E da voi si può sapere quando finirete di torturarmi così atrocemente?
In fede mia, voi siete un bel tipo! Io vi dico tutto ciò che mi riesce dirvi di più lusinghiero, io rinunzio ad ogni resistenza, io mi metto a disposizione del vostro valore e del vostro amore, io, come meglio so e posso, v'incoraggio a tutto; e voi ve ne state lì, timido e vergognoso, peggio d'uno scolaretto che, non avendo imparato bene a mente la lezione, tema d'essere interrogato; e per giunta?... Per giunta poi ve la pigliate con me. Ah, questo è incredibile! E che vorreste? Vorreste ch'io vi saltassi al collo? o che mi gettassi ai vostri piedi? o che cascassi in convulsioni e, contorcendomi e dibattendomi, pronunziassi il vostro nome adorato?... Che vorreste?... Queste cose dovrei farle, al più al più, con un collegiale, con un novizio; ma con voi! con voi! Io vi domando: siete o non siete quello che mi avete detto di essere?
Contessa,... voi scherzate male!... È vero, io fui uno sciocco sfidando, apparentemente, il vostro spirito e la vostra virtù. Benchè io non sia stato consigliato, in fondo, che dalla speranza di potervi commuovere e non da quella di potervi conquistare, pure... riconosco il mio errore, riconosco la mia goffaggine. Sì, voi mi avete fatto riconoscere l'uno e l'altra. Dell'errore, quasi offensivo, vi chiedo perdono; ma, quanto alla goffaggine, dovrei chiedere perdono a me stesso, e non lo faccio. Notate. L'uomo che conviene d'essere goffo e che ci si rassegna, ha un gran vantaggio: — Non teme più di diventarlo. Ed è perciò che scherzate male!
(fredda) Se non mi sbaglio, lo sfidante cambia le armi, ma resta sul terreno.
(eccitandosi sinceramente) A chi è innamorato come lo sono io, come lo sono oggi più che mai, come lo sono divenuto sotto la sferza del vostro scherno, come lo sarei diventato anche se fino a ieri non vi avessi conosciuta, non bisogna chiedere audacia neanche scherzando!
Armi da fuoco!
E sia! Armi da fuoco, che potrei usare, mio malgrado, involontariamente. L'idea di essere ridicolo non mi trattiene più. Il mio sangue, i miei nervi, Clara, non mi consentono più la riflessione dell'uomo galante, nè la preoccupazione di parervi uno scienziato dell'amore. Voi sogghignate? E non me ne importa. Io vi sembro grottesco? E non me ne importa. Io vi sembro un cattivo commediante? E non me ne importa. Io vi sembro uno stolto, un imbecille, un fanciullo, un uomo volgare? E non me ne importa! Non m'importa più di niente, non capisco più niente, e, vedendovi vicino a me, bella, sorridente, sprezzante, disdegnosa, vi giuro Clara, vi giuro ch'io perdo la ragione! (Si slancia verso di lei.)
(ferma, piega le braccia in un atteggiamento ad un tempo altero e burlesco.)
(soggiogato, si trattiene e indietreggia.)
Lo vedete che non sapete usare neanche le armi da fuoco? Molto rumore, e in conclusione?... Nulla!... Nulla!
(abbassando la fronte e un po' mordendosi le labbra) Nulla!
Chi è, chi è che si permette di picchiare così?
(di fuori) Sono io: Lorenzo.
E che vuoi, noioso? Vattene!
Debbo dire qualche cosa a vostra eccellenza.
No! Vattene.
Vostra eccellenza mi perdonerà, ma io debbo dirle qualche cosa.
Insomma, che c'è?
Posso parlare?
Parla.
È ritornato il signore di poco fa. Io gli ho detto che vostra eccellenza era uscita e che in casa non c'era più nessuno.
(va sollecitamente a spiare dalla finestra.)
(a Lorenzo:) Hai fatto bene.
Ma egli ha risposto che aspetterà. E s'è messo di piantone dinanzi al cancello chiuso.
(allontanandosi dalla finestra, dispiacevolmente sorpresa) È mio marito!
(allarmato) Sì, vostro marito. È venuto qui prima di voi, evidentemente sospettoso.
(con irritazione) E non me l'avete detto?!
Era inutile d'impensierirvi. Ho deviato la sua attenzione dicendogli che mi aspettavate allo skating.
Impostore!
Dovevo piuttosto fargli capire la verità per rovinarvi?!
(di fuori) Vostra eccellenza ha ordini da darmi?
Non so.... Lasciami riflettere....
(costringendosi a parere spensierata e birichina come dianzi e rivelando invece di stare sulle spine) Ma non c'è da riflettere.... Ripigliamo piuttosto il discorso dove lo avevamo interrotto.... Voi non ve ne siete accorto, ma io cominciavo, finalmente, ad essere commossa dalle vostre parole. Credo che le armi da fuoco avevano toccate le mie corde sensibili. (Ride) Ah! ah! ah!
Ridete ancora?
Non rido che adesso....
(con delicata malignità) Ma non ne avete punto voglia.
V'ingannate! L'intervento di mio marito, il vostro smarrimento, questa faccia da cospiratore: tutto ciò mi diverte un mondo. (Impallidisce, lasciandosi un po' vincere dalla paura.)
No, no! Tutto ciò non vi diverte!... Contessa, il vostro spirito è finito. Voi non vi riafferrate più!
(di fuori) Vostra eccellenza ha ordini da darmi?
Aspetta, Lorenzo! (Abbassando la voce, con un'aria di uomo sagace) Quel che sentite, lo so; quel che temete, lo so; quel che vi addolora, lo so.... E io... desidero salvarvi.
(in un istantaneo lampo di gioia) Che?!
Ah, vi siete tradita!... Ebbene sì, voglio salvarvi. (Cava di tasca una piccola chiave tersa.) Questa chiave apre un piccolo uscio alle spalle della mia palazzina.... Voi potete uscire di qui non vista da vostro marito.... Vi troverete in un viottolo che sta costruendosi.... Camminerete diritto; e in pochi passi giungerete al Corso Vittorio.... Così, egli vi aspetterà invano due, tre, quattro ore, quanto vorrà, e dovrà finire col convincersi d'avere sospettato ingiustamente.... (Le porge la chiave con galanteria.)
(stendendo subito la mano per prenderla) Ah! Grazie!
(ritirando un po' il braccio per impedirglielo pur tenendo sempre la chiave sotto gli occhi di lei come per tentarla) Un momento. Avete ben compreso che vi salvo?
Sì... l'ho compreso.... E vi confesso che sono pentita della grave imprudenza.... Abbiatevi la mia gratitudine, e datemi la chiave. (Stende di nuovo la mano per prenderla.)
(di nuovo glielo impedisce) Un momento.... La gratitudine è una bellissima ricompensa. Senonchè, io esigo qualche cosa di più concreto. Disposto a salvarvi; ma (con molta grazia) non dimenticate che io vi amo, contessa, e il mio amore non saprebbe perdonarmi questa eccessiva generosità.
(contraendo le linee del viso, e, aggrottando, severa, le sopracciglia) Che intendete dire?
(con dolcezza incalzante e con fine intenzione vendicativa) È il mio amore che mi costringe a patteggiare. Io non vi offro, bensì io vi vendo questa chiave.... Vi vendo la salvezza.... Siete voi pronta a comperarla?
(indietreggiando con ribrezzo) Io!
Non gridate.... C'è di là il servo che attende... Pensateci, contessa. Pensateci bene.... La chiave è qui. La salvezza è qui. Se non volete comperarla, siete... compromessa!
(prorompendo) Ah! vi....
(immediatamente) Vigliacco!!!
Sì, sì, vigliacco!
(scherzoso) Se lo sapevo!... È la parola adeguata. In simili situazioni, specialmente a teatro, è la parola tradizionale. E difatti, in questo momento, voi siete un po'... Tosca, ed io sono un poco... assai poco... il barone Scarpia. Non è vero? Eh!... Sicuro!... «Vigliacco!» (Sogghigna. — Pausa. — Indi, assai gentilmente) Meno vigliacco, però, di quanto voi mi fate l'onore di credermi.... Il mio amore, v'ho detto, mi costringe a patteggiare, e non ci è scampo! La salvezza ve la vendo, e a caro prezzo!... Ve la vendo, contessa... ve la vendo... ve la vendo... (con ostentata umiltà) per un bacio. Come uomo, chiedo troppo, è vero; ma, come vigliacco, via, convenitene, chiedo pochino. Volete pagare?
(con uno scoppio di sdegno feroce) No!
Possibile?!.... Preferite di compromettervi?
Sì!
Preferite uno scandalo?
Sì!
(pazzo di meraviglia e di rabbia) È tanto, dunque, il disgusto che provereste concedendomi o prendendo da me il più semplice e il più lieve dei baci... che vi decidete piuttosto a compromettervi, a perdervi! Ah! vivaddio, nessun proposito cavalleresco può resistere a tale prova. Via questa chiave! (Sta per gettarla dalla finestra.)
(corre alla porta e chiama:) Ehi! Cameriere.... Servitore....
No! Clara.... Perdonatemi... prendete... salvatevi....
Nessun beneficio da voi. Non voglio! (Con la bocca all'uscio) Dite al conte Sangiorgi che ci è qui sua moglie, e che lo aspetta. Andate.
E che avverrà adesso?!
(calma) O una catastrofe, o niente: è semplice.
(pentito, esasperandosi) Dio! Dio! Che avete fatto!... Ma siete ancora in tempo.... Fuggite... prima ch'egli arrivi!
Se gli ho mandato a dire che sono qui....
Maledizione! Allora, che risolvere? (.... Aprendo la porta in fondo) Sì, gli vado incontro....
È peggio! State tranquillo. (Con accento tragicomico) Non vi sorride il pensiero ch'egli ci uccida insieme?
RICCIARDI, CLARA, SILVIO.
(entra dal fondo, pallidissimo, contenendosi, padroneggiandosi. — A Clara:) Mi hai fatto chiamare?
(dopo un istante di trepidazione) La contessa ti ha visto dalla finestra, e... e.... Veramente non capisco perchè passeggiavi in istrada invece di raggiungere qui tua moglie.... Cioè, lo capisco perfettamente.... Il mio servo t'avrà detto che in casa non c'era nessuno.... Ma è stato uno strano equivoco.... Io sono uscito, e poi sono rientrato in casa per un'altra porta.... E la contessa ci è entrata....
(con comica pacatezza) Per la finestra.
Gli è che la contessa è giunta allo skating troppo presto e, impaziente com'è, ha voluto... sì dico.... Ed io stesso, intendi, l'ho accompagnata. Anzi, no: non l'ho proprio accompagnata io stesso; ma l'ho incontrata.... Sai dove? L'ho incontrata precisamente....
Ma va bene, va bene.... Hai l'aria di voler giustificare te e la contessa.... E non è il caso.... Lo hai già detto: è stato un equivoco.... Nè più, nè meno.... Lo abbiamo chiarito....
... completamente....
... e adesso non c'è bisogno d'altro. Sapevo benissimo che Clara era qui, e perciò ci sono venuto....
Ah! Lo sapevi?!
È naturale!
Gino, il mio paltò, il mio manicotto....
Sùbito! (Cerca paltò e manicotto.)
(avvicinandosi a Clara, con voce minacciosa e soffocata) Io ti ammazzerò!
(pianissimo e flemmatica) A casa. Qui, no. Però bada che da questo momento io non sono più tua moglie!
Lo spero!
(perdendo tempo apposta) Il paltò l'ho trovato, ma dov'è quel benedetto manicotto?!
(sempre pianissimo a Silvio) Intanto, per non farti sembrar ridicolo... fingerò d'essere d'accordo con te.... Comprendimi..., secondami....
(con accento iroso e sommesso) Ma che dici?!
Ora ti parlerò in modo ch'egli senta....
(con in mano il paltò e il manicotto) Ah, finalmente! Ecco!
(alzando un po' la voce per farsi udire da Ricciardi pur mostrando di voler parlare piano a Silvio) Non ridere!... Sii più tragico.
(trasalendo, tra sè:) Che!
Dunque, Gino?
(guardandola attonito) Ai vostri comandi, contessa....
(infilando il paltò) Aiutatemi bene....
(aiutandola, le dice tra i denti:) Ho buone orecchie, sapete.... Voi e vostro marito vi siete presi giuoco di me....
(senza scomporsi, a fior di labbra) Può darsi....
(nota ch'essi si scambiano delle parole, e freme.)
(ancora tra i denti e ancora aiutandola) Ma questo è troppo!
Può darsi.... (A voce alta) Silvio, andiamo, eh?
Andiamo....
(Tutti e due si avviano verso il giardino.)
Grazie, contessa, dell'onore.... (A Silvio, con asprezza) E grazie anche a te....
A me!?
(nervoso, accompagnandoli) Sì, sì, anche a te....
(scattando) Ricciardi!...
(tutta sorridente, interrompendo) Non v'incomodate, Gino, non v'incomodate....
(seguendoli fino alla porta) Oh! prego... prego... prego... prego... prego....
(esausto, si appoggia con le spalle allo stipite della porta.)
Boudoir della contessa Clara. Tre porte, due laterali, una in fondo. Le portiere folte, che celano gli usci, e la tappezzeria abbondante, danno al boudoir un aspetto raccolto d'intimità. Un elegante scrittoio. Una dormeuse bassa, lunga, larga. Sopra un apposito tavolino, un servizio da té. Seggiole a sdraio, libri, suppellettili civettuole, specchi. Sul caminetto, un grande orologio. È sera. Una luce discreta si diffonde di sotto un cupolino che nel mezzo della stanza, a capo della dormeuse.
CLARA, e il SERVO.
(e sola, distesa sulla dormeuse, dormendo. Ha ancora in una mano abbandonata un libro aperto. L'orologio suona le nove e mezzo. Ella si sveglia di soprassalto. Lascia andar giù il libro. Si stropiccia gli occhi. Si alza sbuffando:) Auff!... (Si ferma un momento innanzi a uno specchio. Il guardare sè stessa la irrita. Raccoglie il volume, si sdraia di nuovo sulla dormeuse, comincia a rileggerlo e, a un tratto, lo getta in aria, come se avesse letta una sconcezza.) Via! (Piega le braccia, e si morde le labbra.)
(entra dal fondo, recando una lettera in un vassoio.) Eccellenza....
Che c'è?
Questa lettera.
(lentamente la prende. Guarda l'indirizzo. Si stringe nelle spalle in atto di noia, ripone la lettera chiusa nel vassoio.) Mettetela lassù.
Eccellenza, il cameriere che ha portata questa lettera desidererebbe sapere quando avrei potuto consegnarla.
(seccata) Me l'avete consegnata adesso? Dunque, adesso!
(si alza. Ripiglia la lettera. La guarda con indifferenza. Lacera la busta e superficialmente legge:) «Contessa, faccio un tentativo estremo. Parto. Fuggo. Voi, sorridendo, penserete che io ricorra al vieux jeu della partenza per commuovervi. Invece, io non intendo di ricorrere che al vecchio rimedio. La terapia dell'amore non ha fatto molti progressi, e oggi partire significa ancora guarire — forse. Vi chiedo, dunque, di potervi vedere per l'ultima volta. Oserò di venire da voi, stasera, alle dieci in punto. Mi riceverete?...» (Aggiunge a fior di labbra:) Stupido!... (Apre un cassetto dello scrittoio, e, con la mano in alto vi lascia cader dentro la lettera e lo richiude. È inquieta, è infastidita. Ha un gesto di risoluzione e tocca il bottone del campanello elettrico.)
(esitante)... Il conte è ancora in casa?
Sì, eccellenza.
(Un silenzio.)
Ditegli... ditegli che io l'aspetto qui per prendere il té.
Badate: per chiunque venga, ho l'emicrania: non ricevo.
Va benissimo.
Solamente... pel signor Ricciardi, che verrà verso le dieci, non ho niente, e ricevo.
Va benissimo.
Fate la mia imbasciata al conte. Sùbito!
(si aggiusta un po' i capelli. Indi va ad accendere il fornello del té.)
CLARA, SILVIO. Poi, la CAMERIERA. Poi, il SERVO.
(entrando dalla porta donde è uscito il servo, si ferma sulla soglia e ci resta, non visto, per qualche istante.) È proprio vero che mi offrite una tazza di té?
(voltandosi) È proprio vero.
Nel vostro intimo boudoir?
Intimo? Nella stanza dove accolgo ogni sera i miei amici.
Ma io... da tanto tempo... non sono per voi nemmeno un amico.
Siete qualche cosa di meglio: siete un nemico... che comincia a non esserlo più. Avanti! Che fate lì? Che contemplate?
(avanzandosi e guardando attorno) È strano, è molto strano quello che provo rientrando in questa stanza dopo due mesi....
Prego, conte: dopo due mesi e tre giorni.... Voi mi defraudate: defraudate la mia astinenza.
No, contessa: ho voluto semplicemente sperimentare la vostra memoria.
Un eccellente mezzo per non sperimentare la vostra. E... sentiamo: che provate rientrando qui, nel mio boudoir, dopo due mesi e tre giorni?
Non so... un orgasmo nuovo... quasi un senso di paura....
Paura!
È un po' la paura da cui è preso il bambino che entra in una camera buia.
Io non sono forse il sole? Me l'hanno detto tante volte!
Per me, il buio è l'ignoto.
L'ignoto è proprio ciò che attira di più.
Nondimeno, senza il vostro invito, non avrei osato....
Ah, no?!
Certamente.
Eppure... come ho da dire?... Non vi siete accorto di nulla?
Di che mi sarei dovuto accorgere?
Come!... Non vi siete accorto che da un pezzo vi faccio la corte?
Voi!
Sì, io! Io!
Ma che! Non è vero.
Già, voi di certe cose non ne avete mai capito nulla! (Pausa. Prepara il té.) O che deve fare di più una donna? Mi trovo ogni giorno puntualmente a pranzo con voi; ci resto il maggior tempo possibile; durante il pranzo, intavolo i discorsi più graziosi e più gentili; cerco di secondare tutti i vostri gusti;... metto del miele, molto miele, come fate voi, sul pane brustolato.... Il miele, lo sapete, mi è insopportabile, ma è il simbolo della dolcezza, e io mi ci rassegno.... E finalmente, qualche volta — via, convenitene — ... qualche volta, innanzi ai servi importuni, che stanno lì più a guardarci che a servirci, io, di nascosto, sotto la tavola, spingo finanche un piedino verso di voi. (Accenna con un piede l'atto grazioso.)
(timido) Contessa!...
Ma che «contessa»! Il mio piedino si regola come quello di una grisette, e voi?... Voi non lo pestate abbastanza.
Un'altra volta... lo pesterò di più.
Ah! Un'altra volta... spero... che non ce ne sarà più bisogno. (Versa il té.) Latte o Cognac?
Latte.
(versa il latte nella tazza di Silvio.) Ecco.
Grazie! (Pausa — Siede — Sorseggia.) Prendete il té tutte le sere?
(ugualmente, siede e sorseggia) Tutte le sere.
Anch'io.
(mal dissimulando il suo stato nevrotico) Anche voi?
Sì, al club.
(Un silenzio.)
E tutte le sere col latte?
Di rado preferisco il Cognac. (Pausa.) Qualche sera poi prendo il té senza latte e senza Cognac.
E su ciò ci siamo perfettamente intesi. (Si alza nervosa e va a distendersi mollemente sul divano.) (Ancora un silenzio.) Silvio!
Cla... Contessa....
Se sapeste!
Che cosa?
Come mi annoio!
Eh! Lo vedo.
Aiutatemi a non annoiarmi....
Volentieri.... Ma in che modo?
In un modo semplicissimo: non annoiandovi neanche voi.
Io non mi annoio niente affatto!
Provatemelo....
(accostandosi a lei, con minore timidezza, ma sempre guardingo e riservato) Clara, perchè questo linguaggio sibillino che mi confonde e m'imbarazza? Io vi guardo, vi odo parlare, e mi domando: chi siete? Avete tutte le seduzioni di mia moglie, ne avete la voce, ne avete il volto, ne avete il nome, le siete simile, le siete uguale, e intanto non siete mia moglie. E io, io che mi vedo lì, in quello specchio, accanto a voi, così impacciato, così timido, io non riconosco me stesso, non posso riconoscermi... perchè, indubbiamente, io non ho nulla di comune con vostro marito. E allora?... E allora chi siete voi? Chi sono io? Che cosa siamo noi due?
State bene attento, ché ora ve lo dico tutto d'un fiato. Noi siamo un uomo e una donna.
Null'altro?
Mi pare che basti! Volete vedere che basta? (Con un dito sulla guancia) La bocca qui....
(trattenendosi) Badate: si sa come si comincia, e non si sa come si finisce....
Oh! Io lo so come si finisce!
(commovendosi) Clara!...
Senza commozione!... Si esegue, e zitto! Qui.
(dandole un bacio sulla guancia prende l'aire e si accalora) Ah, grazie! Sì, avete ragione, avete ragione: è inutile sapere che cosa siamo o non siamo noi, è inutile perdersi in tante distinzioni minute, è inutile tormentarsi il cervello, è inutile discutere, è inutile riflettere, è inutile pensare, è inutile....
(interrompendo e alzandosi) Piano, piano adesso! Non esageriamo.... E, soprattutto, non precipitiamo gli avvenimenti. (Guardandolo dalla testa ai piedi con molta furberia) Va bene.... Ho capito.... Ho capito.... (Si scosta.) Volete ancora del té col latte?
(alza le spalle in segno di diniego. — Poi, dopo un altro momento di mutismo) E voi... non me lo date un bacio?
... Chi sa! (Tocca due volte il bottone del campanello elettrico.)
(La Cameriera entra dal fondo.)
Accendete in camera mia.... E aspettatemi lì.
(La Cameriera attraversa la stanza ed esce per la porta laterale a destra.)
(fissando Silvio con graziosità invitante) Buona sera....
Non ci vedremo più, dunque, sino a domani?
... Chi sa!... (E si avvia lentamente verso la sua camera. — Quando sta per entrarci, si volta di botto, e chiama bruscamente:) Silvio!
Son qui.
(con rapidità, quasi con violenza) Credete tuttora che Gino Ricciardi sia stato il mio amante?
(retrocede come se avesse ricevuto un pugno nel petto) Clara!...
Rispondetemi!... Lo credete tuttora?
Ma...
Rispondetemi!
È una domande stranissima....
A cui non avete il coraggio di rispondere.
Clara, ve ne scongiuro, non m'interrogate così....
(trasalendo) Non avete il coraggio di rispondere!... Ma la risposta è nel vostro silenzio, è nel vostro sbigottimento, è nella vostra sorpresa. Io ve la leggo negli occhi,... Sì, sì, voi credete tuttora che Gino Ricciardi sia stato il mio amante!...
(mostrando di non essere sincero) Ma no....
Sì, lo credete!... (Esasperandosi) Dio! Dio!... Voi lo credete, e fate la pace con me! Voi lo credete, e siete disposto a perdonarmi... Anzi, che dico?, altro che disposto!..., mi avete già perdonata!... Voi lo credete, e mi desiderate, e vi lasciate sedurre da me: — vi lasciate sedurre evidentemente come da una cocotte.... Voi pensate nientemeno che io sia stata d'un altro... precisamente! ch'io... sia stata d'un altro, e intanto eccovi lì, umile, eccovi lì ai miei piedi, aspettando, come una grazia, che io vi riapra la porta di quella stanza dove fummo marito e moglie. (Al colmo dell'esasperazione) Ma dunque a che serve mantenersi su, su, in alto, sempre in alto, a che serve, a che serve essere quella che sono io, se l'ultima delle femmine non varrebbe, per voi, in questo momento, meno di me?! (Ridendo convulsa) Ah ah ah! Minacciaste di ammazzarmi il giorno in cui, compiendo una delle vostre fatiche di poliziotto, mi sorprendeste in casa di quel vanesio! Sarebbe stato, in verità, un po' troppo, ma, ammessa la vostra sfiducia, sarebbe stato più logico di quel che fate adesso. Invece, no, non mi ammazzaste, e mi chiedeste una giustificazione. Giustificarmi? Giustificarmi quando la mia coscienza si sentiva più che mai trionfatrice? Giustificarmi di che? perchè? con chi? Voi non mi ammazzaste, io non mi giustificai. Il separarci sembrò a voi una punizione inflitta a me, sembrò a me una punizione inflitta a voi. E aspettai. «Egli comprenderà — pensavo io —: comprenderà che un amore come il mio non può aver corso nessun pericolo, non può essere stato vinto da nessuna tentazione. Comprenderà che una moglie come me non deve potersi giustificare, non deve giustificarsi!» E speravo — sciocca che ero! — speravo di salvare me e voi da una volgarità. Ma ora?... Ora che all'ingiuria dell'accusa voi aggiungete quella della più ignobile transazione, ora ci rinunzio alle mie ultime illusioni. Sta bene! Affogheremo insieme nella volgarità. Mi giustificherò! Mi giustificherò... perchè quando un marito, pur sospettando la moglie infedele, ritorna a lei, questa, se è innocente, non può che gettargli sul viso la propria innocenza e la propria onestà come si getta dalla finestra un cencio inutile! Mi giustificherò, mio caro, e vi darò anche le prove di non essere stata l'amante di quel signore....
(urgente) Le prove?
(incalzandolo con ansia irosa) Dite, dite: le volete queste prove?
Ma per quale ragione non dovrei volerle? Vi meraviglia tanto che un marito ami una moglie della cui fedeltà irresistibilmente dubita? Sarà orribile, sarà mostruoso, Clara, ma è umano, e, siatene certa, non sono io il solo marito che si trovi in queste condizioni! Ah sì!... Perchè non vi ammazzai quel giorno? Perchè io non sono di quegli uomini che ammazzano, e anche perchè considerai... tante cose. Considerai che voi stessa mi avevate fatto chiamare, considerai che avreste forse potuto tentare di nascondervi e non lo avevate voluto, considerai che l'espediente di simulare una burletta d'accordo con me non avrebbe ferito colui se non fosse stato un espediente verosimile.... Eppure, lo confesso, continuai a dubitare.... Oh! chi potrà mai essere sicuro d'aver distrutto il germe del dubbio nel cuore d'un geloso?... E quel che è accaduto poi in me, voi dovete comprenderlo... anche perchè è stato in parte opera vostra, tanto vero che, poc'anzi, mi dicevate, celiando, d'avermi fatto un po' di corte. Il mio mutamento era graduale e inconsapevole.... Costretto a vedervi ogni giorno durante la finzione d'un pranzo coniugale dedicata ai domestici ed esposto ogni giorno al vostro armeggìo, a poco a poco ho sentito il bisogno di soffocare il sospetto, di mentire con me stesso e di riottenere, comunque, la vostra amicizia... che so?... il vostro amore. Ero riuscito a convincermi di non esser stato tradito No, no, e intanto il dubbio del tradimento, nel mio cuore, nei miei nervi, non era più incompatibile col desiderio della nostra unione. Il perdonarvi m'era diventato necessario: mi pareva una debolezza, una vigliaccheria forse; una colpa no! Ma poichè voi mi date la speranza di potermi assicurare, decisivamente, luminosamente, della vostra innocenza, poichè voi me ne offrite le prove, posso io avere l'abnegazione di rifiutarle? Ah no! È più forte di me. Queste prove, Clara, io non le rifiuto, io non devo rifiutarle, io le voglio, io ve le chiedo.... Abbiate pietà di me... Datemele!... Datemele!...
(con crescente sovreccitazione) Ah! le volete davvero?... Le volete davvero?... Ancora le volete?... Ed eccole qua! (Aprendo convulsamente il cassetto dello scrittoio, cavandone in disordine delle lettere chiuse in busta o senza buste e gettandole man mano, violentemente, a Silvio) Prendete queste lettere.... Prendetele tutte.... Leggetele.... Guardate in due mesi quanto mi ha scritto quel signore che io trattai come un fanciullo.... Ha tentato di rifarsi sperando di commuovermi? Ha sognato una vendetta? Ha voluto dimostrarmi d'essere più innamorato che imbecille? Si è realmente innamorato di me? Lo sa lui! A me non importa, e non la voglio sapere. Certo è che ho ricevuto una... due... tre lettere al giorno.... Certo è che io non ho mai risposto.... Certo è che mi pare ridicolo e umiliante il dovermene vantare, io, io, che, qualche volta, le ho lette soltanto per riderne e che spesso non ho fatto neanche questo, e non ne ho riso, non le ho lette, non le ho aperte neppure.... (Accendendosi, agitandosi) Se non credete che io abbia preparato a bella posta — oh! sareste capace di crederlo! — delle lettere d'innamorato incorrisposto e deriso, leggetele..., su... (trattenendo le lagrime) leggetele... leggetele... divoratele... godetevi, finalmente, la mia fedeltà bestiale.... Ma non ve ne gloriate troppo, no... e non ve ne rallegrate... perchè io... perchè io... perchè io non ne posso più! (Si lascia cadere sopra una seggiola e scoppia in un pianto dirotto.)
(Mentre Clara, col volto fra le mani, singhiozza, Silvio raccoglie le lettere; ma, sconcertato, ammonito dalle parole e dal pianto di lei, frena l'avidità di leggerle tutte. Paurosamente si limita a guardarne appena qua e là alcune; poi subito se le ficca in tasca. Il suo volto s'illumina di gioia. Piano piano, i singhiozzi di Clara cessano. Egli, mortificato, le si avvicina.)
(le si avvicina, umile e affettuosissimo, con la mani giunte) Clara!...
(asciugandosi gli occhi, e assumendo di nuovo il suo contegno altero) Basta ora! Non ne parliamo più!
Almeno... posso chiedervi scusa?
No! perchè, tanto, la partita è saldata.
(perplesso) Che intendete dire?
Intendo dire che io ho mantenuto il mio giuramento.
(sbarrando gli occhi) Quale?
Ah! Non lo ricordate il nostro patto?
Volete farmi paura!
Voglio essere sincera. Io vi giurai che il giorno in cui voi mi avreste accusata veramente, io mi sarei veramente decisa a tradirvi....
Clara, per carità, non ricominciamo....
Non c'è nulla da ricominciare. Mi accusaste sul serio? E l'amante, che vi dovevo, l'ho scelto, e l'avrò!
No!
Sì.
(con uno slancio di stupore e d'indignazione) Ma chi è dunque?
Cercatelo.
Il suo nome?
Cercatelo.
Ma no!... Non è possibile!... Gino Ricciardi non è — e non ce ne può essere un altro!
Chi lo dice?
Lo dico io, che in tutto questo tempo non ho fatto che spiarvi....
Bravo! Sempre lo stesso!
.... non ho fatto che seguirvi, non ho fatto che indagare.... E se qualcuno fosse già o stesse per diventare il vostro amante, parola d'onore, Clara, (con forza) io lo conoscerei!
Ecco come siete voi altri mariti! Le vostre mogli vi sono fedeli sino all'eroismo?, e voi le credete traditrici. Vi tradiscono davvero?, e voi avete le traveggole!
Ma di che volete convincermi?
Della verità!
(tra l'angoscia, l'orrore e la speranza) Ebbene, giacchè io non so trovarlo questo vostro amante, abbiate voi il coraggio di compiere la confessione, e ditemi: — chi è?
(sempre seria, fredda e fiera, gli si accosta e quando gli è molto vicino gli dice sul naso seccamente, con una rabbietta selvaggia:) Sei tu!
(inebriandosi) Ah! Clara! Clara! Tu sei un angelo!
(severa) Un poco meno d'un angelo: sono una donna. Modera il tuo entusiasmo, e comprendimi. Dovevo scegliere per amante un uomo che mi piacesse quanto tu m'eri piaciuto. Ho cercato, sai, ho cercato, e, mio malgrado, ho dovuto... scegliere te. Se io fossi la moglie d'un altro, tu saresti il mio amante. (Con rammarico, quasi con dolore) Sei quindi il solo uomo con cui io possa tradirti. Disgraziatamente, è così.
(di scatto) Sottigliezze! Sottigliezze! Io non sono forse tuo marito?
Ah no! Ho sentito di poterti essere infedele dal momento che mi hai accusata.... Ho sentito di non poter essere più tua moglie dal momento che hai accettato il mio amore sospettandomi ancora colpevole. Dapprima — intendimi bene — hai meritata la mia infedeltà; poi hai meritato d'essere niente altro che il mio amante.... — Marito!?.... Ah! no no no no! Marito... mai più!
(mutando tono) Tra qualche minuto, sarà qui Gino Ricciardi.
Lui! Sempre lui! (Con furore) Ma io lo farò pentire della sua insistenza!....
Non sei di quegli uomini che ammazzano...; e poi saresti ingiusto, visto che appunto la sua insistenza ti ha fornito le prove che desideravi.
Non lo riceverai, spero.
Lo riceverò!
Proprio questa sera?
Sì, perchè proprio questa sera io non ho più bisogno di non riceverlo, come proprio questa sera non ho più bisogno di conservare le sue lettere. Non vuoi, dunque, che io gliele renda?
(animandosi di desiderio) A condizione però che tu renda a me, prima ch'egli venga, il bacio che t'ho dato.
Adesso?!
(prendendole le mani) Adesso, Clara!... Adesso!..,
(svincolandosi e sfuggendogli) No!... Lasciami, Silvio!... Il momento non è opportuno....
(inseguendola e cercando di abbracciarla, di circondarla, di ghermirla) Per chi non è un marito... tutti i momenti sono opportuni!
(fingendo di volersi difendere) Silvio!... Silvio!.... Che fai?... Tu mi manchi di rispetto.... Tu diventi audace....
(afferrandola forte per baciarla) Divento un amante, mia cara....
No... no... Aspetta....
Adesso!... Adesso!
(annunziando con zelo energico) Il signor Ricciardi!
(Alla comparsa del servo, Clara e Silvio si distaccano, quasi mortificati. Sono tutti e due rossi in viso, commossi, vibranti. — Pausa.)
Auff!... Che caldo!...
Che caldo! (Al servo:) Passi.
E io?
Tu, presto, dammi le sue lettere, e nasconditi.
(vivacissimamente) Mi nascondo, sai... ma, quanto alle sue lettere, in fede mia, devi pagarmene il riscatto! (Scappa nella camera di Clara.)
(subito, tra sè, fermandosi un istante, graziosamente e con un lieve gesto di abbandono sensuale:) Ci casco! Ci casco! (Rincorrendolo) Silvio!... Senti... Senti... (Esce.)
RICCIARDI, la CAMERIERA, la voce di CLARA.
(in frac e cravatta bianca, e con un gran flore all'occhiello, entra brillantemente, salutando) Contes.... (Non vedendo nessuno) Be'?... (Si stringe nelle spalle. Va allo specchio, vi si guarda, ai arriccia i baffetti.)
(Dalla camera di Clara si avanza, imbarazzata, la Cameriera.)
(con sussiego) La contessa?
La signora contessa è di là, e prega vostra eccellenza di aspettare....
Tarderà molto?
(impacciata, guardando a terra).... Eh!... Non saprei....
Aspetterò.... Anzi, ditele che non si disturbi per me.... Non abbia fretta.... Faccia liberamente il suo comodo....
(non si muove, come se avesse qualche altra cosa da far capire.)
Andate, vi prego.
In verità, la signora contessa mi ha mandata via, e mi ha ordinato espressamente di non rientrare per ora nelle sue stanze... per nessuna ragione.
... Di non rientrare più nelle sue stanze! Questo vi ha ordinato?... E se capitasse qualche visita?
Per qualunque altra visita, la signora contessa stasera ha l'emicrania....
(gradevolmente sorpreso, ha un sorriso furbesco) Ah!... (Indi con affettata diplomazia) Bene! Bene!... Ho inteso.... (Congedandola con la mano) Grazie!
(tra sè, emozionato:) Possibile?... Eh!... Chi lo sa?... Queste donne!... (Riflettendo) Potrebb'essere l'effetto della mia ultima cartuccia: la partenza!... (Ha gli occhi sfavillanti di speranza, la fisonomia un po' accesa.) E perchè no?... Perchè no?... — (Fantasticando e gradatamente assumendo un'aria trionfale, si sdraia sopra una poltrona)... Eh eh! Finalmente!...
... No, Silvio... no... no... no... (Indi, una risatina, prodotta da solletico.)
(Trasalisce. — Gira lo sguardo intorno. — Comprende. Spalanca gli occhi. — Si alza. E, mettendosi il cappello, quatto quatto, piano piano, sulla punta dei piedi, se la svigna.)
Nota. — L'autore avverte che nel testo delle edizioni precedenti molte inesattezze, molti errori alteravano e, talvolta, perfino invertivano il senso della frase.
[1] | Si badi: le due persone che seggano su questa doppia poltrona devono trovarsi proprio l'una con le spalle all'altra. Si può anche comporla mediante due poltrone con le spalliere combacianti coperte di stoffe e di piccoli cuscini. |
[2] | Nota per gl'interpreti. — Dalle parole: «Via, semplifichiamo» fino alle parole: «Contessa Clara» il dialogo dev'essere un crescendo di animazione, di vivacità. Le battute debbono essere legatissime e scoppiettanti. |
[3] | Nota per gl'interpreti. Dalle parole «Ed ora ti dirò anche la causa del mio imbarazzo» sino all'uscita di Silvio il dialogo deve essere animato, molto colorito e legatissimo. |
*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK INFEDELE ***