Title: Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 4
Author: Giuseppe Bertini
Release date: September 21, 2012 [eBook #40820]
Most recently updated: October 23, 2024
Language: Italian
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DIZIONARIO
DEGLI SCRITTORI DI MUSICA
S. — Z.
DI TUTTE LE NAZIONI
SÌ ANTICHE CHE MODERNE
DELL'AB. GIUSEPPE BERTINI
MAESTRO DELLA REGIA IMPERIAL CAPPELLA PALATINA
In medio omnibus
Palmam esse positam qui artem tractant musicam.
Ter. Prol. in Phor.
QUARTO ed ULTIMO TOMO
PALERMO
DALLA TIPOGRAFIA REALE DI GUERRA.
1815.
SA - SC - SE - SH - SI - SM - SO - SP - SQ - ST - SU - TA - TE - TH - TI - TO - TR - TU - UG - UN - UR - VA - VE - VI - VO - WA - WE - WI - WO - WU - XA - XI - YO - YR - ZA - ZE - ZI - ZU
Supplementi e correzioni
Addizione
Tavola cronologica
Biblioteca scelta
Errata corrige
Sabbatini (il Pad. Luigi Antonio), di Albano, minor conventuale, e uno de' più cari discepoli del P. Martini, sino al 1780 era maestro di cappella di SS. Apostoli in Roma, e dopo la morte del cel. P. Vallotti lo fu dell'insigne chiesa di S. Antonio del suo ordine di Padova. Egli è autore di più opere teoriche e pratiche, cioè: 1. Elementi teorici e pratici di musica, Roma 1790; sono questi de' solfeggi, di cui i precetti e le lezioni sono in canoni. 2. La vera idea delle musicali numeriche segnature, in Venezia 1799; questo è un quadro molto esatto degli accordi secondo l'ordine diretto e indiretto. Abbenchè l'autore non sembri generalmente adottare le regole di successione degli accordi, lascia tuttavia scappar fuori alcune opinioni sistematiche. 3. Trattato della fuga, 2 vol. in 4º con molti esempj estratti dalle opere del Vallotti, Venezia 1801. Non sappiamo s'egli ha pubblicata l'opera, che Gugl. della Valle nelle memorie del P. Martini dice che egli teneva in pronto per le stampe col titolo di Ristretto teorico di autori diversi sopra le fughe, e sopra le proporzioni armoniche ec. Sappiamo bensì ch'egli ha diretto l'edizione, che lo stesso P. della Valle ha data nel 1801 e negli anni seguenti, de' Salmi di Marcello, edizione assai bella ed esatta. Il Padre Sabbatini ha scritto moltissima musica per chiesa sul gusto del Martini suo maestro. Nell'elogio di Jommelli scrive il Mattei, che ne' solenni di lui funerali celebrati in Napoli venne eseguita una messa del Sabbatini. Morì egli in Padova nel marzo del 1809.
Sabbatini (Galeazzo), da Pesaro, nel 1644 pubblicò in Venezia Regola facile e breve per suonare sopra il basso continuo nell'organo ec., di cui vi ha una seconda edizione in Roma del 1699, in 4º. Fu anche rinomato [2] maestro di cappella in Napoli Nicolò Sabbatini, morto dopo la metà dello scorso secolo, le di cui composizioni per chiesa ebbero gran pregio al suo tempo.
Sacchi (D. Giovenale), cherico regolare Barnabita, dell'Accad. reale di Mantova e dell'Istituto di Bologna, professore di eloquenza del collegio imperiale de' nobili di Milano e quindi rettore, vien meritamente riguardato in Italia come uno de' migliori teorici nella musica, e uno scrittore non men rispettabile per l'erudizione, che per la pulitezza dello stile. Alla cognizione delle lingue antiche e delle mattematiche egli unì un profondo studio della musica: avendo contratta amicizia non solo co' filosofi studiosi delle teorie, come il conte Giulini, il conte Riccati, il Zanotti, ma co' dilettanti e professori che esercitavano in pratica come il P. Martini, M. Pichl ed altri, non è meraviglia se di tutte le composizioni più celebri degli antichi, e de' nuovi maestri egli conoscesse il pregio, l'indole ed il carattere. Dal 1761 incominciò a pubblicare le sue dissertazioni di musica. La prima fu quella del Numero e della Misura delle corde musiche e loro corrispondenze, Milano in 8º. Quest'opera è stata criticata dall'Eximeno nell'Introduzione al suo libro dell'origine ec. p. 39. 2. Della divisione del tempo nella Musica nel ballo e nella poesia, dissert. tre, Milano 1770; a queste vanno aggiunte una Lettera al Ch. Dr. Canterzani, nella quale dimostra, che le dimensioni delle corde musicali appartengono tutte all'Iperbole posta fra gli assintoti; poi una dottissima, ed onorevolissima Risposta del Canterzani all'A., infine una Lettera del Sacchi in confutazione di certe opposizioni, che il Sig. Tartini aveva proposte incidentemente nella sua opera contro M. de la Somis. Quest'opera della divisione del tempo ec. ha avuto altresì [3] de' contraddittori come l'Arteaga (Rivoluzioni ec. t. 2, p. 231), e l'ab. Venini (Principj dell'armonia ec. p. 113). 3 Della legge di continuità nella scala musica in risposta al P. Draghetti gesuita, Milano 1771, in 8vo di cui abbiamo detto qualche cosa nel 2º t, all'art. Draghetti. 4. Della natura e perfezione dell'antica musica de' Greci, e dell'utilità, che ci potremmo noi promettere dalla nostra, applicandola secondo il loro esempio alla educazione dei giovani, dissert. 3, Milano 1778. Questo libro è assai pregevole per la molta dottrina che rinchiude, per l'eleganza dello stile, in che è scritto, e più ancora per i giusti, e saggi ammaestramenti che suggerisce. Il Requeno tuttavia trova a riprenderlo per aver egli negato il genere enarmonico a' Greci: “Non so, egli dice, come un certo P. Sacchi, uomo per altro di buon ingegno, e di colta favella, si prendesse l'impegno di persuadere il pubblico, acciocchè credesse una pura impostura de' vanagloriosi greci l'esistenza e la pratica del genere enarmonico.” (Saggi ec. t. 2, p. 163). 5. Delle quinte successive nel contrappunto, e delle Regole degli accompagnamenti; al Sig. Wincesl. Pichl ec., Milano 1780, in 8º. In quest'opera il P. Sacchi si mostra profondo teorico e pratico peritissimo: sostiene che la matematica ha poco assai da far colla musica, vi attacca il basso fondamentale del Rameau, e 'l suo sistema de' rivolti, e propone degli ottimi principj di contrappunto. Intorno alla novella dottrina de' rivolti del sullodato Rameau, del d'Alembert, di Rousseau, e di altri ingegnosi scrittori, dice egli che “richiamandola all'esame, altro a lui non sembra di riconoscervi, che errore ed inganno (p. 38), che per quanto basta alla pratica, questo già si conosceva assai chiaramente; e quanto alla dimostrazione teorica, nulla essi arrecano [4] che sia utile. Diranno forse, che intendono soltanto di mostrar il modo e l'ordine, con che le proporzioni delle corde si vanno scambiando, o come essi dicono rivoltando l'una nell'altra, secondo che o di sopra, o di sotto poste si trovano? Ottimamente. In tutte le cose l'ordine è degno di essere osservato, e considerato, ma questo ordine già dagli antichi fu esibito molto più evidentemente, con metodo assai migliore, e più comodo.” (p. 40). Se lo stordito autore delle Riflessioni critiche sul nostro Dizionario letto avesse questo dottissimo libro del Sacchi, convinto forse dalle robuste ragioni da lui addotte su questo proposito, sarebbe meno idolatra di quel sistema e del suo autore, e più rispettoso verso i grand'uomini che ne han dato a conoscere gl'inconvenienti e gli errori. 6. Lettere del Sig. Franc. Zanotti, del P. Martini, e del P. Sacchi, nelle quali si propongono, e si risolvono alcuni dubbj appartenenti al Trattato delle divisioni del tempo ec., e dell'altro delle Quinte successive; Milano 1782 in 4º. 7. Vita del Cav. Broschi detto il Farinelli, Venezia 1784, in 8º. 8. Dialogo, dove cercasi: se lo studio della musica al religioso convenga o disconvenga, Pisa 1786 in 8º. 9. Epistola in versi al Conte Giorgio Giulini, nella quale lo invita ad unirsi seco per promovere la musica sacra ed eroica, pubblicata nel t. 68 del Giornale di Pisa. Il P. Sacchi dopo la morte del conte Giulini, che oltre all'essere stato diligentissimo Storiografo di Milano, era dilettante, ed eccellente professor di musica, e suo cordiale amico esortò il cel. P. Fontana a stenderne l'elogio. 10. Specimen theoriæ musicæ, 1788, che si trova nell'ultimo tomo degli atti dell'Instituto. 11. Vita di Ben. Marcello tradotta, Ven. 1789. 12. Lettere al Conte Riccati, Modena 1788-1789. L'arte [5] musica secondo il Sacchi, appresso di noi Italiani moderni in tre differenti tempi è pervenuta al sommo grado della perfezione, ed in ciascuno di quelli ha prodotto un genere dissimile di canto e di stile: ch'egli ingegnosamente rapporta ad alcuno dei tre ordini della greca architettura. Egli attribuisce il dicadimento della musica d'oggigiorno al niuno studio delle eccellenti composizioni de' gran maestri, e al non provedersi di libri, che trattino dell'arte, alle scuole musicali che tengonsi in Italia. “Se in ciascuna delle maggiori città avessimo noi quella Società del Concerto antico, che odo essere in Londra, dove la memoria delle buone composizioni di tempo in tempo si ravviva, non mai l'arte musica pervenuta sarebbe alla corruttela, nella quale al presente la veggiamo. Gli scrittori stessi di musica generalmente sarebbono assai modesti, che la vera dottrina nelle belle arti non fa già gli uomini arroganti, ec.” Queste lettere contengono degli utilissimi precetti di pratica, e molto vi avrebbero da apprendere i giovani artisti. Il P. Sacchi è morto in Milano nel settembre del 1789 in età di 64 anni. Nella galleria dell'Instituto di Bologna si vede il suo busto con questi versi: En tibi quem sacræ extinctum flevere Camoenæ — Ille animo Saccus purus ut èloquio.
Sacchini (Antonio), nato in Napoli da onesta, ma poco agiata famiglia nel 1735 cominciò da ragazzo a studiare il violino nel conservatorio di Loreto, e alcun tempo dopo mostrando molto pendìo per la composizione, vi si occupò intieramente. In pochissimo tempo appreso avendo gli elementi, ed eziandio il disegno della progression musicale, diessi a comporre alcune arie, che trovaronsi aver molta grazia; vi si rimarcò che la misura, la progressione, l'unità e l'egualità del ritmo erano di un uomo consumato nell'arte, [6] non già d'uno scolare. Il cel. Durante suo maestro ne restò sorpreso, Mio figlio, gli disse, tu sarai un gran compositore: il che diè sommo coraggio al giovane, che da quel tempo in poi vi si applicò indefessamente, ed in cinque anni fece il corso di tutti gli studj più difficili. Durante era altresì maestro del Conservatorio di S. Onofrio, ove aveva dei discepoli della più grande espettazione: tali erano Piccini, Traetta e Guglielmi. Un giorno per dar loro dell'emulazione ed animo, Voi avete, disse loro, nel conservatorio di Loreto un rivale, cui è assai malagevole il vincere: se non fate tutti i vostri sforzi per eguagliarlo almeno, egli resterà solo, e sarà desso certamente l'uomo del secolo. Al sortire di questa eccellente scuola, non tardò Sacchini a farsi conoscere colle sue opere. Sin dal 1762 fu egli chiamato per il teatro di Roma, ove soggiornò per lo spazio di sette o otto anni. Faceva pur non dimeno di tempo in tempo alcune scorse nelle primarie città dell'Italia, e gl'intendenti furon di avviso, che se Piccini lo superava nel comico, Sacchini sorpassavalo di lunga nel tragico. L'abilità, che con un continuo esercizio aveva il Sacchini acquistata sul violino, gli diè quella facilità di spargere ne' suoi accompagnamenti l'eleganza ed il brio che vi spiccano. Nel 1769 fu scelto per succedere a Galuppi nell'impiego di direttore del Conservatorio dell'Ospedaletto di Venezia; e nel tempo che occupò questo posto, oltre alle composizioni sagre che vi publicò, ebbe l'onore di formare un gran numero di buone cantanti, tra le quali si sono distinte la Gabrieli, la Conti, Pasquali ec. In quest'occasione è da rimarcarsi, che tutti i gran compositori italiani sono nel tempo medesimo eccellenti maestri di canto: il che si confà al sistema adottato ne' conservatorj d'Italia, dove il canto, e la composizione [7] vocale sono i più essenziali oggetti, non riguardandovisi il resto se non come accessorio. Le opere di Sacchini essendo state conosciute in Londra, fecero nascer la brama agli amatori inglesi di possederlo come compositore del loro teatro. Pria di portarsi in quell'isola, fece un viaggio in Germania, passò a Stutgard ed a Monaco, dove fu sentita la sua musica co' più grandi applausi: venne poi in Olanda, e giunse finalmente in Londra nel 1771. Compose quivi pel teatro italiano molti eccellenti melodrammi tragici, come Montezuma, Perseo, il Cid, e più altri di un'estrema bellezza. Il suo soggiorno in Inghilterra sarebbe stato assai favorevole alla sua fortuna, se la passione per le donne trascinato non lo avesse in considerabilissime spese, che a tal segno lo rovinarono che a capo di alcuni anni fu costretto per i gran debiti ad abbandonare quel paese. Allora fu, che il suo amico M. Framery l'invitò di venire a Parigi verso il 1782, e scrivere per quel teatro con delle condizioni, che gli convenne accettare. Arrivato in Francia, “non tardò, dice M. Choron, di arricchire la nostra scena lirica; Renaud fu rappresentato nel febbrajo del 1783 a cui seguirono ben tosto Chimène e Dardanus. Sacchini giungendo ad un'epoca in cui Gluck e Piccini ci avevano già familiarizzati con la musica forestiera non eccitò dapprima tutto l'entusiasmo ch'egli doveva attenderne: le prime sue opere furono anche accolte con una specie d'indifferenza. Non fu così però dell'Edipo a Colone: l'interesse del poema fece sentire tutte le bellezze della musica di Sacchini; cosicchè quest'opera ottenne sotto tutti i rapporti, un meritevole successo, che si è sostenuto non solo fin al presente, ma che va a crescere eziandio di giorno in giorno. Si crederebbe tuttavia che la sua rappresentazione [8] incontrò tutte le immaginabili difficoltà, e che Sacchini per tal ragione disgustato del soggiorno di Parigi, preso aveva la risoluzione di tornare in Inghilterra, ove i suoi protettori, dopo aver pagati tutti i suoi debiti, lo invitavano di venir quivi a godere d'una sorte felice, che avevangli procurata?” Ma la morte gliene tolse il comodo; i dispiaceri che aveva provati in occasione dell'Edipo, e che la di lui sensibilità rendeva ancora più vivi, esaurito avevano le sue forze, ed egli venne a soccombere ad un attacco di podagra salitagli al petto li dì 7 ottobre del 1786, in età di soli 51 anni. Le qualità singolari di questo cel. compositore sono la facilità, la grazia e la nobilezza, che mai lo abbandonano, sino nelle più energiche espressioni, il suo canto è così facile, e così naturale, che par che si formi e da se stesso si produca in bocca al cantante. Questo canto così amabile e facile seppe egli adattare alla sua musica di chiesa, senza confondere questo stile con quello del teatro, e senza allontanarsi dalla severità ch'egli esige. Pura e svelta è la sua armonia, ed eccellente soprattutto nello stile religioso ideale, la sua orchestra è sempre brillante, sempre ingegnosa, e d'un'inimitabile chiarezza. Siccome sonava egli superiormente di violino, i suoi accompagnamenti danno gran risalto a quest'instrumento, ed egli ha dato anche dell'effetto ai secondi violini. Il lettore ci saprà buon grado di rapportar quì l'elogio che ne ha fatto il gran Piccini in una lettera da lui inserita nel giornale di Parigi, ecco le sue parole. “Che dirò io di quel gran talento che ha dispiegato il Sacchini in tutte le città d'Italia, in Allemagna, in Inghilterra, e finalmente in Francia? Quell'andamento facile, quel canto melodioso, quel carattere or grave, or allegro, brillante, patetico, amoroso, malinconico, [9] e sempre sostenuto! Quella progressione incantatrice, senza che mai venga urtato l'orecchio, fin nelle transizioni le più aspre, ch'egli ha sempre così bene preparate, e ben risolute! Quella precisione esatta, in cui nulla potete togliere, nè aggiungere, ove tutto è finito! La ricchezza de' suoi accompagnamenti, così ben distribuiti, adattati così a proposito, senza recare alcun danno alla parte cantante (ch'egli ha considerata sempre come principale), e nel grado più sublime di nobilezza! Quel superbo colorito! Quei cori, ove le quattro parti sono tanto ben disposte; ove nulla vi sta ozioso, ove aspirano tutte allo stesso scopo, ove non si distingue una sola misura inutile, ove in somma ciascuna parte forma separatamente una cantilena così ben tirata, così ben modulata, che anche isolata diviene un pezzo capitale! Io darò fine al suo elogio debole omaggio dal mio canto, ma molto ben meritato dal suo, con dir che la morte ce lo ha rapito assai presto; che con un talento così trascendente, egli era degno di più felice sorte, che meritava di essere più conosciuto, più studiato a fondo. Io priego il lettore a non volermi accusare di parzialità, o di adulazione: non si adulano i morti. Io sento, ed ho sempre sentito ciò che avanzo, e lascio al tempo ed agli intendenti la cura di apprezzar le sublimi produzioni lasciateci da sì grand'uomo.” Il dotto Carpani rassomiglia al Correggio il Sacchini, e descrivendo la facilità del suo stile, e la maniera ch'ei teneva nello scrivere: “Sacchini, egli dice, non trovava una cantilena, se non gli stava la sua bella accanto, e se i suoi gattini non gli scherzavano intorno. E ben se ne risente di questo tenero e giocoso consorzio la graziosa e seducente sua musica.” (Lett. 13). Questo valente compositore portava [10] nella società la sensibilità, che regnava nelle sue opere. Generoso, benefico all'eccesso, non era mosso che dal piacer di dare, e più spesso si sarebbe procurato un tal piacere, se meno trascurato avesse i suoi affari. Buon parente, buon amico, buon padrone; poco avanti di rendere l'estremo sospiro, con moribonda voce egli disse a un suo domestico: Povero Lorenzo, che diverrai tu ora? Uno de' suoi ammiratori ha fatto mettere il suo busto in Roma nella chiesa di S. Maria della Rotonda.
Saffo, celebre cantatrice e poetessa era di Mitilene, le lettere e la musica furono il suo trattenimento, e cercò d'inspirare questo gusto alle altre donne di Lesbo. Ella, secondo Ateneo, adoperò sempre l'instromento pectide ossia lira coperta pel canto: e come introdusse nell'ode un nuovo metro, inventò anche nella musica un nuovo modo, detto Mixo-Lydio, che fu adottato, al dir di Plutarco, da' poeti tragici come molto adatto per il patetico, e le scene lugubri. In mezzo alle lodi di tutta la Grecia, che le diè sino il nome di decima Musa, in mezzo alle spiritose sue doti personali conservò sempre un decoroso e modesto contegno; noi abbiamo riferita la passione che concepì per ella il giovane Alceo, e qual decente condotta seco lui essa tenne (V. t. 1, pag. 16). Coll'esempio di Saffo si mossero allo studio della musica molte donne, e sin da' paesi stranieri vennero ad accrescere il numero delle sue discepole, tra le quali molto si distinsero Erinna e Demofila. Quest'ultima propose a Saffo, che sarebbe alla patria di grande utilità, e di particolare onore alla loro memoria l'aprire una scuola d'arte armonica, in cui si potessero educare le giovani più civili, e più ingegnose: piacque a Saffo il progetto, e s'innalzò la scuola delle zitelle cantatrici sotto la direzione di Demofila, e secondo [11] Filostrato, sotto il consiglio di Saffo. La superiorità del suo genio servì a muovere contro di lei la rivalità, e l'odio di alcune donne potenti. Saffo oppose loro verità ed ironie, il che finì d'irritarle (Aten. l. 1). Quindi ebbe ella a lamentarsi delle loro persecuzioni; e questo divenne un altro delitto (V. Horat. l. 2, od. 13). Obbligata a fuggire, venne a cercare un asilo in Sicilia, ove dopo alcun tempo le si innalzò una statua scolpita per mano di Silanione, uno de' più celebri artisti del suo secolo, che fu poi rubata da Verre, come abbiamo da Tullio (in Verr. l. 4, c. 57). Il dotto ab. Barthelemy crede così poter smentire quel che vien detto, ch'ella s'imbarcasse per quest'isola, tratta dall'amor di Faone, che l'aveva abbandonata, ed è da osservarsi, egli dice, che tutto ciò che narrasi dei costumi libertini di Saffo, non si trova che negli scrittori di molto posteriori ai tempi in cui dessa viveva, cioè sette secoli innanzi l'era cristiana (Voyag. d'Anac. tom. 2 in not.).
Saint-Amans (Luigi Giuseppe), nato a Marsiglia nel 1749, come i suoi parenti lo destinavano al foro, entrò ben presto nel collegio per farvi i suoi studj, ove per diporto si diè a coltivare ancora la musica. A capo di alcuni anni, il suo gusto per quest'arte giunse al segno, che per impiegarvisi del tutto, lasciò il collegio, e seguì per qualche tempo una compagnia di musici italiani ad Aix in Provenza, a Nizza ed a Torino, come cembalista al teatro. Dopo otto mesi, unitosi ad un barone svizzero che viaggiava con due suoi figli, come maestro di musica, soggiornò circa a tre anni in diverse città dell'Italia, ove incoraggito da' suoi progressi, dai consigli dei gran musici ch'egli consultava, e dall'amicizia del suo protettore, formossi sull'osservazione dei capi d'opera de' più celebri maestri [12] di quel paese. Stabilitosi quindi nel 1769 in Parigi, il suo stile tanto per chiesa, che per teatro sul gusto italiano ebbe felicissimo incontro. Nel 1798 fu eletto professore al Conservatorio, posto ch'egli perdè l'anno di appresso per la riforma del medesimo: partì quindi per Brest come maestro di cappella, e nel 1804 vi compose un O filii a tre voci e cori per il giorno di Pasqua, e la Destruction de Jericho, oratorio a piena orchestra pel teatro di Brest. Nel 1807 un Te Deum a tre voci e cori, che fu ben accolto nel conservatorio di Parigi. Vi ha di lui inoltre molta musica impressa nel 1810, nel magazzino d'Imbault a Parigi, tra la quale distinguonsi trenta sonate di differenti caratteri per il piano-forte con violino e basso; sonate a quattro mani, ed una tavola elementare degli accordi, presso Mr. Porro.
Saint-Lambert (le marquis de), celebre autore del poema des Saisons e della Lettre sur l'opéra d'Onphale, sommamente lodata da Rousseau, e da Arteaga. Vi si trovano delle riflessioni molto utili a' compositori di musica drammatica: M. Suard l'ha inserita nel t. IV des Variétés littéraires.
Saint-Mard (Raimond de) scrisse una dissertazione col titolo: Réflection sur l'opéra en musique, 1741 in 12º, ch'è stata tradotta in tedesco da Hertel, e corredata di molte annotazioni.
Saint-Pern (M. de) è l'inventore dell'Organo Lyricon, che riunisce diversi instromenti da fiato in un piano-forte. M. Charles fisico nel suo Rapporto all'Instituto 1810, dice che il sistema totale di questo nuovo stromento si presenta a prima vista sotto la forma di uno scrigno a cilindro, molto ben fatto, di un legno americano, ornato di bronzi dorati: ha circa due palmi e mezzo di altezza, due palmi di larghezza, ed un palmo e mezzo di profondità. [13] All'aprirsi del cilindro trovansi due tastiere, ognuna delle quali ha il suo uffizio: ambedue si coordinano co' diversi stromenti da fiato, che fanno suonare insieme, o in disparte. La tastiera inferiore è primitivamente parte costitutiva d'un piano-forte; ma per un ingegnosissimo meccanismo, può sotto le dita del suonatore, e a suo piacere, secondo la varietà della pressione, far sentire isolatamente o il piano-forte, o il tal suono di flauto o di oboè, o rimescolar finalmente le voci loro riunite. Una dozzina d'instromenti da fiato trovansi uniti attorno al piano-forte, e sempre pronti a conversar con lui, dacchè il suonator li chiama. Vi si rimarcano tre sorta di flauti, tra quali il traversiere distinguesi per la bella qualità del suo suono; l'oboè, il clarinetto, il fagotto, i corni, la tromba ed il piffero. Le combinazioni di tutte coteste voci offrono ad un abile artista delle feconde risorse. All'estremità dell'instromento sono disposti 14 pedali, a sinistra evvi la piccola tastiera di contrabbasso, i di cui tasti premonsi col piede. Vengon poi i pedali corrispondenti a' differenti suoni che voglionsi sostituire o mescolare l'un coll'altro. Toccati a vicenda coll'uno e l'altro piede, portano fedelmente sotto la tastiera tutte le voci, che fan d'uopo al musico per recitare i suoi canti, e variarne l'espressioni. La tastiera superiore è isolata dal piano-forte, e non ha azione sopra il medesimo; ma come l'altra, ha un'organizzazione così precisa e così delicata, che per la sola differenza della pressione fa sentire a suo arbitrio o il traversiere, o l'oboè, e produce dei rinforzi mercè la riunione graduale di molti suoni, che sembrano terminarsi in un solo. La corrispondenza tra le due tastiere è tale, che possono a piacere agire insieme, o in disparte ed anche parzialmente. Cosicchè, mentre [14] la tastiera superiore fa sentire tutti gli stromenti, che le sono subordinati, l'altra ha la medesima azione sopra loro; di maniera che le due mani, alternando sulle due tastiere, vi trovano prontamente i suoni più convenevoli ai canti ed ai sentimenti, che l'artista cerca di rendere, o d'inspirare. Non ostante l'intensità delle loro funzioni, i tasti sono di una singolar arrendevolezza, anche nel massimo della loro pressione, molto in ciò differenti dai tasti de' grand'organi, la di cui asprezza è ben nota ai pratici, e stanca ben presto le dita avvezze soltanto alla leggerezza della tastiera del piano-forte. L'organo lyricon è una nuova composizione sotto molti rapporti, ed ha servito di stimolo a trovare de' nuovi mezzi di usarla. Considerando quest'instromento nel suo insieme, e ne' suoi dettagli, si vede ch'egli è stato il felice risultato di lunghe meditazioni. L'autore vi ha impiegato dieci anni di fatiche, e di ricerche, molto denaro e più ancora d'intelligenza, e di sagacità.
Sala (Nicolò), uno de' più dotti allievi del gran Leo, era maestro di cappella, professore nel Conservatorio della Pietà in Napoli quivi morto nel 1800 in età di presso a cent'anni. Egli aveva consagrato il corso d'una lunga e laboriosa vita alla formazione di una serie seguita di modelli su le parti tutte della composizione. Nel 1794, questa preziosa fatica fu pubblicata a spese del nostro Sovrano, sotto il titolo di Regole del contrappunto pratico, e l'edizione era di una magnificenza estrema. Questo novello codice della composizion musicale già veniva accolto con gradimento dall'Europa, quando una funesta avventura sopraggiunse a rapirlo all'espettazion generale. In mezzo ai disordini che rovesciaron l'Italia nel 1799, la città di Napoli fu messa a sacco: i rami dell'opera [15] di Sala conservati nella R. stamperia, furono tolti via e dispersi, e 'l frutto d'immense fatiche, d'immense spese, distrutto in un sol momento, parve ridursi al nulla senza riparo. In tale circostanza, credè M. Choron non poter fare cosa più utile ed onorevole che dirigere le sue cure alla ristorazione di questo monumento. Ma al momento di porre in effetto tale impresa, dar gli volle, mercè degli importanti miglioramenti, tutto quel grado di utilità di cui era suscettibile. Cosicchè, senza permettersi di fare il menomo cambiamento all'opera di Sala, senza confondere in modo alcuno il suo travaglio con le addizioni, che sembravangli indispensabili, ordinò le cose in maniera che tutte le cognizioni che formano l'arte del compositore, oggetto essenziale dell'opera, presentate vi fossero con tutto l'ordine, e con tutta la profondità che esigono queste materie, e che le cognizioni relative alle altre parti della musica, che qui non sono se non se oggetto accessorio, fossero brevemente esposte, ma con tutta la chiarezza e l'estension necessaria. Tale è lo scopo che si propose M. Choron ne' suoi Principj di composizione delle Scuole d'Italia, opera classica, formata dalla riunione de' modelli di Sala, Martini, ed altri rinomati maestri, Parigi 1809, 3 vol. in fol. di 1456 rami. Questo si è il solo corpo di dottrina compiuto intorno all'arte della composizione. Noi ne abbiamo parlato abbastanza all'art. Choron.
Salieri (Antonio) nacque a Legnano nello Stato Veneto li 29 Agosto del 1750 da un ricco negoziante. All'età di undici anni cominciò a prender lezioni di cembalo; ma crebbe talmente la sua passione per la musica, che alla morte di suo padre, cui perdette all'età di quindici anni, consacrossi intieramente a quest'arte. La protezione [16] di Mocenigo, patrizio Veneto, gli offrì l'occasione di rendersi a Venezia per continuarvi i suoi studj. Giovanni Pescetti maestro di cappella in S. Marco, fu il suo primo maestro, e morto costui, Salieri scelse Pietro Passini. Il cel. Gasman essendosi portato in quel tempo a Venezia, il giovane Salieri fecesi da lui eziandio istruire sul cembalo e nell'arte di cantare. L'affezione che egli prese al suo maestro lo determinò ad accompagnarlo in Vienna, col permesso del suo protettore, per prendervi ancor lezioni nell'arte della composizione. Giunse egli in Vienna nella primavera del 1766, e vi dimorò per otto anni di seguito approfittando delle lezioni di Gasman sul contrappunto. Alla di lui morte Salieri divenne maestro della cappella, della musica di camera e del teatro di Vienna, ne' quali posti fu ajutato da' consigli del cel. Gluck. L'età e le malattie avendo ridotto costui nell'impotenza di soddisfare al pubblico di Parigi, che non desisteva dal chiedergli delle nuove composizioni per i teatri di quella città, Salieri fu quegli, che compose per lui l'opera intitolata les Danaides, sotto gli occhi di Gluck, e secondo le idee che date aveagli sulla maniera di trattare quel dramma. Gluck gli rese allora l'attestato, ch'egli aveva saputo familiarizzarsi colla sua maniera, e 'l suo stile, il che era riuscito impossibile a verun tedesco. Credevasi frattanto in Parigi, che Salieri non aveva altra parte che nel terzo atto di questo dramma. L'artifizio ebbe un compiuto successo. Salieri venne nel 1784 in Parigi colla sua opera, che fu assai volte eseguita dinanzi la famiglia reale, e sempre con esito vieppiù fortunato. La regina stessa degnossi ancora cantarvi qualche volta. Finalmente quest'opera fu eseguita sul gran teatro della capitale. I critici riconobbero sin d'allora ne' [17] dettagli, principalmente ne' recitativi e nel canto, uno stile particolare, e convennero ch'egli annunziava il più distinto talento. Non fu se non dopo la decima terza rappresentazione che Gluck in un indirizzo al pubblico di Parigi, dichiarò Salieri solo compositore delle Danaidi. La direzione dell'opera gli pagò una somma di diecimila franchi, ed altri tremila per le spese del viaggio. La regina gli fece altresì un considerevolissimo dono, e l'incisore pagogli la partitura duemila franchi. Prima di partire per Vienna, la direzione dell'opera gli commise ancora di scrivere gli Orazj e Curiazj. Alcun tempo di poi, egli compose pel teatro di Vienna la musica del dramma Axurre di Ormo; per il quale l'Imperatore Giuseppe II donogli 200 ducati, ed una pensione di altri 300. Poco dopo sposò egli una damigella, che gli recò una pinguissima dote. Salieri è attualmente in Vienna, maestro di cappella dell'Imperatore d'Austria: egli ha scritto molta musica sì per chiesa che per teatro, per tutta l'Europa celebratissima. L'oratorio della Passione del Metastasio posto da lui in note è un capo d'opera; vi ha in questo una fuga bellissima, che veniva lodata molto dall'Hasse medesimo. “Un bello esempio dell'economia e del buon uso che dee farsi degli strumenti da fiato, dice il dotto Carpani, trovasi nel Cesare in Farmacusa del profondo maestro Salieri, che applicò con tanta felicità la metafisica alla sua arte. Egli acciocchè una sortita furiosa di Cesare nel finale del primo atto facesse più colpo, sospese per molti tempi dello stesso pezzo di musica tutti gli strumenti da fiato e particolarmente le trombe, e fe' tacere i timpani, e li adoprò poi tutt'insieme al luogo sopra indicato con stupendissimo effetto. Non è a dirsi qual energia riceva la musica da quella sortita improvvisa [18] di strepito marziale. Ho sempre sentito fremere l'udienza a quel passo, il cui incanto sta tutto nell'artificio riferito, e che il più degli ascoltanti non si curano nemmeno d'indagare d'onde venga.” (Lettera X). Racconta lo stesso Carpani che il grand'Haydn aveva in sommo conto Salieri, e che a lui affidò egli sempre la direzione de' suoi due capi d'opera, la Creazione e le quattro Stagioni (Lettera XIV). La maniera che usa Salieri per eccitare la sua fantasia nel comporre, così vien descritta da quel lepidissimo scrittore. “Salieri, egli dice, il maestro della ragione, deve fecondare la sua fantasia coll'uscir di casa, scorrer per le vie più frequentate della città masticando confetti, e col suo graphiarium, e la cannuccia nelle mani gli è forza notar subito le idee felici, che a volo gli passan pel capo.” (Lettera XIII).
Salinas (Francesco), spagnuolo nativo di Burgos, professore di musica nell'università di Salamanca, divenne cieco sin dall'età di dieci anni, ma non fu perciò meno abile nelle scienze e nella musica. Egli è autore assai celebre di sette libri de Musica pubblicati nel 1577, che di tutti gli scritti armonici del secolo XVI, dice l'ab. Andres, ebbero una fama più universale, e hanno poi conservata più durevole riputazione. Questo illustre cieco, profondamente istruito nella musica pratica, e nella teorica, ed altresì erudito filologo, poeta filosofo e matematico, che a giusto titolo da molti vien detto il moderno Didimo, e potrebbe anche chiamarsi lo spagnuolo Sanderson, dopo lungo studio de' greci e de' latini, dopo lunghe meditazioni, e dopo continuo esercizio lasciò a' posteri in quella dotta opera quanto l'erudite ricerche, e l'attente speculazioni nel lungo corso di cinquanta e più anni avevano suggerito su la pratica, e su la teorica [19] della musica (Dell'origine ec. t. 4). Assai ragionevole è l'encomio, e la critica che di questo suo illustre compatriota ha fatto il Requeno. “Un solo cinquecentista, egli dice, rispettabile pe' suoi lumi, per la sua latina favella, per la sua coltura, per la disinvoltura del suo spirito, per la sua erudizione, per la maestrevolezza dell'arte armonica sarebbe stato capace di ravvivare tutta la greca armonia, se la preoccupazione a favore della musica moderna da lui mirabilmente ben avviata e corretta non lo avesse impegnato in volerci far vedere, che le nostre corde armoniche, ed il nostro ritmo poco sono dissimili dall'antico. Cotesto cel. scrittore gli è lo spagnuolo Salinas. Nessuno creda, che io lodi per ispirito di patriottismo; e chi ne dubita, lo prenda in mano, e mi dica se fra tutti gli spositori della musica greca si ritrovi l'eguale fra moderni. Il trattato di Vossio sull'antico ritmo, ove mettasi al confronto del trattato di ritmo di Salinas, scomparisce affatto. Vossio niente insegna; Salinas tutto analizza. Vossio tesse il panegirico da colto grammatico; Salinas tesse l'arte dell'antico ritmo poetico da pratico, Vossio parla da oratore con lodi generalissime: Salinas da intelligente delle più picciole differenze mostra quanto è degno di lode nel greco ritmo. Egli è però da dolersi, che Salinas non osservasse, che oltre il ritmo poetico da esso così bene analizzato, esisteva il ritmo musicale, di cui non ci disse parola. Salinas nell'esame delle corde armoniche, diede troppo a' numeri, ed alle proporzioni, niente agli sperimenti, e poco all'autorità de' greci armonici; quando doveva dare anzi tutto ai testimonj di questi provati prima cogli sperimenti; ai numeri quant'essi richiedevano e nulla più; e niente poi affatto a quelle proporzioni, colle quali la scuola Alessandrina nella decadenza [20] della greca armonia oscurò ed imbrogliò il semplicissimo musico sistema di Aristosseno, e del secolo d'oro de' Greci. La è cosa parimente da dolersene, che questo insigne scrittore non siasi tutto impiegato in analizzare i Greci, in costruire un monocordo per le prime pruove, in fare poi lo stromento chiamato Canone minutamente descritto da Tolomeo, e in avanzare altri passi richiesti per la genuina intelligenza de' greci scrittori. Ma forse pel vanto, che esso erasi procacciato nella pratica del moderno contrappunto, non volle esporre il suo sapere al pericolo di detestarlo; nè mai gli cadde forse anco in pensiero di fare uno stromento armonico con tutte le corde eguali sì in lunghezza, che in grossezza, come praticarono i Greci: forse non seppe concepir la maniera, con cui esso potesse suonarsi.” (Pref. ai Saggi ec. pag. XIV).
Salomo (Elia), prete francese del sec. XIII: nel 1274 dedicò a Gregorio IX un libro: De Scientiâ artis musicæ, che si era conservato manoscritto nella bibioteca Ambrosiana in Milano, donde lo ha tratto l'ab. Gerbert, inserito avendolo nel terzo tomo della sua collezione degli antichi autori di musica. L'Aut. vi tratta del numero delle chiavi, de' tuoni, delle figure, della dottrina del canto, e della maniera di cantare a quattro voci, ec.
Sammartini (Gio. Batt.), maestro di cappella assai celebre del suo tempo, e uomo singolare, nacque in Milano verso la fine del secolo XVII; fu prima suonatore d'oboe, e poi di violino. Devesi a lui l'uso del mordente, delle note sincopate, delle contro arcate, e delle punteggiature continuate, le quali grazie, se pure si conoscevano, non erano in grande uso: egli le introdusse nel violino, come è facile di rilevare dalle sue composizioni confrontate con quelle de' precedenti scrittori. Sammartini, [21] dotato d'ingegno creatore, imparò il contrappunto da se, e si diede a scrivere musica instrumentale, singolarmente dei trio, e delle sinfonie. Il Generale Pallavicini, governatore di Milano, gli fece comporre le prime sinfonie a grande orchestra. Si sonavano esse in buona aria sulla mezzaluna della cittadella a divertimento dei cittadini che a diporto trovavansi nella sottoposta spianata le sere d'estate. Il Paladini, che morì troppo giovane, il Lampugnani, che il primo cominciò a lussureggiare negli accompagnamenti delle arie, ed altri gareggiavano su quel parapetto, divenuto sede e teatro di una guerra tutta piacevole col Sammartini, il quale tutti li vinse per la copia, il fuoco e la novità, sebbene rimanesse molto al di sotto del Paladini e degli altri per la scienza degli accordi. Fu in quelle sinfonie che si sentì per la prima volta il gioco separato dalle viole che da prima suonavano col basso, e che udironsi movimenti continuati di violini secondi, i quali si fecero con bella novità scorrere per un modo tutto diverso di quello dei violini primi. Anche il Sammartini aveva pratica cognizione di tutt'i strumenti, e fu da lui che la apprese, il Gluck, stato per più anni suo scolare. Se a questi pregi unito avesse il Sammartini una più fondata teoria, e una maggiore applicazione avrebbe avuto l'Italia il suo Haydn, prima che lo avesse l'Alemagna. Il Sammartini non fu sì felice nella musica vocale come lo era nella strumentale. Eccitato dai generali voti della sua patria, compose un'opera seria per quel teatro, e non piacque punto. Che anzi era egli il primo a burlarsi di se medesimo quando si rammentava quella sua produzione. Fu però essa la prima e l'ultima di tal genere, mentre non volle più comporre pel teatro, e fuori di qualche oratorio sacro, non abbiamo di lui altra cosa drammatica. [22] Egli, come dissi, fu maestro del Gluck per dieci anni, e basta confrontare la musica instrumentale di Gluck con quella del maestro per capire quanto gli dovesse. L'Haydn stesso molto apprese per la parte ideale osservando le opere del Sammartini, benchè più volte detto avesse al suo amico Carpani non dover nulla a lui, aggiungendo di più ch'egli era un imbroglione. Ma confrontando le prime composizioni dell'Haydn con quelle del Sammartini si vedrà di quante idee, di quante bizzarríe e di quante invenzioni di questo rinomato scrittore si giovasse l'Haydn, non già da vile plagiario ma da maestro. Il Misliwechek trovandosi in Milano ad una accademia, e sentendovi alcune vecchie sinfonie del Sammartini, della di cui musica non aveva in prima contezza, proruppe in questa esclamazione: ho trovato il Padre dello stile d'Haydn! Il maestro Venceslao Pichl inclinava anch'egli alla opinione del suo patrioto; ma l'Haydn era troppo buon contrappuntista e troppo amico dell'ordine, e di quella regolata condotta che si trova in uno stile puro e ragionato, per imitare di proposito quel capricciosissimo milanese che nel creare non badava più che tanto alla tessitura, ma seguitava all'impazzata gli impeti della sua fervida fantasia, e quindi aveva quà e là dei lampi bellissimi, contigui a masse tenebrose di nubi. Il conte d'Harrach governatore della Lombardia Austriaca portò il primo a Vienna la musica del Sammartini, la quale subito ottenne applausi e voga in quella gran capitale. Il conte Palfi, il conte Schönborn, il conte di Mortzin, ed il principe Esterhazy facevano a gara in procurarsene della nuova, e quest'ultimo signore destinato aveva in Milano un banchiere per nome Castelli a pagargli otto zecchini d'oro per qualunque composizione gli desse [23] per sua altezza. Il dottor Burney conobbe il Sammartini in Milano nel 1770, e scrive ne' suoi Viaggi pag. 95 di avere inteso una messa seguita sotto la sua direzione nella chiesa del Carmine. “Gli accompagnamenti, egli dice, erano ingegnosissimi, pieni di brio e di un fuoco tutto proprio di questo compositore. La parte instrumentale delle sue composizioni è fatta a maraviglia. Nessuno degli esecutori può restare lungamente in ozio. I violini soprattutto non hanno mai riposo; si potrebbe per altro desiderare ch'egli ponesse la briglia al suo pegaso, poichè sembra portarsi seco il cavaliere fuggendo di scappata. E per parlar fuori di metafora, la sua musica piacerebbe ancor più se fosse meno ricoperta di note e men ripiena di allegri; ma l'impetuosa foga del suo genio lo sforza a percorrere una successione di rapidi movimenti, la quale alla lunga, stanca l'esecutore e l'uditorio.” Alla pag. 103 parlando d'un'altra messa del medesimo dice, “Il Sammartini mi ricompensò de' movimenti posati de' quali mi aveva defraudato nella messa di giovedì, mediante un adagio che era veramente divino.” Rousseau nel suo dizionario parlando di composizioni eccellenti non ne nomina, in monte, che due, Un adagio, dic'egli, di Tartini, un andante di Sammartini, e di fatti questi suoi andanti eran degni di Anacreonte. Questa piccola biografia deesi all'erudito Carpani, giacchè la fama, egli dice, non ha parlato di lui quanto meritava (Lettera IV).
Sancho (Ignazio), negro della Guinea stabilito in Londra, ove fecesi cristiano, e coltivò con successo le scienze e la letteratura. Morì egli nel 1780. Fra le altre sue opere vi ha di lui Theory of music (Teoria della musica), London 1776, ch'egli dedicò alla principessa reale. Nelle belle arti possedeva un tatto, ed un [24] gusto così delicato, che gli artisti medesimi si davan premura di consultarlo.
Santarelli, maestro della cappella del Papa a Roma e cappellano dell'ordine di Malta, ad una straordinaria abilità e consumata esperienza nella pratica della musica e del canto univa delle profonde cognizioni nella teoria e nell'istoria dell'arte. Nel 1764, pubblicò egli in Roma il suo trattato della musica di chiesa dalla sua prima origine sino a' nostri giorni, col titolo: Della musica del santuario, e della disciplina de' suoi cantori. Il secondo volume è del 1770. Egli comunicò anche al Dr. Burney in Roma un altro suo libro intitolato: Estratto di alcune notizie storiche appartenenti alla facoltà musicale, d'onde cavò l'inglese storico della musica l'origine de' primi eunuchi italiani. Ecco le proprie parole del Santarelli. “P. Girolamo da Perugia, prete della congregazione dell'oratorio fiorì nel sec. XVII. Fu eccellente cantore della parte di soprano, e fu il primo evirato che avesse luogo nella cappella pontificia, avendo fino allora servito la cappella in qualità di soprani i nazionali spagnuoli con voce di falsetto. Il prelodato padre fu ammesso tra' cantori pontificj nel 1601, e morì nel 1644.” Si vede da questa notizia, che non si esigevano allora da un prete tutte le qualità che gli sono necessarie oggigiorno, come l'erano nell'antica legge; e che non si era adottato ancora in Roma in tutto il suo rigore il divieto del Deuteronomio, cap. 33, v. 1. Santarelli è autore altresì di alcune Lettere su i compositori per chiesa, e sulla moderna musica sagra, che l'ab. Gerbert ha inserito nel 2º tomo della sua storia.
Sarro (Domenico), stimatissimo compositore in Napoli, e uno de' primi maestri a porre in musica i drammi di Metastasio: la sua Didone scritta pel teatro di Torino è del 1717. Quanz, [25] che sentì una sua opera in Napoli nel 1725, afferma aver egli seguito la maniera di Vinci. In Alemagna levò gran grido la sua musica per chiesa. Sarro e Porpora furono i primi che si studiarono a semplificare l'armonia, e a ripulire la melodia.
Sarti (Giuseppe), nato a Faenza nel 1730, fu da prima maestro di cappella del conservatorio della Pietà a Venezia, che formò la sua gran riputazione nell'Italia. Alle sue composizioni davasi il nome di musica divina: tutti i teatri faceano a gara per avere sua musica, e a lui non bastava tempo per comporne. Nel 1782 fu scelto per esser maestro di cappella del Duomo di Milano, malgrado il concorso di molti altri gran maestri. Tra le sue opere quella che fece più strepito fu Giulio Sabino, ch'egli aveva composto nel 1781, pel teatro di Venezia; e che fu impressa a Vienna nel 1784. La sua celebrità giunse fino al nord. L'imperatrice delle Russie lo chiamò a Pietroburgo, dove egli pervenne nel marzo del 1785, e diè principio da un concerto spirituale composto di una musica di venerdì santo, e di alcuni salmi in lingua russa; fu essa eseguita da un'orchestra di 66 cantanti, e cento corni russi, oltre gli ordinarj strumenti da corda e da fiato. Tuttavia non essendosi creduto colà romoroso abbastanza quel concerto, aggiunse egli de' colpi di cannone a un Te Deum, che fece eseguire per la presa d'Okzakow. Questi cannoni di diverso calibro, situati nella piazza del castello, e servendo di basso a certi pezzi, formavano una musica assai bizzarra. Dopo la rappresentazione dell'Armida nel 1786, l'imperatrice gli diè in dono una superba scatola d'oro, e un anello di diamanti; il nominò direttore del conservatorio di musica, con l'onorario di 35mila rubbli, oltre l'alloggio, e altri 15mila rubbli d'indennità pei [26] suoi viaggi, e lo innalzò al rango della prima nobiltà. Tra le sue numerose composizioni sono da rimarcarsi per chiesa un Confitebor a sei per soprani e contralti; un simile Dixit col Gloria a nove; un Miserere con viole violoncelli e contrabbassi. Pel teatro le Gelosie villane opera buffa su i teatri di Germania ebbe particolarmente gran successo: Giulio Sabino; Fra due litiganti il terzo gode, 1787 in Vienna; Armida e Rinaldo, 1786. Le seguenti opere si danno tuttora ne' teatri allemanni, l'Incognito, gli Accidenti non provisti, l'Ipocondrico. Deesi in oltre al Sarti il far rivivere lo stile e 'l gusto per le Cantate da camera (M. Ginguené Encycl. méthod). Egli ha posto in questo genere di musica le bellissime canzonette del Metastasio, e le ha espressamente composte per la voce de' Pacchiarotti, de' Marchesi, e de' Rubinelli. Si comprende facilmente qual esser dee la perfezione d'una musica da camera fatta da un simil maestro, ed eseguita da tai cantanti. Racconta il Carpani, che Sarti si vantava d'insegnare in poche lezioni a chiunque la maniera di comporre per basi numeriche; ma chi ne fece la prova non ne ottenne che la persuasione, che nel Sarti questo gioco altro non era che un facile mezzo per trarre di molto danaro dai grandi con poca fatica; ma che i suoi capi d'opera con tutt'altro venissero composti, che per via di fredde combinazioni aritmetiche (Lett. 3). Narra egli inoltre che nel comporre voleva una camera grande, vuota, ed oscura; funebremente rischiarata da una solitaria lampada appesa nel mezzo, e soltanto nella più alta notte, e nel più cupo silenzio trovava i pensieri musicali. Di questa fatta scrisse il Medonte, tessè il rondò mia speranza, e la più bella aria che si conosca, voglio dire, la dolce compagna (Lett. 13). Il tedesco Gerber mostra di [27] non fare gran stima del genio di Sarti: si sa non per tanto che il cel. Haydn faceva il più gran caso di questo compositore, e sopra tutto del suo Giulio Sabino. In Italia godè Sarti della più alta celebrità, e le sue composizioni vengono ammirate per uno stile or energico, or tenero, e sempre ben adattato alle parole. Carpani lo chiama il Domenichino della musica, ed al pari del Paesiello, e dell'Haydn eccellentissimo nell'unire alla verità delle idee, all'unità del pensiero, alla convenienza dello sviluppo il pregio della naturalezza. Sarti morì a Pietroburgo nel 1802, in età di 74 anni.
Sarti, fratello del precedente, e per quanto ho inteso dire, fu dapprima gesuita. Venne quindi a stabilirsi in Pietroburgo, e divenne membro di quell'accademia delle scienze. Negli atti della medesima trovansi dei sperimenti, e delle osservazioni di Sarti sull'acustica, comunicate all'accademia li 19 ottobre 1796 (V. Nov. Act. Acad. Petropol., e Chladni Acoust. p. 7, 84, 253).
Saunders è autore di un'opera, che ha per titolo Treatise on theatres including some experiments on sound, London 1790 in 4º, cioè Trattato sui teatri contenente alcuni sperimenti intorno al suono. M. Chladni lo cita con elogio alla p. 302.
Sauveur (Joseph), professore di mattematiche a Parigi, e dell'Accademia delle scienze, gli si dee la gloria di aver fatto della teoria delle corde vibranti, e della sua applicazione alla musica, uno degl'importanti rami della fisica, e di averlo unito alla meccanica. Egli amava molto la musica, benchè non avesse avuta nè voce, nè orecchio, e cercò di trovar i mezzi di semplificarla mediante l'idea di uno stesso tuono generale e fisso per tutti i strumenti e tutte le orchestre del mondo. Il suo sistema generale de' suoni si [28] trova nelle memorie della surriferita accademia. Aveva ancora proposto una maniera di scrivere la musica sopra una sola linea, ed inventato un cronometro. “Nuova lingua musicale più distesa, e più comoda; dice l' ab. Andres, nuovi caratteri, nuove regole, nuove divisioni de' suoni, nuovo sistema d'intervalli, ed in somma una nuova musica, o per dir meglio un'acustica, di cui la musica non è che una sola parte, sono i frutti delle sue speculazioni, e che voleva portare alla sua maturità e perfezione. Egli era in verità un fenomeno strano e maraviglioso, che il Sauveur, come dice il Fontenelle (dans l'eloge) non aveva voce, nè orecchio, e non ad altro pensava che alla musica, era ridotto a prendere in prestito la voce e l'orecchio altrui e ne rendeva in cambio dimostrazioni sconosciute a' musici, che gli prestavano quell'ajuto. Se il Sauveur avesse potuto condurre al bramato termine le divisate teorie, se la morte non l'avesse rapito nel corso delle sue meditazioni, sarebbe egli stato il Newton dell'acustica, e noi avremmo questa scienza ridotta alla perfezione dell'ottica. Or non di meno dobbiamo alla sua diligenza molte scoperte su varj accidenti della propagazione del suono, molte osservazioni su gli instromenti da corda e da fiato, e molte curiose ed utili cognizioni su varie parti della musica e dell'acustica.” (Dell'origine ec. t. 4). I trattati sulla musica di M. Sauveur sono tutti inseriti nella storia dell'Accademia, eccone i titoli: Principes d'acoustique et de musique, ou Système général des intervalles des sons et son application a tous les systèmes et instrumens de musique, 1701. Application des sons harmoniques à la composition des jeux d'orgues, 1702. Méthode général pour former les systèmes tempérés de musique et du choix de celui qu'on doit suivre, 1707. Table générale des systèmes [29] tempérés de musique, 1711. Rapport des sons des cordes d'instrumens de musique aux flèches des cordes et nouvelle détermination des tons fixes, 1713. M. Sauveur morì nel 1716.
Say (Samuele), ecclesiastico di Londra, ivi morto nel 1745, si distinse per le sue virtù, e per le vaste sue cognizioni: era molto perito delle mattematiche, e buon letterato aveva sommo gusto per la musica e la poesia. Egli avea scritto alle preghiere di Richardson due Saggi sull'armonia, sulla varietà e 'l potere de' numeri, che furono pubblicati dopo la di lui morte in un volume in 4º, Londra 1749.
Scarlatti (cavalier Alessandro), nato in Napoli, fu allievo in Roma del Carissimi, maestro della cappella pontificia. Egli si rese cel. come compositore in tutti i generi: fu il primo che più contribuì a fissare e perfezionare nel contrappunto la chiarezza, l'espressione e le grazie, conservandovi sempre la nobiltà e semplicità convenevoli, onde dagli italiani veniva chiamato l'onor dell'arte, e il capo de' compositori. Fu egli altresì il primo a tentar di ritorre all'infanzia de' secoli la musica instrumentale. Prima di lui non si sentivano sui teatri d'Italia altre ouverture o sinfonie che quelle di Lulli: Scarlatti scosse il giogo, uscì in campo con ouverture di suo conio, e rispondendo il successo all'impresa, fu riputato un genio. Fu alla corte di Baviera, e in quella di Vienna dove scrisse delle opere italiane per que' teatri con esito felicissimo: venne poi in Roma e dopo aver molto composto pel teatro e per la chiesa, divenne cavaliere, e maestro di cappella della corte di Napoli, ove passò tranquillamente il resto de' suoi giorni, ed impiegò i suoi talenti a formare degli allievi degni di lui. Tra questi distinguonsi il Sassone, il Durante, ed altri rinomati maestri. Scarlatti, [30] fu singolarmente il compositore più fecondo, e più originale di cantate per camera. Il suo genio era effettivamente creatore; alcune collezioni manoscritte, notate di sua mano con la data di ciascun pezzo, provano ch'egli ne componeva assai volte una per giorno. Ad eccezione di alcuni periodi, che hanno di già invecchiato, la sua cantilena ha nondimeno la freschezza della novità; e vi si riconosce la più parte de' motivi e de' tratti di melodia, di cui si sono serviti dopo di lui i migliori compositori de' primi 40, o 50 anni dello scorso secolo. Durante ne ha formati de' duetti; Sacchini se ne serviva per dare scuola di canto nel conservatorio di Venezia, ed al fine di ogni lezione, baciava rispettosamente il libro che le conteneva. Tutti i gran maestri hanno avuta sempre somma stima per lo Scarlatti. Hasse parlando di lui diceva, che in riguardo ad armonia egli era il più gran maestro dell'Italia; Jommelli riguardava la sua musica di chiesa come la migliore in questo genere: le sue messe sorpassano il numero di 200. Nel 1725 Quanz trovò Scarlatti in Napoli, che scriveva ancora per chiesa all'età di 75 anni, e che sonava molto bene di arpa. A Roma se gli attribuisce il merito di aver molto perfezionata la scuola di canto. A lui si deve altresì l'invenzione de' recitativi obbligati. Alessandro aveva una figlia per nome Flaminia, che cantava egregiamente: il cel. pittore Franc Solimena la ritrasse per amicizia frequentando la sua casa, insieme con suo padre al cembalo, con tal grazia ed evidenza involta in una veste da camera, che si mostra il di lei ritratto per maraviglioso a' forestieri. (V. Signorelli Coltura delle due Sicilie, t. 6).
Scarlatti (Domenico), figlio del precedente, nato in Italia nel 1683, fu mandato da suo padre a [31] studiar musica in Roma sotto Francesco Gasparini compositore e cembalista assai celebre, di cui aveva alta opinione il vecchio Scarlatti. Domenico trovandosi in Venezia nel 1709, mentre eravi il cel. Hendel, restò così preso de' suoi talenti, che venne seco in Roma per godere più lungamente del piacere di sentirlo. Venne egli di poi chiamato alla corte di Madrid per dar lezioni di musica alla principessa dell'Asturie, che continuò ancora divenuta essa regina di Spagna. Compose e dedicò alla medesima le sue opere di sonate per cembalo che furono impresse a Venezia, e divenne cavalier di S. Giacomo. Egli viveva sino nel 1757, e brillava in quella corte come gran sonatore di cembalo e compositore insieme. Il Sassone, che lo aveva conosciuto in Napoli, ne parlava ancora cinquant'anni dopo con molto entusiasmo, ed ammirava sopra tutto la sua grande attitudine e l'abbondanza della sua immaginazione. Giuseppe Scarlatti suo figlio, nato in Napoli verso il 1718, passò la più gran parte di sua vita a Vienna, ove fu stimatissimo, sì come compositore, che pel suo talento straordinario nell'insegnare il cembalo. Differente dagli altri Scarlatti, il di lui stile si distingue per la sua facilità e grazia. Egli ha scritto la musica di più drammi italiani, e serj e burleschi, pel teatro di Vienna, ove morì nel 1776.
Scarmiglioni (Guido Ant.), di Foligno, professore di filosofia e medicina in Vienna, morì nella sua patria nel 1620. La sua dissertazione De sonis gli dà il dritto di essere compreso nel numero degli autori di musica.
Scheibe (Giov. Adolfo), figlio di un cel. costruttore di organi a Lipsia, sino dall'età di 9 anni si diè allo studio della musica, senza tralasciare in seguito di coltivare le altre scienze. Ad una grande abilità sul cembalo e l'organo unì egli [32] lo studio degli autori di teoria musicale, e delle antiche partizioni, aspirando ad un posto di organista o di compositore; ma non avendo potuto nè l'un, nè l'altro ottenere, cercò di far fortuna almeno come autore. Cominciò a pubblicar dunque il suo Musico-critico, opera periodica, di cui dava un foglio per settimana. Mitzler e Schroeter gli suscitarono delle dispute per aver sostenuto, che le matematiche erano assolutamente inutili nell'arte della composizione. Alcun tempo dopo ottenne egli il posto di maestro di cappella del re di Danimarca, e nel 1745, pubblicò a Lipsia la seconda edizione in 4 vol. accresciuta di tutte le quistioni, che gli era stato d'uopo discutere. Vi si trovano in essa alcune nuove dissertazioni, del Recitativo; dell'Origine progresso e natura del moderno gusto in musica; la Critica di Mitzler con la sua risposta e note; Progetto d'una divisione della musica, ec. L'arrivo di Sarti a Coppenague fe' perdere a Scheibe in gran parte la sua riputazione come compositore. La musica leggiera e brillante di Sarti dovea necessariamente far cadere il genere grave, e pesante di Scheibe, e finì con perdere il suo posto, conservando nondimeno sino alla morte una pensione di 400 scudi. Poco prima di morire intraprese egli ancora un'opera sulla composizione musicale, che doveva contenere quattro volumi in 4º, ma egli morì immediatamente dopo la pubblicazione del primo, a Coppenague nel 1776, di 68 anni. Le altre opere di costui sono: Degli intervalli e generi in musica, Amburgo 1729, Sull'antichità e l'origine della musica, principalmente della vocale, Lipsia 1754, Sulla Composizione in musica, 1 vol. contenente la teoria della melodia e dell'armonia, Lipsia 1773, in 8º. La chiarezza e la profondità sono gli ordinarj pregi delle opere di Scheibe.
[33] Schlick (Rodolfo) è autore di un'opera latina impressa a Spira nel 1588 col titolo: Dell'origine, cultura ed importanza della musica, di cui fa menzione Christ. Aug. Heumann alla p. 270 del suo Prospetto di storia letteraria (Hannover 1746).
Schmidt (Tobia), di Nassau, è l'inventore del piano-harmonica. Quest'instromento è composto d'un piano-forte, che occupa un'estremità, e dall'altra di un'harmonica ad arco doppio e continuo, i di cui tasti sono i medesimi, che quei del cembalo: esso fila tutti i suoni a piacere, secondo la maggiore o minor pressione che riceve la tastiera. Mediante la continuità del movimento dell'arco, imita perfettamente il violino, la viola, il contrabbasso e l'organo. Il suo meccanismo è semplicissimo; gli effetti vengono espressi senza confondersi, e permettono ad un abile suonatore di disporne a suo arbitrio. La tastiera ha tutta l'arrendevolezza, che esige una mano avvezza a' più leggieri piano-forti (V. Annuaire de l'industrie française, 1811, et Archive des découvert. t. 2, 1810).
Schott (Gaspare), gesuita alemanno, fu per più anni professore di mattematica nel collegio di Palermo, e quindi a Wirzburgo, ove morì nel 1666. Il nono libro del suo Organum mathematicum pubblicato dai gesuiti dopo la di lui morte nel 1668, tratta della composizione musicale ne' due primi capitoli: nel terzo della definizione e divisione della musica, de' suoni, degli intervalli, e de' sistemi e generi musicali; nel 4º Della musica de' latini, e la moderna; nel 5º Di quel che si richiede per l'una e l'altra; ne' cap. 6 e 7 Della melopea, e sue regole; ne' cap. 8 e 9 Della composizione pratica del contrappunto. Si trova altresì la maniera di costruire molti stromenti automati di musica nella sua Mechanica hydraulico-Pneumatica [34] par. 3.
Schroeter (Cristoforo) fu allievo a Dresda del maestro di cappella Schmidt, e dell'italiano Lotti, che quivi era venuto a scrivere per teatro. Schroeter veniva da costui impiegato a mattere in bello le sue partizioni, e a supplirvi le voci intermedie che aveva omesse. Dopo aver viaggiato per la Germania, l'Olanda e l'Inghilterra, si rese a Jena per istudiarvi più a fondo le belle-lettere. Ben presto essendosi fatto conoscere assai profondo nella musica, gli studenti di quell'università lo impegnarono a dar corso pubblico della teoria e pratica di quest'arte. Egli aderì al loro invito facendo uso della Teoria matematica della musica e della composizione di Mattheson. Dopo alcun tempo egli ottenne il posto di maestro di musica della chiesa principale di Nordhausen, dove terminò i suol giorni assai vecchio nel 1782. Le sue profonde ed estese cognizioni, e 'l zelo con cui si applicò alla sua arte, avrebbero meritato una miglior fortuna. Un monocordo, ch'eragli stato dato da Beguisch in Dresda diegli occasione di far delle dotte ricerche su questo strumento, e i suoi calcoli di musica, di cui fè uso allorchè divenne membro della Società musicale di Mitzler. L'accordo de' clavicembali, e le riparazioni ch'era uso a fare sui medesimi, gli diedero l'agio d'inventare il forte-piano, benchè non avesse avuto nemmeno l'onore di esserne riconosciuto come il primo inventore. Egli si è reso più celebre come autore di opere teoriche: eccone i titoli: Esame del Musico critico di Scheibe, t. 2, 1746, 1754. Il numero e i rapporti degli intervalli in musica, 1752. Esame del sistema degli intervalli di Telemann, 1753. Riflessioni sulla disputa cominciata da Sorge contro le idee di Marpurg, sulla derivazione de' temi armonici, 1763. Descrizione esatta d'un cembalo nuovamente inventato, [35] e sul quale può suonarsi a piacere il forte ed il piano, con rami 1763. Istruzione sul basso continuo, Halbesstadt 1772. Hiller riguarda quest'opera come la più importante tra quelle di Schroeter. Le mie ultime occupazioni in musica con sei piani di temperamento ec. 1783. Egli ha scritto altresì la sua Biografia, e la Storia dell'armonia, nella quale fa molte ricerche sull'epoca, il luogo, da che, e in quale occasione l'armonia è stata arricchita di un nuovo intervallo o di un accordo sino allora incognito. Nulla diremo delle sue composizioni, perchè non sono conosciute in Italia.
Schuback (Giacomo), sindaco della città di Amburgo, alle sue estese cognizioni nel dritto unì uno squisito gusto per la musica. Egli sonava non solo con estrema abilità molti stromenti, e sapeva ben destramente regolare un'orchestra, ma si è ancora distinto come compositore ed autore di musica. La musica di Amburgo a lui deve l'idea della sala del concerto, di cui regolò eziandio la costruzione. Egli terminò quivi i suoi giorni nel 1784. Tra le opere che ha lasciate sulla musica, la più interessante è quella della Declamazione musicale, Gottinga 1775 di cui Forkel dà un estratto nel t. 3 della sua Biblioteca.
Schubart (Daniele), uno de' più distinti poeti dell'Alemagna, e direttore della musica della corte e del teatro di Stutgard nacque nel 1741. Egli è di un'abilità straordinaria sul forte-piano, e a giudicar dalle sue composizioni, egli è meno compositore e contrappuntista che teorico profondo, luminoso e di gusto. Nella sua Cronica Alemanna ha egli inserite molte dissertazioni sopra diversi soggetti di musica. Nel 1783 pubblicò ad Ausburgo Complaintes addressées a mon clavecin, e nel 1790 Aesthetick der Tonkunst, ossia l'Estetica della musica, opera assai dotta, e citata [36] con lode dal Dr. Lichtenthal. Saggio è il giudizio, che reca Schubart in questo libro dello stile di chiesa dell'Haydn. “Il suo stile, egli dice a carte 79, è focoso, pieno e nobile, e l'esultanza de' suoi alleluja e de' suoi amen si distingue singolarmente, se non che talvolta propende al gusto austriaco anche negli abbellimenti delle sue messe. Questi sono troppo affollati, e diminuiscono l'effetto: simili frascherie rassembrano al vario pinto abito d'arlecchino, e contaminano lo stile di chiesa.”
Schultes (Gio. Paolo), secretario perpetuo della classe delle belle-arti dell'Accademia italiana in Livorno; nacque a Techeim nel 1748. Apprese i primi elementi della musica sì vocale che stromentale da suo padre, ed ebbe lezioni di cembalo e di composizione a Erlanghen da Kehl, e da Emman. Bach. Nel 1773 venne a stabilirsi in Italia, ove i suoi talenti presero una consistenza, che sorprese lui stesso, e gli procacciò l'incoraggiamenti degli Haydn, Mozart, Paesiello, del P. Mattei, Forkel, Reichardt, ec. Nel 1782 fu chiamato dalla corte di Toscana per esservi sentito. Il gran duca Leopoldo, e l'arciduchessa sua sposa, il ricolmarono di doni, e di elogi. Egli è in commercio co' più illustri musici della Francia, dell'Italia, e della Germania. Abbiamo di lui 14 opere di musica stromentale impresse a Livorno, a Londra, a Firenze ec., di sonate per piano forte, di quartetti, di variazioni, tra le quali è da rimarcarsi la Riconciliazione di due amici, tema con variazioni per forte-piano, op. XII, dedicato ad Haydn, che l'aggradì moltissimo, e lodonne l'autore. Schultes è altresì autore di un Trattato della musica di chiesa, in 8º, Livorno 1809.
Schulz (Pietro), di Luneburgo, dopo avere studiato il contrappunto a Berlino sotto il cel. Kirnberger, entrò al servigio di [37] una principessa della Polonia, con cui ebbe l'agio di viaggiare per la Francia e l'Italia, e conoscervi lo stato della musica, e sentire i migliori virtuosi. Di ritorno a Berlino nel 1774 compilò tutti gli articoli relativi alla musica nel 2º vol. della teoria delle Belle-Arti di Sulzer, travaglio che riunì in suo favore i suffragj degli intendenti. Poco dopo fu direttore dell'orchestra del teatro francese a Berlino, e nel 1780 il principe Enrico lo nominò suo maestro di cappella; pubblicò allora la più parte delle interessanti sue opere. Nel 1787 divenne maestro di cappella della corte di Coppenhague. Gli articoli della teoria di Sulzer fanno fede delle profonde sue cognizioni in musica: ma chi vuole perfettamente conoscerlo studii le sue opere pratiche per il canto, e rimarrà convinto, che niun maestro esiste, che com'egli abbia saputo prendere in tutte le gradazioni il senso del testo, dalla canzonetta burlesca sino al canto serio della chiesa: quest'è l'opinione di M. Gerber. Le sue opere teoriche sono, oltre i sullodati articoli, Progetto d'una intavolatura nuova, ed intelligibilissima in musica, ec. Berlino 1786. Idee sull'influenza della musica per rapporto alla civilizzazione delle nazioni, Copenhague 1790. Vi ha inoltre di lui molta musica per teatro, ed instrumentale impressa a Lipsia, a Berlino e a Copenhague.
Schuster (Giuseppe), uno de' più graziosi compositori della Germania, nacque a Dresda nel 1748; suo padre, musico della camera e cappella del re di Polonia, gli diede Schurer per maestro, ma per vieppiù perfezionarsi nell'arte, fece egli col maestro di cappella Naumann nel 1765 un viaggio in Italia, ove studiò il contrappunto in Venezia sotto il cel. Girolamo Pera, profittando nel tempo stesso delle lezioni e de' consigli di Naumann. Lo stile gajo e brioso, che caratterizza [38] le sue composizioni, gli valse ne' tre anni che vi dimorò la più favorevole accoglienza su molti teatri dell'Italia. Se gli rese l'istessa giustizia al suo ritorno in Dresda, e l'elettore nel 1772 lo nominò suo compositore per chiesa, e per camera. Sul pensiero di conoscere intimamente la maniera del cel. P. Martini di Bologna, nel 1774 fece un secondo viaggio in Italia, e compose allora più opere per i teatri di Napoli, e di Venezia. In questo viaggio fu che il nostro sovrano Ferdinando lo nominò suo maestro di cappella, e compose egli la sua cel. Didone. Un nuovo invito lo ricondusse nel 1778 per la terza volta in Italia: oltre gli onori e le ricompense per le sue composizioni, egli vi godè il commercio del cel. Hasse, che in un' età decrepita viveva nel ritiro in Venezia. Nel 1781 a lui consegnò il Sassone l'ultima opera che aveva composta, cioè una messa a 4 voci per offerirla all'Elettore. Nel 1787 questo principe nominò Schuster suo maestro di cappella, e affidogli, a vicenda con Naumann e Seydelmann, la direzione della musica sì del teatro, che della chiesa. Le sue composizioni per teatro sono l'Alchimista, l'Isola deserta in un atto, Il marito indolente; Gli due avari, 1787; Amore e Psiche; la Didone; le lodi della musica, cantata che contiene tra le altre, sette arie sublimi, e di cui ve n'ha un estratto per cembalo, 1784. Per gli stromenti: Sei divertimenti per il cembalo con violino; Un concerto pel forte-piano; Recueil de petites pièces pour le clavecin a 4 mains, Dresda 1790; Alcune sinfonie. Le opere di Schuster sono pregevoli per molta vivacità ed immaginazione, e per uno stile animato e brillante. Vi s'incontrano assai volte delle idee talmente comiche, che riesce malagevole il trattenersi sul serio: così è che le sue composizioni sono oltre ad ogni credere in [39] somma stima presso i tedeschi.
Schutz (Francesco), pittore e musico cel. nacque a Francfort nel 1751. Suo padre, rinomato pittore del pari, gl'insegnò la sua arte sin dalla più tenera età, e tai progressi vi fece, che un viaggiatore di qualità seco il menò nella Svizzera nel 1777, affinchè vi dipingesse le viste assai pittoresche che offre quel paese. Da Basilea, egli portossi in Ginevra nel 1780, ove morì l'anno di appresso a motivo degli eccessi d'ogni genere, a cui abbandonossi. Il suo biografo, nelle Miscellanie di Meusel, f. 14, così dice di lui: “La sua passione per la musica era all'estremo, ed io non sapeva giudicare il più delle volte, s'egli amava più la pittura, o la musica. Il violino era il suo favorito: egli suonava a prima vista le parti più difficili, ed era in istato di proseguire per più ore senza comparirne stanco. Gl'intendenti eran di accordo ch'egli aveva il colpo d'arco fermo, nitido, e pien di vigore. Il suo suono aveva qualche cosa di particolare, che i più abili musici non potevano non ammirare.”
Schwanberger (Giov.), maestro di cappella del duca di Brunswick prese da principio Graun per suo modello, e si era reso di già familiare il suo stile, allorchè si determinò di portarsi in Italia. Studiò quindi la composizione in Venezia sotto la direzione di Latilla, e in appresso di Saratelli, maestro del conservatorio dei Mendicanti, e della chiesa di S. Marco. Dimorò quivi otto anni, e profittò così bene delle lezioni di questi gran maestri, che al suo ritorno fu generalmente stimato in Germania come uno de' primi compositori per teatro. Egli era altresì gran virtuoso sul forte-piano: il suo suono era leggiero, dilicato ed armonioso. Tra i drammi, che ha posto in musica, sono da rimarcarsi specialmente Giulietta e Romeo, l'Olimpiade [40] nel 1782. Le sue 36 sonate per cembalo sono capi d'opera nel loro genere.
Schwarz (Giorgio), dottore in filosofia e professore nell'università di Altorff pubblicò nel 1765: De musicæ morumque cognatione in 4º.
Sciroli (Gregorio) fu per qualche tempo maestro di musica del Conservatorio de' figliuoli dispersi di Palermo, verso la prima metà dello scorso secolo. Egli era della buona scuola di Napoli sua patria, ma non sortì dalla natura un gusto delicato ed originale che distingue i grandi artisti. Nel 1770 fece imprimere in Parigi sei trio per violini.
Scorpione (Domenic.), frate conventuale da Rossano nel regno di Napoli, fu maestro di cappella in Roma e nel Duomo di Messina. Abbiamo di lui Riflessioni armoniche, Napoli 1701.
Senocrito, di Locri nella Magna Grecia, nato cieco, fu poeta e musico eccellente, di cui favella Eraclide (de Polit.). Fioriva egli otto secoli innanzi l'era cristiana. (Signorelli Colt. delle due Sicil. t. 1).
Senofane, di Colofone nella Jonia, poeta musico, e fondatore della scuola filosofica d'Elea, esiliato dalla sua patria, venne a stabilirsi in Sicilia, dove per sostenere la sua famiglia, non ebbe altro mezzo che la musica. Egli andava cantando e suonando per le piazze le sue poesie, come facevano i primi filosofi. Visse sei secoli prima di G. C. (V, Laert. lib. 9. Bruker. Hist. Philos t. 1).
Seré (M. de) è autore di un Poema sulla musica, cui diè per titolo: Les Dons des enfans de Latone, Paris 1734, in 8º. Esso è diviso in quattro Canti: il suo autore ha avuto l'arte di farvi entrare di una maniera sì ingegnosa che naturale tutto ciò che la musica ha di più profondo ed astratto. Non trascura altresì la parte didattica onde vi spiega i principj dell'arte, [41] e vi unisce alcune regole della composizione. Per render queste più sensibili, egli ha fatto imprimere molti rami, dove veggonsi in dettaglio gli elementi della modulazione, e dell'armonia. Nel terzo e quarto Canto egli espone il gusto, e 'l carattere della musica italiana, ch'egli preferisce alla francese, e fa l'elogio de' gran maestri in quest'arte, come Scarlatti, Bononcini, Hendel, che sebbene tedesco, merita di essere annoverato tra gli italiani. Il Poeta, dopo avere dimostrato come il gusto italiano sparso in Francia ha contribuito a migliorare la musica, finisce con formar de' voti per la riunione delle Due Sorelle, la musica italiana e la francese. La musique n'est qu'une et ces mêmes accords par tout doivent former de semblables transports. Questo Poema ha meritato la stima e gli elogj degli intendenti, e possiam dire l'autore un degli apostoli del buon gusto, e della musica italiana in Francia.
Serre (Jean-Adam), cittadino di Ginevra, profondo nella fisica e dotto musico, era grande antagonista delle teorie di Rameau e di Tartini. Avendo viaggiato in Italia, ebbe quivi cognizione degli sperimenti del Tartini; e trovato avendo insufficienti a molti riguardi i principj del Rameau, inventò un altro Sistema misto, che non vale più, a dir vero, degli altri due. Egli pubblicò in Parigi nel 1753: Essai sur les principes de l'harmonie e nel 1763 a Ginevra: Observations sur les principes de l'harmonie, occasionées par quelques écrits modernes sur ce sujet, et particuliérement par l'article de M. d'Alembert basse fondamental dans l'Encyclopédie, le Traité de Théorie musicale de M. Tartini, et le Guide harmonique de M. Geminiani, in 8vo.
Sesto Empirico, medico e filosofo celebre per il suo pirronismo, che non bisogna [42] confondere con Sesto di Cheronea filosofo Stoico, e nipote di Plutarco, come sull'autorità di Suida ha fatto l'illustre Requeno. Egli è autore di una grande opera contro gli mattematici, o coloro che professano le scienze, Istituzioni Pirroniche in sei libri, nell'ultimo de' quali attacca la musica considerata come scienza, che tratta de' suoni, delle modulazioni e del ritmo. Egli si dichiara contro i maravigliosi effetti della musica, narrati dagli antichi scrittori, ed armato unicamente dell'acutezza del suo ingegno, e delle idee, che gli presentava in quel tempo di decadimento quest'arte, dichiara doversi avere in conto di favole le narrazioni degli antichi armonici. “Sesto Empirico, dice il sullodato Requeno, era uno di quei letterati, con cui può più la vanagloria e la cupidigia che l'amore del giusto e della verità.” (Saggi t. 1. p. 287). Egli avrebbe dovuto tacersi intorno alla musica (come ben riflettè un moderno filosofo,) pretendendo che non ve ne fosse, e che l'armonia sia una pura chimera. Nulla offende tanto quanto il carattere di un uomo che contraddice tutto per fare il bello spirito. Non si dee mai contendere contro il testimonio de' sensi, allorchè si sono prese le necessarie precauzioni per non restarvi deluso. (M. le Clerc, Bib. anc. et mod. t. 14).
Seydelmann (Francesco), nato a Dresda nel 1748, studiò da prima la musica sotto Weber maestro del re di Polonia, e 'l contrappunto sotto il cel. Naumann. Nel 1765 viaggiò insieme con lui e Schuster in Italia, ove non solo si rese perfetto nell'arte della composizione, ma eziandio in quella del canto: fu a quell'epoca che essi vennero, in Palermo, come si è detto all'articolo di Naumann. Di ritorno a Dresda, Seydelmann fu nominato nel 1772 compositore per la chiesa, e la camera di quella [43] corte, alternar dovendo tutt'i mesi col maestro Naumann, e Schuster, nella direzione dell'opera, e della musica di chiesa. Egli ha scritto la musica di alcuni drammi italiani, nel 1784 la figliuola di Misnia; nel 1786 il capriccio corretto; nel 1787 il Mostro; nel 1788 il turco in Italia. Vi ha di lui impresse a Lipsia Sei sonate a 4 mani pel forte piano, ed altre con accompagnamento di violino 1801-1807.
Shield (Will.) nel 1800, pubblicò in Londra, An introduction to harmony, ossia Introduzione all'armonìa, in 4º. Non è che un picciol libro elementare di 125 pagine. Shield era in oltre stimatissimo compositore per teatro, e vi ha di lui la musica di più drammi inglesi, e sei duo con altrettanti quartetti per violino.
Sigismondo (Giuseppe), gentiluomo napoletano, ed allievo favorito del gran Jommelli, possedeva una collezione compita delle opere di questo maestro, e proponevasi di scrivere la sua vita, non che quella de' compositori napoletani ma ne lo impedirono forse le turbolenze politiche di Napoli del 1799. Il nostro sovrano Ferdinando lo aveva costituito Bibliotecario del Conservatorio della Pietà nel 1791, a cui somministrò il Sigismondo delle rare e preziosissime carte, dice il Mattei, e per suo mezzo si è intrapresa la formazione di una Biblioteca musica con buoni auspicj. (Memor. per la Bibliot. mus. del Conserv. 1795).
Signorelli (Pietro Napoli), secretario della Real Accademia di Napoli e autore di molte stimabili produzioni, fu vent'anni in Madrid professore in quell'università coll'onorario di annui scudi 600. Nel 1786 essendo venuto a ripatriarsi in Napoli, sul procinto [44] di tornare in Ispagna, fu, come dice egli stesso (t. 4, Vicende ec. p. v.) dalla real munificenza di Ferdinando III trattenuto in sua patria. Sin dal 1777 egli aveva enunciata la sua opera, che rifusa poscia in Madrid e limitata al solo genere musicale diè al pubblico nel 1783, col titolo di Sistema melodrammatico (V. ib. in not. p. 70). Egli è anche autore delle Vicende della coltura delle due Sicilie, o sia Storia ragionata delle lettere delle arti ec., 5 vol. in 8vo, Napoli 1785, ove molte notizie ritrovansi intorno alla musica di questi due regni dall'epoca de' greci sino a' nostri giorni. Pubblicò finalmente l'eccellente sua Storia critica de' teatri antichi, e moderni, 6 vol. in 8º, Napoli 1787, e 12 vol. in 12º, Venezia 1810, con più addizioni, opera che vien riputata la migliore e la più esatta in questo genere, ed in cui vi ha una compiuta storia della musica drammatica.
Simonide, poeta musico, e filosofo nacque nell'Isola di Ceo. Egli meritò la stima dei sovrani, dei saggi, e dei grand'uomini del suo tempo. “Questo cel. musico, vedendo il pericolo che correva l'antico canto stromentale con le tragedie da recitarsi dalla parte superiore della Cartéa, ove soggiornava in Atene, mandò un pubblico invito a tutta la greca gioventù per l'apertura d'una nuova scuola di musica, innalzata all'usanza de' loro maggiori; promettendo egli d'insegnare coll'armonia la morale, la storia e la religione. Ateneo (lib. 10) allude a questa scuola, raccontandoci che Simonide per venire in città aveva un asinetto, a cui doveva alla giornata pagare la biada lo scolaro più trascurato e negligente nell'imparare la sua lezione.” (V. Requeno t. 1). Nessuno meglio di lui conobbe l'arte sublime d'interessare, e d'intenerire, e riuscì principalmente nell'elegie [45] e nei canti lamentevoli. Jerone re di Siracusa il volle nella sua corte, e ciò che assicura a Simonide una gloria immortale, si è di aver date utili lezioni a questo monarca, e felicitato la Sicilia, ritirando Jerone dai suoi traviamenti, e obbligandolo a vivere in pace co' suoi confinanti, co' suoi sudditi, e con se stesso; cosicchè sebbene cominciato avesse ad essere il tiranno di Siracusa, finì coll'esserne il padre (V. Xenoph. in Jeron.). Bacchilide fu suo scolare in Sicilia nella poesia, e nella musica, e vi si fece molto onore. Plinio attribuisce a Simonide l'invenzione dell'ottava corda nella lira. Morì egli a Siracusa in età di 90 anni l'anno 468 prima di G. C.
Simpson (Cristoforo), musico e dotto autore inglese del sec. 18, pubblicò nel 1667 A compendium of practical music, in 8º, che vien riguardato come utilissimo: e nel 1670, Introduction to composition, in 5 vol. ove trovansi i principj del suono e della composizione, l'uso delle dissonanze, le regole del contrappunto semplice e figurato, e de' canoni. Nella storia della musica di Hawkins si vede il suo ritratto.
Smith (Dr. Armando), verso il 1780 annunziò in Berlino, dove allora trovavasi, la sua Filosofia della musica pratica, ch'egli pubblicò in Vienna nel 1787 col titolo di Fragmens philosophiques sur la musique pratique, in 8º.
Smith (Robert), dottore dell'università di Cambridge, e membro della Real Società di Londra è autore di un'opera, di cui la seconda edizione è del 1760 col titolo: Harmonies, or the philosophy of sounds, in 8º, cioè Principj dell'armonia, o la filosofia de' suoni. L'autore vi fa entrare troppo di matematica, in cui gli era versatissimo, ed ha poca cognizione delle antiche teorie della [46] musica, onde poco profitto può ritrarsi dalla sua opera, tuttochè venga molto lodata nel giornale letterario di Berna.
Somis (Giov. Battista), primo violino della real corte di Torino, e de' più esimj tra i discepoli del Corelli, fondatore di una nuova scuola, che porta il suo nome, nello scorso sec. “Somis, dice il conte di S. Raffaele, riuscì veramente impareggiabile pel merito della esecuzione, ed è stato (ciò che a pochi altri addiviene) fin oltre all'anno settantesimo sì prode nell'arte sua, da non ravvisarvisi orma di senile scadimento.” (Sull'arte del suono p. 181). Vi sono di lui sei opere di sonate per violino. La scuola di Somis si reca la gloria di avere formato Giardini.
Sonnetti (J. J.), sotto a questo nome va un picciol libro intitolato le Brigandage de la musique italienne, 1777 in 8º, ove in mezzo a curiosi aneddoti vi ha un'ingiusta critica de' più celebri maestri italiani, e delle indecenze contro il rispettabile P. Martini, cui nelle memorie della di lui vita si è fatto un dovere di confutar dottamente il P. della Valle. Ecco un piccol saggio delle ciance di quest'autore. “Tutt'il contrappunto italiano, dic'egli, è oggidì ristretto sul capo d'un frate francescano; bisogna che i maestri vadano a baciargli i sandali per avere della musica, come si va al bacio della mula del papa, non dico già che questo religioso non possa essere un gran santo, ma solo che di raro addiviene, che un frate sia grand'uomo principalmente nelle arti di gusto e di genio. Benchè S. Francesco non fosse un gran musico, egli non è per tanto che da uno de' suoi conventi d'Italia escono oggigiorno quei pezzi di contrappunto vivace e voluttuoso e che seducono i cuori. Se la scuola di questo francescano è buona, [47] non vale a nulla la sua fantasia. La più parte poi de' maestri italiani portano tant'oltre la loro ignoranza sino a non conoscere i principj dell'arte loro. L'acustica che n'è la parte teorica è loro del tutto straniera ec.” Da queste poche linee ben può dedursi la sgarbata maniera di ragionare di questo larvato autore.
Sorge (Giorgio-Andrea), allievo di Walther per la musica, e di Holzhey per cembalo, era un eccellente pratico non men che profondo teorico. Egli avea fatto il suo corso di studj a Mellenbach sua patria, ed oltre un gran numero di opere da lui scritte sì pratiche che teoriche, si è ancora applicato alla perfezione degli instrumenti. Morì a Lobenstein, dove era maestro della corte, nel 1778. Sono le sue opere, 1. Genealogia intervallorum octavae diatonico-chromaticae, 1741. 2. Anweisung etc., ossia Istruzione per accordare gli organi e i cembali, Amburgo 1744. Chladni loda molto quest'opera. 3. Dialogo sul temperamento di Pretorio, Prinz Werkmeister, Neidhart e Silbermann, e del sistema moderno di Telemann, in 8º, 1748, Lobenstein. 4. Principj del calcolo razionale, della misura, e della divisione del monocordo, 1749. 5. Esame de' temperamenti del cembalo di Schroeter, 1754. 6. Compasso musicale perfezionato in f. 7. Osservazioni sul sistema degli intervalli di Eulero, Lipsia 1771. 8. Sulla natura del suono dell'organo, 1771. Istruzione nei principj del calcolo, e della geometria per i costruttori di organi, 1773. 9. Compendium harmonicum, che diè occasione alla sua disputa con Marpurg, il quale lo pubblicò col titolo di Sorge's Anleitung ec., o Istruzione sul basso continuo e l'arte della composizione di Sorge, con note critiche di Marpurg, 1760. 10. Elementi della composizione musicale, 3 vol. in 4º, Lobenstein, [48] la migliore certamente delle sue opere. 11. Principj della fantasia, in 4º.
Soteride d'Epidauro, detto il grammatico visse a' tempi di Nerone nel 1º sec. dell'era cristiana. Tra le sue opere sono da rimarcarsi Storia della musica in tre libri, e due Trattati sulla Comedia e sui diversi Metri.
Souhaitty (il Padre), religioso dell'Osservanza, nel 1677 pubblicò un suo Saggio intitolato: Nouveaux élémens du chant, nel quale propone una nuova maniera di scrivere la musica, facendo uso di cifre in vece di note. Rousseau ne fa menzione nel suo Dizionario, e ne propone egli stesso un'altra più semplice. Ma il Pubblico, egli dice senza molto discutere il vantaggio de' segni, che se gli propongono, s'attiene a quelli che trova stabiliti, e preferirà sempre una cattiva maniera di sapere a una migliore di apprendere.
South (Robert), canonico della chiesa di Cristo a Oxford, è autore di un poema latino, che ha per titolo: Musica incantans, sive poema exprimens musicae vires etc. Oxonii 1655, in 4º. South commendevolissimo per le sue vaste cognizioni, e per la sua probità, dopo aver ricusato due vescovati, morì nel 1716.
Spadaro (Giov.) da Bologna scrisse contro Gaffurio un Trattato di musica, pubblicato in Venezia nel 1531 in fol.
Spies (Meinardo), priore benedettino del convento d'Yrsee nella Svevia, e membro della società di musica di Mitzler dopo il 1743, fu discepolo di Giuseppe Bernabei maestro di cappella romano della corte di Baviera: secondo l'ab. Gerbert egli viveva ancora nel 1774, compose molta musica di chiesa, e pubblicò ad Ausburgo nel 1716, un'opera col titolo di Tractatus musico practicus, che è divenuta rarissima. [49] Vi si trovano in vero molte bellissime cose, ma è così pessimamente scritta che lo stesso Hiller nell'atto di lodarla dice che sarebbe a desiderarsi, che qualcuno volesse tradurla dall'alemanno in tedesco.
Spontini (Gaspare) nacque a Jesi, piccola città dello stato Romano li 14 novembre 1778. Dopo avere studiato i principj della musica sotto il cel. P. Martini a Bologna, e 'l maestro Borroni in Roma, entrò all'età di 13 anni nel conservatorio della Pietà in Napoli, sotto la direzione de' maestri Sala e Trajetta. A capo di un anno, divenne maestro in quel conservatorio; nel 1795, in età di diciasett'anni, compose l'opera buffa, i Puntigli delle donne, di cui fu così grande il successo, che tutti gli impresarj dell'Italia si diedero premura di domandargli delle opere. L'anno di appresso egli portossi in Roma, ove scrisse gli Amanti in cimento, e quindi passò a Venezia per comporvi l'Amor secreto. Tornò nuovamente in Roma e vi scrisse la musica dell'Isola disabitata del Metastasio, che mandò a Parma dove non potè egli condursi, perchè veniva allora richiesto pei teatri di Napoli e di Palermo. Compose in Napoli l'Eroismo ridicolo, e si acquistò la stima di Cimarosa, di cui divenne il discepolo e con lui dimorò cinque anni sino alla sua partenza per Palermo. Dopo avere scritto quell'opera, Spontini si rese in Firenze ove la sua opera seria, il Teseo riconosciuto ottenne il più brillante successo. Di ritorno in Napoli, fu ancora molto applaudito nelle due opere la Finta filosofa e la Fuga in maschera. A quest'epoca il Re e la corte trovandosi in Palermo il direttore del nostro real teatro di S. Cecilia, vi chiamò Spontini per iscrivere due opere buffe ed un'opera seria: furono le prime i Quadri parlanti, ed il [50] finto pittore, l'altra gli Elisi delusi, in occasione della nascita del real principe. Non ebbe molto felice incontro per la prima volta in Palermo per il cattivo consiglio di alcuni malevoli. Gl'insinuarono questi, che se voleva buona riuscita della sua musica per quel pubblico, dovesse far uso di molto fracasso nello strumentale. L'esperienza lo fece a suo costo ricredere dello sbaglio, e la musica degli altri due drammi ebbe quivi un felicissimo incontro. Non essendo molto favorevole al suo temperamento il clima di quest'isola, tornò egli in Roma, e vi scrisse l'opera il Geloso e l'audace: poco dopo chiamato in Venezia compose colà le Metamorfosi di Pasquale, e Chi più guarda, meno vede. Spontini dopo aver dato con successo undici opere buffe e tre serie sui primarj teatri dell'Italia, ebbe il progetto di portarsi in Parigi. Vi si fece da prima conoscere colla sua finta filosofa, diè quindi il suo Milton che ebbe molti applausi. Ma non volle più scrivere che per il teatro dell'accademia di musica, ove diè la Vestale nel 1807 e Fernando Cortez, nel 1809. Il Jury istituito da S. M. pel giudizio de' premj decennali, così si esprime nel suo rapporto sulla Vestale: “Quest'opera ha ottenuto un brillante e fermo successo. Il compositore ha avuto il vantaggio di applicare il suo talento ad una composizione interessante, e veramente tragica. La sua musica ha dell'estro della magnificenza e assai volte della grazia. Vi si sono costantemente e con ragione applaudite due grand'arie d'un bello stile, e di bella espressione, due cori di un carattere sagro e toccante, e il finale del secondo atto, il di cui effetto è tragico insieme e piacevole. Il merito incontrastabile, e la superiorità del successo della Vestale non permettono alcun dubbio al jury di proporre [51] quest'opera come degna del premio.” Questo giudizio è a dir vero sommamente onorevole per Spontini, ma la pubblica opinione decretò il premio ai Bardi di Lesueur.
Squarcialupi (Anton.) da Firenze, fioriva nel sec. 15. Egli per maggiormente promuovere gli avanzamenti di quest'arte, dava come professore de' pubblici corsi di musica. Gerardo Vossio (de scientiis mathemat. cap. 60) dice ch'egli era in tale riputazione, che gli amatori di musica occorrevano da tutte parti in Firenze per conoscerlo, e sentire i suoni armoniosi, ch'egli ritrar sapeva da' suoi stromenti. Il magistrato della città fecegli innalzare una statua presso la porta della cattedrale. Dicesi ancora di avere scritto un libro sulla musica.
Stainer (Giacomo), cel. costruttore di violini di una piccola città del Tirolo, sulla fine del secolo 17 era allievo di Amati. Non fu se non dopo la sua morte, che si cominciò a conoscere il valore de' suoi stromenti, e tanto più vengono oggidì apprezzati quanto più di raro se ne incontrano de' veri e de' ben mantenuti. E così pur si può dire, che talvolta allo Stainer, o all'Amati è uscita di mano una zucca, mentre qualche oscurissimo guastamestieri urta a caso nell'ottimo: (diceva il conte di S. Raffaele), cosichè non si deve dal nome del facitore misurar sempre il pregio dello stromento, ma sì dall'intrinseca sua perfezione. (Dell'arte del suono Lett. 1)
Stamitz (Giovanni). Boemo, da cui la terza rivoluzion della musica stromentale prende cominciamento dopo quelle del Corelli e del Tartini, viveva circa 1770 a Manheim, ove fondato aveva la sua famosa scuola di violino, che conservò lunghissimamente gran fama. “In tutti i [52] generi di musica stromentale, dice il dotto conte di San Raffaele, ha posto mano e conseguito gran lode il Boemo Stamitz. Maravigliosa di vero è stata la fertilità della sua penna a stendere duetti, trio, sinfonie, concerti con una rapidità, che suol essere incompatibile col ben riuscire. Lo stile suo è grandioso, vastissimo, sorprendente: la modulazione agiata, corrente, naturale: i passi ben concatenati: i principj semplici, inaspettati, luminosi. Se dal Brioschi o dal Tartini ei toglie a nolo qualche concetto, sì se l'appropria che il fa parer cosa sua; sì l'abbellisce che non è più desso; sì ben l'adatta e il pone in opra, che meglio per avventura nol seppe collocar quel medesimo che ne fu l'inventore. Lo stile di Stamitz è un ingegnoso composto di stil tedesco e d'italiano. Egli ha saputo accoppiar queste scuole per modo, che i suoi compatrioti ebbero ad ammirar ne' suoi dettati una soavità di canto dianzi non intesa, e noi italiani una novità di passaggi non mai conosciuta. Ma dove singolarmente campeggia la vaga fecondità del suo ingegno inventore, egli è ne' concerti, i quali se tanta non fosse la malagevolezza di venirne a capo, sarebber eglino senza dubbio la più saporita musica ad ascoltare, e la più dilettosa ad eseguire, di quanta ne sia finor caduta di penna agli scrittori da suono. Un erudito, ma insipido contrappuntista veggendo in codesti concerti tanti e sì smaniosi gruppi di note, tanta folla di salti, di capitomboli, di rompicolli, smascellava dalle risa, come a vista delle più strane mattezze, che produr possa un cervello eteroclito ed offeso. Ma il poveruomo traendo poi di tasca le sue armoniche fanfaluche, nelle quali tutte erano esattamente osservate le regole di non dar gusto, restava in fatti il solo contento delle [53] proprie melense produzioni. Nondimeno a far ragione al vero m'è d'uopo il dire, che affatto ingiuste non erano cotali rampogne; essendo pur vero che Stamitz al par di quanti sono iti in grido d'esimj sonatori, smodatamente corse dietro al difficile; troppo degli acutissimi si compiacque, troppo amò il rischio di stuonare, mentre che anche nel suono è pur vera quella gran massima, che l'amor del pericolo è l'amor della propria rovina.”
Steffani (Agostino) di Castelfranco, piccola città dello stato Veneto, fu uno de' più gran compositori, e cantanti del suo tempo. Suo principal maestro nella musica fu Ercole Bernabei, uno de' primi virtuosi a quell'epoca, e maestro di cappella di S. Pietro in Roma. Fece ancora i suoi studj di dritto, prese la tonsura a Monaco, e il titolo di abbate che portò sempre di poi. Dopo avere composto molta musica per teatro, e per camera con incredibil successo, Innocenzo XI gli conferì la dignità di vescovo di Spiga, nelle possessioni spagnuole dell'America: non volle più mettere allora il suo nome alle sue composizioni musicali, e corsero d'indi in poi sotto il nome di Greg. Piva suo copista. Sin dallo stabilimento dell'accademia di musica antica in Londra nel 1724, Steffani ne fu scelto di unanime consenso il presidente, posto che egli occupò sino alla morte. Dopo una lunga assenza dalla sua patria, nel 1729, tornò in Italia, ed ebbe in Roma l'onore di esser sempre nella compagnia del cardinale Ottoboni, il quale faceva spesso rappresentare le di lui opere, oratorj, o altri suoi capi d'opera. Egli morì finalmente a Francfort nel 1730, di anni 80. L'ab. Steffani era di mezzana taglia, e di delicato temperamento, indebolito altresì da' suoi studj, e dalle continue fatiche. Era di serio contegno, [54] ma modificato nella conversazione da una estrema affabilità. Oltre a molte di lui composizioni musicali vi ha una sua Dissertazione italiana, dotta insieme e profonda in difesa della musica contro alcuni pretesi filosofi, i quali sostenevano non esser ella fondata sulla natura, Amsterdam 1695.
Steibelt, compositore eccellente e gran virtuoso sul piano-forte nacque a Berlino nel 1756. Il re di Prussia conoscendo le belle sue disposizioni per la musica, lo fece istruire dal famoso Kirnberger, ed egli ben corrispose alle cure del suo maestro. Viene rimproverato, dice schiettamente M. Gerber, d'estrema incostanza nella scelta di sua dimora. Ed infatti or egli è a Londra, or a Parigi, ed attualmente è in Russia. La sua musica di Juliette et Romeo ottenne in Parigi il più brillante successo nel 1809. Egli ha composto per il piano-forte gran numero di sonate, di concerti, e di variazioni: vi si trova sommo estro e fantasia, ma la loro lunghezza assai sovente ne rovina l'effetto. La più prezzata è la sua Op. 4 di Sonate. Steibelt è uno de' primi improvvisatori sul forte-piano de' nostri giorni.
Steinbart (Samuele), professore di filosofia a Francfort pubblicò nel 1785 un'opera col titolo Idee per la Filosofia del Gusto, di cui la prima parte contiene la Teoria generale della Musica.
Sterkel (l'Abbate Giuseppe), primo cappellano della corte dell'elettore di Magonza, nacque a Wirzburgo nel 1755. L'elettore il fe' viaggiare in Italia nel 1781, ove acquistossi prima in Roma, e poi in Napoli la pubblica stima sì per l'amabilità del suo carattere che per le piacevoli sue composizioni per cembalo. In Napoli per un espresso ordine della regina compose anche la musica del Farnace. Tornò [55] quindi nel 1782 in Germania, ove il numero delle sue sonate impresse è una prova del successo, che vi ha ottenuto. Sino al 1787 egli aveva fatto già imprimere 28 opere, l'ultima delle quali consiste in 4 sonate a quattro mani per i principianti. Le precedenti 27 contengono per lo più sonate per il forte-piano con violino e basso.
Stesicoro d'Imera, città della Sicilia, celebre poeta-musico dell'antichità, visse a' tempi del tiranno Falaride d'Agrigento, sette secoli innanzi G. C. Egli accompagnava i suoi versi al suono del flauto e della lira, ed avendo fatto tutto il possibile per impedire che Falaride usurpasse il governo, e non essendovi riuscito, abbandonò la sua patria, e passò in Atene. A 35 anni dell'età sua alzò cattedra fra' greci, e riformò per ordine del governo i nomi, o sieno i canti de' più antichi e de' più celebri greci compositori. Chi avrà osservato nella storia la gelosia con cui gli ateniesi custodivano le musicali leggi de' loro maggiori, dovrà concepire una sorprendente idea dell'abilità di Stesicoro nella musica, per avergli il senato dato tale incarico. Pieno di nobile franchezza e di amore dell'altrui profitto, pubblicò alcuni de' suoi canti con l'instruzione in iscritto del modo, con che dovevano cantarsi; non avendo così fatto gli antichi, perchè nessuno si facesse bello con le loro composizioni. Stesicoro tornò finalmente nella sua vecchiezza in Sicilia, ove gli si resero ed in vita e dopo morte i più grandi onori. In Catania, la porta della città, d'onde egli era entrato, fu d'allora in poi detta porta Stesicora, vi si eresse una statua lavorata da celebre artefice, rappresentante Stesicoro incurvato dagli anni, involto nel suo pallio, e con un volume in mano. Tale è la descrizione che fa M. Tullio [56] di questo illustre monumento, l'ammirazione de' viaggiatori, finchè fu rubato da Verre. Aggiunge il romano oratore, che Stesicoro in ogni tempo è stato riguardato come uno de' più bei genii della Grecia (l. 2, contra Verr.). Platone nel Fedro, Ateneo, Pausania ne parlano con elogio: Dionigio di Alicarnasso lo dice superiore a Pindaro, ed a Simonide, e Quintiliano afferma ch'egli sostenne sulla lira la dignità e la nobilezza del poema epico (Instit. Orat. l. X c. 10).
Stillingfleet (Beniamino), nipote del vescovo di Worcester, poeta e naturalista inglese, e assai dotto nella musica, viaggiò lungo tempo in diverse contrade dell'Europa; al suo ritorno pubblicò in Londra le sue opere, di cui non faremo qui menzione che di quella sulla musica, intitolata: Principles and powers of Harmony, in 8vo London 1771, cioè Principj e potere della musica, di cui fa menzione l'Ab. Andres (t. 4, c. VIII dell'Acustica). Questo dotto autore morì nel 1772, di 69 anni. M. Fayolle gli imputa a delitto la predilezione, ch'egli ha per gli antichi, il che, egli dice, lo ha strascinato in molti errori, come l'avere attribuito a' medesimi la cognizione dell'armonia e del contrappunto. Una tale censura dà a divedere l'ignoranza di M. Fayolle nella storia degli antichi musici. Veggasi qui appresso l'articolo Stratonico.
Stoelzel (Arrigo), dopo avere profondamente studiato in Allemagna la musica, ed aversi fatto distinguere per la bellezza di sue composizioni, la seducente pittura che gli venne fatta da un suo amico dell'ameno soggiorno dell'Italia, lo fe' risolvere a farvi un viaggio. Portossi da prima in Venezia, ove visitò que' conservatorj sì celebri per le loro belle musiche. Gasparini, Vivaldi, Polaroli, Biffi, ed [57] il cavaliere Vinaccesi erano allora gli inspettori ed i professori delle quattro scuole di musica. Stoelzel si recò a somma fortuna il far con essi conoscenza, e 'l godere della loro amicizia, e de' loro consigli. Il cel. Bened. Marcello gli offrì il comodo di assistere alla musica dei Nobili nel palazzo alli fondamenti nuovi. Si rese quindi a Firenze, ove conobbe Ludwig di Berlino: il duca Salviati gli procacciò nello stesso tempo la conoscenza della principessa Eleonora di Guastalla intendentissima di musica. Il favore, di cui venne onorato da questi due illustri personaggi, avrebbe potuto servire a far la sua fortuna, se non fosse stato di ostacolo la diversità della religione. Venne in Roma di poi, dove contrasse amicizia col cel. Bononcini, ed Aless. Scarlatti: passò per Bologna, e nel 1719 entrò al servigio del duca di Saxe-Gotha come suo maestro di cappella, dove visse più di 30 anni, continuamente occupandosi di nuove composizioni, come Messe, oratorj, e molta musica stromentale. La sua musica ben si distingue per un canto leggiero e piacevole: non è caricato il suo accompagnamento. La disposizione de' suoi cori è variata all'infinito; molti compositori moderni han tirato profitto da ciò, ch'è stato da costui prima di loro eseguito. Il suo genio nell'espressione musicale del testo era inesauribile, ed egli vi riuscì assai volte di una felicissima maniera. Nel 1739 egli aveva scritto un Trattato sul recitativo per la società musicale: Albrecht a Mulhausen aveva promesso di pubblicarlo nel 1762 ma egli con dispiacere degli intendenti non mantenne la sua parola. Chi lo ha letto, lo trova dottissimo. La sola opera, che si ha di lui impressa, prova insieme e la sua profonda scienza nel contrappunto, e 'l poco conto ch'egli [58] faceva de' gran pieni e del fracasso in tal maniera di comporre. Questo trattato comparve nel pubblico nel 1725 col titolo di Musica pratica in tedesco, ma non è stato mai posto in vendita, attesochè l'A. non fè tirarne che cento copie, ch'egli divise tra gli amici. Stoelzel morì nel 1749 di anni 60.
Stradella (Alessandro), famoso cantante e compositore Veneziano sulla metà del sec. 17. La di lui vita offre una sensibile prova della possanza della musica, ed insieme un terribile esempio dell'eccesso della vendetta. Com'egli frequentava le più distinte case di Venezia, gli amatori di musica facevano a gara per aver da lui lezione. Tra' suoi allievi eravi una giovane signora, chiamata Ortensia, di un'antica famiglia di Roma, che teneva un amoroso intrigo con un signor veneziano. Stradella ne fu innamorato, e non stentò molto a farsi da lei preferire al suo rivale; la rapì, e seco menolla in Roma facendosi credere di già maritati. Il Signor veneziano, montato in furore per quel ratto, fece appostar due assassini sulle loro tracce: costoro, dopo averli inutilmente cercati in alcune città d'Italia, scopersero finalmente il luogo del loro ricetto, e giunsero in Roma una sera, che Stradella dava un oratorio in S. Giovanni di Laterano. Questi scellerati, risoluti a compire il loro delitto al sortire ch'ei farebbe dalla chiesa, entrarono per sentire la musica, o sibbene per vegliare sulla loro vittima, e non far che sfuggisse loro. Ma questo lo salvò. Al sentire appena la voce incantatrice di Stradella furon eglino presi di compassione e di rimorsi; rimprocciaronsi a vicenda il loro orribile disegno, ed altra brama e voglia non ebbero che di salvar quello, di cui un istante avanti avevan giurata la morte. Lo aspettarono dinanzi alla [59] porta della chiesa, e vedendolo uscire insieme con Ortensia, gli si accostarono con pulitezza e con garbo, lo ringraziarono del piacere che aveva lor cagionato, e gli confessarono dover egli la sua salvezza all'impressione, che su di loro fatto aveva la sua voce: gli spiegarono dappoi il motivo del loro viaggio, e conchiusero consigliandogli di lasciare al più presto Roma, affinchè potessero far credere a quegli, che gli aveva spediti, di esser giunti assai tardi. Stradella ubbidì loro, e portossi con la donna a Torino, mentre quelle due persone di ritorno a Venezia scusaronsi della maniera che di già si è detta. Ma un tal successo non fece che accrescer rabbia al furibondo veneziano; alla sua vendetta fece compagno il padre stesso di Ortensia, dandogli a sentire, che lavar ei non potrebbe la sua ignominia se non col sangue della figlia, e del di lei rapitore; e lo snaturato vecchio messosi alla testa de' due assassini prese il cammino della Savoja; dopocchè fè darsi delle commendatizie per l'ambasciadore di Francia, allora il marchese di Villars. Frattanto la duchessa reggente di Savoja, informata dell'arrivo de' due amanti, e del motivo della loro partenza da Roma, pensò sottrarli alla vendetta del veneziano. Mise Ortensia in un convento, e diè a Stradella il titolo di primo suo musico, con alloggio nel suo stesso palazzo. Tali precauzioni parvero bastevoli alla sicurezza di ambidue, ed essendo scorsi tranquillamente già alcuni mesi, Stradella credeva non aver nulla a temere, allorquando una sera trovandosi a diporto sui baloardi della città, venne assalito dai tre sicarj, che gli diedero un colpo di pugnale al petto; e lasciandolo per morto in sul luogo, andarono prestamente a ricoverarsi nel [60] palazzo dell'ambasciadore di Francia. Eran costoro il padre di Ortensia, e i suoi due satelliti, che il ministro francese, il quale nè voleva difenderli dopo un sì atroce delitto, nè abbandonarli alla giustizia dopo avergli dato asilo, fece secretamente fuggire alquanto dopo. Fra questo mentre Stradella guarì della ferita, che non era mortale, e 'l Veneziano vide una seconda volta andar in fumo i progetti di sua vendetta, ma non perciò abbandonolli. Stabilì soltanto a differirne d'or innanzi l'esecuzione per renderla più sicura, e contentossi di far spiare il suo nemico da' suoi emissarj. Passò così un anno senza tentare nuova impresa, ed era da presumere che i persecutori eran già stanchi dell'inutilità de' loro sforzi. La duchessa regente di Savoja pensò esser giunto il tempo di render sicura la felicità de' due amanti, e legittima la loro unione. Stradella ed Ortensia contrassero alla fine il lor matrimonio, e si credettero al termine delle loro sciagure. Ma una trista sperienza avrebbe dovuto far loro aprir gli occhi, e diffidare d'una calma apparente; la troppa sicurezza fu infatti la loro rovina. La curiosità di andare a vedere il porto di Genova fece abbandonar loro Torino. Il veneziano ne fu avvisato, e l'indomani del loro arrivo in Genova, entrarono i sicarj nella loro stanza, e gli assassinarono ambidue. L'epoca di questa fatale avventura è dell'anno in circa 1670. Stradella oltre all'essere un cantante di prima sfera, era altresì sommamente virtuoso sull'arpa e 'l violino, e gran compositore insieme. Il dottor Avison afferma ch'egli fu de' primi ad introdurre il recitativo nelle arie.
Stradivari (Antonio) da Cremona, rinomatissimo costruttore di stromenti a corda: i suoi violini vengono ricercati tuttora. Gli Amati han fatti de' violini convessi [61] e ricurvi, costui all'opposto li ha fatti tutti poco men che piani. Hanno i primi più dolcezza, e più sonorità i secondi: questi sono più adatti ad eseguire le carte di Haydn e Mozart, e quelli di Boccherini. Stradivari viveva sino al 1734.
Stratonico di Atene, celebre suonatore di cetra, fioriva nel quarto sec. prima dell'era cristiana. Il suo talento per le risposte pronte e vivaci uguagliava in lui quello della musica: egli passava la sua vita viaggiando per i varj paesi della Grecia. Ateneo ci ha conservati parecchi aneddoti intorno a lui. (lib. 8, cap. 9). Avendo non so in qual luogo, promesso di dare pubbliche lezioni di musica, non potè radunare più di due scolari. Egli insegnò in una sala, ove trovavansi le nove statue delle muse con quella di Apollo: Quanti scolari avete voi, gli disse certuno? Dodici, rispose con l'ajuto degli dei. Secondo Faria, citato da Ateneo, egli si esercitò ancora nel canto, aumentò la cetra di molte corde e fu il primo a regolare ed insegnare le corde, ed i ritmi, che potevano negli stromenti, e nel canto unirsi per contrappunto o armonia simultanea con le loro variazioni, e con le regole da osservarsi per l'accordo. “Le innumerabili dissertazioni, dice al proposito di questa invenzione di Stratonico il dotto Requeno, fatte da' moderni per negare il contrappunto a' greci, mi sono sembrate simili alle dissertazioni degli antichi, che negavano l'esistenza degli antipodi: nelle quali si presentavano argomenti e ragioni, che scoperta l'America ci fanno ridere. Scoperta l'antica musica, si vede, che i greci ebbero tutte le nostre corde, ed altre dippiù benchè diversamente ordinate: che divisero la battuta come noi ed il tempo con maggior arte de' moderni, che ebbero le note richieste per [62] variarlo, o contrassegnarlo con maggiore semplicità di noi altri: onde le dissertazioni dei moderni, che adducono per ragioni da negare a' greci il contrappunto, il non aver essi conosciute le nostre consonanze, il non aver distinti che due tempi breve e lungo, e la scarsezza de' segni da notare i tempi, svaniscono e si risolvono in nulla, letti o intesi i greci armonici. Le parole di Ateneo parlando di Stratonico sono: Primumque docuisse concentus musicos, ac cantuum numeros varietatesque designasse. Ecco l'interpretazione che ne dà lo stesso accurato scrittore: Il concentus è accordo di voci diverse: se la dottrina di Stratonico si fosse ridotta all'unisono di molte e differenti voci, era affatto superfluo l'insegnare come doveva distribuirsi il tempo vario delle parti cantanti unite in una cantilena. Stratonico dunque con accurato esame fissò le regole da unire le corde consone in diverso tuono, e in ogni specie di canto; distinguendo e spiegando in ogni canto la maniera, con cui doveva distribuirsi il tempo, e i numeri ritmici di qualunque specie” (Saggi t. 1, p. 200).
Suard (Giov. Antonio), secretario perpetuo dell'accademia francese nato a Besançon, ha pubblicato molti scritti sulla musica. Insieme con l'abb. Arnaud suo amico prese con zelo la difesa di Gluck contro le cabale ordite dallo spirito di partito: tutti i pezzi che nelle memorie per servire alla storia di Gluck vanno sotto il velo dell'anonimo di Vaugirard, sono di M. Suard: ve ne ha ancora di lui nel 4º tomo di Supplemento all'Essai sur la musique de M. la Borde. Finalmente a M. Suard ed all'ab. Arnaud, un poco prima della rivoluzione fu affidata la compilazione generale della parte della musica nell'Enciclopedia [63] metodica, e dopo la morte del suo amico, Suard rimasto solo nell'impresa associossi M. Framery per la parte tecnica dell'arte musicale, e riserbò a se la parte istorica, e ciò che dir si potrebbe la rettorica dell'arte: ma non se ne ha sinora che il solo primo volume; senza speranza di averne il resto. Gli articoli di M. Suard sono di un uomo di gusto, e di profonda erudizione, ha chiarezza e vivacità nel suo stile: propone delle ottime viste, e stabilisce eccellenti principj. Egli è morto in età molto avanzata nel 1812.
Sulzer (Giorgio), della R. Accademia di Berlino, nacque nel 1720 a Winterthur nel cantone di Zurigo. Nel 1763 intraprese la sua Teoria universale delle Belle Arti in tedesco, opera importante, che gli assicura un distinto posto nella Repubblica delle Lettere. Per gli articoli di musica egli fè uso de' lumi, e delle cognizioni profonde di tre celebri maestri, Agricola, Kirnberger e Schutz. Il primo tomo di quest'opera fu pubblicato nel 1771 ed il secondo nel 1774. Una nuova edizione della medesima n'è stata fatta in Lipsia nel 1792, 4 vol. in 8º, e M. Millin ha data la traduzione de' principali articoli nel suo Dictionnaire des beaux-arts, 3 vol. in 8º, Paris 1806. Nelle Memorie dell'accademia di Berlino per l'anno 1770. si trova di Sulzer una distinta relazione dell'opera dell'ab. Roussier, Sur la musique des Anciens: e nel t. 27 la descrizione di una macchina di Holfeld, per notare i pezzi di musica a misura che si eseguiscono sul cembalo. Mr. Sulzer morì in Berlino nel febbrajo del 1779.
Suremain (Franc. Alessio), uffiziale d'artiglieria, nato a Dijon nel 1769, pubblicò a Parigi nel 1793 in età di soli 24 anni un'opera analitica e filosofica intitolata: Théorie acoustico-musicale [64] ou de la doctrine des sons rapportés aux principes de leur combinaison, in 8º. Questa teoria ha avuto l'approvazione dell'accademia delle scienze di Parigi: essa infatti è piuttosto della giurisdizione de' geometri che de' musici. L'autore ha formato l'impresa di sottoporre alla luce dell'esperienza e del calcolo i principj elementari, e primordiali dell'arte musicale: egli si è principalmente proposto di riunire i differenti risultati, ai quali può condurre il calcolo de' suoni ravvisati sotto questo punto di vista, di ricondurre tutti questi risultati ad una teoria generale, e, finalmente di rendere più esatti, più filosofici, e in conseguenza meno arbitrarj la nomenclatura ed i primi elementi della musica. Egli dimostra che tutte codeste nozioni si trovano assai volte confuse nel Dizionario di musica di Rousseau, di cui rileva gli errori, e soprattutto nella sua teoria attacca altresì gli Elementi di musica del d'Alembert, opera che a dirla daddovero, non è secondo lui, nè teorica, nè filosofica. Bisogna confessare, egli dice, che questo gran geometra non pretese se non rischiarare, e semplificare Rameau; e non già fare un'opera che fosse sua, senza di che l'avrebbe certamente egli fatta d'altra maniera. L'A. osserva con ragione, che Rameau ne' suoi scritti sulla musica si era perduto in un labirinto di proporzioni e progressioni d'ogni specie, aritmetiche, geometriche, ed armoniche, e vi aveva sparso quel falso apparato scientifico, che non impone che agl'ignoranti. Rameau era stato assai poco filosofo per avanzare che si trova nella musica il principio della geometria. M. Suremain è assai ragionevole per combattere l'opinion di coloro i quali si danno a credere che le matematiche posson servire a comporre della buona musica. [65] L'uno voleva innalzare la sua arte a spese del buon senso: l'altro conosce abbastanza le scienze esatte, per non accordar loro un potere che non hanno. Costui ha delle sane idee, quegli ha de' pregiudizj da musico. Finalmente quest'opera è ben concepita, e messa in buon ordine; connesse tutte ne sono le parti, tutte concorrono all'unità del soggetto; l'autore ha saputo esser conciso senz'essere oscuro, se non che nel presentar le sue idee d'una maniera troppo generica, farebbe bramare in certi casi degli esempj e delle applicazioni particolari, che sviluppassero ciò che egli detto non ha, se non in una maniera puramente astratta (V. Journal de Physique t. 42 a Paris 1793). Questo profondo matematico, benchè assai giovane, fu una delle vittime della guillotina lo stesso anno 1793 in cui pubblicò la sua opera.
Taglini (Carlo), professore nell'università di Pisa, pubblicò verso il 1650, Lettere scientifiche sopra varii dilettevoli argomenti di fisica, nella prima delle quali parla de' suoni prodotti dal violino, e vi dimostra in quale maniera la differenza loro proviene dalla grossezza, lunghezza e varia tensione delle corde. Nella terza spiega egli come si formano nella gola i suoni.
Taillard (Mr.), musico francese assai rinomato pel suo talento sul flauto: viva era la sua esecuzione, brillante ed animata. Sin dall'età di dodici anni fu ascoltato con piacere da più sovrani: negli anni 1760 e 1767 sono state impresse alcune collezioni di sue sonate per quell'istromento pregiatissime. Vi ha di lui altresì: Méthode pour guider les compositeurs. Morì egli in Parigi nel 1783.
Tailler (Simone), domenicano scozzese verso il [66] 1240, scrisse due libri de Pentacordis, un altro de Tenore musicali, e de Cantu ecclesiastico corrigendo, de' quali fa menzione il Fabricio nella Biblioteca latina.
Talete di Mileto nella Jonia, uno dei sette savj della Grecia, e uno dei precettori di Pitagora, fiorì sette secoli prima di G. C. Oltre all'essere egli stato il più antico filosofo e caposcuola tra' Greci, sappiamo da Plutarco aver tenuto anche scuola di musica. “Trovando Licurgo, egli dice, a Creta un uomo savio e civile chiamato Talete, lo persuase con l'amicizia e co' prieghi a passar seco in Sparta. Era Talete stimato musico lirico di ottimo gusto; e quivi insegnava l'arte sua, e faceva quegli ufficj, che sono soliti a fare gli ottimi legislatori: perciocchè il canto suo si riduceva a certe preghiere, le quali co' modi, e co' loro leggiadri e gravi ritmi conducevano gli uomini all'ubbidienza de' loro maggiori, ed a stare bene uniti in società, co' suoi canti s'infrenavano e si acchetavano le passioni, e avvezzavansi gli uomini a lasciare la rustica malevolenza, e ad abbracciare le cose oneste; e così esso preparolli in certo modo, e disposeli all'osservanza degli onesti insegnamenti di Licurgo.” (In vit. Licurg.). Dal che chiaramente si rileva che l'antica educazione era in mano de' musici, d'onde derivano quei tratti storici degli antichi, ne' quali vien detto, che alcune greche provincie erano divenute inselvatichite e feroci per avere unicamente negletta la coltura della musica; essendo allora lo stesso il tralasciar questo studio che il tralasciare la civile e religiosa educazione.
Tansur (William), musico inglese, nel 1735 pubblicò un'opera col titolo: A complete melody, in 3 vol. nel primo de' quali vi ha un'introduzione ai veri elementi della musica [67] vocale ed instrumentale, con un nuovo e facil metodo: ella è, dice M. Gerber, una compilazione in dieci capitoli di ciò, che si è scritto sulla musica da' Greci, Romani, Francesi, ed Italiani. Gli altri due volumi contengono alcuni canti scelti a più voci. Alcuni anni dopo diè egli al pubblico altre sue opere col titolo di Universal harmony, ossia Armonia universale, e l'altra: A new musical grammar, cioè: nuova grammatica della musica.
Tarchi (Angiolo), nato in Napoli nel 1760. Fu per lo spazio di tredici anni nel Conservatorio della Pietà de' turchini, sotto i cel. Tarantino e Sala, e due anni dopo esserne uscito, ne divenne il maestro, compito avendo allora, secondo gli statuti, il vigesimo quarto anno dell'età sua. Nel 1781, essendo ancora allievo nel Conservatorio scrisse la sua prima opera buffa, l'Architello, di cui tale ne fu il successo, che il sovrano Ferdinando volle sentirla nella sua villa di Caserta: nel 1783 avendo tuttora la tonaca di panno sbiavato come allievo della Pietà, compose pel teatro nuovo di Napoli, la Caccia di Enrico IV, opera burlesca, che ebbe grandissimo incontro, e fu incaricato di tre altre opere pel teatro del Fondo. Passò quindi in Roma, in Milano, in Firenze, a Mantova, a Venezia, a Padova, in Torino e scrisse per quei teatri più opere serie con grandi applausi. Nel 1789 compose in Londra il Desertore, e Alessandro nell'Indie drammi serj, che incontrarono moltissimo, e sino al 1793 era di ritorno in Italia, e diede gli oratorj l'Isacco a Mantova, e l'Ester a Firenze. Dopo il 1796 era egli a Parigi, ove ha composta molta musica pel teatro dell'opera comica. Il successo, ch'egli vi ha ottenuto, sostiene in Francia l'alta riputazione della scuola di Napoli, d'onde è sortito. In [68] Napoli si sono anche eseguite di Tarchi molte messe e vespri a più voci.
Tartaglini (Ippolito) di Modena, uno de' migliori professori di musica nel secolo XVI, il dotto Cardinale Alessandro Farnese fu suo protettore. Si crede però ch'egli sia stato il primo a ricondurre il canto sul teatro coi cori. Alcuni suoi mottetti a 4, e 6 voci sono stampati in Roma nel 1574. Morì egli nel 1580, in età di anni quarant'uno.
Tartini (Giuseppe) nacque a Pirano nell'Istria di assai civile famiglia nel 1692. Entrò dapprima nell'Oratorio di San Filippo Neri; ma distinguendosi ben presto per le sue brillanti disposizioni, fu mandato a Capo d'Istria, per terminare i suoi studj nel collegio dei Padri delle Scuole-Pie: quivi egli ebbe le prime lezioni di musica e di violino. Nel 1710 i suoi parenti lo mandarono all'università di Padova per istudiarvi la giurisprudenza, e formarsi nella profession di avvocato. Ma invaghitosi di una giovinetta, ch'egli sposò di nascosto, abbandonò lo studio del foro, e rovinò la sua fortuna. Questo matrimonio gli trasse addosso l'indegnazione de' suoi parenti, che lo abbandonarono affatto. Tartini tanto più trovossi smarrito, che essendo la sua moglie della famiglia del vescovo di Padova il card. Giorgio Cornaro, aveva altresì a temere il processo, che questi doveva intentargli. Non restogli altro partito che di lasciare la sua donna in Padova, e di fuggirsene in Roma travestito da pellegrino. Non trovando in niun luogo sicurezza, andò vagando di paese in paese; finalmente il gran convento dei francescani in Assisi, il di cui guardiano era suo parente, gli offrì un asilo sicuro contro la persecuzione del cardinale. Restò egli quivi due anni, ed applicossi allo studio del violino, che aveva quasi [69] totalmente negletto in Padova. Le lezioni del P. Boemo, celebre organista di quel convento, terminarono d'iniziarlo nell'arte della musica. Un altro vantaggio, ch'egli trasse da quel solitario soggiorno, fu una totale mutazione del suo carattere. Di violento e collerico ch'egli era, divenne moderato, e mercè questo genere di vita laborioso e tranquillo perdette per sempre i difetti, che cagionato avevano la sua disavventura. Il suo ritiro era lungamente rimasto ignoto; un non previsto accidente il fè discoprire. Sonando di violino nel coro della chiesa, un colpo di vento portò via la cortina, che ne impediva la vista agli astanti, ed ei fu riconosciuto da un abitante di Padova. Tartini si ebbe per perduto: ma qual fu la sua sorpresa, allorchè quegli gli diè nuova, che il cardinale lo aveva perdonato, e cercava di lui per condurlo in braccia alla sua sposa! Di ritorno a Padova, egli fu chiamato in Venezia per esser membro di un'accademia, che doveva formarsi sotto gli auspicj del re di Polonia. Egli vi si rese con la sua sposa: ebbe colà occasione di sentire il cel. violinista Veracini di Firenze, e restò talmente sorpreso della sua maniera di sonare ardita e nuova, che amò meglio lasciar l'indomani Venezia, anzicchè entrar con lui in concorrenza. Mandò sua moglie a Pirano in casa di suo fratello, e ritirossi ad Ancona per vie meglio attendere allo studio del suo stromento. Fu da quest'epoca (nel 1714), ch'egli da se creossi un nuovo modo di sonar di violino: fu anche allora che scoprì il fenomeno del terzo suono, ossia della risonanza della terza nota dell'accordo, allorchè si suonano le due note di sopra. Nel 1721, fu egli posto alla testa dell'orchestra di S. Antonio di Padova: questa cappella, una delle migliori d'Italia, aveva quaranta musici, dei [70] quali sedici eran cantanti. Nel 1723, fu chiamato a Praga per l'incoronazione dell'imperatore Carlo IV, e vi restò per tre anni insieme col suo amico Antonio Vandini, suonatore di violoncello al servigio del conte Kinsky. Quivi fu, che il sentì Quanz che così ne parla: Tartini è un violinista di primo ordine; produce de' suoni bellissimi. Le sue dita, il suo arco del pari gli ubbidiscono bene: eseguisce senza stento le più difficili cose, fa a perfezione con tutte le dita dei trilli, e fin anco dei doppj trilli, e suona molto negli acuti. Ma la sua esecuzione non tocca affatto; non è nobile il suo gusto; ed assai volte ancora è tutto opposto alla buona maniera. Tartini senza dubbio seppe acquistar poi dal canto dell'espressione, e del gusto quel, che a giudizio di Quanz, mancavagli allora; poichè ogni volta che sentiva sonar con destrezza, ma senz'anima, quest'è bello! diceva, quest'è difficile! ma non parla al cuore. Da Praga tornò coll'amico Vandini a Padova, e da quel tempo in poi nulla potè risolverlo ad accettare un servigio straniero, malgrado le più vive, e le più vantaggiose sollecitazioni. Nel 1728 fondò in Padova, una scuola di musica, e pochi maestri hanno formato ormai così bravi scolari. Gli Italiani chiaman Tartini il maestro delle nazioni. La di lui scuola ha provveduto di gran musici la Francia, l'Inghilterra, l'Alemagna, e l'Italia. Pagin intraprese espressamente il viaggio di Padova per formarsi sotto la direzione di Tartini. Nardini, Alberghi, Bini, Ferrari, Carminati, mad. Sirmen, Lahoussaye e Capuzzi, nomi illustri, e tutti suoi allievi. Questo gran maestro si rese benemerito dell'arte per tutti quei mezzi che contribuiscono all'avanzamento di essa. Egli era per natura uom riflessivo, perspicace, voglioso dell'ottimo, paziente [71] de' penosi indugj, e non isbigottito delle difficoltà, che convien vincere per conseguirlo. Sì nel comporre, che nell'eseguire egli è stato vero inventore; ed ecco fin dove il condussero l'osservazione e la sperienza. Osservò egli in primo luogo, che il violino è per natura uno stromento acuto e stridente; che chi lo arma di cordicelle sottili non ne può trar altro, che un suono fievole e smilzo. Si avvisò quindi di armarlo di corde grosse un pò più dell'usato. Con questa leggiera mutazione sentì addolcirsi la crudezza natía, ed uscirne più grato e più morbido il suono. Osservò poscia, che l'arco usato dalla scuola Corelliana è troppo corto; che però uno appena in venti di quella scuola riesce a cavar una voce piacevole, bella, e pastosa. Laonde ei si pose ad usar arco più steso, non trovandovi niun de' difetti, e tutt'i vantaggi dell'arco breve. Da questi saggi cambiamenti passò egli tosto ad un doppio studio, l'uno del modo d'adoprar l'arco, faticando per impadronirsene sì nel guidarlo allo in su, che allo in giù, sì nel trar senza stento e secondo il bisogno or lunghe e melodiose, or brevi e snelle le arcate. Con siffatte minute attenzioni, delle quali ogni egregio suonatore, e niun mediocre o cattivo ravviserà l'importanza, pervenne il Tartini a singolar eccellenza nel suono. Vediamo or pure, quanto egli nel comporre siasi dipartito altresì dall'uso comune: nel che riuscì meglio a riprendere e schivare gli altrui difetti, che a vedere e correggere i suoi. Quando Tartini cominciò ad apparire, dominava ancora tra gli scrittori d'Italia quel barbaro gusto delle fughe, de' canoni, e di tutti in somma i più avviluppati intrecci d'un ispido contrappunto. Questa increscevol pompa di armonica perizia, questa gotica usanza d'indovinelli e [72] di logogrifi musicali: questa musica gradita agli occhi, e crudel per gli orecchi, piena d'armonia e di romore, e vuota di gusto e di melodia, fatta secondo le regole, seppure le regole hanno l'atrocità di permettere di far cose dispiacevoli, fredde, imbrogliate, senz'espressione, senza canto, senza leggiadría, qual altro pregio veracemente aver può, che quel di abbagliar gli eruditi, e di uccidere per la fatica il compositore, e per la noja i dormigliosi ascoltanti? Tartini sedotto sul principio dall'amor del difficile, si logorò anch'egli per qualche tempo, e stese alcune sonate in questo gergo enigmatico e sibillino. Ma di poi avvedutosi, che tal profusione di scienza, ben raro è il caso, che riesca opportuna, e ancor più raro che ella rechi diletto, se prima, come fa il pittore, aveva cercato il maraviglioso aggiugnendo; si volse poscia a cercare il bello, come lo scultore, togliendo. E in fatti quanto egli ha scritto dopo tal suo ravvedimento, tutto spira la nobile semplicità, linda e schietta è pur sempre l'armonia: intelligibile e andante il pensiero; sgombra di rancidumi la cantilena. (V. Cont. S. Raffael. lett. 2). Egli ebbe inoltre due pregi insigni, dov'egli non soffre eguali. Il primo d'aver un metodo esatto, e limpidissimo d'insegnar l'arte. I suoi precetti eran sì chiari, e sì precisi, che lo scolare, seppur non era un gonzo madornale, preveniva il maestro, e godea di suggerirgliene gli esempli. L'altro suo pregio raro ben anco e prestante si era l'essere scevro affatto d'invidia, di gir sommamente guardingo nel dar giudizio dell'altrui valore, di largheggiar nelle lodi senz'adulazione, e di accennare i difetti senza livore, da solo a solo, non pel piacer inumano di riprendere, ma pel vero vantaggio del ripreso, cui moderatamente [73] avvertiva, dicendogli i motivi della sua disapprovazione, udendone chetamente le discolpe, cedendo se si trovava convinto, soffrendo in pace, che non gli si desse ragione da quegli ostinati, che non credono mai d'aver torto. Tal era l'indole, e il merito di questo eminente caposcuola nell'arte del suono. Ci resta ora a considerarlo come autore, ed inventore di un nuovo sistema di teoria musicale, sotto il quale riflesso, se censure piuttosto che lodi verranno da me riferite, il farò protestandomi di non voler in nulla derogare al rispetto, che per altri titoli a sì grand'uomo è dovuto. All'epoca in cui si credeva non poter dare alla musica un fondamento nella natura, se non con darlene uno nella fisica, Tartini ebbe la debolezza, come in Francia Rameau, di cedere a questa bizzarría. Volle egli creare un sistema, prendendo per la sua base il fenomeno del terzo suono, sistema, che non è stato possibile a capirsi da niuno per le folte profonde tenebre che lo involvono, e che l'autore senza dubbio non ha saputo egli stesso comprendere. A tale oggetto diè egli fuori il suo Trattato di musica secondo la vera scienza dell'armonia, Padova 1754, in 4º. Tartini sin dal 1714, aveva osservato la coesistenza di un suono grave uguale all'unità, e se ne serviva come di base alla sua scuola: ma non rese pubblica questa sua scoverta, che nel 1754 in quel suo trattato; onde è che se gli ha voluto torre l'onor dell'invenzione, con attribuirla alcuni a M. Sorge, altri a M. Romieu. “Ma il suo libro, dice M. d'Alembert, è scritto in una maniera così oscura, che ci è impossibile il recarne alcun giudizio; e ben si sa averne in tal guisa altresì giudicato Letterati di gran nome.” Tali furono il Rousseau, che dandone un estratto nel suo Dizionario [74] sembra tuttavia preferir le idee di Tartini a quelle di Rameau; tali il Scheibe, il Forkel tra i tedeschi, l'Eximeno, il Bettinelli e più altri. M. Serre di Ginevra nel 2º cap. delle sue Osservazioni su i principj dell'armonia fece delle oggezioni al sistema del Tartini, a cui oppose egli: Risposta di G. Tartini alla critica del di lui trattato di musica di M. Serre, Venezia 1767, in 8º. E cercando di evitare i difetti oppostigli da M. Serre, diè al pubblico: Dissertazione de' principj dell'armonia musicale, contenuta nel diatonico genere, Padova 1767, in 4º. M. Mercadier nel Discorso preliminare al suo Nouveau système de musique fa la confutazione dell'algebra posta in uso dal Tartini nel suo sistema: finalmente il dottissimo Eximeno impiega un capitolo della sua opera per confutare i raziocinj di fisica e di metafisica, i calcoli e le singolari dimostrazioni geometriche della sua teoria. “Tartini non avendo avuto, egli dice, che un lume superficiale di matematica e di filosofia, si abusò dei vocaboli di queste scienze per iscrivere un Trattato dell'armonia, che niuno ha potuto finora intendere, e credo che neppur l'A. intendesse se stesso. Se altri più avveduti filosofi hanno vaneggiato, ognun può figurarsi, qual caos d'illusioni si formi il Sig. Tartini. Comincia a vedersi qualche lume allorchè fa egli utilissime riflessioni circa l'accompagnamento, ed altre materie di pratica, dalle quali si scorge, che il Tartini avrebbe potuto illustrar la teorica, come illustrò la pratica, se la matematica e la fisica non avessero sconcertata la sua fantasia.” (l. 1 c. 4). L'illusione del suo spirito giunse al segno di credere che avesse nel suo sistema la prova dell'uno e trino, com'egli stesso lo affermò all'ab. Bettinelli (V. Risorgiment. c. 4). Egli conservò sino alla morte queste [75] idee metafisico-teologiche, e lasciò morendo al P. Colombo la cura di pubblicare un suo Trattato sulla teoria del suono, ove essendosi trovate siffatte chimere, fu stimato miglior consiglio il non darlo a luce. Maggior profitto può trarsi dagli altri libri, che ci restan di lui, in riguardo alla pratica del suono. Nel t. V dell'Europa letteraria 1770, è stata inserita una sua Lettera alla Sig. Maddalena Lombardini (mad. Sirmen), inserviente ad una importante lezione per i suonatori di violino. M. Fayolle ne ha dato l'originale in francese nel 1810. In fronte alle sue nove opere si trova impressa altresì l'arte dell'arco, di cui ne ha data una nuova edizione M. Cartier nel 1812. L'ab. Fanzago parla di un manoscritto che ha per titolo: Lezioni sopra i varj generi di appoggiature, di trilli, tremoli, e mordenti ec. Mr Denis ne ha pubblicata una traduzione in francese. Per la musica vocale non conosciamo altro di Tartini, che il Miserere eseguito il mercordì santo del 1768 nella cappella Sistina in Roma dinanzi il papa Clemente XIII, che il barone Ag. Forno palermitano, il quale era presente, dice nel suo elogio di Tartini, che questa composizione merita il primo luogo tra tutte quelle dell'autore. Tartini morì in Padova tra le braccia del suo favorito allievo Nardini, a dì 16 Febbraio 1770. Il carattere morale di questo grand'uomo merita somma lode. Egli usò sempre la moderazione di Socrate verso la moglie, che era a suo riguardo una vera Santippe, riottosa e caparbia. Sosteneva molte indigenti famiglie, e molti orfani a sue spese: dava anche delle lezioni gratuite a quegli, che volevano imparar la musica, e non avevano i mezzi onde pagare i maestri. Il posto ch'egli occupò per trent'anni non gli valeva che 400 ducati, e non era obbligato [76] a sonare che nelle grandi festività. Non lasciava tuttavia passar settimana in cui non sonasse più volte. Giulio Meneghini suo succesore dispose in suo onore la funebre pompa che celebrossi nella chiesa de' Serviti. L'ab. Fanzago profferì il suo elogio, e la cappella di S. Antonio eseguì un Requiem composto dal P. Vallotti. Il conte Algarotti attesta, che il Tartini prima di comporre era uso leggere un qualche sonetto del Petrarca, cui somigliava moltissimo nella delicatezza del sentimento, affinchè avesse un oggetto determinato a dipignere; e non perdesse mai di vista il motivo, o soggetto. Così in fatti nelle sue sonate la più gran varietà vien sempre sposata alla più perfetta unità.
Tausher (J. G.), morto verso il 1787, si crede esser l'autore di un Saggio d'istruzione sulla disposizione de' registri dell'organo, e la maniera di perfezionare in generale questi instromenti, Waldenburgo 1775. Vi si trova in fine una relazione di un soffietto, nuovamente inventato dai fratelli Wagner, costruttori di organi, e di cui si è fatto uso nella costruzione dell'organo di Hohenstein.
Taylor (John Brook), cel. matematico inglese, e secretario della Società reale di Londra, fu il primo che nella sua opera, Methodus incrementorum directa et inversa (Londra 1715), giunse a dimostrare con esattezza e con rigore geometrico il problema su le vibrazioni delle corde sonore, e sottomettere al calcolo il moto delle corde oscillanti. Taylor morì in Londra nel 1731.
Tedeschi (Giov.), detto Amadori, e più conosciuto sotto questo nome, fu uno de' più gran cantanti della cel. scuola di Bernacchi. Dopo aver figurato moltissimo ne' più rinomati teatri dell'Italia e della [77] Germania, prese in Napoli nell'anno 1773 l'impresa del R. teatro di S. Carlo. Conoscitore ch'egli era della buona musica, e fissar volendo la volubilità del gusto napoletano, indusse Jommelli a scrivere per quel teatro l'Armida, e un pò dopo il Demofoonte. Amadori avendo per se tratto gran profitto dall'ottima riuscita della musica di questi due drammi, andò in Roma, dove era ito a scriver Jommelli, non avendolo potuto persuadere per lettere, che gli componesse un terzo, che fu l'Ifigenia, e gli offerse doppia ricognizione. Ma per una fatalità incredibile essendo in teatro caduta questa musica, Jommelli restituì generosamente all'impresario Amadori i scudi seicento, prezzo convenuto dell'Ifigenia, col dire, che avendo sbagliata l'opera, doveva aver riguardo al di lui interesse nel metterne un'altra; atto magnanimo e virtuoso, dice il Mattei, che vale per la sua gloria più assai di cento opere ben incontrate. Tedeschi viveva ancora nel 1775.
Telefane di Samo, celebre maestro di canto e suonator di flauto fu amicissimo dell'oratore Demostene. Narra costui che dovendo per incarico della sua tribù mandare al concorso del premio ne' pubblici giuochi i giovani più abili nel canto, stava per esser tradito dalla trascuratezza di Midia, che loro aveva dato per maestro. Pochi giorni prima del concorso avvisato dell'inganno, Demostene licenziato Midia dalla scuola, scongiurò l'amico Telefane a fare in modo, che sotto la sua cura supplissero in que' giorni le lezioni, che i ragazzi avevano perdute fino a quell'ora, acciocchè non facessero disonore alla sua tribù. La maestria di Telefane fu tale, che li dispose con sugose lezioni di armonìa; ed i ragazzi e Demostene fecero bella figura. Viaggiando [78] Pausania per la Grecia trovò un magnifico mausoleo innalzato con una eccellente iscrizione in Megara da Cleopatra sorella del grande Alessandro alla memoria di questo cel. suonatore. Plutarco riferisce, che egli non solo non faceva uso d'imboccatura nel suonare il flauto, ma che cercava di persuadere eziandio i costruttori a non metterne nei loro strumenti. Fu per questa ragione ch'egli non volle entrar mai in lizza ne' giuochi pitici (V. Requeno t. 1).
Telemann (Giorgio Filippo), nato a Magdeburgo fu uno de' più fecondi compositori. Hendel diceva di lui, che scriveva un pezzo di musica a otto parti colla stessa facilità con cui un altro scriverebbe una lettera. Egli mostrò principalmente nella musica di chiesa uno straordinario talento: ma avea più scienza, che gusto, e le sue opere per teatro sono del tutto obliate. Morì in Hamburgo nel 1767. Egli fu membro della Società musicale di Mitzler, che gli diè un vasto campo a far delle ricerche sulla teoria. Abbiamo di lui: 1. Descrizione dell'organo di Castelli; 2. Istruzione sul trasporto; 3. Sistema de' suoni, e degli intervalli, con ispiegazioni, Hambourg 1767.
Telemann (Michele), nipote del precedente nato nel 1748 fu precettore nella scuola musicale della cattedrale di Riga. Degno del suo avo non fu men di lui profondo teorico. Nel 1773 diè egli al pubblico Unterricht ossia Elementi del basso continuo. Nel 1785 fece stampare a Lipsia un'altra opera in fol. col titolo di Memorie sulla musica di chiesa, in tedesco. Vi si trovano delle Messe a gran cori, e Sanctus di sua composizione.
Teleste di Selinunte in Sicilia, cel. musico e poeta lirico nel quinto secolo prima dell'era cristiana. Ateneo (l. 14) fa di lui menzione, e reca un frammento di un suo Poema [79] sull'avventura di Pallade, che sonando la tibia si avvide in un fonte, che il suo volto divenivane sconcio, e la gittò via. E poco appresso adduce ancora un passo del di lui Imeneo Ditirambico dove ei favella di uno istromento musico di cinque corde, chiamato Magade.
Tempelhof (Giorgio-Feder.), dopo il 1786 precettore del R. principe di Prussia per le matematiche, pubblicò a Berlino Riflessioni sul temperamento di Kirnberger, con una Istruzione per accordare di una facil maniera gli organi, i cembali e li forte-piano, 1775.
Teofrasto, nativo di Eresia città di Lesbo, filosofo greco. Platone fu il primo suo precettore, dalla cui scuola passò a quella di Aristotile. Costui invaghito della facilità del suo spirito, e della leggiadria della sua elocuzione, cambiò il suo primo nome di Tirtamo in quello di Eufrasto, che buon parlatore significa, e un tal nome non rispondendo abbastanza all'alta stima, ch'egli concepito avea della bellezza del suo ingegno, e del suo dire, lo chiamò Teofrasto, cioè un uomo di lingua divina. Aristotile, obbligato a sortire d'Atene, lasciò la sua scuola, l'anno 322 prima di G. C. a Teofrasto. Il di lui nome divenne così celebre in tutta la Grecia, ch'egli giunse ad aver nel suo liceo oltre a due mila scolari: ebbe la stima e la familiarità di più Sovrani: Cassandro re di Macedonia fu suo amico, e Tolomeo figlio di Lago primo re dell'Egitto trattenne sempre seco uno stretto commercio. Teofrasto morì carico d'anni e di fatiche, non cessando di studiare se non cessando di vivere. Tra le molte sue opere dalla voracità del tempo rapiteci, eravi quella dell'Origine della Musica, in tre libri ch'egli avea scritto da metafisico piuttosto che da pratico. L'enciclopedista [80] Plutarco, che l'aveva letta, ci diede nel Simposiaco l'argomento della medesima, dicendo, che questo filosofo riconobbe tre differenti origini del canto: 1. il dolore, da cui derivarono i canti lugubri; 2. il piacere o la gioja, dalla quale ebbero origine le allegre cantilene co' balli; 3. l'estro divino, da cui furono prodotti i canti eroici e profetici; aggiungendo, che per perfezionare queste tre specie di canti, altro principio che l'istinto del cuore e dello spirito non dovesse mai consultarsi. Secondo Laerzio scrisse ancora Teofrasto un Trattato storico de' Musici, ed un altro degli Armonici.
Teofrasto di Pieria, cel. musico dell'antica Grecia fiorì cinque secoli innanzi G. C. Nicomaco afferma ch'egli aggiunse la nona corda alla lira di Mercurio verso la parte grave (Manual. mus. lib. 2).
Teone di Smirna, filosofo platonico, e celebre matematico nel secondo secolo dell'era cristiana, scrisse a lungo della musica nel suo Compendio della dottrina matematica di Platone, ed un altro libro abbiamo di lui intitolato Della Musica, nel quale rapporta le proporzioni de' musicali intervalli secondo la dottrina di Laso ermionese, e d'Ippaso di Metaponto, e disapprova la divisione del tuono data da Aristosseno.
Terpandro, nativo di Lesbo, poeta musico, guadagnò più d'una volta il premio d'onore nei giuochi pubblici della Grecia (V. Euclid. Introd. music.): maggior onore recarongli però le sue scoperte. Da lui fu aggiunto un quarto tetracordo nella cetra, chiamandolo diezeugmenon, che prima tre soli ne avea, due congiunti ed uno disgiunto. Narra Plutarco, che per tal novità fu chiamato a Lacedemone, dove egli dimorava, in giudizio dagli Efori. Terpandro, armato della sua lira, [81] comparve dinnanzi al popolo, e disse primieramente in sua difesa, che la musica non fu solo inventata per istruire, ma eziandio per dilettare, che non consistendo il criterio de' piaceri nel senso o nell'immaginazione di un sol uomo, ma della moltitudine, a questa egli appellavasi; e mettendo mano alla lira fece delle sonate così nuove e piacevoli, che fu assoluto dal popolo, e da' giudici; ed applaudita la novità da lui introdotta nella lira. Compose egli altresì per differenti strumenti alcune arie, che serviron poi di modello: fissò con note il canto, che dar si doveva alle poesie d'Omero: introdusse nuovi ritmi nella poesia, e coll'adattarvi l'azione diede spirito agli inni ne' musicali conflitti (Polluc. lib. 4, Plutar. de mus.) In Lacedemone era chiamato per eccellenza il cantore di Lesbo e gli altri Greci conservaron per lui la stima profonda con cui eran usi onorare i talenti, che contribuivano ai loro piaceri. Terpandro fiorì sette secoli innanzi G. C.
Terradeglias (Domenico) nacque a Barcellona sui principj dello scorso sec. e venne in Napoli a studiar la musica sotto il cel. Durante nel Conservatorio di Sant'Onofrio. Mercè i suoi talenti e l'assiduità allo studio pervenne al rango di uno de' migliori compositori del sec. 18, principalmente pel teatro. Nel suo stile, egli più che altri si avvicina a quello di Majo e del Sassone, ma vi unisce più fuoco e più brio. All'epoca della sua maggiore celebrità, circa 1746, i cantanti amaramente lagnavansi delle difficoltà delle sue opere, il che certo non avverrebbe oggigiorno. Rousseau nella sua lettera sulla musica francese rapporta che Terradeglias parlandogli una volta di alcuni Mottetti da lui composti, dove aveva messo de' cori con gran maestria faticati arrossiva di averne [82] fatti così belli scusandosi sulla sua giovinezza, altre volte, egli diceva, io amava a far del fracasso, cerco adesso di far della musica. Nel Dizionario di musica dice che il Genio guidò questo compositore, nel santuario del buon gusto, e dell'espressione. Un giorno Terradeglias trovandosi in Francia, venne al teatro ove si eseguiva la musica di una grand'opera francese. Al sentir le grida e gli urli, che allora ne formavano l'essenza, e vedendo gli applausi con i quali accoglievansi quelle svenevolezze, i francesi, sclamò egli, hanno le orecchie di corno. Terradeglias si stabilì finalmente in Roma come maestro di cappella di S. Giacomo de' Spagnuoli, e morì quivi nel 1751.
Terza (Giuseppe) nel 1805 pubblicò in Napoli, Nuovo sistema del suono, in 8º, con un rame di esempj. Egli è una specie di Prospetto di un'opera più lunga, che l'autore si propone di pubblicare sull'arte del maestro di musica. Prima d'ogn'altra cosa vi esamina egli le idee di Aristotile, di Descartes, di Newton e d'altri sull'origine del suono, e sviluppa a questo proposito delle estese conoscenze, che prevengono in favore dell'opera ch'egli annunzia.
Tesi (Vittoria), nata in Firenze, fu una delle prime cantatrici dell'Italia nel secolo 18. Francesco Redi maestro di cappella fiorentino le diè le prime lezioni di canto. Ella portossi quindi a Bologna, e vi proseguì i suoi studj sotto la direzion di Campeggi, e frequentò insieme la celebre scuola del Bernacchi; applicandosi con zelo allo studio dell'arte di cantare, il suo gusto naturale la portò sulle scene. Nel 1719 cantò sul teatro di Dresda, e nel 1725 su quello di Napoli: nel 1749 cantò la parte di Didone, dramma del Metastasio messo in musica dal gran Jommelli, nel teatro di Vienna; e tutto [83] che la Tesi sorpassasse allora i cinquant'anni di sua età, piacque più che prima la sua esecuzione. Lo stesso Metastasio scrivendo quell'anno alla principessa di Belmonte, andò in iscena la mia Didone, egli dice, ornata di una musica che giustamente ha sorpresa, ed incantata la corte. La Tesi è ringiovanita di venti anni. Essa stabilitasi in Vienna lasciò il teatro, ed impiegò i suoi ultimi anni nel formare delle giovani cantanti, ed attrici, tra le quali si distinsero la Teuber, e la de Amicis. Burney ne' suoi Viaggi t. 2 p. 236 racconta, che in Vienna ella ricusò generosamente la mano di un conte, per riguardo alla sua famiglia, e sposò un giovane di bassa lega. Il re di Danimarca onorolla nel 1769, della croce dell'ordine della fedeltà e della costanza. Morì ella a Vienna in età di più di 80 anni verso il 1775. Aveva la voce molto estesa, e cantava con uguale facilità sì nell'alto, che nel basso: il genere serio e 'l grazioso le eran familiari ugualmente.
Tessarini (Carlo) da Rimini, godè in Italia di gran rinomanza come compositore, e come violinista, fu per molti anni maestro di concerto e primo violino della cattedrale di Urbino: nel 1762 portossi a Amsterdam, dove la sua musica strumentale ebbe un grandissimo incontro per il gusto moderno, con cui era scritta, e molta ve ne ha quivi impressa, come anche ad Urbino e in Parigi. Pubblicò altresì in Amsterdam: Nuovo metodo di apprender per teorica, in un mese di tempo, a suonar di violino, diviso in tre classi, con lezioni a 2 violini, 1762.
Testori (Carlo Giovanni), maestro di musica e professore di violino in Vercelli, è autore di un'opera quivi pubblicata col titolo: La Musica ragionata, espressa famigliarmente in dodici passeggiate a [84] dialogo, in 4º, 1767, con 22 carte di rami. L'autore dice, che avendo avuto due maestri di composizione, non ebbe dall'un di essi che sei lezioni, dall'altro nove, e tutti e due si fa così si dee far così, e o le loro ragioni, egli soggiunge, non furono abbastanza per me, od io non bastava per loro, e così lasciando la cosa a suo luogo, non ne feci altra. Si mise egli a leggere varj libri, che trattavan di musica, massime per comporre, e benchè il titolo promettesse assai inoltrandosi nel leggerli vi trovò un numero infinito di regole senza vedere un principio d'onde derivassero. Leggendo attentamente queste regole trovonne molte tra di loro contradicenti. Formossi egli dunque da se stesso un metodo, dedotto da alcuni principj, che ben meditando sull'arte dispose gradatamente in buon ordine, e procurossi così il vantaggio di capire il buono, e scartare il cattivo negli scritti altrui. Incontratosi poi nel Trattato dell'Armonia di M. Rameau, dice egli di averlo non solo inteso bene dalla prima lettura, ma di averne eziandio capito lo spirito, per avere egli già battuta la medesima strada. Chechè sia di ciò, l'A. nella sua opera ha saputo farne buon uso, non adottando del Rameau che alcuni buoni principj di pratica: non ha saviamente fatto uso di calcoli aritmetici, che non son punto necessarj al fine ch'egli si propone; ed ha solo sparso il suo libro di esempj chiari, e di semplici dimostrazioni affine di formare in brieve tempo, e senza molta fatica de' ragionevoli compositori di musica. Quel che reca alcun fastidio ai suoi leggitori si è la prolissità e la bassezza del suo stile, onde dommi a credere che questa sia stata la ragione del poco spaccio del suo libro. Nell'avvertimento al lettore egli prometteva di dar fuori pure un altro Trattato [85] della misura, e dello scrivere sotto le parole coll'adattamento al senso di esse. Non sappiamo però ch'egli ciò avesse messo in effetto.
Tevo (Zaccaria), francescano di Venezia e professore di musica, pubblicò quivi nel 1706 un'eccellente opera intitolata: Musico testore, in 4º, ove trovansi molte profonde riflessioni sulla teoria, e sulla pratica della musica. Chiama egli testore il musico che vuol formare a texendo, perchè insegna la maniera di tesser un pezzo di musica di qualunque genere egli sia. Egli sostiene il sentimento di coloro, che non niegano agli antichi la cognizione del contrappunto, o dell'armonia simultanea, sentimento il più abbracciato oggigiorno. L'opera di Tevo è stata lodata da' più dotti scrittori di musica, particolarmente italiani, e francesi.
Thiemé (Federico) musico tedesco, che ha passato in Francia la più gran parte di sua vita, e dove si sono impresse molte sue composizioni musicali. Egli pubblicò in oltre nel 1801 a Parigi, Nouvelle théorie du mouvement des airs, contenant le projet d'un nouveau chronomètre. Quest'opera non sorpassa la mediocrità.
Tiedemann professore di lingue dotte a Cassel, nel 1779 scrisse delle Osservazioni sulla Musica di Pitagora, che Forkel ha inserite nel t. 3 della sua biblioteca di musica.
Tigrini (Orazio), canonico di Arezzo, pubblicò in Venezia nel 1588 Compendio della musica, nel quale si tratta dell'arte del contrappunto, diviso in 4 Libri in 4º. La seconda edizione è del 1602.
Timoteo, poeta musico di Mileto, fornito di un singolar talento dalla natura [86] venne a darne in Atene i suoi primi saggi: ma sonato avendo dinanzi al popolo, gli Ateniesi lo fischiarono. Scoraggiato da questo primo incontro, pensava di rinunziare alla musica per la quale credeva già di non avere disposizione alcuna, quando Euripide, più perspicace della moltitudine talmente lo consolò e fecegli animo, che obbliar gli fece la sua disgrazia. Egli diessi di poi interamente a coltivar la sua arte, e giunse col suo genio a fare una rivoluzione nella musica de' Greci. Ad imitazion di Terpandro aggiunse quattro nuove corde alla lira, e trasse dal nuovo istromento un'armonia sì penetrante, sì dolce, che il Senato di Sparta, riguardando siffatta innovazione come pericolosa a' costumi condannò con un rigoroso decreto conservatoci da Boezio i nuovi progressi dell'arte, e l'artista insieme. (V. l'artic. Cleaver, nel 2º tom.). Si pensava già al riferir di Ateneo, di tagliar quelle nuove corde secondo il decreto, quando si accorse Timoteo di una statua di Apollo, la di cui lira aveva l'ugual numero di corde della sua: mostrolla ai giudici, ed ei fu assoluto. Proseguì a perfezionare allora l'antica musica, e vien riguardato qual inventore del genere cromatico, e di un canto più scientifico e più variato. La sua riputazione tirò alla sua scuola un'infinità di scolari. Egli esiggeva doppia paga da quegli, che venivano per imparar da lui a suonar di flauto, o la lira, dopo avere avuto un altro maestro: e davane per ragione, che un abil maestro, succedendo a de' precettori semidotti, ha doppiamente ad affaticarsi, con fare obbliare al discepolo quel che aveva appreso male, e con nuovamente istruirlo. Egli morì in età di 90 anni cinque secoli innanzi G. C. Si sa la bella ode di Dryden, nella quale il poeta celebra con entusiasmo i sublimi talenti [87] di Timoteo, e M. Delille nel suo poema de l'Imagination chant V, se non che ambidue lo han confuso con un altro Timoteo posteriore a costui.
Timoteo di Tebe, cel. musico e suonatore di flauto nella corte del grande Alessandro, fiorì alcun tempo dopo del precedente. Chiamato alle nozze di Alessandro con Rossane, Timoteo ne fece l'apertura accompagnando con la tibia un inno ad Apollo (V. Plutarc. de nupt. Alex.), e talmente fecesi ammirare da quel conquistatore, che volle presso di se ritenerlo per sempre. Egli aveva il talento di eccitare, o di calmare in questo principe il suo umore guerriero. Se gli attribuiscono dei libri sulla musica, che non sono giunti sino a noi.
Tinctor, o Teincturier (Giovanni), di Nivelles nel Brabante, fu dapprima cappellano e musico del re di Sicilia, come nelle sue opere si chiama egli stesso, e quindi nella sua patria canonico e dottore in dritto. Fu egli che fondò in Napoli, mentre era in corte del re Ferdinando, insieme con Gaffurio e Garnerio, quella cel. scuola di musica, che fu in quel tempo sommamente utile ai progressi dell'arte in Italia. A quest'oggetto egli scrisse più opere sulla teoria e la pratica della musica in latino idioma, assai puro per quel secolo: a lui si deve il primo Dizionario di musica col titolo di Terminorum musicæ definitorium, e quest'opera è altresì il primo trattato dell'arte, che siasi onorato colle stampe di Napoli, e da lui dedicato a Beatrice di Aragona figlia di Ferdinando verso il 1478. Forkel l'ha fatto ristampare nella sua Letteratura generale della musica a Lipsia 1792. Questo dizionario, dove sono spiegati i termini dell'arte in uso ne' secoli di mezzo, è di un'estrema importanza per la sua storia: pare che i più accurati bibliografi in musica, [88] come Sammler, Doni, Zarlino, Bottrigari non ne abbiano avuto notizia: e sino al P. Martini, Burney e Forkel se n'era quasi del tutto perduta la memoria. Le altre opere di questo dotto autore del secolo 15 sono rimaste manoscritte.
Tissot (Samuele-Augusto), cel. dottore in medicina, in molte delle sue opere parla degli effetti della musica sul corpo dell'uomo, e divide la musica medicinale in incitativa, e calmante. (V. Lichtenthal p. 57, e 79). Merita altresì che si legga un suo piccol libro intitolato: Essai sur la mue de la voix.
Titon du Tillet (Evrard), morto in Parigi nel 1762. Egli conservò sino alla fine de' suoi giorni un vivo gusto per le belle lettere: nel suo Parnasse français, Paris 1732 in fol. si trovano molte osservazioni sulla poesia e sulla musica, e le notizie necrologiche de' musici francesi. I supplementi ch'egli pubblicò in un altro volume in fol. giungono sino al 1760, e contengono la storia de' musici in quest'intervallo defunti. Il suo stile è negletto, e monotono.
Toderini (l'ab. Giambattista), precettore dei figlio dell'ambasciadore di Venezia a Costantinopoli, ove dimorò per sei anni, è autore di un'opera in 3 vol. intitolata: Letteratura turchesca, Venezia 1787. Nel primo tomo egli tratta della Musica de' Turchi, e mostra esser falso contro l'asserzione di Dunbar, e Niebuhr inglesi che i turchi di distinzione disdegnino di apprender la musica: essi evitano soltanto di farsi sentire in pubblico. I turchi, egli dice, hanno preso dai Persiani la loro musica; il Sultano mantiene un numeroso coro di musici, i quali fanno sentirsi in occasione di solennità. Al serraglio vi ha una musica da camera, che il Sultano fa eseguire più [89] volte per settimana: vi fa alle volte introdurre eziandio i più distinti musici della città Greci, Armeni, Giudei o Turchi. Toderini dà alla fine di questo volume un saggio della musica turchesca. La sua opera è stata tradotta in tedesco dal professore Hausleutner a Stuttgard, ed in francese dall'ab. de Cournand a Parigi.
Toepfer (Carlo), precettore nel ginnasio d'Eisenach, è autore di un'opera in tedesco che ha per titolo: Elementi per imparare la musica, e principalmente il cembalo, con una introduzione critica, Breslavia 1773 in 4º.
Tolemaide di Cirene, donna seguace della filosofia di Pitagora, secondo l'uso di questa scuola coltivò anche la musica. Porfirio ne' Comenti sugli armonici di Tolomeo, cita alcuni di lei scritti sulla musica (V. Fabric. Bibl. Gr. t. 2).
Tolomeo (Claudio), cel. matematico di Alessandria nell'Egitto fiorì verso l'anno 130 dell'era cristiana. Egli coltivò la musica, che presso gli antichi sappiamo aver fatta parte delle mattematiche, e de' studj de' filosofi. Abbiamo di lui Tre libri degli Armonici, sopra i quali vi fece Porfirio de' lunghi Comenti. Il D. Wallis li ha tradotti in latino, e col testo greco promesso dal Meibomio pubblicolli a Oxford, dapprima in 4º, nel 1682, e quindi nel 1699 in fol. con una sua appendice: De veterum Harmonica ad hodiernam comparata. Il dottissimo ab. Requeno dopo un profondo esame della dottrina di Tolomeo e de' suoi Comentatori, “I moderni credono, egli dice, che la musica debba più a Tolomeo che a nessun altro de' Greci; ma dall'esame de' greci armonici, e da' miei sperimenti sul greco sistema si conchiude, che nessun altro rovinò tanto l'antico sistema, nè autorizzò col calcolo armonico tanti errori su gli intervalli [90] consoni, quanto Tolomeo. Egli era uomo molto erudito ed accreditato nel calcolo, ed un grande ingegno. Il suo eccellente ingegno lo avrebbe condotto a fare delle dimostrazioni verissime intorno agli intervalli delle sei consonanze, se il fondamento della misura del tuono, con cui le computò, fosse stato vero, anch'esso: ma le fece falsissime per l'insussistenza del principio, da cui fu guidato. Il credito non di manco del suo sapere autorizzò questi computi a tal segno, che Boezio suo seguace giunse fino a sistemare i suoi errori, e a dimostrarli col metodo geometrico in diversi teoremi. Il dotto Zarlino gli copiò e li difese, e Rousseau li trascrisse dal Zarlino: I commentarj di Porfirio sono degni dell'autore dell'Isagoge de' cinque predicabili, celebrati tanto da' nostri scolastici. Porfirio muove disputa contro Tolomeo per avere definito il suono per quantità, essendo, dice egli, una qualità. Lo riprende inoltre per aver egli confuso il suono con la voce; e fuori di qualche erudizione, che allora poco si valutava, e adesso si stima molto, Porfirio ed i suoi commentarj su Tolomeo sono poco pregevoli.” (Saggi ec. t. 1). Veggasi ancora la confutazione della dottrina di Tolomeo che ne ha fatta questo dotto critico nel t. 2 de' suoi Saggi pratici, part. 2, c. 3. Nelle Memorie di Gruber per la letteratura della musica trovansi eziandio delle ricerche critiche molto interessanti sui libri armonici di Tolomeo. “In molti punti, dice l'ab. Andres, Tolomeo si rende inintelligibile, e passa in altri da' ragionamenti e dimostrazioni in sogni e delirj” (Dell'Acustica c. 8). Reca quindi meraviglia come l'inglese Burney lo chiami il più dotto, più preciso, e più filosofico scrittore in questa materia (History of music c. V).
Tomeoni (Florido), nato [91] in Lucca, ma stabilito attualmente in Parigi da più di venti anni, come compositore e professore di musica, nel 1799 pubblicò quivi: Teoria della musica vocale con osservazioni sulla pronunzia delle due lingue italiana e francese, in 8º. Quest'opera contiene delle giudiziose riflessioni sulle due scuole di musica dell'Italia, e della Francia; vi si veggono le ragioni della superiorità degli Italiani nell'arte musicale, ed i mezzi di giungere alla perfezione, che eglino hanno acquistata nell'esecuzione.
Tonelli (Antonio), nato a Carpi nello stato di Modena, studiò in Bologna la musica, ove fecesi un nome celebre pe' suoi talenti. Nominato all'impiego di maestro di canto nel collegio di Parma, ottenne per la sua virtù la protezione del duca. Dopo un soggiorno di 15 anni in quella città, per la stranezza del suo pensare, partì subitamente senza danaro, senz'equipaggio, con un solo abito nero, e 'l suo violino, che eccellentemente sonava: portossi in Danimarca, e vi restò per tre anni. Nel 1720 tornò in Italia come ne era sortito, sfornito di tutto, e ricusò lungo tempo i beneficj de' principi, che offrivangli a gara ottimi stabilimenti, ma egli non volle fissarsi mai in verun luogo. Non fu che nel 1760, che si stabilì finalmente nella patria in qualità di maestro di cappella della cattedrale di Carpi, ove morì li 26 dicembre del 1765, dopo aver dichiarati suoi eredi i poveri incurabili di Faenza. Egli lasciò manoscritto un Trattato della musica. Coltivava altresì la poesia, e si hanno di lui alcuni eccellenti pezzi satirici, sparsi in diverse raccolte.
Toscanello (Orazio), uno di quegli eruditi cinquecentisti italiani, che tentarono di ristabilire l'antico genere enarmonico de' Greci, ma ponendo per [92] base le corde diatoniche, e cromatiche de' moderni, e facendone lo sperimento sul nostro clavicembalo, presero moltissimi abbagli. Orazio pubblicò la sua Arte metrica in Venezia nel 1567. “Su tali principj o su tali supposizioni lascio alla considerazione degl'intelligenti armonici qual conto debba farsi delle loro dotte dicerie, e de' loro tomi in foglio sopra il cromatico o enarmonico de' Greci. Non sono però affatto indegni que' soggetti di stima, mentre, cercando essi l'antica musica, avanzaronsi nella moderna, e rischiararon con la loro pratica varie corde dubbiose della nostra armonia.” Questo si è il savio giudizio che reca di tali opere il Requeno t. 2, p. 125.
Tosi (Pierfrancesco), socio dell'accademia filarmonica di Bologna, si rese illustre sui principj dello scorso secolo per la sua eccellente maniera di cantare, e come compositore e scrittore eziandio. Fu applaudito ne' più gran teatri d'Italia, e d'oltramonti. Quanz il conobbe a Londra nel 1724, benchè in un'età molto avanzata: ma stimato ancora pel suo raro merito. Lasciò quindi il teatro, e consacrossi a formar degli allievi nel canto. La sua opera pubblicata in Bologna, col titolo di Opinioni de' cantori antichi e moderni, o sieno Osservazioni sopra il canto figurato, 1723, è molto pregiata non solo in Italia, ma altresì in Germania ed in Francia (V. Enciclop. metod. art. Aria). Agricola nel 1757 la tradusse in tedesco, con aggiungervi delle interessanti note.
Traetta (Tommaso), uno de' più celebri scolari di Durante, e de' migliori compositori pel teatro nello scorso secolo, nacque a Napoli nel 1738. In età di anni 21, sortì dal conservatorio della Pietà, e due anni dopo scrisse il Farnace [93] per il gran teatro di S. Carlo, di cui fu così brillante il successo, che gli si fecero comporre altre sei opere di seguito sì serie che buffe. In Roma scrisse l'Ezio: e tutti i gran teatri dell'Italia facevano a gara per averlo. Dopo averli tutti percorsi, si attaccò egli al servigio della corte di Parma: fu richiesto in Vienna, e vi scrisse due grandi opere con cori e balli, l'Ifigenìa e l'Armida. Il successo ne fu prodigioso. Dopo la morte dell'infante D. Filippo, Traetta portossi in Venezia, ove se gli affidò il conservatorio dell'Ospidaletto, ma non vi si trattenne lungo tempo. Due anni dopo l'Imperatrice Caterina II lo chiamò a Pietroburgo per succedere a Galuppi, e nei sette anni del suo soggiorno nella Russia vi scrisse sette opere, e molte cantate. Dopo la prima rappresentazione della sua Didone dicesi che l'imperatrice mandogli in dono una scatola d'oro col di lei ritratto, e dentro un biglietto scritto di sua mano, in cui gli diceva, che Didone morendo avevagli fatto quel legato. L'Inghilterra volle anche averlo, ma provò quel clima assai nocivo alla sua salute, e dopo un anno tornò in Italia per guarirsi. Il male tuttavia fu incurabile, ed egli venne a morire in Napoli nel 1779, compiti appena i 40 anni dell'età sua. Traetta musico profondo e melanconico, riesce soprattutto eccellente negli effetti pittoreschi, e patetici dell'armonia. Le migliori sue opere passar possono per altrettanti modelli di musicale poetica, e come esemplari di correzione e di grazia. “Bisognerebbe, dice l'elegante Arteaga, aver approdato or ora da qualche Isola boreale scoperta dal celebre viaggiatore Cook per ignorar i talenti, e la scienza del sempre bello, e qualche volta sublime Traetta.” (Rivol. t. 2). M. Ginguené rapporta il seguente aneddoto, [94] all'art. crier dell'Enciclop. metodica. Nella Sofonisba di Traetta, questa Regina framettendosi tra 'l suo sposo, e l'amante, Ah! barbari che fate? dice loro: Se di sangue dissetarvi bramate — Ferite, uccidetemi, ecco il mio seno, e come eglino sono ostinati a partire per battersi, ella esclama: Dove andate? Ah! no. A quell'Ah! vien interrotta la musica. Il compositore, vedendo che quì gli era d'uopo esimersi dalla regola generale, e non sapendo come esprimere il grado della voce, che dar doveva l'attrice, mise sulla nota sol, tra due parentesi: (Un urlo francese). Traetta intendeva molto bene, che urlo francese era il più acuto grido che formar possa la voce dell'uomo.
Trasillo, greco scrittore di musica, filosofo platonico, e matematico, familiare dell'Imperatore Tiberio, vien citato con elogio come dotto musico da Plutarco, da Nicomaco, da Teone di Smirna e da Porfirio; il quale ne' suoi Comenti sugli armonici di Tolomeo fa menzione di un suo Trattato dell'Eptacordo. Svetonio rapporta, che Trasillo come matematico fu in Roma molto onorato da Tiberio, sino a dargli alloggio nel palazzo. (Vit. Cæsar, in Tiberio n. 14).
Trejer (Padre maestro), valoroso contrappuntista di Firenze e autore di quel curiosissimo canone a quattro, intitolato il Ponte di santa Trinità di Firenze. Sanno i Fiorentini, che su quel bellissimo ponte accorrono li venditori d'ogni genere di frutta e di utensigli, e vi fanno un chiasso del diavolo per tirare ciascuno a se stesso i passeggieri. Questo frastuono di voci e caratteri diversi prese egli facetamente ad imitare con tanta precisione, che a chi l'udiva sembrava proprio di trovarsi in quel luogo, e vi sentiva per sino il romore delle carrozze, non che le [95] grida de' barcaruoli d'Arno, miste a quelle de' venditori. (V. Carpani Haydine lett. 7).
Trento (Vittorio), compositore italiano dei nostri giorni per teatro rinomatissimo, per un gusto tutto nuovo nelle sue produzioni, e per l'originalità e le grazie del suo strumentale, onde a ragion, io credo, che detto ei venga dagl'intendenti l'Haydn e il Mozart dell'Italia. Le sue sinfonie sono pregiatissime per la novità, e brio, e vivacità de' motivi: per lo più vi dà egli principio da un Grave, ove impiegando tutte le ricchezze delle transizioni armoniche, e scorrendo per varj tuoni o modi, interessa non meno il cuor che l'orecchio, comecchè ambi alletti e soddisfaccia. Il suo stile è dignitoso, elegante metodico, e di tale forza a resistere più che ogn'altro all'instabilità del gusto italiano. Nel magazzino di musica del Ricordi in Milano trovansi di lui impressi Gli assassinj ossia Quanti casi in un giorno, Teresa vedova, le astuzie di Ficchetto oltre a più canzonette con accompagnamento di forte piano stampate in Londra, e altrove.
Trichet (Pietro), avvocato di Bordeaux, morto a Parigi nel 1644, di 57 anni. Nella Biblioteca di S. Genovefa si conserva un di lui Trattato manoscritto sugli stromenti di musica.
Triklir (Giovanni) nato a Dijon nel 1750, mostrò sin da' primi anni molta abilità sul violino, e in età di 15 anni portossi a Manheim per perfezionarvisi. Fece quindi tre viaggi in Italia, ove acquistò molti lumi per la sua arte, e nel 1783 di ritorno in Alemagna entrò al servigio dell'Elettor di Sassonia. Egli era allora uno de' più gran virtuosi sul violoncello, e uno de' migliori compositori eziandio su questo istromento. Deesi a lui l'invenzione del microcosmo musicale, pel cui mezzo possono mettersi gli stromenti [96] da corda al sicuro delle variazioni dell'aria. Terminò egli questa sua scoperta l'anno 1785, con l'ajuto di M. Hennequin a Dresda, e la sottomise allora al giudizio de' Signori Schuster, Babbi, Uhlig e Caselli. Egli è morto verso il 1806.
Tritta (Giacomo), attualmente maestro di contrappunto nel R. Collegio di musica in Napoli, fu allievo del cel. Sala. Nel 1787 scrisse la Vergine del Sole, nel quale dramma vi ha un duetto, ed un terzetto di una estrema bellezza. Nel 1788 compose la musica della Molinarella. Nel magazzino del Ricordi in Milano vi ha di lui in oltre Il Cartesiano fantastico, e le trame spiritose.
Tromlitz (Giorgio), uno de' primi virtuosi sul flauto nella Germania, e cel. nella costruzione di tali stromenti, benchè la delicatezza della sua salute lo avesse obbligato dopo il 1780 a non più suonarlo. Egli diessi allora all'istruzione di un gran numero di allievi nell'università di Lipsia; e nel 1786 pubblicò quivi una Dissertazione sul flauto e sulla maniera di suonarlo: di cui ve ne ha una seconda edizione del 1790. Nel magazzino di Cramer trovansi di lui impressi Concerti di flauto, che sono assai ricercati.
Trydell (John), musico di Londra, ove nel 1769 diè per le stampe: Two essays on the theory, and practice of music, cioè Due Saggi sulla teoria e la pratica della musica. Il primo contiene gli elementi musicali, e 'l secondo i principj dell'armonia, della composizione e del basso continuo.
Turini (Ferdinando), veneziano, nipote del rinomato Berton, benchè avesse avuta la disgrazia di divenir cieco nel 1772, nel fiore dell'età, fu non di meno uno de' migliori organisti dell'Italia. Compose molti intermedj e cantate, [97] alle quali lo stesso Sassone non potè ricusare la sua approvazione.
Turki (Daniele) fece i suoi studj nell'università di Lipsia dopo il 1773, e coltivò insieme la musica. Il cel. Hassler gli diè lezioni di cembalo sulla maniera di Emman. Bach. Turki si applicò quindi alla composizione: e dopo il 1781 ha dato molti corsi pubblici di quest'arte nell'università di Halle, dove pubblicò le seguenti opere: Dei principali doveri di un organista, 1787. Scuola di cembalo per i maestri, e per i principianti con note critiche 1789. Introduzione allo studio del basso continuo in 8º; la seconda edizione è del 1800, in Lipsia. Quest'opera è pregiatissima. Vi sono di lui impresse eziandio molte sonate per cembalo assai stimate.
Turn-Taxis (il conte di), direttore generale delle poste italiana e tedesca in Venezia, era il protettore e l'allievo dell'illustre Tartini, col quale mantenne sempre un commercio non interrotto di lettere intorno alla musica, di cui erane distintissimo amatore. Allorchè Rousseau si fè lecito nel suo dizionario di musica di fare alcune osservazioni critiche sul sistema di Tartini, egli ne prese vigorosamente la difesa: e venendo a morte il Tartini lasciò in sua cura tutti i suoi manoscritti. Il dottor Burney, che conobbe questo conte ancor giovane nel 1770 in Venezia, lo annovera tra' migliori allievi del medesimo, comecchè il di lui strumento favorito fosse il cembalo, ed ammirò il numero delle messe, de' mottetti, e degli oratorj da lui composti. (Present state of music in Italy).
Turner (William), dottore in musica a Londra, e compositore al suo tempo pregiatissimo sul gusto italiano, morì nel 1740. Egli è inoltre autore di un'opera intitolata: A philosophical essay on music; [98] cioè Saggio filosofico sulla musica, in 4º, senza data.
Ugolini (l'ab. Biagio), dottore veneziano, a cui si deve l'immensa collezione in 34 vol. in fol. col titolo Thesaurus antiquitatum sacrarum etc. Venetiis 1766. Il trentesimo secondo vol. è interamente addetto alla Musica degli Ebrei: vi si trovano in sul principio i 10 capitoli del Schilte Haggiborim, tradotti dall'ebreo in latino, dall'ab. Ugolini, i quali trattano di quasi tutte le parti della musica di questa nazione, e quindi 40 dissertazioni, o estratti dalle più considerevoli opere di diversi autori, come Abicht, Bartoloccio, Bocrisio, Bytemeister, Calmet, Drechsler, Glaser, Hasac, Heumann, Horch, Kircher, Lamy, Mersenne, Hothon, d'Outrein, Pfeiffer, Paschio, Reime, Schacchi, Schudt, Spencer e Van-Til, sullo stesso argomento.
Unger (Federico) di Brunswick, ove fu consigliere di giustizia, inventò ad Einbeck una macchina, che unita a un cembalo nota successivamente tutto quello che si suona su questo istromento. Egli comunicò in una lettera all'accademia di Berlino, di cui era membro, i disegni di questa macchina, e nel 1774 ne pubblicò a Brunswick una descrizione dettagliata. Quest'idea è stata di poi perfezionata da Holfeld, da Lenormand, e nel 1810 da Mr. Nabot meccanico in Londra, che più che altri vi è riuscito. (V. Archiv. des découvertes t. 2). Unger morì a Brunswick nel 1781.
Uregna (Pietro d'), monaco spagnuolo, visse nel decimosesto secolo a Vigevano nel Milanese. L'ab. Arteaga dice, che egli merita esser cavato dall'oscurità, ove indebitamente giaceva, poichè fu l'inventore [99] della settima nota aggiunta alla scala di Guido Aretino; che siffatta scoperta si trova nel compendio del sistema di esso Uregna fatto, e pubblicato in Roma in lingua spagnuola l'anno 1669. Il libro ha per titolo: Arte nueva della musica inventada por S. Gregorio, desconcertada an. 1022 por Guido Aretino, restituida a su primera perfeccion por Fray Pedro de Urena, y reducida a este breve compendio por J. C. in 4º. L'autore del compendio è il cel. M. Caramuele. (Rivol. ec. t. I, p. 202).
Vaccari (Francesco), nato a Modena circa 1772, cominciò a studiar di violino dall'età di cinque anni, e mostrovvi le più grandi disposizioni. Suo padre per farvelo vie più avanzare, gli offriva a suonare a prima vista ogni specie di musica. Di nove anni eseguì in Parma un concerto di violino dinanzi al duca e al conte del Nord: Pugnani, che si era opposto a far suonare in corte un fanciullo, non lasciò, sentendolo, di ammirarne l'esecuzione. Egli passò poi in Firenze a prender lezione del cel. Nardini. Di tredici anni si rese a Mantova, ove Pichl presentogli per saggio un concerto da lui composto, ch'egli eseguì perfettamente a primo colpo d'occhio. Dopo aver viaggiato per quasi tutta l'Italia, il figlio del gran-duca di Parma lo portò seco in Ispagna, e verso l'anno 1804 fu dal re scelto come primo violino della corte. Nelle turbolenze politiche di Madrid passò in Portogallo, dove forse attualmente si trova. Egli ha scritto alcune sonate di violino.
Vague (M.), di Marsiglia, pubblicò in Parigi nel 1733, l'Art d'apprendre la musique, exposé d'une manière nouvelle et intelligible, par une suite de leçons, qui se servent successivement de préparation. Gli elogj prodigamente accordati a quest'opera sin dalla sua [100] pubblicazione, e più ancora l'onore di una seconda edizione, sono una prova del suo merito. Le dissertazioni, che vanno alla fine, meritano di esser lette.
Valburga (M. Antonietta) di Baviera, figlia dell'imperatore Carlo VI, elettrice vedova di Sassonia, morta a Dresda nel 1782, coltivò il suo spirito collo studio delle scienze, e delle arti di gusto, e senza mancar punto a' doveri d'una savia sovrana giunse così perfettamente a possederle, che i più abili professori riguardaronla come un prodigio del sesso. Alle profonde cognizioni in musica, univa somma abilità sul cembalo, ed una grande espressione nel canto. Possedeva sì bene l'italiano sino al segno di comporre degli eccellenti drammi in questa lingua, che ella medesima metteva in note. Tali sono il Trionfo della fedeltà, Talestri regina delle Amazoni, e l'oratorio la Conversione di S. Agostino, cui fè porre in musica dal Sassone. Il cel. abbate Eximeno nel dedicarle la sua Opera della Musica dice “che se il gran Metastasio ha avuto l'immortal gloria di stimolare co' suoi drammi il genio de' professori di musica; ella però non ha sofferto che altro genio esprimesse colla musica i nobili sentimenti de' suoi drammi.” Essendo venuta in Roma, fecesi ammirare pe' suoi sublimi talenti nella poesia e nella musica, e l'accademia degli Arcadi recossi a gloria di annoverarla tra' suoi membri, dove essa ebbe il nome di Ermelinda Talea. Il dottor Burney sommamente la loda, per avere avuta occasione nel 1772 di sentirla in Roma cantare un'intera scena, accompagnandosi al cembalo, del suo dramma il Trionfo. Puossi anche vedere un'intera aria della sua Talestri, che il surriferito Eximeno ha fatto imprimere alla fine del suo libro: lo stile ne è espressivo, grazioso, e pare recentemente [101] scritta. Porpora era stato il suo maestro sì per la pratica, che per la composizione, ed essa aveva conservate nel suo canto, e nelle sue produzioni la maniera grande, nobile e semplice insieme di questo celebre maestro.
Valgulio (Carlo), nato a Brescia da una antica e distinta famiglia, fu uno de' più dotti uomini del sedicesimo secolo. Egli era secretario del card. Cesare Borgia, e possedeva a fondo la lingua greca e latina. Nel 1507 pubblicò in Brescia la sua traduzione latina del dialogo di Plutarco sulla musica in 4º con sue dottissime annotazioni, a cui fa precedere un Discorso sull'antica musica per render più facile l'intelligenza del suo autore. Spiega in esso i diversi termini della musica usati da Plutarco; prende a difendere l'antico musico Aristosseno contro le ingiuste accuse de' suoi avversarj, e deplora la totale perdita di una musica così perfetta qual si era quella degli antichi; perdita non per tanto, che secondo lui non è irreparabile, poichè quest'arte può essere ristabilita per li medesimi mezzi, che la portarono anticamente ad un sì alto grado di perfezione. Nè altra cagione del cattivo stato della medesima crede potersi assegnare, se non la trascuranza de' suoi professori nel non voler consultare le opere degli antichi, ove troverebbero di che migliorare un'arte così utile. Valgulio, dice M. Burette, merita della stima, e dell'attenzione per avere avuto il coraggio di spianare il primo un pezzo cotanto difficile a ben capirsi, qual si è questo dialogo di Plutarco sulla musica, e di tradurlo in un latino puro abbastanza, perchè Enrico Stefano lo adottasse nella sua edizione (Histoir. littéraire du Dial. sur la musique). Tuttavolta fa maraviglia come la versione di Valgulio sia sfuggita all'esatto Fabricio. Gaffurio, altro [102] letterato musico di quel secolo, fa onorevol menzione del Valgulio in un suo Trattato italiano, e lo chiama homo doctissimo, et experto in tutte le discipline.
Valla (Giorgio) da Piacenza, letterato di grido sulla fine del quindicesimo secolo, e i principj del seguente, nel 1501 pubblicò in Venezia, de Musicâ libri V. Diè ancora una versione latina dell'Introduzione armonica del greco Euclide, cui egli attribuisce a Cleonide (benchè non sia nè dell'uno, nè dell'altro, come lo abbiamo avvertito all'artic. Euclide t. 2 p. 124), pubblicata insieme con l'Architettura di Vitruvio a Venezia l'anno 1497, in fol.
Valle (Pietro della), cavaliere romano, che secondo Kircher, era gran musico e precettore di musica, nacque in Roma a' 2 di aprile del 1586. Si ha di lui una dissertazione de musicâ ætatis suæ, che si trova inserita nel secondo tomo delle opere di Doni, Firenze 1763.
Valle (Guglielmo della), frate conventuale, che ne' suoi scritti mostra aver del gusto per le belle arti, è autore delle Memorie storiche per la vita del Pad. Martini cel. maestro di cappella, Napoli 1785 in 8º; in esse dà egli un estratto delle di lui opere musicali, e specialmente della sua storia pubblicata in tre volumi, ma rimasta imperfetta per la morte del suo autore. Il P. della Valle dà eziandio l'estratto del 4º tomo, che sui manoscritti del Martini continuar dovevasi dal Pad. Stanislao Mattei: la musica degli Etruschi, de' Romani e de' bassi secoli ne è il soggetto. Fa quindi le difese del Martini e della scuola musicale italiana contro gli attacchi del frivolo autore di un libercolo francese intitolato: Brigandage de la musique italienne, e rapporta alla fine le lettere dell'avvocato Mattei, dell'ab. Eximeno, del P. Martini ed alcune sue ancora [103] sulla questione: Se i greci ebbero cognizione dell'armonia simultanea o contrappunto. Diverse altre lettere del Martini, e di alcuni celebri letterati al medesimo egli riferisce molto interessanti alla letteratura della musica. Il P. della Valle pubblicò anche il di lui elogio, che letto aveva nell'accademia di Roma nel 1784 e che si trova nel tomo 57 del Giornale de' letterati.
Vallo (Domenico), napoletano, diè alle stampe un Compendio elementare di Musica specolativo-pratica, in 8º, Napoli 1804. L'autore dice che “obbligato dalle circostanze di apostatare dal foro, e di dare un addio ai libri della dotta legge, la necessità ridestò in lui quei musicali talenti, la di cui acquisizione, abbenchè estranea allo scopo che mirava, pure adolescente la riguardò come mezzo salutare a poter suffogare talvolta nel camin della vita il molesto senso delle edaci cure; che metamorfosato in tal guisa da uom legale in musico, giunto in paese straniero meritò il compatimento de' particolari del luogo, e la benemerenza degli allievi a lui affidati per essere istituiti nell'aurea scienza musicale. Dopo aver così consumato un intero lustro, essendosi avvisato della mancanza di un breve metodo di musicali rudimenti, vennegli in pensiero di compilare il presente, che ora offre al pubblico.” In esso lungi dall'occuparmi, egli dice, de' rapporti chimerici tra la musica e le altre scienze, e lungi dal prescrutare il principio fisico della risonanza de' corpi sonori, ed il principio metafisico del sentimento dell'armonia, è solo mio disegno di fornire a' principianti in iscorcio le sommarie cognizioni di teoria sufficienti a rischiarar la pratica de' principj. Pare in verità che questo compendio sia assai ben fatto, e possa riuscir di profitto non che agli scolari, ma ai maestri eziandio; [104] mancando essi d'ordinario di un buon metodo elementare. Gli uni e gli altri vi troveranno chiarezza e precision nelle idee, una scelta erudizione, e de' principj atti a formare un musico di buon gusto.
Vallotti (Franc. Antonio), nato a Vercelli nel 1697, fece i suoi primi studj nel Seminario di quella città, ed applicatosi con ispezialità alla musica sotto il cel. Brisson, fece in quest'arte de' molto rapidi progressi. La poco fortuna de' suoi parenti l'obbligò a prender l'abito di minore conventuale; dopo il noviziato, ritornò in Piemonte, studiò la teologia e la filosofia, e lasciò ben tosto le lettere per la musica. Egli fu dapprima organista del suo gran convento di Padova, e poco appresso ne divenne maestro di cappella. La sua maniera sembrò tutta nuova: fornito di un sentimento delicato, e di un'anima, per così dire, tutta armonica, fu del paro applaudito da' suoi compatriotti e dagli esteri. Dopo il 1750 veniva riguardato come uno de' migliori teorici, e de più bravi compositori per chiesa. Il dottor Burney rapporta di aver veduto presso di lui nel 1770 in Padova, oltre ad una preziosa biblioteca, due grandi armadii pieni di partiture delle sue composizioni, tra le quali eravi la Messa di Requiem per le esequie di Tartini (Travels, etc.). Nel 1779, diè egli alla luce in Padova la prima parte della Scienza teorica e pratica della moderna musica, in 4º. Questo primo libro è puramente teorico: altri tre ne prometteva l'autore, che son rimasti inediti. Il secondo dovea contenere gli elementi pratici della musica; il terzo i principj del contrappunto, e 'l quarto le regole dell'accompagnamento. Egli morì a 16 gennaro del 1780, l' ab. Fanzago pronunziò il suo elogio. Il cel. P. Martini fu incaricato dai Padri di Padova [105] a cooperarsi alla pubblicazione del resto di quell'opera del Vallotti, ed essendogli stati perciò rimessi i manoscritti, così loro scriveva: Non posso esprimere con quanto piacere abbia dato una scorsa a tali scritti, dai quali rilevasi il profondo sapere del P. Vallotti, e il danno che ne verrebbe al pubblico se non si proseguisse a stampare quanto manca al compimento di tutta l'opera. Non sappiamo però per qual ragione sia svanita l'esecuzione di un sì util progetto. Anche il Burney grandemente bramava che se ne facesse parte al pubblico per la maniera chiara ed intelligibile, con la quale era scritta. Nell'Effemeridi letterarie di Roma del 1780, uscì quindi una mordace critica al primo tomo del Vallotti, che recò molto disgusto al Martini. Sono stato tentato, dice egli in una lettera, per la stima e l'onore del defunto a rispondervi; ma il mio naturale abborrisce troppo la guerra. Codesto P. Barca amicissimo del Vallotti, e che è informato del profondo suo sapere potrebbe confutare i Signori Effemeridisti, per far noto al mondo, che se fosse vivo il cel. Vallotti, forse non si sarebbero azzardati a tanto, perchè loro avrebbe risposto per le rime. La migliore apologia però sarebbe stata al certo la pubblicazion delle sue opere, il che, per disavventura dell'arte non si è sinora avverato.
Valmalete (Louis de), dilettante assai distinto sul violino, nato a Rieux circa 1768, fece i suoi primi studj musicali sotto M. Fonces, e a' quindici anni di sua età cantava qualunque musica a batter d'occhio. Ebbe le prime lezioni di violino da Turlet, primo violinista del teatro di Tolosa, a cui davasi il nome di Tartini della Provenza: nel 1787 venne a Parigi, e prese lezioni da Gaviniès. M. de Liron iniziavalo ne' misteri della composizione, finchè [106] venne a morire nel 1806. M. Valmalete è oggidì uno de' primi dilettanti della Francia: egli suona da primo violino con altrettanto di esattezza che d'intendimento nelle composizioni di Tartini, di Haydn, e di Boccherini: accompagna molto bene al piano-forte, ed ha fatto sinora imprimere a Parigi tre romanzi, di cui ha composto i versi e la musica. Nel 1805, pubblicò inoltre le Due odi sull'armonia di Dryden, e di Pope, ch'egli ha tradotto da poeta e da musico.
Vandermonde (M.), nato in Parigi nel 1735, e quivi morto nel primo di gennaro 1796, era gran geometra e fisico, e non per tanto falso spirito. Nel 1780 espose in una sessione pubblica dell'accademia delle scienze, di cui era membro, un nuovo sistema di armonia. Egli riferisce le maniere di procedere adottate sino a lui a due regole principali, una sulla successione degli accordi, l'altra sulla disposizione delle parti; queste due leggi generali, secondo lui, dipendono da una legge più sublime, che regolar deve tutta l'armonia. L'autore temendo che si potesse trar profitto dalla sua scoverta, inviluppò il suo sistema di tanta oscurità, che finì col non comprendervi niente egli stesso.
Vanhal (Giovanni), boemo, dimorante in Vienna, ove viveva da semplice particolare del prodotto della vendita di sue composizioni, che sono state impresse per la più parte a Amsterdam, a Berlino, e a Parigi. Queste consistono in sonate di cembalo, in divertimenti e rondò con variazioni, in sinfonie, in concerti, ed anche in musica vocale, e tutte stimatissime. Le sue prime sinfonie comparvero nel pubblico nel 1767, e furono generalmente ricercate. Vi si ammirava la vivacità dell'espressione, e la leggiadria del canto. Si pretendeva a quest'epoca ch'egli [107] fosse soggetto ad attacchi di follia: Burney, che il vide in Vienna nel 1772, par che confermi tal voce, nel dire che lo trovò guarito di siffatta malattia. Vanhal migliorò notabilmente la sua fortuna con un vantaggioso matrimonio; e sarebbe divenuto ricchissimo, se non portava tanto avanti la prodigalità verso i suoi confratelli. Gli è assai volte accaduto di torsi l'abito dalla persona per vestirne un musico bisognoso.
Van-Swieten (il Barone di), prefetto dell'imperiale biblioteca di Vienna, e presidente della commissione d'istruzione pubblica, uomo dottissimo anche nella musica, e compositore non privo di merito, morto a Vienna nel 1806, è inoltre autore d'una dissertazione De musicæ in medicinam influxu atque utilitate, Leida 1773. A lui dobbiamo la divina musica dell'Haydn, della creazione, e delle quattro stagioni: eccone il come. Osservato aveva il Barone, che sebbene la musica non abbia un linguaggio, pure come sa esprimere a maraviglia gli affetti, così può colorire e dipingere le immagini, mercè la imitazione degli effetti analoghi: aveva pure osservato che sebbene quà e là s'incontrino nelle produzioni dei valenti maestri, dei cenni di questa imitazione, nulla di meno un tal campo restava pressocchè tutto a scorrere, e l'additò al suo amico Haydn, l'impresa da tentarsi fu dapprima un oratorio tutto di genere descrittivo. Haydn accettò l'invito, e ne nacque questo capo d'opera: il barone tradusse in tedesco il testo inglese del cel. Milton dell'oratorio intitolato la Creazione del mondo, e vi aggiunse cori, arie, duetti, ed altri pezzi concertati, onde pompeggiar potesse il talento del maestro. Nel 1795 l'Haydn vi pose la prima mano: non meno di 2 anni vi sudò sopra, ma fece un lavoro di secoli. Due anni [108] dopo, cioè nel 1800, animato dal successo, e più ancora stimolatovi dall'amico Barone, compose le quattro stagioni. Il poema è una imitazione di quello di Thompson, ridotto a cantata da Van-Swieten: in quanto alla musica, è opera tale da assicurare il primato nel genere descrittivo al suo autore, quand'anche non avesse composta la creazione. Può leggersi la dotta analisi, che fa della musica dell'Haydn su questi due poemi del Van-Swieten, il non mai abbastanza lodato Carpani nelle lettere 10 e 12. Dice egli inoltre, che se il Barone non moriva, avressimo un terzo oratorio dell'Haydn de' quattro novissimi. Tanta era l'autorità, egli soggiunge, che il detto Barone aveva preso sopra il buon vecchio, che d'altronde non poco doveva ai di lui lumi, ed alla di lui amicizia.
Vatry (l'abbé Jean), morto nel 1769, membro dell'accademia delle Iscrizioni, nel di cui tom. 8 1733 trovansi due sue Dissertazioni sulle tragedie degli antichi. Egli ragiona de' vantaggi, che l'antica tragedia ricavava da' suoi Cori per la gran varietà del loro canto, diverso da quello delle scene: abbraccia l'opinion di coloro, che sostengono essersi cantate le tragedie dal principio sino al fine, come si fa ne' nostri drammi per musica. Su tal principio mette in luogo della declamazione una specie di musica così differente da quella de' Cori, come lo era la Poesia de' medesimi da quella delle scene, sì per la cadenza e l'armonia, come per l'espressione. L'Autore va innanzi all'obbjezione, che è un assurdo il minacciare, il lagnarsi, e il morir cantando: risponde che la Tragedia è a dir vero una imitazione, ma una imitazione in versi, ossia un Poema destinato a divenire spettacolo: che imita non che per i suoi discorsi, ma eziandio per via [109] dell'azione, e de' gesti, che esser debbono diversi dal tuono naturale e di conversazione, e a cui preseder fia d'uopo la musica: in somma che non è meno assurdo il parlare in versi, che il cantare nel più forte di una passione.
Vecchi (Orazio), diverso da Orfeo Vecchi maestro di musica nello stesso secolo, era poeta insieme e maestro di cappella in Modena circa 1590. Deesi a costui la prima Opera buffa, e poesia e musica, che sortì alla luce in Vinegia l'anno 1597 col titolo: Anfiparnasso Commedia dedicata a D. Alessandro d'Este. L'accademia filarmonica possiede nella sua biblioteca un esemplare di quest'opera così rara, che il Zeno, comecchè in tal genere di erudizione fosse versatissimo, confessa in una sua lettera al Muratori d'ignorarne persin l'esistenza. Il Vecchi nella Dedica dice: “Non essendo questo accoppiamento di commedia, e di musica più stato fatto, ch'io mi sappia da altri, e forse non immaginato, sarà facile aggiungere molte cose per dargli perfezione; ed io dovrò essere se non lodato, almeno non biasimato dell'invenzione.” Ed in fatti nell'Epitafio del Vecchi in Modena, che rapporta il Muratori nella sua Perfetta Poesia, così vi si legge: Qui harmoniam primus comicæ facultati conjunxit, et totum terrarum orbem in sui admirationem traxit. Ma il dotto Arteaga, che ebbe alle mani questa rara edizione dell'Anfiparnasso dice che “nè la musica, nè la poesia meriterebbono, che se ne facesse menzione, se la circostanza d'esser la prima nel suo genere non mi obbligasse a darle qualche luogo nella Storia.” (Rivoluz. t. 1, p. 264).
Venini (Francesco), nativo di Lago di Como fu da prima Somasco, e sin dal 1755 professor pubblico [110] di matematica in Parma: lasciò poi quella congregazione, e venne da abate secolare in Francia al servigio di Monsignore di Aix. Uscì una di lui Dissertazione in Parigi sui principj dell'armonia musicale e poetica, in 8º gr. Ella è divisa in cinque capitoli. Nel primo ragionasi dei principj dell'armonia musicale, e in pria di quella, che risulta dalla combinazione equitemporanea o successiva dei suoni gravi cogli acuti. Nel secondo si tratta dell'armonia risultante dalla durata dei suoni, ossia del ritmo musicale. In questi due capi evvi molto uso di frazioni, e l'autore protesta a p. 17 di essersi valuto del sistema di Rameau, e del terzo suono del Tartini. Il conte Giovio fa menzione del Venini nel suo Dizionario ragionato degli scrittori Comaschi.
Vento (Mattia), maestro napoletano, dopo aver fatti i suoi studj, e la sua riputazione in Italia, fu chiamato in Inghilterra, ove soggiornò gli ultimi sette anni di sua vita, che terminò quivi l'anno 1778. Le sue opere per teatro sono poco conosciute oggi giorno, comecchè avessero ottenuto del successo a' suoi tempi: egli aveva messo anche in musica quasi tutte le canzoni anacreontiche del Metastasio, in uno stile facile e naturale. Le sue sonate per cembalo, pria che si avesse preso gusto in Italia per quelle de' tedeschi, vi ebbero gran voga.
Venuti (l'ab. Rodolfo), nativo di Cortona, per le sue profonde cognizioni in letteratura divenne primo ispettore delle antichità in Roma, ove è morto verso il 1780. Delle sue opere non farem qui menzione che delle addizioni da lui fatte all'opera del cel. Bianchini sull'antica musica, di cui fu egli il primo editore: Blanchini de tribus generibus musicæ veterum, opus ineditum, nonnullis additis a Rod. Venuti, etc. [111] Romæ in 4º, 1742.
Veracini (Francesco M.), fiorentino, uno de' più gran virtuosi sul violino, la di cui maniera ardita e nuova diè occasione, e stimolo al cel. Tartini di formar la sua novella scuola come si è detto nel suo articolo. Nel 1720 Veracini fu chiamato a Dresda in qualità di compositore per la cappella del re di Polonia. Mattheson rapporta, ch'egli perdè colà prestamente l'uso della ragione, sì per la lettura de' libri di alchimia, per cui andava perduto, come per uno studio avanzato di troppo della musica. In un accesso di manía egli precipitossi, li dì 13 Agosto del 1722, dalla fenestra della sua camera, ed ebbe la fortuna di non farsi altro male che rompersi una gamba. Dacchè fu guarito sì della follia, che della frattura lasciò Dresda, e venne a stabilirsi a Londra, ove probabilmente finì i suoi giorni. Walther cita di lui dodici a solo per violino impressi a Dresda nel 1721. Cramer lo accusa di aver mostrato dell'orgoglio, e del dispregio pei virtuosi del paese in Dresda.
Viadana (Ludovico), nativo di Lodi nel Milanese, era maestro di cappella della cattedrale di Fano sul principio del sec. 17, e nel 1614 della cattedrale di Mantova. Egli si rese celebre per avere il primo introdotto de' concerti nelle chiese, ed inventato il basso continuo: o per dir meglio egli fu il primo ad usare il basso sonante oltre il basso che canta con le altre voci, e a renderlo continuo allorchè questo intermette in certe pause, così può ben capirsi quel che Brossard, e Rousseau hanno con poca esattezza detto ne' loro dizionarj di musica, cioè che un certo Lud. Viana fu il primo a mettere il basso in uso sul principio del diciasettesimo secolo. Viadana diè delle regole [112] del basso continuo in un'opera scritta nelle tre lingue latina, italiana, e tedesca. Le di lui composizioni per chiesa, molto in istima presso i suoi contemporanei, trovansi impresse in Roma, in Venezia, ed altrove.
Vicentino (D. Nicolò). Prete di Vicenza assai dotto pel suo secolo nella teoria, e nella pratica della musica, trovavasi in Roma nel 1551, e vi sostenne una disputa con Vincenzo Lusitano altro scrittore di musica portoghese. Si trattava di determinare il genere della moderna musica; sosteneva il Lusitano, che ella era nel genere diatonico, e 'l Vicentino al contrario, che ella risultava da tutti e tre i generi, diatonico, cromatico, ed enarmonico rimescolati insieme. Fece ciascuno scommessa di due scudi d'oro a favor della sua opinione, e la questione fu rimessa all'arbitrio di due preti cantori della cappella pontificia. Gli arbitri ascoltarono le due parti per più sessioni dinanzi al cardinal di Ferrara, e ad una assemblea di molti letterati, ed intendenti delle scienze armoniche: essi decisero a pro del Lusitano. Ma il Vicentino tacciolli d'ingiustizia, e sostenne che il cardinale suo protettore non era rimasto meno di lui rivoltato del loro giudizio. Bottrigari nel suo trattato del Melone censura fortemente la sentenza degli arbitri, e difende il parere del Vicentino sul fondo della quistione. Tentò oltracciò il Vicentino di ridurre alla pratica quella sua teoria in un nuovo stromento di sua invenzione, ch'egli chiamò archicembalo, e nel 1555 diè alla luce in Roma un gran vol. in fol. per ispiegarlo ed insegnarne l'accordatura, col seguente titolo: L'antica musica ridotta alla moderna pratica, con la dichiarazione e con gli esempj dei tre generi con le loro specie, e con l'invenzione d'un nuovo stromento, nel quale si [113] contiene tutta la perfetta musica, con molti segreti musicali, ec. In questa ed in siffatte opere de' nostri antichi italiani benchè si trovino degli errori e de' pregiudizj, non sono però, al dir di Requeno, affatto indegne della nostra stima, mentre i loro autori cercando l'antica musica, avanzaronsi nella moderna, e rischiararono con la loro pratica, e stabilirono varie corde dubbiose della nostra armonia. Eran essi filosofi, e da filosofi ragionavano; ma non era possibile, che sul principio delle loro scoperte giugnessero tosto alla perfezione dell'arte, onde ha ben ragione l'ab. Arteaga di alzar la sua voce contro a' maestri, e a' musici del nostro tempo, che col fasto proprio dell'ignoranza vilipendono le gloriose fatiche degli altri secoli. “Si trova pur fra voi, egli dice, chi sappia tanto avanti ne' principj filosofici dell'arte propria, quanto sapevan quegli uomini del secolo decimosettimo, che voi onorate coll'urbano titolo di seguaci del rancidume?”
Viel (M.) pubblicò nel 1784, alla fine di una sua operetta intitolata: Considération sur l'origine de la peinture et du langage, una curiosa memoria sui balbuzienti al cembalo. M. Viel propone il seguente problema, che non è stato ancora sciolto dai fisiologi. Perchè un balbo, che non lo è più cantando, lo è non pertanto sul cembalo, e come questa difficoltà può pervenire sino alle dita?
Vienne (M. de), musico francese, morto a Charcuton vicino a Parigi nel 1802 con molte sue composizioni di uno stile piacevole e cantante ha rigenerata la musica degli stromenti da fiato. Egli ha inoltre arricchito il teatro francese di alcune produzioni di gusto, come les Comédiens ambulans, les Visitandines, le Valet de deux maîtres. La sua più bell'opera è il suo Méthode de flûte, da lui riveduta, corretta, [114] e considerevolmente accresciuta alcun poco prima di sua morte.
Vieuzac (Barrere de), membro di più accademie, e letterato di un gusto luminoso, e costante per le belle arti in generale, e con ispezialità per la musica. Egli ha scritto molte dissertazioni in forma di lettere sulla musica italiana, e fra le altre sulle più belle composizioni di Cimarosa e di Paesiello. Queste lettere sono inserite nel Journal des défenseurs de la patrie, anno 1810, e 1811. Ha scritto inoltre sulle tre scuole di musica, italiana, tedesca e francese, come sull'influenza del clima di Parigi sulle arti; un'eccellente notizia sul genio e le opere musicali di Winter; ed una analisi di quelle di Dalayrac.
Vignoles (Alfonso des), di una antica e nobil famiglia della Linguadoca, venne a stabilirsi in Berlino sin dal tempo, in cui il re Federico I vi eresse la Real Società delle Scienze, come uno de' primi suoi membri, e vi divenne in appresso direttore della classe delle matematiche, posto ch'egli occupò con distinzione sino alla morte. Egli divenne per la sua decrepita vecchiezza il Decano di tutti i Letterati dell'Europa, e finì i suoi giorni in età di 95 anni nel 1744. Oltre a un gran numero di dotte opere abbiamo di lui Remarques sur la musique des Anciens dirette a M. Achard, che M. Formey ha inserite nei tomi X, XI, e XV della Nouvelle Bibliothèque Germanique. (V. élog. des Acad. de Berlin, t. 1, 1757)
Villeblanche (Armand de), nato a Parigi nel 1786, ebbe in Inghilterra le prime lezioni di composizione da M. de Marin suo parente, e poi dall'ab. Roze in Parigi. Cramer fu suo maestro sul forte-piano, da cui apprese egli tutti i secreti di quest'instromento. Abbiamo di lui tre opere di sonate per forte-piano impresse nel 1811 sommamente [115] pregevoli. La sua musica sul dramma la Colère d'Achille è stata ricevuta all'imperiale accademia di musica.
Villoteau (G. A.), professore di musica a Parigi, membro di più società letterarie nato a Bellème nel 1760, è autore di una eccellente opera in 2 vol. in 8º, pubblicata a Parigi nel 1807 con questo titolo, Mémoire sur l'utilité d'une théorie exacte et complète des principes naturels de la musique. Essa non è come dice egli stesso, che una breve introduzione ad un'opera più grande, ch'egli medita sull'analogia della musica con le arti, che hanno per oggetto l'imitazion del linguaggio. M. Fayolle ha data una dettagliata analisi di questi due ben grossi volumi nelle sue Quatre Saisons du Parnasse (Automne 1807) che non sarà discaro ai lettori di qui riferire, non essendo sinora quest'opera giunta sino a noi. L'A. tratta nella prima parte dell'arte musica considerata ne' suoi rapporti più diretti, e più naturali col linguaggio, e coi costumi. Prima di stabilire questo punto egli dà a divedere quanto in generale si han poche idee distinte sulla natura della musica, e quanto è falsa l'opinion di coloro nel sostenere che quest'arte sia una cosa puramente arbitraria, che nulla imita, nulla dipinge ed esprime; che non ha se non molto poca o niuna influenza sui costumi, e che non dee essere ammessa nell'educazione se non come esercizio di mero divertimento. Per prova del contrario egli dimostra che la musica è fondata sullo studio delle modificazioni espressive della voce; che la sua espressione è composta degli elementi medesimi della espressione naturale del linguaggio; che quest'arte è cominciata a formarsi dacchè gli uomini sono stati costretti pei loro bisogni, e le diverse relazioni socievoli, d'interessare i loro [116] simili alla loro sorte, e che eglino han sentito la necessità di perfezionare l'espressione naturale per renderla più energica; avvegnachè, per giungere a tale scopo, attaccar si dovettero ad imitare gli accenti di coloro, l'espression de' quali era la più perfetta: e questa prima imitazione, dic'egli, fu il primo passo dell'arte. La musica, così unita al linguaggio sin dalla sua origine, ebbe dunque una massima influenza sui costumi; e quel che ci fa osservare l'autore era stato sentito dagli antichi. Nella seconda parte tratta della musica riguardata sotto il rapporto dell'arte, dalla prima epoca della sua depravazione presso i Greci sino al tempo in cui ce ne è giunta la cognizione. L' A. si applica a scovrirci le cagioni, che han fatto dicadere l'arte musica dall'alto grado d'importanza, che ella già ebbe come quelle eziandio che le han fatto perdere quella possente energia, che tanto impero le dava sui costumi presso le più culte, come presso le più selvagge nazioni dell'antichità. Espone un gran numero di fatti citati dagli antichi, per avere contribuito alla corruzione dell'arte musica, e della morale: prova egli quindi con un gran numero di autorità, e coll'esame delle parti essenziali della teoria, dello studio, e della pratica delle diverse arti, che hanno il linguaggio per oggetto, che elleno in origine fecero parte della musica, e che ogni specie di discorso premeditato fu anticamente cantato. Fa osservare oltracciò le tracce molto sensibili che ciascuna di esse ha costantemente conservata della stretta unione, che ebbe dal suo principio colla musica, benchè ne sia stata quindi assolutamente distaccata. Giugne finalmente all'epoca della riforma del musicale sistema de' Greci fatta da Guido Aretino. Queste due prime parti sono seguite da note in supplemento storiche, [117] e piene di una scelta e vasta erudizione. Nella terza parte l'A. tratta dell'attuale stato della musica nell'Europa dopo la riforma dell'antico sistema de' greci introdotta da Guido d'Arezzo, e de' mezzi che contribuir possono vie meglio alla di lei perfezione. Quì fa egli conoscere quel che v'ha di vizio in cotale riforma con un parallelo del sistema riformato da Guido con quello de' Greci: fa osservare gli inconvenienti, che risultano dal moderno sistema, ed i vantaggi che offriva l'antico. Esamina le conseguenze pregiudizievoli a' progressi dell'arte che ha portate seco il moderno sistema, ed i moltiplici errori che sono derivati da queste conseguenze medesime; il che gli dà agio di fare alcune riflessioni sulle cognizioni necessarie ad un perfetto musico, e 'l mena a nuove considerazioni generali sulla natura, origine, ed oggetto della musica. Consacra finalmente la quarta parte nell'esaminare qual sia la vera origine, l'oggetto e lo scopo della musica. Conseguentemente l'A. vi discute da prima le principali opinioni, che sono state in diversi tempi spacciate sull'origine della musica. Egli prova non essere quest'arte una invenzione arbitraria, o dovuta solo al caso, ma che ella ci è stata inspirata dalla natura, e che piuttosto è stata dallo stesso Dio offerta agli uomini anzicchè realmente inventata da loro. Secondo lui quest'arte fu sin dal suo nascere essenzialmente tradizionale; e che pel suo mezzo si sono conservate, comunicate e perpetuate pel corso di un gran numero di secoli senza veruna alterazione le leggi, le scienze, le arti, e tutte in somma le umane cognizioni. Egli ne dà in prova, che la tradizione orale e cantata, che fu per assai gran tempo la sola ammessa, necessariamente aveva da se stessa un carattere di autenticità [118] che non permetteva a quei che la tramandavano di alterarla impunemente, mentre che qualunque altra tradizione, e soprattutto la scrittura, potendo per contrario essere clandestinamente trasmessa al favore del silenzio e dell'arcano, non offeriva la sicurezza medesima; per altro questi monumenti muti di rimembranza non facevano sullo spirito, e sul cuore un'impressione così profonda e durevole come la voce, poichè assai volte negletti o distrutti dal tempo, divenivano in appresso inintelligibili, o soggetti a mille false interpretazioni. Perciò egli è, dice l'autore, che i più antichi legislatori di tutte le nazioni civilizzate non permisero che la tradizione fosse per altro mezzo conservata e propagata se non del canto. L'ultimo capitolo contiene un epilogo di tutta l'opera, e le principali ragioni sulle quali l'autore forma il giudizio, ch'egli reca della musica. “Questa Memoria, dice M. Raymond, annunzia che il suo autore non è solamente un professore distinto nella sua arte, ma che egli è inoltre un letterato profondo nella cognizione delle lingue, degli usi, e delle arti degli antichi, e ben capace di concepire le utili riforme, che ci sarebbero d'uopo. Egli giudica dell'arte musica da filosofo e da uomo sensibile: ammira le ricchezze della nostra musica, e compiange l'abuso che se ne fa: propone una riforma, che tenderebbe a ricondurla alla sua primitiva purezza; e se pur ciò non avviene, avrà sempre la gloria e 'l conforto di aver concepito un util progetto.” (Lettre a M. Villoteau 1811).
Vinci (Leonardo da), celebre pittore nato di buona famiglia nel castello di Vinci presso Firenze, era uno di quei genj felici, a cui nulla costa l'acquisto di quelle cognizioni, che i mezzani ingegni apprender non possono senza una [119] lunga ed ostinata fatica. Le scienze e le arti eran familiari a questo grand'uomo, aveva inventata una specie di lira, che divinamente suonava, ed egli fu dapprima in qualità di musico e di virtuoso sul violino al servigio di Lud. Sforza duca di Milano, con un assegnamento di 500 scudi. Teneva alla sua lira un manico di argento che terminava con una testa di cavallo, ed egli cantava alle volte accompagnandosi con quest'instromento. Dopo aver dipinto in Roma, in Firenze, ed in Milano venne in Francia, ma morì poco dopo a Fontainebleu nel 1520 in età di 75 anni fra le braccia del re, Francesco I, che erasi portato a visitarlo nella sua malattia.
Vinci (Leonardo), compositore celebratissimo nella prima metà dello scorso secolo, nato in Napoli, fu insieme con Pergolesi allievo nel conservatorio de' Poveri di G. C. Nel 1725 diè in Venezia la sua prima opera Ifigenia in Tauride, che ebbe tale successo, che le più grandi città dell'Italia vollero averlo per compositore. La Didone e l'Artaserse che fu l'ultimo dramma ch'egli scrisse, rappresentato in Roma nel 1731, furono riguardati come i suoi capi d'opera. Il Vinci mirabile nella forza, vivacità delle immagini, dice l'ab. Arteaga, prese a perfezionare quella specie di composizione detta volgarmente recitativo obbligato, la quale per la situazione tragica, che esprime, pel vigore che riceve dalla orchestra, e pel patetico, di cui abbonda, è lavoro pregiatissimo della musica drammatica. L'ultimo atto della Didone abbandonata modulato in gran parte da lui a questo modo è preferibile a quanto han di più fiero e più terribile nella pittura i quadri di Giulio Romano. (Rivoluz. t. 2, p. 21). Uno de' principali meriti di questo gran musico, si è di aver cercato [120] sempre a render l'espressione della natura; egli fu rapito all'arte nella immatura età di 42 anni nel 1732. Dicesi di avere avuto il veleno nel cioccolato. Si vuole che egli avesse avuta l'imprudenza di vantarsi, che mentre era in Roma aveva ottenuto i favori di una dama d'alto rango. Uno de' parenti della medesima, trovandosi per allora in Napoli, ne fu informato, e vendicolla dell'indiscretezza del Vinci con farlo avvelenare.
Viotti (Giov. Battista), nato in Piemonte è senza dubbio il primo violinista del secolo. Nel 1782 portossi a Parigi, ove si è fatto ammirare nell'esecuzione de' suoi concerti per un carattere originale, che sembra fissare i limiti del genere, per una fecondità di fantasia, per una felice arditezza, per un brio ed una vivacità temperata da un gusto nobile e puro: vennero applauditi que' bei motivi, che dalle prime misure annunziano il genio del compositore, e quei sviluppi di un pensiero unico, in cui la progressione del sentimento porta al più sublime grado l'effetto. Qual energia e qual grazia insieme nella di lui esecuzione! come è finito negli adagio! come è brillante negli allegro! La regina di Francia M. Antonietta volle, che Viotti venisse a Versailles. Gli si assegna il giorno pel concerto: giungono tutte le persone della corte, e comincia il concerto. Già le prime battute dell'a solo impongon silenzio, e la più grande attenzione, allorquando tutto ad un tratto odesi gridare: place à monseigneur le comte d'Artois. In mezzo al tumulto, Viotti si pone il violino sotto al braccio, e va via, lasciando così tutta la corte con grande scandalo de' spettatori. Da quel tempo in poi egli determinossi a non più suonare in pubblico. Nel 1790, un deputato all'assemblea costituente, [121] intimo amico del Viotti, alloggiava sino a un quinto ordine della casa, egli aveva consentito a dar quivi un concerto. Furonvi invitati dei gran principi e delle dame d'alto rango: Lungo tempo abbastanza, disse Viotti, noi siamo discesi sino a loro; bisogna ora che essi saliscano sino a noi. Viotti aveva gran prontezza di spirito. Un giorno il ministro Calonne dimandogli qual era il violino più giusto. Quello, egli rispose, ch'è meno falso. Allorchè trovavasi insieme con M. Puppo, di cui non apprezzava gran fatto il talento sul violino, diveniva allora più di lui malizioso. Egli sapeva che il virtuoso Lucchese per ogni dove vantavasi di essere scolare del Tartini, e che ciò era una falsità; allora egli pregava M. Lahoussaye, vero allievo del Tartini, di sonare sulla maniera del suo maestro dinanzi a Puppo, e diceva a costui: Amico, senti bene Lahoussaye, ed avrai un'idea dello stile del Tartini. Sulla fine del 1792, Viotti passò in Londra, ove poco dopo diè un addio all'arte musica per darsi interamente al commercio. Questo gran violinista conta tra suoi allievi Rode, Alday, Libon, la Barre, Cartier, Vacher ed altri bravi artisti. Egli ha fatto imprimere 25 concerti, un'opera di quartetti, più opere di trio, che sono in gran pregio, e delle variazioni per violino.
Virbes (M. de), maestro di musica e di cembalo a Parigi, inventò nel 1771, il cembalo acustico, e circa 1777 il clavicembalo armonioso e celeste. L'uno e l'altro ottennero i suffragi delle accademie di Londra e di Parigi. Questi stromenti hanno di particolare, che senza tubi, senza martelletti, e senza pedali imitano per via di corde d'acciajo ordinarie il suono di quattordici o diciotto strumenti. Nel 1786 un suo figlio fecesi sentire sopra un tal cembalo in un [122] particolare concerto.
Vitruvio Pollione da Formia, ora Mola di Gaeta, visse nel secolo d'oro de' romani sotto Augusto. Egli, come a ragion riflette il dotto Andres, non si appagò solo delle opere greche e latine risguardanti l'architettura, ma s'immerse eziandio nello studio della fisica, e passando alle matematiche non seppe starsi ne' primi elementi, ma penetrò nelle più profonde speculazioni geometriche e meccaniche, musiche ed astronomiche d'Archita, d'Aristosseno, ec. (T. 4. dell'Origine de' progressi ec. p. 10). Nel suo Trattato di Architettura, ch'è l'unico rimastoci dell'antichità, ragiona egli a lungo della musica, de' suoi effetti, e della maniera con cui debbonsi costruire i teatri perchè più spicchi l'armonia. Tutti coloro che han fatto de' comenti, o delle traduzioni di questo libro di Vitruvio, come Valla, Barbaro, Perrault, il marchese Galiani e più altri hanno trattato lo stesso soggetto.
Vittoria (Tommaso della), spagnuolo nativo di Avila rivale e contemporaneo del cel. Palestrina, contribuì com'egli colle sue opere alla perfezione della musica di chiesa, e alla gloria del canto italiano. I suoi libri di teoria musicale furono stampati in Roma l'anno 1585, e assai pregiati a' suoi tempi. (V. Lampillas Sag. Apolog. della letterat. spagn. t. 2).
Vogel (Cristoforo), di Norimberga, studiò la musica sulle opere di Graun e del Sassone. Nel 1776 essendo venuto in Francia il suo genio si accese al sentire i capi d'opera di Gluck. Stabilì allora di prenderlo a suo modello, e nel 1786 diè al pubblico la musica del Toison d'or dedicata a Gluck. Questo gran maestro nella sua risposta a Vogel così esprimevasi: Sulle altre vostre qualità quegli che più brilla, si è il [123] talento drammatico, onde di questo con tutto il mio cuore seco voi mi congratulo. Egli è questo un talento tanto più raro, quanto nol dovete voi già alla pratica, ma alla natura. Una febbre maligna il tolse di vita in età di 32 anni a' dì 28 giugno del 1788. Gluck lo chiamava il suo primogenito. La sinfonia del Demofoonte, ch'egli morendo lasciò già compito è un capo d'opera di espressione e di gusto; essa fu eseguita nel 1791 ne' funerali degli uffiziali morti a Nancy, e produsse grandissimo effetto.
Vogler (Abate Giorgio Giuseppe), cavaliere dello speron d'oro, cappellano della corte di Baviera, e dopo il 1786 maestro di cappella del re di Svezia, nato a Virzburgo nel 1749, studiò il contrappunto in Padova sotto il celebre P. Vallotti. Verso il 1776 venne a Manheim, ove stabilì una scuola di musica, e ne diè de' corsi pubblici. Non fu frattanto che l'anno d'appresso, ch'egli si fè conoscere dagli esteri mercè la sua Scuola di musica, opera periodica di cui non ne pubblicò che tre soli anni. I critici il censurarono allora di aver molte idee non ben digerite, e di mancar di chiarezza. I viaggi ch'egli intraprese dopo il 1780, per tutte le grandi città dell'Europa, han servito a far conoscere i suoi talenti. Egli si è mostrato da per tutto grand'organista, gran suonatore di forte-piano, gran compositore e dotto autore insieme, onde vien detto il Brown della musica. È inventore altresì di un organo di nuova specie, a cui ha dato il nome d'orchestrion, perchè imitando tutti gli stromenti, rappresenta una compiuta orchestra. Egli fecene costruire uno in Amsterdam, ove fecesi sentire in un suo secondo viaggio con ammirazione di tutti. Le sue composizioni abbracciano tutti i generi, e ve ne ha gran parte impressa: le sue [124] sonate per piano-forte sono pregiatissime. Vi ha inoltre di lui gran numero di opere teoriche: tali sono, 1. La teoria della musica e della composizione, Manheim 1776. — 2. L'arte di formar la voce, 1776, ibid. — 3. Esame della scuola di musica di Manheim, 3 vol. — 4. Molte dissertazioni, nelle notizie di Wetzler, 1779 e 1780. — 5. Risposta a diverse quistioni relative al suo sistema, 1790. Nel 1800 l'ab. Vogler pubblicò il suo Choralsystem, ossia Sistema musicale, Koppenhagen ec. Egli è diviso in tre parti, di cui gli intendenti fanno moltissimo caso (V. Lichtenthal p. 8, in not.). Pio VI trovandosi a Spira fece comporre dall'ab. Vogler un Miserere a 4 voci con organo e bassi quivi impresso nel 1782.
Voss (Jean de) profferì un discorso in onore del cel. Haydn a Berlino, li 9 Settembre 1809 nel salone detto Royal-Yorck, ove eransi radunati in gran numero i musici, e gli amatori. Vi si eseguirono quindi molte composizioni dell'Haydn, fra le quali, la sua cantata d'Arianna a Nasso, a cui M. Schneider si era permesso di aggiungere gli accompagnamenti di tutta l'orchestra, non essendo stata scritta dall'Haydn che per il solo piano-forte.
Vossio (Gerardo-Giovanni), professore in Amsterdam molto abile nelle belle-lettere, nella critica, nella storia e nell'antichità, si è fatto gran nome presso i letterati per un'infinità di opere assai ben scritte, piene di profondo sapere, e di solide osservazioni. Noi non farem qui menzione che di alcune, nelle quali egli ha trattato diffusamente della musica. Così nella sua opera: De astium et scientiarum naturâ, et constitutione, parla dell'oggetto e criterio della musica, e delle diverse sette degli antichi musici: della di lei antichità, e quanto essa debba a Pitagora: chi è stato il primo a scriverne, e di alcuni altri antichi scrittori [125] di musica che si son perduti: dell'utilità della musica: delle diverse parti, e generi della musica, de' primarj autori greci di questa scienza, e finalmente de' latini. Nell'altra sua opera De scientiis mathematicis tratta ancora a lungo della musica considerata come parte della matematica. Nelle sue Institutiones Poeticæ al secondo e terzo libro parla altresì di molte materie di musica. Questo cel. letterato morì in Amsterdam nel 1649. Sua figlia Cornelia Voss viene annoverata tra le più colte donne del suo secolo: ella aveva ancora delle cognizioni stese nella musica. In una lettera al dotto Meursio suo padre la chiama peritissima in ogni genere di musica. Ella annegossi nel 1638 nel passar che faceva in una vettura sopra i ghiacci.
Vossio (Isacco), l'ultimo tra' figli del precedente, e il primo per la erudizione, si rese molto abile nella storia e nella critica greca e latina. Egli si stabilì in Inghilterra, fu canonico di Windsor, e morì quivi nel 1689. Questo letterato aveva una prodigiosa memoria, ma mancava di giudizio. Il suo ingegnoso libro de Poematum cantu et viribus rythmi, Oxford 1675 in 8º, merita di esser letto da' poeti e da' musici. Egli vi sostiene con autorità, e con ragioni, che gli antichi greci han fatto uso dell'armonia simultanea, o contrappunto, e schernisce con ingiurie i moderni per avere avuto l'arditezza di negarlo, ed ammette come vere tutte le maraviglie attribuite all'antica musica. Per divertire alquanto i lettori rapporteremo una sua curiosa osservazione, lasciando a ciascuno la libertà di giudicare, quanto l'immaginazion dell'autore, possa aver aggiunto alla realità del fatto. Dice egli adunque essere un gran piacer il farsi strofinare o pettinare da coloro, che lo fan bene in misura. Ed aggiunge d'esser più d'una volta [126] caduto fra le mani di parrucchieri così detti, che coi loro pettini sapevano perfettamente imitare i movimenti d'ogni maniera di canti e di ritmi, cosicchè colla più esatta precisione esprimevano ora i giambi, ora i trochei, altre volte i dattili o gli anapesti, e talora gli amebrachi, ed i peonii. Egli è certo però che sebbene non si trovin da per tutto parrucchieri così eruditi, ad ogni passo e ad ogni momento può osservarsi, quanto abbia di forza anche negli uomini più volgari l'abitual sentimento della regolar misura del tempo. Qual contadino è sì rozzo e sì sfornito d'orecchio, che intonando le sue villerecce canzoni non faccia manifestamente sentire la regolarità degl'intervalli di tempo, con cui son modulate le più semplici cantilene? Tanto è vero, che cantar senza misura non è cantare, come sensatamente dice Rousseau; e che il sentimento della misura non essendo men naturale di quello dell'intonazione, una di queste cose non ha mai potuto star senza l'altra.
Walker (John), professore di musica in Londra, nel 1787 pubblicò nel Monthly Review una sua Dissertazione col titolo: The melody of speaking delineated, etc. ossia Sulla melodia del linguaggio, o la declamazione insegnata come la musica per via di segni sensibili. Vi dà egli de' precetti per la modulazione e l'espressione degli affetti, e delle passioni, dimostrata con alcuni scelti passaggi, tratti da' migliori compositori.
Wallis (John), professore di geometria nella università d'Oxford, e membro della R. Società di Londra morto a Oxford nel 1703, ha contribuito moltissimo ad illustrare l'antica musica con le sue traduzioni dal greco delle opere armoniche di Tolomeo, e de' Comentarj alle [127] medesime di Porfirio, alle quali ha aggiunte delle dottissime annotazioni. Trovansi queste nella superba edizione delle sue Opere matematiche in 3 vol. in fol., a Oxford 1799. Hawkins nella sua Storia della musica rapporta una lettera del Dr Wallis, in cui descrive un rituale greco manoscritto trovato a Buda nel 1686, ch'egli crede più antico almeno di tre secoli, cioè del sec. 13. Vi si trovano le note musicali sotto gl'inni e le antifone greche solite cantarsi nella chiesa di Costantinopoli, e la spiegazione inoltre di queste note, ch'erano allora in uso, delle loro forme, de' loro nomi e del valor loro. “Senza di queste cose, egli dice, non sarebbe intelligibile il resto dell'opera, ed anche con tal soccorso vi abbisogna molta attenzione e molta sagacità per comprendere e poter comparare questa musica colla nostra. Egli è vero, che questo manoscritto è assai più moderno delle opere di Aristosseno, e degli altri musici greci, essendo posteriore allo stabilimento del cristianesimo, ma è il più antico di questo genere, che ci sia stato conservato.”
Walther (Gio. Godefredo), dotto musico della corte e della chiesa di Weimar, fu precettore del giovane principe, e della principessa sua sorella. Egli è autore di un Lexicon musicale, o Biblioteca di musica in tedesco, 1732, a Lipsia. Vi si trovano non che gli antichi e moderni musici, che si sono distinti nelle differenti nazioni sì nella teoria, come nella pratica; tutto quel che si sa di ognuno di essi, e quai scritti han lasciati; ma eziandio la spiegazione de' termini tecnici della musica in uso nel greco, nel latino, nell'italiano, e nel francese, con la più parte de' segni usitati, per ordine alfabetico. Quest'opera è piena di molte ricerche, e compilata con maggior esattezza di quella più recente di [128] M. Gerber. L'autore dopo l'impressione dell'opera proseguiva a raccorre degli altri materiali, che gli erano sfuggiti, e che aveva nuovamente scoverti, ma non ebbe il tempo di pubblicarne il Supplemento, essendo morto a' 23 di marzo del 1748.
Walther (D. Michele), figlio di Giov. Walther, uno de' migliori contrappuntisti alemanni del sedicesimo secolo, è autore di una dissertazione de harmoniâ musicâ, Willeberg 1679.
Warren (Ambrogio), dotto inglese, ed amatore di musica sul principio dell'ultimo secolo in Londra. Nel 1725 pubblicò quivi The tonometer: explaining and demonstrating, by an easie method, in numbers and proportion, cioè: Spiegazione e dimostrazione de' tuoni musicali con un nuovo metodo di proporzioni e di numeri. Presso Scheibe (Composizion musicale) si trova una distinta analisi del trattato di Warren sulla divisione dell'ottava in 32 tuoni differenti.
Webb (Daniel), letterato inglese, e dilettante di musica sulla fine dello scorso secolo a Londra, è autore di un trattato, che ha per titolo: Observation on the correspondence between poetry and music, cioè: Osservazioni sull'affinità della poesia con la musica 1793. Egli prova con molto gusto ed eleganza, che la vera ragione degli effetti e de' fenomeni della musica risiede nell'armonia de' movimenti, che l'anima ed i suoni producono su' nervi, e gli spiriti vitali. Mr. Eschenburg l'ha tradotto in tedesco (V. Desessarts Bibl. d'un homme de goût, t. 3; Paris 1808).
Weber (F. A.), nato a Heilbronn nel 1753, è quivi dottore in medicina, e distinto compositore ed autore di più opere di musica. Le sue opere di teoria sono: 1. Caratteristica delle voci, e di alcuni stromenti in uso; — 2. Osservazioni [129] sul violino e la maniera di sonarlo con esempj; — 3. Dissertazione pratica sulla viola di amore, e i miglioramenti che recar vi si possono; — 4. Dissert. sulla perfezione dell'intavolatura italiana, ad uso de' suonatori di cembalo, con una serie di sonate ec; — 5. Osservazioni sulla dottrina del contrappunto; — 6. Corrispondenza musurgica sopra molti argomenti di Estetica musicale, ed analisi delle opere dei gran maestri, con de' paralleli de' più recenti; — 7. Molte altre dissertazioni di musica; — 8. L'arte poetica di Orazio secondo la traduzione di Ramler, con note per i compositori ed i musici, 1806-1810. Egli ha scritto in oltre molta musica sì stromentale, che vocale, che è in molto pregio per la novità e 'l gusto. Il d. Lichtenthal rapporta, che Weber come medico ha impiegato la musica con successo ne' dolori d'occhi (Influenza della mus. p. 62).
Weigl (Giuseppe), valente maestro di musica de' nostri giorni, detto dal Carpani il Parmigianino della musica, fu per qualche tempo scolare del grand'Haydn. Egli si è reso celebre pel suo stupendo oratorio della Passione, che solo basterebbe a immortalarlo, dice il sullodato Carpani, e dove fece buon uso delle fughe (Lett. III e X). Weigl riferisce del suo maestro Haydn, che aveva per via di certi suoi calcoli numerici, stabilito un metodo con cui reggeva l'artificio della sua composizione, e che non volle mai comunicar ad alcuno questo suo magico ritrovato: quando ne veniva pregato, rispondeva sorridendo: provatevi e trovatelo. Nel magazzino di musica del Ricordi in Milano abbiamo di Weigl i seguenti drammi buffi italiani: il Rivale di se stesso; l'Uniforme; l'Amor marinaro; la Famiglia Svizzera; Casa delli orfanelli; la Principessa d'Amalfi.
Weimar (Pietro), maestro [130] di musica nel ginnasio elettorale di Erfurt, è autore di alcune dissertazioni sullo stato della musica in quel paese, inserite nel Magazino musicale di Cramer. Vi ha anche di lui impressa molta musica a Reval, ed a Lipsia, e dopo il 1790 una collezione di canti per la chiesa. L'arte deve a lui molti allievi, che fannogli onore.
Werembert, monaco di S. Gallo, morto l'anno 884, era figlio di Adalberto uno degli uffiziali di Carlo-magno: fece i primi suoi studj nella scuola di Fulda, e li terminò a S. Gallo. Egli coltivò le belle-arti, e le scienze, la poesia, la musica, la teologia e la storia. Abbiamo di lui un Trattato sulla musica, che è il più importante tra le sue opere.
Werner (Greg. Giuseppe), primo maestro direttore della scelta numerosa orchestra del principe Ant. Esterhazy verso il 1758, fu in quel posto il predecessore dell'Haydn, e secondo il Carpani, uomo di molto merito. Vi sono di lui alcune cantate a 4 ed a 5 voci con due violini, e basso, ed alcune sinfonie.
Widder (Feder. Adamo), professore nell'università di Gottinga, nel 1751 fecevi imprimere una dissertazione, citata con lode da Lichtenthal: De affectibus ope musices excitandis, augendis et moderandis.
Wieland, uno de' più celebri scrittori e poeti dell'Alemagna, verso il 1780 diè al pubblico un Saggio sullo stato della musica a quell'epoca. Egli dà tutto il merito della perfezione di quest'arte al cel. Gluck: “Mosso da una delle più belle massime di Pitagora, egli dice, Gluck ha preferito le Muse alle Sirene; egli ha sostituito ai vani e falsi ornamenti quella nobile e preziosa semplicità, che nelle Arti come nelle Lettere fu sempre il carattere del vero [131] del grande, e del bello. Eh! quai nuovi prodigj non produrrebbe quest'anima di fuoco, se qualche Sovrano de' nostri giorni volesse fare per l'opera quel che fece altrevolte Pericle per il teatro di Atene?” Wieland è autore altresì del Poema delle grazie, una delle più predilette composizioni del suo autore, Lipsia 1770 in 8º, ove tratta a lungo della musica, e del bello ideale di quest'arte.
Wien (Saverio), nato a Pesmes nella Franca-Contea; diè al pubblico: Musique théorique et pratique reduite à ses principes naturels, ou nouvelle méthode pour apprendre facilement et en peu de tems l'art de la musique, Paris 1742-1744 in 4º.
Wiese (il barone di), amatore di musica a Bade, nel 1790 pubblicò un trattato col titolo: Anweisung ec. cioè: Metodo meccanico di accordare il cembalo secondo un nuovo temperamento. Havvi di lui altresì un manoscritto col titolo: la teoria della divisione delle corde vibranti.
Wilelmo, abbate del monistero di Hischau nel dodicesimo secolo, molto istruito per que' tempi nella musica, ha lasciato un trattato de Musica, che l'ab. Gerbert ha inserito nella sua collezione, t. 2 p. 154.
Winter (Cristiano), direttore di musica a Hannover, membro della società musicale di Mitzler, viveva sino all'anno 1786. Abbiamo di lui: Dissertatio de musices peritia theologo neque dedecòra, neque inutilis, Cell. 1749. — Diss. de eo quod sibi invicem debent musica, poetica et rhetorica, artes jucundissimæ, Hannov. 1764. Il dottor Forkel loda principalmente quest'opera: De curâ principum, et magistratuum in tuendo, et conservando cantu ecclesiastico, Hann. 1772. — Dissertazione intorno a S. Cecilia patrona de' musici, nel magazzino di Hannover 30 giugno 1786.
Winter (Pietro), cel. compositore [132] tedesco de' nostri giorni, nato nel 1758, non ha faticato solamente pel teatro di sua nazione, ma ha arricchito altresì di molte altre opere il teatro italiano, comecchè dovizioso abbastanza per le produzioni de' Sarti, de' Jommelli, de' Cimarosa, de' Guglielmi, de' Mayer, de' Paer. Egli ha scritto più drammi italiani e serii e comici eseguiti con gran successo su' teatri di Venezia, di Napoli, di Vienna, di Parigi e di Londra. Questo compositore è energico, ricco, abbondante, drammatico, e sempre locale nella sua musica, e ne' suoi motivi.
Wolf (Ernesto Guglielmo) era uno de' migliori compositori della Germania nell'ultima metà del passato secolo. Nel 1761 egli divenne maestro di cappella del duca di Saxe-Weimar, e diè lezioni alla giovane duchessa, per il cui favore ottenne quel posto che onorevolmente occupava ancora nel 1791. Egli ha arricchito la musica di un gran numero di opere assai pregiate sì teoriche che pratiche. Non ne citeremo che le più rimarchevoli. Viaggi di musica ne' mesi di giugno, luglio, ed agosto 1782, Weimar 1784. Regole ed osservazioni per ben suonare il cembalo, che danno a divedere la sua profonda cognizione in quest'arte. Lezioni di musica per il canto, per l'accompagnamento, e per la composizione; per l'espressione e la disposizione delle composizioni, ad uso di quegli, che vorranno esercitare ed insegnare altrui la musica, Dresda 1788 in fol. Vi ha altresì di Wolf diciassette pezzi di musica vocale per chiesa, per teatro, e per camera: ed un'infinità di musica stromentale impressa a Lipsia, a Lione, a Breslavia, assai ricercata dagli intendenti.
Wolf (Giorgio-Federico), maestro di cappella del conte di Stolberg, è autore [133] di più opere. Tali sono: Breve istruzione e chiara per toccar di cembalo con una tavola di note, Gottinga 1784. Istruzione nell'arte di cantare, Halle 1784. Breve dizionario di musica, Halle 1787, contiene la spiegazione de' termini tecnici. Per la pratica: Canzoni con melodie pel cembalo, Nordhausen 1781. Mottetti funebri con cori, 1786.
Wunsch (Ernesto), dottore in filosofia e in medicina a Francfort, nel 1776 pubblicò in Lipsia: Initia novæ doctrinæ de naturâ soni, e nelle memorie alemanne presentate all'accademia di Berlino l'anno 1793, trovansi di lui degli Esperimenti sulla propagazione del suono. (V. Chladni Acoust. p. 319).
Xavier (Antonio), nato a Parigi nel 1769 da un certo signore di qualità, si vide costretto dalla rivoluzione a vivere del talento, che sino allora aveva esercitato per suo diporto. Egli suonava assai bene di violino, essendo stato allievo di Berthaume e di Mestrino: la sua maniera è grande, nè può trarsi un più bel suono dal suo stromento. Dopo il 1806 egli è all'accademia imperiale di musica. Vi sono di lui impressi de' Duo, e molti romanzi; M. Kreutzer gli ha dedicato un'opera di sonate, e M. Jadin i suoi quartetti di violino.
Ximenes (il conte) è autore di un'opera, cui diè per titolo: M. Chambre un petit-mond, che il Signor Heydenreich ha tradotta in tedesco e pubblicolla a Lipsia nel 1797. L'autore vi esamina la questione, quale delle due arti merita la preferenza, la Pittura, o la Musica? “Si dice in onor del Pittore, che le sue opere gli sopravvivono, ed eternano la sua memoria: al che rispondo, che i compositori lasciano anch'eglino, [134] come i Pittori, i loro quadri, le loro opere, e i concerti. Ma la Musica è soggetta alla moda, che non lo è la Pittura; quei pezzi che stempravano l'anima a' nostri antenati, ci muovono ora alle risa. I nipoti di coloro, che nelle opere comiche erano commossi sino alle lacrime, ne formano ora il soggetto del loro scherno. Ma, che m'importa, mi disse una volta Mad. de Hautcastel, se la musica di Cherubini, e di Cimarosa sia o no diversa da quella dei loro predecessori? o che mi cale, se la antica musica mi fa ridere, purchè la moderna alletti il mio animo? Sarà forse necessario alla mia felicità, che i miei piaceri sien simili a quelli della mia bisavola? Perchè mi parlate della pittura, che è una professione che forma il gusto di poche persone, dove la musica incanta ognun che respira? A questa osservazione, che non mi aspettava, rimasi senza saper rispondere; se l'avessi prevista, non mi sarei innoltrato in tal dissertazione. Io non sono che un dilettante di musica, non già un virtuoso, e ne chiamo in testimoni coloro che mi hanno inteso suonare il violino. Ma dato ancora che si prendesse il merito della professione uguale da ogni lato, non si dovrebbe precipitosamente conchiudere dal merito della professione a quello del professore. Veggonsi de' fanciulli sonar maestrevolmente di cembalo, ma non si sono veduti giammai dei gran pittori a dodici anni. La pittura richiede gusto e sentimento, ed una testa che riflette, che pensa; laddove un musico può esserne, senza pregiudizio, esente. Veggiamo tutto dì degli uomini senza testa, e senza cuore trar dai loro stromenti melodie che incantano. Può macchinalmente avvezzarsi un uomo, a suonare il cembalo, e quando vi si è abituato da un buon maestro, può l'anima [135] comodamente darsi in balia a' suoi vaneggiamenti, mentre le dita meccanicamente formano i suoni, alla unione de' quali essa per nulla s'intromette. Non si potrebbe al contrario dipingere la più semplice cosa del mondo, se l'anima non vi cooperasse concentrando unitamente tutte le sue forze. Se alcuno poi vorrebbe il mio parere per distinguer nella musica tra l'invenzione e l'esecuzione, io lo confesso, ciò mi porrebbe in qualche inquietudine. Ah! se tutti i compositori di dissertazioni fossero sinceri, tutti avrebbero un istesso fine. Sul principio della discussione si prende d'ordinario un tuono di contraddizione, giacchè si è deciso occultamente; come io infatti, non ostante la mia imparzialità, era per la pittura; ma il continuar le ricerche porta delle nuove difficoltà, e tutto finisce sul tuono del dubbio.” Ecco la graziosa maniera, con cui presenta questo autore le sue riflessioni: egli fa leggersi con piacere e con profitto.
Young (Matthew), dotto fisico inglese, nel 1784 pubblicò a Dublino: An Enquiry into the principal phoenomena of sounds and musical strings, cioè: Ricerche su i principali fenomeni de' suoni della musica, in cui procura di difendere i principj d'acustica di Newton. Questo trattato contiene molte utili osservazioni intorno a' soggetti di acustica, come la simpatía de' suoni, le vibrazioni delle corde, la propagazione del suono, l'eco ec. (V. Chladni Acoust. p. 57-290).
Yriarte (D. Thomas de), spagnuolo dottissimo, autore di un poema in questa lingua intitolato: la Musica, la cui prima superba edizione fu fatta in Madrid nel 1779 in 4º; la seconda del 1764, in 8º ed è [136] stato stampato ancora in Parma dal cel. Bodoni. Egli è uno de' poemi spagnuoli moderni il più generalmente stimato (V. Desessart. Biblioth. d'un homme de goût, t. 1, p. 383 Paris 1808). “In tutti i secoli è piaciuto d'ornare con le Veneri poetiche i precetti delle scienze e delle arti. Abbiamo grandissima copia di poemi fisici e astronomici: molti ne possegghiamo sopra la pittura, sull'eloquenza, sulla declamazione, sul ballo, e somiglianti: ma nè veruno antico, nè moderno scrittore mai pensò di comporre un poema didattico su la musica. Se era malagevole per lo passato il riuscire in questo progetto, lo è anche assai più ai dì nostri: è stata l'arte condotta a grado tale di perfezione, sonosi a segno moltiplicati i precetti, che sembra quasi impossibile, che un poeta presenti il contenuto in un'opera, che dee dilettare insegnando. Lo stesso non si esigge da un artefice, che scriva in prosa, per dar contezza dell'arte sua. Eppure abbiam noi forse molti libri che spieghino con metodo, e compiutamente quella della musica? i migliori libri per essere intesi non esiggon forse la voce del maestro, e numero grande d'esempj? Un poeta non ha gli ajuti medesimi, e vien giudicato con più rigore. Noi dobbiamo avere obbligazione grandissima al Sig. de Yriarte per aver coraggiosamente superata la difficoltà, ed aperta una sì interessante carriera.” (V. Giorn. de' Letterati d'Italia, 1780). È questo poema diviso in cinque canti. Il primo è consacrato agli elementi musicali, che l'Aut. riduce al suono ed al tempo. Ei lo termina con vaghe riflessioni sopra l'inutilità dei precetti dell'arte, allorchè manchino a chi compone la sensibilità, e il genio. Il secondo offre le regole dell'espressione musicale. Il terzo comincia da una vigorosa apostrofe [137] alle anime insensibili, che hanno preteso di avvilire la musica: tratta quindi dell'eccellenza della musica, e del suo impiego nei nostri Templi. Il quarto è consagrato alla musica di teatro. L'autore che tratto tratto è andato investendosi del tono dell'entusiasmo, credesi in un subito trasportato in quella parte degli Elisi occupato dai famosi musici di tutti i secoli, e di tutte le nazioni. Ei s'indirizza a Jommelli, e questo cel. compositore gli spiega esso medesimo tutto quello, che è relativo alla musica teatrale. Il quinto comprende finalmente le due ultime classi della musica, cioè l'uso che ne vien fatto nella società e nella solitudine. Principia da un elogio delle accademie di musica, o concerti: loda grandemente gli autori tedeschi, e singolarmente Haydn per la musica istrumentale. Seguono in fine delle importanti note relative a cadaun canto, che meritano di esser lette con attenzione. Lo stile poetico dell'Aut. è d'un elegante natío, e dee estremamente dilettare chi perfettamente intende l'idioma spagnuolo. Eccone un saggio tra' dieci versi del IV canto consagrati all'elogio del cavaliere Gluck. E tu, fa egli dire al Jommelli, immortal compositore d'Alceste, d'Ifigenìa di Paride, e d'Elena, Cantor germano del Cantore di Tracia, o Gluck, sublime inventore, che hai richiamato alla vita il secol d'oro della scena, allorchè l'infelice Europa verrà a perderti, coronato d'eterno alloro troverai un asilo distinto in questo luogo, ove non si conosce interessato encomio, ove non regna l'invidia, ed ove non ha sede verun partito nazionale. Un così eccellente poema non ha trovato sinora un traduttore in Italia a danno dell'arte, e della nostra letteratura.
Zacconi (Luigi). Agostiniano di Pesaro, e maestro di musica del duca di Baviera, pubblicò a Vinegia nel 1596 un libro assai ben fatto col titolo di Pratica di musica utile e necessaria sì al compositore per comporre i canti suoi regolarmente, sì anco al cantore per assicurarsi in tutte le cose cantabili. Nel 1622, il P. Zacconi fe' comparire per le stampe la seconda parte di quest'opera, dove con maggior precisione imprese a trattare degli elementi musicali, e de' principj della composizione. Vi si trovano, dice M. Suard, oltre a buoni principj chiaramente esposti, de' curiosi dettagli su i progressi dell'arte, e sul carattere de' più celebri compositori, che conosciamo del sedicesimo secolo.
Zanotti (Francesco), illustre filosofo, letterato di gran nome, oratore e poeta, nato in Bologna, fu quivi professore di matematiche e di filosofia dal 1718: spogliò la logica degli innumerevoli abusi con cui sfigurata l'aveano i scolastici. Nel 1731 divenne Bibliotecario dell'Istituto e membro di quella dotta Società; e nel 1766 ne fu quindi il Presidente. Egli amava la musica, e trovossi in comercio co' più gran professori di quel tempo, come il Sacchi, il conte Giulini, e 'l Martini. Abbiamo in fatti, di lui alcune Lettere sulla Musica stampate insieme con quelle del Pad. Sacchi e del Pad. Martini in Milano 1782 in 4º. E nel t. 4 de' Comment. Bonon. un suo trattato di Acustica, de vi elasticâ citato da Chladni. Egli morì vivamente compianto da' suoi concittadini ed amici l'anno 1777.
Zanotti (l'Ab. Giov. Calisto), nipote del cel. bibliotecario di Bologna, di cui testè si è parlato, era membro della Società Filarmonica della stessa città. Il dottor Burney (Travels t. 1) rapporta che trovandosi egli nel 1770 [139] in Bologna, nel concorso tra' membri di quella società l'ab. Zanotti vi si fece distinguere per un suo Dixit, scritto con molta vivacità e fantasia.
Zarlino (Giuseppe), di Chioggia nello stato Veneto, si è reso cel. nel sedicesimo secolo per le profonde cognizioni, ch'egli aveva della musica. Era stato allievo di Adriano Willaert, e nel 1565 divenne maestro di cappella di S. Marco, e della signoria di Venezia. Le sue opere di teoria musicale lo han sollevato al rango di uno de' primarj autori classici di quel tempo. Se gli attribuisce altresì il merito di avere scoverto il rapporto esatto tra la terza maggiore e minore. Tutte le sue opere sono state impresse in Venezia in 4 vol. grandi in fol. nel 1558. Eccone il catalogo: Istituzioni harmoniche, nelle quali, oltre le materie appartenenti alla musica, si trovano dichiarati molti luoghi di poeti, historici e filosofi, Ven., 1558, e 1588 in 4º. Dimonstrazioni harmoniche, Ven. 1571 in 4º. Istituzioni et demonstrazioni di musica, Ven. 1580 e 1602. Opere della musica, 1589, in 2 vol. Supplementi musicali, 1588. Melopeo, o musico perfetto. De utraque musicâ, libri 25, 1559. Storia della musica. Trattato che la quarta e la quinta sono mezzine, tra le consonanze perfette ed imperfette, ancora manoscritto, che trovavasi nella libreria del P. Martini. Zarlino lasciò ancora molte sue composizioni per chiesa impresse ed inedite, e per teatro l'Orfeo eseguito la prima volta in Venezia, che alcuni anni dopo la di lui morte il card. Mazarino fece rappresentare in Parigi da una compagnia di musici italiani che aveva fatti venir quivi nel 1630. Le Istituzioni armoniche del Zarlino, tuttochè troppo cariche di vane e fantastiche ragioni, divennero nondimeno il libro classico per gli studiosi della [140] musica pratica, e tutte le sue opere musicali servirono per lungo tempo a formare la teoria de' professori; benchè vi siano scarsi i veri principj d'armonia, giovaron elleno non pertanto per usar delle corde con più esattezza, che non era stato fatto ne' precedenti secoli. Oggidì però dice a ragione il Bettinelli, niun conosce più lo Zarlino, più non si cita, non si ristampa, neppur si cerca dai bibliotecarj (Risorgimento ec. della Musica c. 4).
Zeidler (Carlo Sebastiano), di Norimberga, figlio del maestro di cappella Massimiliano Zeidler nato nel 1719 studiò la musica sotto Pachelbel. Vi ha una sua dissertazione impressa nel 1745: De veterum philosophorum studio musico, in cui mostra molta cognizione dell'antica letteratura musicale. Zeidler morì a Norimberga a' 15 marzo del 1786.
Zeltern (Carlo), letterato di professione, ed amatore di musica in Berlino, ove scriveva un Giornale di musica, in cui dava l'analisi e la critica di tutte le produzioni de' più celebri compositori. Ne' suoi diversi esami delle opere di Haydn, profondità, gusto, perspicacia e filosofia distinguono i giudizj di questo scrittore, dice il Carpani, e l'Haydn non avrebbe potuto parlar meglio de' suoi lavori, se quanto era grande nel fare, lo fosse stato ugualmente nel dire. (Lett. XVI) Se non che parlando della di lui musica delle quattro stagioni, la definì per una musica strumentale con accompagnamento di parole, nel che il metafisico Zeltern, per vero dire portò la satira e il frizzo più in là della realtà e della ragione. Zeltern si è fatto altresì distinguere per le sue composizioni nuove, e piene di gusto: egli era violinista e direttore del concerto de' conoscitori e dilettanti [141] stabilito in Berlino: dove trovansi impresse di lui nel 1790, Otto variazioni di un rondò per forte-piano, sul dramma il Matrimonio di Figaro; alcune sonate per cembalo, ed un concerto per viola.
Zeno (Apostolo), nobile Candioto poeta, e storiografo dell'Imperatore Carlo VI, si rese benemerito della musica migliorato avendo, per quanto gli fu possibile, tutti i generi del dramma musicale. Quest'uomo infaticabile, dice l'Arteaga, giornalista sensato, raccoglitor diligente, erudito senza pedanteria, e antiquario senz'affettazione può chiamarsi a ragione il Corneille del teatro lirico. Tra le molte imprese, a cui porse mano con gran vantaggio della sua nazione, una fu quella di migliorare il dramma. Le cose sacre principalmente furono da lui maneggiate con maestria e decenza sconosciuta fino a suoi tempi. Gli oratorj giacevano allora nell'avvilimento abbandonati alle penne triviali. Zeno vi porse mani ajutatrici, e gli rivestì di quella maestà che conviensi al linguaggio delle divine scritture. Le commedie musicali eziandio, o sieno le opere buffe ricevettero maggior lume dalla sua penna. Egli tuttavia fornito non era d'orecchio musicale, e dee piuttosto dirsi un uomo di talento che un uomo di genio, il suo recitativo riesce alquanto duro: le sue arie non sono molto arrendevoli ad una buona musica. Niun rapporto, dice Marmontel, niuna intelligenza nella divisione de' versi, e nella scelta del ritmo: nulla di regolare, di periodico: onde a ragione è stato abbandonato da' musici. Egli stesso conosciuto avendo la superiorità del gran Metastasio, gli cedette il suo posto di Poeta Cesareo nella corte di Vienna, e si rese a Venezia per porre in ordine, e pubblicar le sue opere. Morì quivi nel 1738. Nelle sue Lettere pubblicate [142] dal Morelli in Venezia in 6 vol. in 8º, molti di lui passaggi ritrovansi sulla Musica drammatica, e sulla Poesia musicale.
Ziani (Pier-Andrea), veneziano, dapprima maestro di cappella di S. Marco a Venezia, e quindi al servigio dell'imperatrice Eleonora in Vienna, fu uno de' migliori teorici del diciassettesimo secolo. Fu altresì buon compositore per quei tempi, sì per teatro che per chiesa, come ben lo dimostrano molte sue opere di pratica stampate a Venez. dal 1654 sin al 1679. Marc'Antonio Ziani, di lui parente e suo successore nel posto di maestro della corte di Vienna sotto l'imperatore Leopoldo, si rese anche cel. sino a' primi anni del passato secolo per le sue composizioni teatrali, oggigiorno del tutto obliate. Il suo oratorio Gesù flagellato è del 1714. (Encyclop. méthod. art. Allemagne).
Ziegler (Giov. Fedele), direttore di musica a Dresda, allievo di Pezold, e dell'antico Bach si rese perfetto nell'arte sì per i suoi viaggi, che per lo studio sulle partizioni de' migliori maestri. Egli fiorì sulla metà dello scorso secolo. Non avendo potuto trovar un editore per le sue opere di teoria, e per le sue composizioni, imparò l'arte d'incidere, e pubblicolle egli stesso nel 1731. Abbiamo di lui: Elementi di musica, e Nuova istruzione sul basso continuo.
Zingarelli (Niccolò) nacque in Napoli a' 4 aprile del 1752. All'età di sette anni, rimasto orfano del padre, entrò nel conservatorio di Loreto per apprendervi la musica. Finaroli fu suo maestro di composizione, e Cimarosa, e Giordanello suoi condiscepoli. Uscito dal conservatorio volle porsi sotto la direzione dell'ab. Speranza, per penetrare gli arcani della teoria dell'arte; poichè, nel conservatorio, [143] appena s'insegnano le regole grammaticali. Questo cel. maestro con un suo metodo particolare d'insegnamento addestrò per modo il Zingarelli, che potè d'indi in poi scrivere le migliori sue opere in non più, e talvolta anche in meno di otto giorni. “Io stesso sono testimonio, scrive il Carpani, che in 40 ore, distribuite in dieci giorni, egli fece la sua inarrivabile Giulietta e Romeo, ed in sette giorni, essendosi per giunta ammalato, scrisse l'Alsinda pel teatro di Milano, la prima delle sue opere di grido” (Lett. 3). Nel 1781 compose egli pel teatro di Napoli, Montezuma, opera più dotta che piacevole, e molto stimata dall'Haydn. Nel 1785, diè in Milano l'Alsinda, che fu molto applaudita, avvegnachè aveva egli abbandonato lo stil ricercato. Tutti i teatri dell'Italia han fatto a gara per averlo compositore: Ifigenia, Pirro, Artaserse, Apelle e Campaspe, Giulietta e Romeo, Ines de Castro, Clitennestra, opere serie; e gli oratorj la Distruzion di Gerusalemme, il trionfo di Davide, la Passione. I drammi burleschi: il Bevitor fortunato, la Secchia rapita, il Ritratto, sono le migliori sue opere. Nel 1789 chiamato in Francia diè alla R. Accademia di musica in Parigi l'Antigono, poema di Marmontel, che mercè gli avvenimenti politici non ebbe più che due rappresentazioni. Di ritorno in Italia, egli applicossi ad uno studio profondo della musica di chiesa, e compose ad otto voci per ottenere il posto di maestro di cappella del duomo di Milano, e fuvvi eletto dopo un esame di tre consecutivi giorni. Le circostanze l'obbligarono quindi a rinunziare alla cappella di Milano. Nel 1806 alla morte del cel. Guglielmi fu egli nominato a succedergli come maestro del Vaticano; e da quest'epoca in poi rinunziò al teatro, [144] non occupandosi esclusivamente che di musica per chiesa. Egli è attualmente direttore del Real Collegio di musica in Napoli nel soppresso monastero di S. Sebastiano. Par che di lui intenda il Carpani, allorchè ci dice che “un cel. maestro italiano, e uomo di prima sfera in linea di compositori, preso il testo poetico della Creazione (opera dello stesso Carpani), si mise a rifarne da capo tutta la musica, procurando di far meglio che l'Haydn; ma il suo lavoro non s'è ancora visto. Egli giace sub rosa, nè si vedrà che dopo la morte dell'autore, avendo egli così deciso per evitare la taccia d'invidioso o nemico della fama dell'Haydn, ch'egli stima moltissimo. Questo maestro, che vanta dei veri capi d'opera, riconosce l'Haydn per uomo unico come sinfonista, come scrittore accademico non superato da altri, ma non lo crede inarrivabile, nè unico nel rimanente: nel che troverà fra i dotti non pochi compagni di sentimento.” (Lett. XI). I caratteri attribuiti a questo maestro anonimo dal Carpani, se pur lice indovinarlo, sono confacenti e ben calzano al merito del Zingarelli, e al giudizio che di questo grand'uomo far mostra l'illuminato scrittore. Descrive altresì la maniera usata dal Zingarelli per disporsi a comporre la sua musica. “La lettura di un passo di qualche santo padre, o di qualche classico latino è necessaria al Zingarelli per improvvisare poi un atto intero del Pirro, o della Giulietta e Romeo, e stendervelo in meno di quattro ore.” (Lett. 3).
Zuccari (Giov.), minore conventuale, e dotto compositore e scrittore di musica sui principi del sec. 18. Egli pubblicò in Roma Pratica di musica, 1719. Diè anche in Venezia nel 1725 l'opera Seleuco: e nel [145] magazzino di Breitkopf a Lipsia vi ha una di lui cantata: Come potrà il mio cor, ec.
Zulatti (Giov. Franc.), di Cefalonia, pubblicò in Venezia: Discorso della forza della musica nelle passioni, nei costumi, e nelle malattie: e dell'uso medico del ballo.
Zulehner (Carlo), membro della società delle scienze ed arti di Magonza, e del Museo di Francfort, nacque a Magonza nel 1770. Imparò il forte-piano da Sterkel, e da Eckard a Parigi: studiò la composizione sotto Philidor, e Kreutzer, e dopo il 1805 è direttore dell'orchestra in Magonza, ove ha stabilito eziandio una stamperia di musica. Egli compose dopo il 1790 una Messa, un Te Deum; due opere alemanne; tre sinfonie; 18 quartetti per violino; tre concerti per piano-forte; 24 sonate con violino, ec. Vi sono in oltre impresse di lui sette opere per il cembalo, e la maggior parte delle opere di Mozart disposte per il forte-piano.
Zumsteeg (Giov. Rodolfo), nato a Gausingen nel 1760, e morto a Stuttgard nel 1802, era eccellente compositore e gran virtuoso sul violoncello nella cappella del duca di Vittemberga. Egli era stato allievo del maestro di cappella Poli, ma acquistò la miglior parte delle sue cognizioni mercè lo studio delle opere di Mattheson, di Marpurg e di M. d'Alembert. Le di lui composizioni distinguonsi per un carattere grave e dignitoso: non faremo menzione che della Festa di primavera di Klopstock, d'una sua Messa, e della sua musica stromentale moltissimo ricercata.
Adami (Giuseppe), nato in Torino verso la metà dello scorso secolo, si distingue molto oggigiorno per la sua singolar maniera di sonare il Clarinetto, che tira a se l'ammirazion degli ascoltanti. Benchè sia addetto alla Real Cappella e Teatro di Torino, la sua gran fama il fè chiamare in Milano per il cel. teatro della Scala, ove attualmente soggiorna.
Afranio, o Afanio come lo chiama Zacc. Tevo, fu canonico di Ferrara, e vien riguardato come inventor del fagotto. Ambrogio Albonesi di Pavia, canonico di Laterano nella sua Opera intitolata: Introductio ad linguam Chaldaicam, impressa a Pavia nel 1539, e dedicata ad Afranio, dà la descrizione di questo strumento da lui nuovamente trovato, e ne rappresenta in un rame la forma primitiva.
Agnesi (M. Teresa), di Milano, sorella della celebre Gaetana Agnesi morta nel 1799 in Bologna, dove coltivate avea con onore le matematiche, si è fatto gran nome nella letteratura e nella musica. Ella ha posto in note molte Cantate e tre drammi serj, che ebbero del successo, la Sofonisba, Ciro in Armenia e la Nittocri. Morì in Bologna nel 1808.
Alghisi (Franc.), da Brescia, compositore rinomatissimo e maestro di cappella [2] di quella cattedrale soggiornò per alcun tempo in Venezia, ove scrisse due opere per quel teatro, che piacquero al segno di essere replicate l'anno di appresso, distinzione molto rara in Italia. Tornato in Brescia diessi tutto alla pietà e al ritiro, e quivi terminò con grande edificazione i suoi giorni nel 1733. (V. Gazzetta music. di Lipsia).
Amato (Vincenzo), di cui si è parlato nel tom. 1, p. 28: era prete e dottore in teologia. A' suoi funerali nella chiesa di S. Ninfa de' padri crociferi di Palermo, in dimostrazione della stima, che si aveva del di lui merito, assister vollero non che tutt'i musici della città, ma il clero ancora ed il capitolo della cattedrale, di cui era maestro di cappella. Egli sorpassava appena i 40 anni di sua età.
Andrioli di Torino, egregio suonatore di contrabbasso al servigio della R. Cappella del re di Sardegna, e non meno commendevole sull'arpa, per la pienezza e sonorità della sua corda, e per l'agilità con cui maneggia il contrabbasso: vien oggidì riputato pel più bravo virtuoso su questo strumento.
Angeloni, di Frosinone in Italia è autore di una interessante Dissertazione sulla vita e le opere di Guido d'Arezzo, 1809, ove molte dotte notizie rinvengonsi utili alla storia, ed alla letteratura della musica, e l'analisi di tutti i libri musicali di quel monaco ristoratore dell'arte.
Antigenide, musico di Tebe, fu uno de' pubblici maestri di quest'arte quattro secoli innanzi G. C. Egli accrebbe i fori nel flauto, per facilitare l'accompagnamento nella musica a più parti (Plin. Hist. l. 16), onde rendesi incredibile il racconto di Aulo Gellio, il [3] quale nel lib. 15 delle sue Notti Attiche dice, che per essere Antigenide bello assai di persona, vedutosi egli un giorno deforme nel suonare il flauto innanzi ad uno specchio, screditò l'uso di questo stromento fra' Tebani. Ma chi darassi a credere, ch'egli facesse maggior conto della bellezza, che della singolar gloria d'inventore? della passeggiera deformità, con cui compariva nell'orchestra, che della durevol lode di abile suonatore? (V. Requen. t. 1).
Babbi (Cristoforo), nato a Cesena nel 1748 studiò il violino sotto Paolo Alberghi scolare di Tartini, e nel 1780, entrò al servigio dell'Elettor di Sassonia a Dresda come maestro di concerto. Eranvi in quella corte i primi virtuosi di Europa: Naumann, Schuster, e Seydelmann erano i direttori della musica. Babbi ha composto dei concerti per violino, sinfonie per chiesa e per camera, quartetti e duo per flauto, e una cantata per cembalo, Dresda 1789.
Bambini (Felice), nato a Bologna, venne assai ragazzo portato in Francia da suo padre direttore di una compagnia di musici italiani, che rappresentarono sul teatro della Real Accademia in Parigi i belli intermedj di Pergolesi di Jommelli, di Rinaldo ec. Questa musica italiana fu che circa il 1760 diè occasione alla prima guerra musicale in Francia. Bambini in età allora di dieci anni, era accompagnatore al cembalo, e mostrovvi tale intelligenza, che Rousseau fecene l'elogio nella sua cel. Lettera sulla musica francese. “Risovvengavi, dic'egli, di avere inteso negl'intermedj datici in quest'anno il figlio dell'impresario italiano, ragazzo al più di dieci anni, accompagnare all'opera. Noi fummo dal primo giorno sorpresi dell'effetto dalle sue piccole dita prodotto; [4] e tutt'i spettatori si avvidero al suo suono preciso e brillante ch'egli non era il solito cembalista. Io cercai ben tosto le ragioni di tal differenza, benchè non dubitassi che M. Noblet non fosse un buon armonista, e non accompagnasse molto esattamente: ma qual fu la mia sorpresa nell'osservare le mani di quel bravo ragazzo, vedendo ch'egli non riempiva quasi mai gli accordi, sopprimeva molti suoni, e non impiegava assai volte che due sole dita, di cui l'uno suonava quasi sempre l'ottava del basso. E che! diceva in me stesso, l'armonia compita fa meno effetto della mancante, e i nostri cembalisti con rendere tutti gli accordi pieni, non fanno che un confuso romore, mentre costui con meno suoni fa più d'armonia, od almeno rende il suo accompagnamento più sensibile, più grato! Io ne compresi ancora più tutta l'importanza, allorchè osservai che tutti gl'italiani, accompagnavano della stessa maniera che il piccol Bambini, ec.” Suo padre divenuto console di Venezia a Pesaro lasciollo in Francia, ed egli continuò i suoi studj di canto, e di composizione sotto Bordenave e Rigade, ch'era stato scolare di Piccini. Le sue composizioni per teatro gli han fatto molto onore in Francia: vi sono inoltre di lui otto opere di sonate per forte-piano, ed alcuni trio per violino, viola e basso.
Bannieri (Antonio), nato in Roma, e fornito di bella voce e di buona scuola di canto venne assai giovane in Francia, ed ebbe l'onore di cantare dinanzi la regina Anna d'Austria, che l'ebbe in grande stima, e lo colmò di favori. Per prevenire la perdita della voce, impegnò un chirurgo a fargli la crudele operazione. Non vi consentì costui che a condizione della più forte promessa di custodire il secreto. [5] Ma come la voce del Bannieri di giorno in giorno diveniva più bella, si venne a scoprir finalmente che non ne era naturale la cagione. Il re Luigi XIV ne l'interrogò; e voleva sapere chi fosse il chirurgo che prestato aveagli quel buon ufficio. Sire, diss'egli, io ho dato la mia parola d'onore, di non dirne mai il nome. — Tu fai bene, perchè io lo farei appiccar per la gola, e così tratterò il primo che si arrischierà di commettere un sì abominevole misfatto. Voleva allora il re bandir eziandio lui stesso: ma lo rimise poi in grazia, nè gli accordò la sua dimissione che dopo aver compiti i 70 anni. Bannieri morì assai vecchio nel 1740.
Barbella (Emmanuele) cominciò a studiar di violino dall'età di un pò più di sei anni, e quindi ebbe lezioni da Pasquale Binni allievo del Tartini. Il cel. Leo fu suo maestro nel contrappunto, che celiando diceva di lui: Non per questo Barbella è un vero asino, che non sa niente. Questo abile violinista, seguace de' principj di Tartini, morì in Napoli sua patria nel 1773. Tra' suoi allievi singolarmente si distinsero il Sig. Girolamo Blasco primo violino del teatro, e della R. Cappella di Palermo, morto nel 1795; ed il cel. Ignazio Raimondi, autore eziandio di molta musica strumentale impressa a Amsterdam, dove erasi stabilito. Le sonate di Barbella per violino trovansi pubblicate in Parigi, e a Londra.
Barbici (Michele), nato in Palermo di assai civile famiglia, mostrò sin da' primi suoi anni molta inclinazione alla musica, e studiolla profondamente sino a divenire un abile compositore. Egli può dirsi altresì l'inventore dell'Arpone, che si fabbricò da se stesso, e che senza l'ajuto di alcun maestro giunse a suonare perfettissimamente. Questo strumento è fornito di corde di budello, [6] e può chiamarsi un forte-piano verticale, ma non avendo de' tasti, si suona pizzicando a punta delle dita. Il Sig. Barbici intraprese un viaggio per l'Italia per farsi intendere su quel nuovo istromento, ed in Napoli, e particolarmente in Firenze fu sommamente applaudito in ambe le corti, e in tutte le più scelte compagnie, ma siccome non volle far mai la figura che di un semplice amatore, e non già di un virtuoso che metteva a profitto l'arte sua, gli fu d'uopo ritornare alla patria pieno di debiti, e per colmo di disavventura perdette eziandio l'onesto impiego, ch'egli aveva lasciato pe' suoi viaggi. Quindi gli convenne soffrire delle ristrettezze, e vivere di que' pochi beni di sua famiglia, e de' scarsi profitti che ritrar potè dalla professione di notaro ch'egli esercitava. Proseguì tuttavia ad amar passionatamente la musica, a comporre pel suo strumento, ed allorchè veniva invitato a suonarlo sì in chiesa, che in camera, occorreva egli ben volentieri a farlo senza generosamente pretenderne veruna paga. Egli aveva scritto de' concerti pel suo Arpone a piena orchestra; delle suonate pel medesimo a solo, o con accompagnamento di due violini e basso, e molta musica vocale, ove l'Arpone produceva grandissimo effetto accompagnando la voce, mentre il resto degli istrumenti sentivasi appena: le di lui composizioni, e la sua esecuzione riuniron sempre tutti i suffragj non che de' semplici amatori, ma eziandio de' virtuosi. Questo strumento riesce moltissimo con ispezialità negli adagio: tenero, e assai dolce ne è il suono; e di una espressione atta a muover gli affetti ne' cuori eziandio meno sensibili. Assai volte avveniva, che suonando egli cadeva in isvenimenti alcuno de' suoi uditori, e quel ch'è più da rimarcarsi, siffatta convulsione [7] verificavasi più su gli uomini che sulle donne. Il Giornalista di Modena, nel riferire un simil successo dietro la testimonianza del nostro P. Catalisano che vi era presente, ci sembrerebbe, ei dice più degno di maraviglia il siciliano arpone, se in vece di scompaginare la macchina corporea, racchiudesse la virtù di rinfrancarla. (V. Grammat. armon. c. 3). Osservazione ridicola! come se l'unico effetto che produce l'arpone fosse costantemente quello di far isvenire gli astanti, e come se non mettesse il più delle volte, secondo la qualità dei tuoni e del modo, e secondo la disposizione morale e fisica delle persone, lo spirito in allegrìa ed in brio. Il Sig. Barbici terminò i suoi giorni verso il 1790. Non sappiamo aver egli fatto degli allievi su quel suo stromento; fuvvi bensì un altro bravo suonatore di arpone in quel tempo, di lui più giovine, per nome il Sig. Cristoforo Baisi palermitano. Egli avendolo sentito suonare al Barbici, fecesene costruire un simile, e come fornito egli era di grande ingegno, e di somma abilità nella musica, giunse senza alcun maestro a suonarlo così perfettamente, che sorpassò di gran lunga lo stesso Barbici sì per l'agilità, che per il gusto. Egli eseguiva sull'arpone qualunque difficile sonata di clavicembalo, e vi adattava qualsivoglia pezzo di musica scritta per altri stromenti: molta ne compose egli stesso, e dopo aver fatto l'ammirazione, e la delizia de' suoi concittadini, fecesi ne' suoi viaggi ammirare ancora in Italia, in Francia, e finalmente formò la sua fortuna in Moscovia, dove attualmente si trova.
Barni (Camillo), nato a Como nel 1762, cominciò dall'età di 14 anni lo studio del violoncello sotto la direzione del suo avolo Davide Ronchetti, e quindi per alcun tempo del [8] dilettante Giuseppe Gaggi, canonico della cattedrale di Como. Di 26 anni venne egli in Milano come secondo violoncello di quel gran teatro, e vi soggiornò per otto anni presso il conte Imbonati, protettore illuminato degli artisti. Nel 1791 divenne egli il primo violoncello, e sonò gli a solo nel teatro della Scala. Nel 1799 studiò la composizione sotto il cel. Minoja: scrisse alcuni quartetti in Italia, e portossi a Parigi, dove si è stabilito sin dal 1802. L'anno di poi diè egli al teatro Olimpico un concerto di violoncello di sua composizione, e sino al 1809 ha pubblicata molta musica strumentale.
Barthez (Paolo-Gius.), celebre medico, morto nel 1806; nella sua Théorie des beaux-arts ha scritto un capitolo molto erudito, che ha per titolo: Nouvelles recherches sur la déclamation théâtrale des anciens Grecs et Romains (V. Millin, Mag. encyclop. t. V)
Beccaria (il conte), cel. in Italia e in tutta l'Europa nello scorso sec. per il suo trattato dei delitti e delle pene, come per altre dotte sue opere, è autore eziandio di una Dissertazione sulla musica piena di eccellenti riflessioni sul poco effetto della moderna per rapporto agli affetti. “Oh quante volte, egli dice, accade di dover dire ad alcune arie, quel che soleva l'ingegnosissimo autore dei mondi, Musica, che vuoi tu? S'ascoltano delle arie eccellentemente intonate, dette con una prodigiosa agilità, con una perfetta eguaglianza di corde nella voce, con esattissimo rigore di tempo, con trilli, con lunghezza mirabile di cadenze senza prender fiato: Musica che vuoi tu? Ancora non lo so, se non mi desti nel cuore verun sentimento. Io ho ascoltato delle voci, alle quali non si poteva rimproverare alcun difetto, ma il mio animo faceva loro [9] il rimprovero massimo poichè non sentiva nulla. I ballerini da corda si pagano perchè ci faccian maraviglia, i musici si pagano perchè ci movano; eppure la massima parte de' musici vuol fare da ballerini da corda”, ec.
Belolli (Luigi), da Parma, celebre suonatore di corno di caccia stabilito in Milano nel R. teatro della Scala. I suoi concerti sì pel gusto, che per la sodezza delle regole lo han messo al rango di un de' più celebri compositori d'oggigiorno. Non puossi esprimere l'effetto che produce lo strumento da lui maneggiato: l'illusione è arrivata al segno di aver creduto alcuni ch'egli pronunzii insin le parole. I quartetti, ch'egli ha composto per quattro corni di caccia, fanno un eccellente effetto, dice il dottor Lichtenthal: noi ne abbiam fatto un cenno nel suo articolo (t. 3. p. 25). Belolli ha formato un grand'allievo nella persona di un certo Balezar Milanese, che attualmente dimora in Napoli.
Benda (Francesco) merita un distinto luogo nella storia dell'arte qual fondatore di una scuola di violino nell'Alemagna. Egli era della Boemia, ma dopo di avere appreso il canto e la musica a Praga, applicossi allo studio del violino a Dresda, ove era stato accolto come uno de' membri della real cappella. Tornato dopo alcun tempo a Praga, ebbe lezione da Konyezek bravo violinista del paese, e quindi dal cel. Francischello in Vienna. Sulla raccomandazione di Quanz entrò egli nel 1732 al servigio del principe real di Prussia, indi Federico II. Benda intento sempre alla perfezion di sua arte fecesi istruire nell'esecuzione degli adagio da Graun maestro de' concerti del Re, nell'armonìa dal di lui fratello maestro di cappella della corte, e dallo stesso Quanz nella composizione. Nel 1772 fu sostituito a Graun [10] nel posto di maestro de' concerti, e morì di apoplesia a Potsdam nel 1786 in età di 77 anni. Il Dottor Burney dice che “la sua maniera non era nè quella di Tartini, nè quella di Somis o Veracini, nè quella di alcun altro caposcuola di violino, ch'ella era tutta sua propria, da lui formatasi su i modelli de' gran maestri.” (Travels 3º vol. p. 101). Hiller nel 1º vol. delle sue biografie dice: “ch'egli rendeva col suo violino i più belli, i più nitidi, i più gradevoli suoni, che sentir si potessero. Niuno uguagliavalo nella celerità e nell'esecuzion degli acuti. Egli conosceva a fondo tutte le difficoltà, e tutte le risorse del suo instromento, delle quali giudiziosamente sapeva far uso. Egli inclinava maggiormente ad una nobile melodia.” Pregevolissimi sono i suoi concerti; il Benda, dice Carpani, è pennelleggiatore fiero e profondo. (Lett. 4). Tra' suoi allievi pel violino si fecero gran nome suo fratello Giuseppe Benda e due suoi figli; Koerbitz, Bodino, Pittcher, Ramnitz, Rust e Matthes; per il canto formò egli le sue due figliuole, che sposarono i maestri di cappella Wolff, e Reichardt, ed il soprano Paolino. Giorgio Benda, il terzo de' suoi fratelli si rese celebre come maestro di cappella del duca di Saxe-Gotha: le sue composizioni sì per chiesa che per teatro furono molto applaudite in Germania e nella Francia. Egli aveva viaggiato in Italia per apprendervi la lingua, e il buon gusto nel canto, il che acquistar fece alle sue produzioni la singolar maniera che le rende superiori a quelle de' suoi contemporanei. Egli viveva ancora nel 1794.
Bernard, musico tedesco viveva in Venezia nel 1470. A lui deesi l'invenzion de' pedali negli organi. (Fabric. bibl. lat. med. ætat.).
Bernardi (Franc.), detto il Senesino, eccellente mezzo soprano, nato in [11] Siena, fu ricercato dal cel. Hendel per condurlo seco in Londra come prim'uomo nel teatro italiano, collo stipendio di 1500 lire sterline, che fu in appresso accresciuto sino a 3 mila ghinee; ma essendosi disgustati fra loro, Hendel lo mandò via dal suo teatro, malgrado il discapito che gliene avveniva, e le premure de' più gran signori di Londra, cui dispiaceva il perderlo. Nel 1739 egli si era stabilito in Firenze, e tuttochè vecchio vi cantò un duetto insieme con l'imperatrice M. Teresa, allora arciduchessa d'Austria. Era in gran pregio la di lui voce penetrante, chiara, uguale e flessibile: aveva egli in oltre un'abilità poco comune nell'esecuzion de' passaggi, pura l'intonazione, ed il trillo perfetto. Ottimo attore nel tempo stesso primeggiava fra tutti ne' recitativi.
Berrettari (Gaetano), membro della Società delle scienze ed arti dell'Italia, è autore delle Osservazioni sul suono, che trovansi negli Annali di Chimica e Storia Naturale di Brugnatelli, a Pavia, tom. 18, 1800.
Bertinotti (Teresa), da Savigliano nel Piemonte, cantatrice rinomatissima su i primi teatri d'Europa, come di Londra, Milano, Napoli e Palermo, dove sommamente si distinse nell'oratorio la Zaira scritto dal Federici per la sua voce nel 1800. La sua singolar maniera di cantare, e la sua bellissima voce penetra il cuore: la sua espressione è ammirabile. Alle doti di avvenenza e di grazia, di cui è stata assai favorita dalla natura, unisce ella una decenza, un contegno, una virtù che trovansi di raro nelle persone del suo rango. Ella sposò finalmente il Sig. Radicati famoso professor di violino. Attualmente soggiorna in Bologna, e canta da prima donna in quel teatro, dopo di essere stata in Lisbona.
Biante di Priene, uno dei Saggi della Grecia fiorì sei secoli innanzi G. C. Dopo essersi istruito in ogni genere di scienza, e dopo avere imparata con eccellenza la musica, prese a cantar con la lira in diverse occasioni i mezzi di render felice la patria, e di preservare da' mali la poco accorta gioventù. I sentenziosi detti sparsi ne' canti di questo valentuomo si celebrarono tanto da' Greci, che dell'età sua si videro scolpiti nel tempio di Apollo, quali sentenze del Dio della musica. La Grecia dichiarollo per uno de' suoi Savj (V. Laert. l. 1, 35, et Plutarch. de Monarch.)
Blangini (Mad.), sorella del bravo maestro Giuseppe Blangini (V. il suo art. nel t. 1, p. 123), nacque in Torino nel 1780. Ebbe dapprima lezioni di violino dal col. Pugnani, e poscia da Puppo, e da Boucher. Il Sig. Barni da Como l'ha diretta nello studio della composizione. Essa ha suonati de' concerti di violino nelle pubbliche accademie a Torino, a Milano, a Vienna e a Parigi: una sola delle sue opere si è pubblicata sinora, cioè un trio per due violini e violoncello. Ella è attualmente nella corte di Baviera in qualità di maestra di canto della principessa.
Bura (Antonio), da Savigliano in Piemonte, attualmente uno de' primi suonatori di violino, fu scolare del Pugnani.
Burgh (A.) nello scorso anno 1814 pubblicò in Londra Anecdotes historical and biographical of music in letters, cioè Lettere contenenti alcuni aneddoti storici e biografici della musica, 3 vol. in 8vo.
Catalani (Ottavio), dell'antica Enna, abate e canonico della cattedrale di Catania, acquistossi tal nome per la sua scienza e perizia nella musica, che divenne in Roma maestro della cappella pontificia sotto Paolo V. Fu poi maestro di cappella del duomo di Messina dove morì dopo il 1620. Le sue composizioni per chiesa furono stampate in Roma presso il Zannetti, e dedicate a quel Papa nel 1616 in 4º. (Mongit. Bibl. Sic.)
Cesarotti (l'abb. Melchiorre), illustre professore nell'università di Padova sua Patria, ed assai noto all'Europa letterata per l'eccellenti sue opere di diverso argomento, merita un distinto luogo fra gli scrittori sulla musica, comecchè protesti egli stesso di non aver avuta veruna intelligenza di quest'arte (Lett. a M. de Vogt). Trovansi non pertanto nelle sue opere molte notizie riguardanti la musica: tal si è quella sull'origine della medesima nel suo Ragionamento sopra l'origine e i progressi dell'arte poetica. Tali sono le due sue relazioni accademiche sulla nuova teoria musicale del P. Barca Scolopio; e tale è la relazione della musica dei Caledonj nel suo Ragionamento preliminare dell'inavanzabil traduzione de' poemi di Ossian. Tra questi vi ha il poema drammatico di Comala, ove come osserva lo stesso traduttor Cesarotti, la varietà della misura dei versi fa vedere che il poema fu originalmente messo in musica. Come il suo amico M. de Vogt scrivevagli da Vienna nel 1776, ch'egli non disperava d'indurre M. Gluck a porre in note l'eccellente traduzione ch'egli ne aveva fatta, “mi sarebbe al certo gratissimo, gli rescrisse il Cesarotti, di veder posto in musica da cotesto cel. professore il pezzo rimato del Celtico Bardo. [14] Parmi che quella versificazione imitativa, spezzata e varia, sarebbe suscettibile di bellezze musicali straordinarie.” Ma, se pur non m'inganno, la varietà e l'inuguaglianza del metro, che usò il Cesarotti ne' versi di una medesima stanza, e la strada, com'ei dice, in gran parte nuova che gli convenne tentare nella lirica, la rendono meno adatta ad una buona musica: e fu forse questa la ragione, per cui non potè indursi il Gluck a metterla in note. Piacemi di qui rapportare il giudizio, che questo insigne letterato formavasi del Pacchiarotti, ch'egli soleva chiamare l'Orfeo dell'anima (Lett. al Gener. Miollis del 1808), con tanto più di ragione, quanto nel formare il di lui articolo non mi era occorso allora l'elogio così onorevole fattogli dal Cesarotti. Egli dunque scrivendo alla contessa Livia Dragoni nel 1785 dice così. “Il vortice amichevole mi trasse seco per alcuni giorni a Verona a render omaggio al nostro Orfeo. Tale è per me realmente il Pacchiarotti. Egli si fa tiranno dell'anime sensibili, ed è il solo che m'abbia fatto credere ai miracoli della musica Greca tanto magnificata dall'antichità.” (Epistolar, t. 2). Per la ragione medesima tralasciar qui non debbo le lodi, che dà il Cesarotti all'insigne poeta Angelo Mazza per la collezione de' suoi Sonetti sull'armonia. “È già molto tempo, dic'egli in una lettera del 1803, che l'Italia vi riguarda come il suo Pindaro. I vostri sonetti scuoterebbero il letargo stesso. Io ne sono incantato, trasportato, e non ho parole che bastino a spiegarvi quel ch'io ne sento. Voi meritate d'esser chiamato per eccellenza il Signor dell'altissimo canto. Non v'è fra tanti un solo sonetto che non porti l'impronta luminosa del grande; ma varj di essi sono d'una bellezza sorprendente, e senza [15] esempio. S. Cecilia, il Genio, l'Entusiasmo, l'Armonia ideale, per tacer di altri, sono degni solo di Apollo se pur Apollo ne sapea tanto.” Morì Cesarotti il giorno 4 novembre 1808.
Chladni, di cui abbiamo parlato nel 2º tomo a carte 58, e nel cui nome vi è occorso errore. Chiamasi egli Ernesto-Florente-Federico, come lo abbiamo trovato scritto negli estratti della sua Acustica nel Journal de Physique a Paris, etc., tom. 48.
Colle (Francesco), accademico e storiografo dell'università di Padova, e socio dell'accademia letteraria e georgica di Belluno assai noto per le sue opere commendate dal Cesarotti, merita qui un distinto luogo per la sua Dissertazione presentata al concorso dell'anno 1774, e coronata dalla R. Accademia di Scienze e Belle-Lettere di Mantova, sopra il quesito: Dimostrare che cosa fosse, e quanta parte avesse la musica nell'educazione de' greci; qual era la forza di una siffatta istituzione, e qual vantaggio sperar si potesse se fosse introdotta nel piano della moderna educazione. Essa è scritta con uno stile coltissimo, e talora anche fiorito, sparsa di molta e punto non volgare erudizione, soprattutto giusta, ed esattissima nel proporre e nello sciogliere con tutta la soddisfazione desiderabile a parte a parte il quesito, che ne forma l'interessante argomento. Prova l'A. quanta efficacia aver dovesse nell'educazione della gioventù la musica dall'esser questa l'arte più adattabile anche alla più tenera età: a quell'età cioè, a cui le altre scienze di eloquenza, filosofia, matematica sarebbero troppo sproporzionate. Quindi è che nessuna professione conta tanti eccellenti professori suoi in [16] fanciulli, quanto la musica; laonde è che in età di soli sei anni i Greci erano alla musica applicati. Essa oltre l'esser un innocente anzi virtuoso trattenimento, coltiva ulteriormente e arricchisce l'intelletto, e il cuore: e quindi mentre che ella si è uno scherzo e un diletto, ha insieme il merito delle più nobili scienze, cioè di esser fonte di sempre nuove cognizioni, e di nuovi affetti. Vero è che questo merito non è grande, quanto esser lo potrebbe, per colpa dell'avvilimento, in cui la lasciamo. E però prende da ciò motivo l'A. di deplorare con ogni ragione, che la musica si professi per lo più da persone mercenarie e venali che tanto sol la coltivano, quanto basta a proccurar loro danari in copia, onde sollevarsi da quella vile e stentata condizione di vita, a cui la nascita gli avea condannati. Due gran pregiudizj da ciò tornano alla musica. L'uno è di non poter ispirare tutta quella nobiltà di sentimenti, e di passioni di cui sarebbe suscettibile, perchè ne mancano quei che la professano. L'altro di non aver nessun ajuto dalle scienze, e dallo studio ragionato, perchè non son punto versate, nè nelle lettere, ne nelle scienze le persone a cui è affidata. Qual danno il non avere studiato a dovere la natura sì fisica che morale del cuore umano, onde dedurne quai moti fisici, e quali affetti si potrebbero con sicuro dominio svegliare in lui! Chi è chi ignori quanti avanzamenti non han portati alla musica que' pochi uomini dotti, che l'han professata, un Zarlino, un Salinas, un Galilei, un Doni, un Banchieri, un Rameau, e più recentemente un Tartini, e un Riccati! Quanti maggiori dunque non ne farebbe, se ella entrasse nell'educazione universale; sicchè a professarla venissero non pochi solamente, ma tutti i dotti che vantasser l'età venture! [17] Professata così anche da' più ricchi e potenti avrebber questi campo di far nuovi sperimenti comecchè dispendiosi, onde acquistar nuovi lumi, e procurare alla musica nuovi avanzamenzi. E poi se ogni dì la vediamo acquistar qualche nuovo grado di perfezione, mentre è per lo più fra mani indotte e vili, quanti adunque più ne acquisterebbe ai dotti ed ai nobili affidata? Nè la perfezione, che essa allora otterrebbe non sarebbe di tal sorte, come lo è al presente, che tende a guastarla e farle perdere la sua nobiltà. Ecco un piccol Saggio di questa dotta ed erudita Dissertazione, che fassi leggere con piacere e con profitto.
Collier, inglese, grande amatore della musica, dopo avere viaggiato per la Francia, la Germania e l'Italia, ed aver osservato lo stato di quest'arte in tutti que' paesi, ne diè al pubblico una ben dettagliata notizia in un suo libro intitolato: Musical Travels, ossia Viaggi musicali, in 12º, Londra 1790 (V. Bent's the Lond. Cat.).
Conti, valente compositore italiano, e uno dei primi a porre in note i drammi del Metastasio, era al servigio dell'Imperatore Leopoldo grande amatore della musica italiana in Vienna. Mr. Suard nell'Encicl. metodica ci ha conservato di lui il seguente aneddoto. Nel 1730, questo virtuoso essendo stato insultato da un prete in Vienna, vendicossene tosto con dargli delle buone botte addosso. La contesa avendo avuto de' testimoni, gli si fece un processo criminale, ed in virtù di una sentenza ecclesiastica, Conti fu condannato ad essere esposto per tre giorni, pello spazio di un'ora, dinanzi alla porta della cattedrale chiesa di S. Stefano. L'imperatore, per la stima che facevane, mitigato aveva la sentenza, con ridurre ad una sola le tre umilianti [18] stazioni. Ma poichè nella prima non comportò egli quella pena con rassegnazione e pazienza, venne condannato a subirla due altre volte; rivestito di un grosso sacco, e tenendo un cero alla mano. Dopocchè la giustizia ordinaria condannollo a pagar mille franchi al prete offeso, e tutte le altre spese; ad una prigione di quattro anni, o ad esser quindi perpetuamente bandito, da' dominj dell'Austria. (Art. Allemagne).
Cristofori (Bartolomeo), da Padova, costruttore di cembali dimorante in Firenze: a cui secondo la testimonianza del P. Sacchi, e del Conte Gianrinaldo Carli, ambi Milanesi, deesi l'invenzione del Piano-forte nella prima metà dello scorso secolo; benchè per l'usata trascuraggine degli Italiani nel non rivendicare sugli esteri i dritti alla propria gloria, si attribuisca cotale invenzione or a' Tedeschi, or a' Francesi anche in Italia. Noi riporteremo qui le parole stesse del Conte Carli, autore grave e rinomatissimo. “Bartolomeo Cristofori Padovano, egli dice, fu l'inventore del cimbalo a martelletti, della quale invenzione ci siamo scordati a segno, che l'abbiam creduto una nuova cosa, allorchè ci venne dalla Germania, e dall'Inghilterra accogliendolo come una singolare produzione di quelle felici regioni destinate ad illuminarci con i lumi presi dagl'Italiani, i quali hanno ritrovato tutto, inclusivamente un nuovo mondo, e non hanno saputo conservar mai cosa alcuna.” V. il vol. 14 delle sue opere, p. 405, Milano 1788, in 8º.
Crotch (William), musico inglese, nel 1813 pubblicò in sua lingua: Elementi di composizione musicale, opera che viene annunziata nel Giorn. Enciclopedico di Sicilia, Maggio n. 5, 1814.
[19] Crousaz (Jean-Pierre), professore di filosofia, e di matematica nell'Accademia di Losanna, nel 1714 diè al pubblico Traité du Beau, in 8º, dove dimostra in che consista il bello con degli esempj tratti per la più parte delle arti, e delle scienze. L'autore parla altresì del Bello della musica, che ha qualche cosa che non del tutto dipende dal piacer dell'orecchio. L'ultimo e 'l più lungo capitolo di quest'opera viene da lui impiegato a spiegar da prima fisicamente la natura del suono; tratta quindi da matematico dei tuoni, e delle differenti combinazioni che bisogna farne, per produrre un pezzo di musica, che sia veramente bello, secondo i principj, ch'egli ha premessi. Ma come tale bellezza matematica della musica è da pochi, anzi da niuno compresa, così tolse egli questo capitolo sulla musica dalla seconda edizione del suo trattato pubblicata in Amsterdam nel 1723, e tratta in sua vece della bellezza della Religione. (V. le Clerc Bibl. Anc. et Modern. t. 20).
Descartes. Benchè siasi da noi detto abbastanza in riguardo al suo trattato sulla musica, per onor dell'Italia tutta via crediamo ragionevol cosa lo aggiungere quel che ne ha scritto il dottissimo Andres nel cap VIII del t. 4 Dell'Acustica. “La dottrina musica del Cartesio, egli dice, è tanto conforme a quella del Galileo, che il Cartesio stesso pare che voglia schivare la taccia di plagiario, e cerchi di rifonderla nel Galileo (Ep. XCI, par. II); e il Poisson illustratore della sua musica più uso fa delle ragioni e delle sperienze del Galileo, che di quelle del suo autore Cartesio (Elucid. phys. in Cartes. music.). Sotto l'ombra di questi due sommi filosofi cresceva la musica, e chiamava l'attenzione del Mersenne, del [20] Gassendi, del Wallis, e d'altri chiarissimi scrittori... La dottrina però del Galileo e del Cartesio intorno la musica, le sperienze de' fisici, e le teorie de' geometri sopra il suono non erano che piccioli saggi de' moltissimi argomenti, che offre questa materia, e delle infinite speculazioni, che restavano a fare.” Puossi anche aggiungere all'articolo di Descartes, che nelle sue Lettere trovansi spesso trattati soggetti di scienza musicale, così nell'epist. 75 e 106 della Part. 2 spiega egli meglio che il Mersenne la coesistenza de' suoni acuti col suono fondamentale di una corda, benchè attribuisca esclusivamente questa qualità alle corde irregolari; nell'epist. 72 osserva egli, che l'intensità della propagazione del suono per via di corpi solidi è maggiore di quella, che si fa per via dell'aria a motivo della maggior coesione di questi corpi; nell'epist. 3, spiega assai bene gli effetti delle consonanze e dissonanze sul nostro senso, ec.
Dietz, valente meccanico di Darmstatt è inventore di un nuovo strumento, cui diè il nome di Melodion. Egli si è stabilito in Parigi, ed avendo presentato nel 1810 all'esame dell'Istituto quella sua invenzione, Gossec, Gretry, Mehul, Lacépède, e Charles furono incaricati a farne il rapporto. Quest'istrumento offre la forma di un piano-forte, contenente cinque ottave e mezza, e puossene vedere un'esatta descrizione nell'Archive des découvertes pendant l'an 1811 p. 254. Madamigella Sofia Welsch distinta virtuosa fecelo sentire ai Commissarj dell'Istituto, e Mr. Charles nel suo Rapporto alla classe delle Belle-Arti dice averne essa ben preso il carattere; e che contenendosi in quella cantilena che più gli è propria, osserva sempre i giusti limiti dell'espressione e della grazia.
Dionisio di Tebe, cel. musico dell'antica Grecia [21] fu il maestro di Epaminonda l'uomo forse il più grande che abbia prodotto quella nazione. Fanno di costui menzione Aristosseno presso Plutarco, e Corn. Nepote nella vita di Epaminonda. Pare che il maestro e lo scolare siano ambi stati seguaci di Pitagora. La musica, dice quel biografo, imparata da Epaminonda sotto la scuola del valente musico Dionisio tebano formava il suo divertimento. Suonava eccellentemente il flauto; e ne' banchetti ai quali veniva invitato, cantava accompagnandosi colla lira. Fiorì egli quattro secoli prima dell'era cristiana.
Dionisio il giovane, re di Siracusa, benchè si sia reso esecrabile per l'abuso del suo potere e la sua tirannide, non era tuttavia sfornito di cognizioni e di coltura. Egli amava passionatamente la musica, e ne possedeve così bene la teorìa e la pratica, che cacciato dal trono e bandito a Corinto gli servì di mezzo a procacciarsi il vitto. Secondo lo Storico Giustino, egli quivi tenevane scuola, esercitava le donne che cantar doveano ne' cori, e disputava seco loro sull'armonia e intorno la maniera di far de' passaggi colla voce (Lib. 21, c. 2). Egli l'accompagnava col flauto, che sapeva suonar assai bene. Aristosseno il musico, al riferir di Plutarco (in Timol.) lo riscontrò in Corinto, e seco si trattenne in famigliari discorsi. Evvi in Siracusa il famoso carcere detto l'Orecchio di Dionisio: dicesi che “il rimbombo che vi fa la voce, avesse dato ai professori della musica occasione di produrre quell'invenzione non prima sentita del Canone, per cui cantando due voci e rispondendo l'eco ne nasce quindi di quattro voci una perfetta armonica concordanza. Il viaggiatore Swinburne (nel t. 3, de' suoi viaggi p. 394), nota una tal particolarità come cosa detta avanti da un autor Siciliano (questi è il Mirabella), [22] essendo stato il primo che ciò inventasse Antonio Falcone nella parte pratica della musica.” (V. Antichi monum. di Sirac. di Gius. Capodieci, t. 2).
Dracone, famoso legislatore della Grecia secondo Aulo-Gellio, o riformatore delle antiche leggi al dire di Clemente d'Alessandria (Stromat. l. 3) era, secondo l'uso di que' tempi, musico e poeta altresì celebratissimo. I precetti di morale, di civile e religiosa educazione cantati in tre mille versi da Dracone lo autorizzarono fra gli Ateniesi a segno, che fu scelto dal senato per compilar un codice di leggi, e crearne delle nuove per ogni caso particolare. Furono queste cantate per la prima volta nel teatro degli Eginesi, e tali applausi riscossero da que' cittadini, che in segno di approvazione gettarongli in seno ed attorno nobili, e grandiosi regali, smaniglie, orecchini, anelli. Non essendo conforme alle nostre usanze il cantare così serj e gravi argomenti, può sembrar strano un tale racconto. Ma Aristotile ne' suoi problemi (cap. 51, quest. 28) ne sarà mallevadore. Essendosi egli proposta la quistione, perchè molte leggi si chiaman cantilene? Risponde: non sarebbe egli, perchè gli uomini avanti l'invenzion delle lettere cantavan le leggi, affinchè non fossero dimenticate: il che a' nostri giorni è ancora in uso fra gli Agatirsi? Dracone visse sette secoli innanzi G. C.
Epimenide di Creta, uomo illuminato, e capace di sedurre co' suoi talenti, fu considerato a' suoi tempi qual uomo ispirato dal cielo. Passò egli i primi anni nella solitudine, dedito interamente alla contemplazione e allo studio della natura: imparò il metro, l'armonia e 'l ritmo, senza il quale non era possibile [23] figurare fra' principi della letteratura. Ei giunse così a tanta fama di saggezza e di santità, che gli Ateniesi al riferir di Platone lo accolsero con trasporto in una pubblica calamità (De leg. l. 1). Compose allora de' cantici per placare gli Dei, e ne insegnò a quel popolo la musica (Stab. l. 10); strettosi quindi in amicizia con Solone, lo istruì nell'armonia e nella scienza de' costumi e della politica, e formar gli fece un nuovo codice di leggi, che fu ammirato da tutta la Grecia. Compose e cantò ancora una teogonia con tanto estro, che gli Ateniesi lo stimarono ispirato da Apollo. La di lui autorità crebbe a tal segno, che riprese in pubblico canto i suoi compatriotti con quelle parole, santificate dipoi dalla bocca stessa dell'Appostolo: Cretenses semper mendaces, ventres pigri, malæ bestiæ: senza che perciò incorresse la nota di maldicenza. Fioriva egli sette secoli prima dell'era volgare.
Eschilo, poeta musico, e padre della tragedia, benchè nato nell'Attica, appartiene ancora alla Sicilia, ove dimorò lungamente, e vi terminò i suoi giorni. In età di 25 anni concorse con Pratina, e Cherilo al premio della tragedia, ed oscurò la gloria de' suoi rivali. Egli fu il primo a provvedere il teatro di macchine, e lo abbellì con decorazioni (Vitruv. præf. ad l. 7): vi fece sentire il suono delle trombe; esercitava egli stesso quasi ogni giorno i suoi attori, e prese perciò in suo compagno un bravo maestro di cori per nome Teleste: introdusse nella tragedia modulazioni sublimi, e il ritmo impetuoso di certe arie, o nomi, atti ad eccitare il coraggio. Non mai però s'indusse a far uso delle innovazioni, che cominciavano a disfigurare l'antica musica: il suo canto, dice Plutarco, era pieno di nobiltà e di decenza, sempre nel genere diatonico; il più semplice e 'l più naturale di tutti [24] (Dial. de Musicâ). Abbandonò la patria, perchè accusato a torto di avere rivelati in un suo dramma gli Eleusini misteri, potè a gran stento sottrarsi ai furori d'un popolo superstizioso, qual si era quello di Atene. Passò in Sicilia, dove il re Jerone colmollo di beneficenze, e di distinzioni, e quivi morì di 70 anni, circa 456 innanzi G. C. (Plutarc. in Sympos.). Fu scolpito sulla di lui tomba il seguente epitaffio, ch'egli stesso aveva scritto: Quì giace Eschilo figlio di Euforione, nato nell'Attica, morì nel paese fertile di Gela, ecc. (Pausan. l. 1, Athen. l. 14).
Eser (Carlotta), nata tedesca, è oggidì in Italia una delle più rinomate cantanti per la sua bellissima voce, non che per la profondità del suo sapere nella musica. Ella ha cantato in Milano, in Vienna, in Napoli e a Roma, d'onde non le si è permesso mai più di partire, non solo per la magia della sua voce, e la superiorità del suo canto, ma sibbene per una decente e virtuosa condotta, che fa l'ammirazion de' Romani. Sposò ella quivi un de' primi e de' più ricchi avvocati, il quale essendosi dovuto portare in Vienna a difendere in quel Parlamento una causa rimarchevole di un Principe romano, condusse seco la moglie per servirgli d'interprete nella sua aringa. Attualmente dimora ella in Roma, e non sorpassa gli anni ventisette di sua età.
Eumelo nacque a Corinto otto secoli prima dell'era cristiana. Di questo celebre cantore fa onorevol menzione Pausania (in Eliac.), e qual testimonio di vista e di udito, ci narra di avere inteso un armoniosissimo inno di questo compositore, solito ad intuonarsi in Corinto allorchè i pubblici magistrati presentavansi in corpo alle porte del tempio a farvi l'adorazione. Morì questo cel. musico in età di ventiotto [25] anni, lasciando di se molte, e scelte memorie del suo ameno, e vivace spirito, mentre in così brevi anni lavorò da fisico un leggiadrissimo canto sulla generazione delle api. (Euseb. Chron.). Eumelo fu il primo, che compose un inno notato in musica col ritmo prosodiaco; e a suo esempio quanti inni si cantarono di quella fatta, chiamaronsi prosodiaci. Il che vuol dire, che Eumelo dilatò le severe leggi del ritmo nel canto, aggiungendo a questo della vaghezza con la moltiplicità de' piedi. Il ritmo prosodiaco ora componevasi di tre piedi diversi, or di quattro, or di più; la quale cosa variava di molto il tempo nel suono e nel canto (Requen. Saggi ec. t. 1).
Eunomo di Locri, famoso citarista, di cui rapporta Strabone esservi stata in quella città della Magna-Grecia una di lui bellissima statua tenente in mano una cetara, su cui era una cicala. Timeo, presso quell'antico geografo, racconta che Eunomo venne a competenza nei giuochi pizj con Aristone altro musico di Reggio, e ne riportò il premio per un fortunato accidente. Poichè essendosi rotta una corda della sua lira prima di terminare il concorso, una cicala venne così opportunatamente a muoversi su di essa, che supplì al difetto della corda. Ecco una di quelle favolette de' Greci, che M. Banier cerca di spiegare inutilmente colla fisica (Explic. de la Mytholog. l. 8). Più naturale, e più semplice è la spiegazione che ne dà il Signorelli, cioè che la statua fu eretta, non per accreditare un'inverisimile avventura senza conseguenza, come congettura il Banier, ma per conservar memoria del trionfo di Eunomo; e che vi si aggiunse una cicala sulla lira, non perchè avesse miracolosamente supplito alla corda rotta, come narrò Timeo, ma ad oggetto di specificare la patria del musico [26] vincitore con un segno noto a' vicini, e tratto dalla storia naturale del paese, essendo che in Locri abbondano le cicale. (Vicende della Coltura delle due Sicil., tom. 1).
Euripide di Salamina, uno de' più gran poeti drammatici, e detto il filosofo della scena, perchè sparge ne' suoi drammi le massime della morale di Socrate suo amico, e della filosofia di Anassagora, di cui fu discepolo. Verso la fine de' suoi giorni ritirossi presso Archelao re di Macedonia, il quale radunato aveva in sua corte tutti quei che distinguevansi nelle lettere, e nelle arti. Euripide vi trovò Zeusi, e Timoteo, il primo de' quali aveva fatta una rivoluzione nella pittura, come l'altro nella musica. Complice delle innovazioni fatte da Timoteo nell'antica musica, adottò quasi tutti i modi, e specialmente quelli che per dolcezza, e mollezza si accordavano col carattere della sua poesia. S'intesero per la prima volta sul teatro con istupore suoni effeminati, e talvolta replicatamente poggiati sopra una sola sillaba. Gli autori di commedie, tra quali Aristofane il più maledico di tutti, cercarono di screditarlo: costui nella sua commedia delle Rane, lo rappresentò come uno scrittore tragico senza vigore, che aggiungendo ariette a piccole strofe, procurava di supplire al difetto di bellezza cogli ornamenti, e alla mancanza di forza coll'artifizio: Facciamo cantare Euripide, quivi egli dice, prenda una lira, o piuttosto un pajo di nacchere, che tale è il solo accompagnamento, che possono sostenere i suoi versi (Ranæ, v. 1340). Ma l'uomo di genio sa dispensarsi all'uopo della severità delle regole, e colla novità delle sue grazie trionfa sempre della pedanteria, e della satira. L'innovazione stessa di Euripide servì maggiormente a distinguerlo da quelli, che lo avevano preceduto. [27] Egli morì in età di 76 anni, cinque secoli prima di G. C.; il re di Macedonia, non volle cedere alle premurose istanze degli Ateniesi le sue ceneri, e fecegli costruire presso alla capitale un magnifico monumento. La sua memoria fu altresì onorata in Atene con un superbo cenotafio presso al Pireo, e non vi si pronunziava il suo nome che con istima e trasporto, malgrado le prevenzioni, che Aristofane cercò di spargere contro di lui.
Fantastici (la Signora), celeberrima improvvisatrice di Firenze. La sua casa è frequentata da' più ragguardevoli Signori forestieri che visitano la Toscana, e dai più colti ingegni del paese per godere delle belle accademie di musica e di canto estemporaneo ch'ella dà frequentemente per suo divertimento e per quello de' suoi amici. L'accademia degli Arcadi in Roma si è fatto un pregio di annoverarla fra' suoi membri. La di lei figlia maggiore maritata a Trieste improvvisa e canta anch'essa con molta eleganza, e un'altra più piccola, che può avere al più 15 o 16 anni fa ammirarsi per gli stessi talenti. (V. Pananti, t. 1, note p. 326).
Fanzago (l'abate Francesco), rettore del collegio di Padova sua patria circa 1780, è stato scelto, come uno de' bravi oratori italiani, a far l'elogio di due grand'uomini nella musica il Tartini e il Vallotti. Nel 1770 pubblicò egli Orazione delle lodi e di Giuseppe Tartini, recitata nella chiesa de' RR. PP. Serviti in Padova li 31 di marzo, in 4.º in fronte alla quale vi ha il ritratto di quel celebre virtuoso. Nel 1780 pubblicò ancora Orazione ne' funerali del R. P. Franc. Ant. Vallotti, recitata nella chiesa del Santo in Padova, in 4º.
Fenzi da Torino, virtuoso distinto sul violoncello, [28] vien creduto oggigiorno da tutti gli intendenti il più bravo professore sì per la bellezza de' suoni, che per l'esecuzione della più gran difficoltà. Nel 1807 fecesi egli sentire a Parigi ne' pubblici concerti, e vi ottenne il più brillante successo: il suo nome è celebre ancora in Germania, e in Italia. Il di lui minor fratello, tuttocchè abilissimo sullo stesso strumento, non giunge tuttavolta alla stessa di lui celebrità.
Ferrein (Mr.), nelle Memorie dell'Accademia delle scienze di Parigi 1741, e 1745 vi sono di lui alcune osservazioni fisiche sulla voce dell'uomo nel canto, che sembrano contradir quelle di M. Dodart. (V. Chladn., Acoustiq. p. 68).
Fortis (l'ab. Cesare), nato in Padova di nobil famiglia, per la sua letteratura e le doti del suo spirito veniva onorato dall'illustre Cesarotti col titolo di suo caro e fedele amico (V. Epistolar. tom. 5). La di lui madre Francesca Capodilista donna di coltissimo ingegno e di cuor nobilissimo divenir fece la sua casa un'accademia di Letterati; in sul far della sera i più specchiati di Padova vi si radunavano. Conoscenza degli uomini e degli affari, intelligenza, bontà, discrezione e per colmo finezza di gusto, agilità di spirito, passione del bello, rendevano questa donna l'anima di quella dotta compagnia. Dai talenti e dalle virtù di tal madre puossi ben argomentare la coltura del figlio. “L'abate Fortis è buon improvvisatore (scriveva nel 1808 il D. Pananti), buono scrittore e grandissimo naturalista. Credo che attualmente sia in una gran carica nell'Università o nell'Instituto di Bologna.” (Poet. di teatr. t. 1, note p. 326). Oltre a più opere scrisse egli sulla musica de' Morlacchi, popoli vicini della Dalmazia, di cui può vedersene un lungo estratto presso M. de la Borde. V. Essai etc.
Frichot è inventore di un nuovo stromento, cui diè il nome di Basse-cor, o Basso di corno di caccia. Ha egli l'estensione di quattro ottave e mezza: il che forma un compiuto sistema di suoni, che cromaticamente procedono dal suono il più grave al più acuto. M. Frichot nel 1811 presentò al Conservatorio di Parigi questo nuovo strumento, la di cui invenzione dee far epoca per il grand'utile che recar può all'arte musica. (Achiv. des Découvert. tom. 2, p. 265). Nel Giornale Enciclopedico di Sicilia n. VI mal si annunzia col nome di Tromba.
Garsia (Alessandro), nativo Spagnuolo, uno de' più celebri cantanti di Tenore e compositore sensatissimo, ha scritto la musica di più drammi per i teatri di Napoli, e cantò per più anni nel teatro privato della corte di Francia con incredibil successo. La dolcezza e la grazia, con cui sa modular la sua voce, rapisce i cuori; la sua musica fa sentirsi con tale trasporto, che non vi ha teatro in Europa dove non si sia ricercata ed eseguita sempre con felicissimo incontro. Oggidì trovasi egli stabilito in Napoli in servigio della R. Cappella. Non sorpassa gli anni trenta di sua età. La sua passione per il vino gli ha cagionato de' disgusti: dicesi ch'egli attualmente si occupa a far de' negozj di quadri de' migliori artisti.
Gerbini (la Signora) da Torino, abilissima suonatrice di violino, fu per alcun tempo virtuosa di camera nella corte di Baviera, e quindi in quella di Francia. Avendo percorso la Moscovia, la Germania, la Francia e l'Italia, la sua delicata maniera, la sua agilità, il suo bello stile nell'eseguire sul violino ritrasse non che ammirazione ed universale applauso, ma doni considerevoli ancora da più Sovrani e Signori, sicchè divenne agiatissima, e [30] posseditrice d'immense ricchezze. Non oltrepassa ella i 40 anni di sua età, e non ha abbandonato ancora il suo strumento.
Gibelin (Mr.): tra le opere presentate alla classe delle Belle-Arti dell'Istituto nazionale di Francia nel 1803, vi ha di lui: Discours sur la necessité de cultiver les arts d'imitation.
Gougelet (Pierre Menie), nato a Chalons, fu da Monsignor Vescovo suo padrino posto a servire in età di sei anni come chierico corista nella cattedrale. Egli fece de' rapidi progressi non solo nella musica, ma anche nelle lingue dotte, e nelle mattematiche. Compose alcune messe in musica, e nel 1744 a diciott'anni della sua età i suoi talenti gli meritarono il posto di maestro di cappella, ma il vescovo di Chalons, che voleva farlo entrare nel seminario, vi si oppose. Il giovine Menie non sentendosi del gusto per lo stato ecclesiastico, portossi a Parigi presso un suo zio assai ricco, che voleva fargli abbandonare la musica per il commercio, e le finanze. Gougelet impiegava il giorno in questa nuova occupazione, e la notte nell'esercizio dell'arte sua favorita. Compose allora molta musica per chiesa, che fu eseguita più volte a Versaglies, e ricevuta sempre con applausi. Egli possedeva con la musica il talento della poesia, e scrisse parole e musica di più graziose canzonette: fornito di spirito, di vivacità e di grazie veniva ben accolto nelle più colte società, ma la morte venne a rapirlo assai presto all'arte ed agli amici. Egli finì i suoi giorni in Parigi nel 1768 di 42 anni. Poco prima aveva dato al pubblico: Méthode, ou Abrégé des règles d'accompagnement de clavecin, Paris.
Grimaldi (Carlo, e Paolo), fratelli nati in Messina da onesta famiglia nell'ultima metà del diciassettesimo secolo, ed i più celebri costruttori di cembali [31] a que' tempi in Europa. Di Carlo si sa, ch'egli viaggiò in Italia, in Francia, in Inghilterra, e che lasciò in que' paesi de' monumenti illustri della sua arte. Somma esattezza nelle misure, una singolar nettezza ed insieme un'aggradevele pienezza ne' suoni, una squisitezza di lavoro e solidità di costruzione formavano il singolar pregio de' cembali di questi due virtuosi fratelli, che vengono ricercati tuttora specialmente dagli esteri. Nell'ultimo tasto de' loro strumenti vedesi scritto il loro nome, e l'anno della costruzione. Eglino sopravvissero a' primi anni dello scorso secolo. Il cembalo è oggigiorno così in abbandono che uno di quelli costruiti da Grimaldi, che trent'anni prima compravasi per 300 e più ducati, a stento ha oggidì il prezzo di trenta scudi.
Grimaldi (Emmanuele), nato in Catania ma dalla più tenera età educato in Palermo nel Conservatorio di musica, mostrò in quest'arte quanto può il genio secondato dalla cultura e dallo studio. Apprese la composizione dal bravo Niccolò Logroscino, che erane allora il maestro, ma applicossi soprattutto al violino, nel quale istromento riuscì valentissimo. Egli formossi una maniera sua propria con l'assiduità d'uno studio profondo sulle composizioni del gran Boccherini: eseguiva con singolare espressione i di lui quartetti, e ne' larghi giunse più volte a muover le lagrime degli ascoltanti. Un'immatura morte il rapì all'arte nel 1773, compiti appena gli anni 35 di sua età. Il disgusto, ch'ei risentì per aver perduto l'occasione di guadagnare un'ingente somma al lotto, ne fu cagione per consiglio di uno di quegli impostori, che si vantano di possederne la scienza, egli aveasi ritirato un biglietto, in cui ritrovavansi tutt'i cinque numeri di quella estrazione. Lasciò morendo un sol figlio nella tenera età di cinque anni, [32] di cui parleremo nel seguente articolo.
Grimaldi (Andrea), figlio del precedente, nato in Palermo nel 1768, può dirsi con verità l'allievo favorito della natura, che a man piena versò su di lui tutti i talenti, che si richieggono per riuscire eccellente in quest'arte. Egli dee il suo singolar valore sul violino alla felicità del suo genio, piucchè all'assiduità dello studio: più al naturale suo istinto, anzicchè agli insegnamenti del maestro. La vivacità del suo temperamento non soffriva ne' suoi giovani anni il giogo d'uno studio seguìto, metodico, e la superiorità del suo talento il dispensò dal calcare il battuto sentiero. Ragazzo di nove in dieci anni, dopo di avere avute alcune poche lezioni dal Signor Pietro Morici, buon professore di que' tempi, cominciò tosto a suonar sull'orchestre con tale franchezza di esecuzione, con tale esattezza d'intonazione e di tempo, che destava maraviglia non che alla comune degli uditori, ma sino ai più bravi professori. Nel monastero di S. Martino de' PP. Cassinesi, per divertire nel carnovale i giovani in quella trista solitudine, permettevasi l'esecuzione di alcuni drammi in musica del Metastasio in un teatrino di burattini, eseguita da una scelta, benchè poco numerosa, orchestra. Quivi fu chiamato a far da primo violino il Grimaldi di così piccola età, che faceva mestieri porre uno sgabello ben alto sotto alla sua sedia, perchè giunger potesse a veder la sua parte: ma egli eseguiva e dirigeva anche gli altri nella esecuzione della delicata, difficile, e allora nuova musica del famoso Schuster con tal maestria e destrezza, che diè ben a divedere quel che sarebbe un dì divenuto con più maturità di anni, e di studio. Una distinta articolazione di note, una chiara e piacevole robustezza di [33] voce, cosichè il suo violino fra cento altri agevolmente distinguasi: esattezza e verità di suono, somma agilità e franchezza nell'esecuzione; gusto, e quel che più vale, giudizio negli abbellimenti, ecco il distintivo carattere della maniera di questo bravo suonatore, ch'egli da se solo si è formata, senza che appresa l'avesse da alcuna scuola particolare. Egli conosce a fondo tutt'il difficile e 'l bello del suo instrumento; e sa farne uso quando gli abbisogna: non ha chi l'uguagli nella celerità, nell'espressione, e nella perfetta intonazione de' suoni più acuti. Il gran Lolli, venuto essendo in Palermo, non isdegnò di farne l'elogio. Finalmente egli ha formato e perfezionato il suo gusto sulle inarrivabili composizioni di Haydn, di Pleyel, di Mozart, di Beethoven, ch'egli ha eseguite a primo colpo d'occhio perfettamente sin dalla prima volta che giunsero sino a noi. A tanta abilità e valore nell'arte sua unisce egli quella modestia, e quel basso sentimento di se stesso, che distinguono dalla comune l'uomo di genio, e d'uno spirito e d'un cuore ben fatto. Vi sono di lui alcuni concerti di violino, e notturne con accompagnamento di piena orchestra sul gusto de' moderni tedeschi.
Helta (Vincenzo de), palermitano, fu maestro della real cappella palatina su i principj del sec. 17, per la quale compose la musica di molti salmi ed inni di vespro a 4 e 8 voci con il basso continuo per l'organo, che pubblicò per le stampe del Veneziani in Palermo 1636, in 4º. (Mongit. Bibl. Sic.).
Hofmann, costruttore di organi e piano-forte è l'inventore del Piano à archet, ossia di un clavicembalo a corde di budello [34] sulle quali fa egli muovere circolarmente un arco di crino, che produce l'effetto de' violini, della viola e del contrabbasso. Se ne trovano i dettagli nel Journal der fabriken, und manifacturen, cahier de novembre 1808. (V. Archiv. des découvert. p. 372).
Jacquier (il Padre), francese dell'ordine de' Minimi, professore di matematica nel loro collegio della S. Trinità de' monti in Roma, nel suo Corso di filosofia (tom. 3 part. 2, 131, edit. rom.) spiega il sistema musicale dell'Eulero, e lo abbraccia rigettando quello del Galileo. Egli con altri filosofi deriva il piacere dell'armonia dall'esatta ragione e proporzione, che si trova in alcune corde musicali. Musica, dice il metafisico Leibnizio, est exercitium arithmeticæ occultum nescientis se numerare animi... Errant enim, qui nihil in animâ fieri putant, cujus ipsa non sit conscia. Anima igitur etsi se numerare non sentiat, sentit tamen hujus numerationis insensibilis effectum, seu voluptatem in consonantiis, molestiam in dissonantiis inde resultantem. (Epist. ad divers. t. 1, ep. 154). Descartes ha proposto gli stessi principj nel suo Tratt. de homine, p. 3, § 36, e nel Compendio di musica. L'Eulero, il Diderot, e il P. Jacquier li hanno adottati; ma il dotto Eximeno sulle tracce del d'Alembert, li ha tutti seriamente confutati nel secondo capitolo del suo primo libro a carte 75. “L'insegnare a dilettare l'udito per le proporzioni delle corde è lo stesso, che insegnare a convincere l'intelletto per il numero delle parole, e lo stesso ancora che voler condire i cibi per regole di geometria.” Il P. Jacquier viveva ancora nel 1781. Ne' suoi commentarj a Newton, ch'egli compose insieme col suo confratello il P. le Seur, per supplire [35] al difetto della teoria de' suoni del matematico inglese, ha fatto de' calcoli così complicati, che non puossi pienamente restar affidati nelle loro conclusioni, e i posteriori geometri, dice l'ab. Andres, non hanno infatti abbracciata la dottrina del Newton.
Janide, antichissimo musico della Grecia, inventò il modo frigio contenuto entro il diapason ossia, secondo il Requeno, il sistema armonico più usitato da' Greci detto eguale, o equabile (V. Plutarc. de Mus.). I marmi arundelliani non solo confermano il detto di Plutarco, ma aggiungono che Janide lo inventò a Celene, e che fu egli il primo, che con regolata armonìa facesse delle cantilene alla gran madre. Lo fanno eziandio inventore non del flauto, come dei scrittori poco accorti hanno stampato più volte, ma del canto tibiale: la qual cosa non vale a dir altro, se non che Janide applicò al flauto il ritrovato della divisione della corda armonica, e il modo frigio da lui inventato.
Lampillas (ab. Saverio), exgesuita spagnuolo nato nell'Andalusia nel 1739, e morto a Genova nel 1798 dopo l'espulsione del suo ordine passò in Italia, si diè alla letteratura, e indegnato della maniera con cui i suoi confratelli Bettinelli e Tiraboschi giudicato avevano nelle loro opere del merito letterario di sua nazione, attribuendo alla medesima il dicadimento e la corruzione del gusto dell'antica Roma, e della moderna Italia, e della loro letteratura, diè al pubblico per le stampe di Genova la sua opera in italiano idioma col titolo di Saggio storico apologetico della letteratura spagnuola contro le pregiudicate opinioni di alcuni moderni scrittori italiani, in 6 vol. in 8º, 1778-1781. Egli ebbe delle onorevoli [36] e lucrose ricompense dal re Carlo III, per avere vendicata con quest'opera la nazione spagnuola. Siccome l'apologista percorre tutte le scienze, e i rami tutti della letteratura, così nel 2º tomo (Part. 2, diss. 3, § 5) parla egli della scienza musica degli Spagnuoli, e parecchi di loro ne accenna, che stabiliti in Italia furono impiegati a tenervi cattedra di musica, o ad esercitarla con distinzione.
Leris (Antoine de), nato a Montlouis nel Rosciglione, è autore di un Dictionnaire portatif historique et littéraire des théâtres, 1754 in 8º; la seconda edizione è del 1765. Egli ha avuto parte eziandio come editore al libro intitolato: Sentiment d'un harmoniphile, 1756. De Leris è morto sul principio di questo secolo (V. l'artic. Laugier).
Levesque (Pierre-Charles), membro dell'Istituto nazionale di Letteratura, e Belle-Arti diè al pubblico nel 1797 Considérations sur les trois poètes tragiques de la Grèce, a Paris in 8º. L'A. vi tratta, della poesia lirica e della musica de' Greci. “Io credo assai probabile, dic'egli, che i Poeti tragici e lirici componevano eglino stessi la musica delle loro opere. La musica entrava nell'educazione dei Greci ben nati. Io vedo altresì che gli antichi fan menzione di Cantori celebri, di celebri Suonatori: ma non ci offrono mai l'idea di una classe distinta di Musici-Compositori.”
Mango (ab. Vincenzo), nato in Palermo da antica e nobil famiglia nel 1741, uomo d'alto ingegno, di molto criterio e gusto, versato nelle lingue dotte, e d'immensa letteratura sia sacra, sia profana, ha fatte nella musica sorprendenti scoperte, benchè per un curioso fenomeno della [37] natura, simile in ciò al cel. M. Sauveur, per difetto di orecchio, nè colla voce nè colle mani potesse esercitarla. Egli senza negligere altri studj più serj, o le occupazioni del proprio stato, mercè le più profonde meditazioni su varj sistemi di musica sì antichi che moderni, è giunto colla propria intelligenza a formare un nuovo filosofico sistema della bell'arte della musica, che scevro di calcoli e di numeri, di sofisticherie pedantesche e scolastiche, di termini insignificanti e d'idee parassite, presenta un tutto ben ragionato e connesso di ben sodi principj e di regole inalterabili, formato sulla natura stessa della cosa. Ecco il catalogo delle sue opere, di cui ci fa sperare che al più presto farà parte al pubblico. 1. Elementi della moderna musica conforme alle correzioni fatte alle sue parti artificiali. 2. Discorso sopra i caratteri della musica. 3. Progetto delle Note novelle della musica. 4. Discorso sopra la riforma delle note volgari della musica. 5. Sopra la moderna musica e suo temperamento. 6. Origine storica del Canto-fermo ecclesiastico-diatonico. 7. Origine della musica teatrale diatonico-cromatica. 8. Origine storica dei volgari caratteri della musica. Come l'A. ha saputo riunire ne' suoi scritti due difficili pregi, concisione, e chiarezza, così io credo che tutti potran contenersi in 2 tomi in 8vo.
Manfroce, giovane compositore di grandissima espettazione morto in Napoli in sul fior dell'età nel 1813. Egli non sorpassava il ventunesimo anno: delle sue produzioni non ci resta che l'Alzira, dramma serio, impresso dal Ricordi in Milano.
Mattucci (Pietro), nativo dell'Abruzzo, famosissimo cantante di soprano, dopo aver fatta la prima figura sui principali teatri di Europa, or già vecchio [38] fa sua dimora in Messina. La fortuna non avendolo molto favorito nella negoziatura, che aveva intrapresa dacchè erasi ritirato dal teatro, vive oggidì pressocchè nel disagio. Era egli inoltre molto portato per il bel sesso, ma vecchiezza smorza tutt'i fuochi.
Molino (Luigi), nato in Torino sulla fine dello scorso secolo, fu allievo del Pugnani e suo successore come primo violino del teatro reale e direttor della musica di S. M. Sarda. La forza, l'espressione ed il sentimento con cui maneggia il suo stromento, l'eleganza, il gusto ed il bello stile delle sue composizioni lo han fatto giudicar da taluni come superiore allo stesso Pugnani. Nel 1809 egli ha fatto imprimere un suo concerto per l'arpa con accompagnamento di due violini, viola e basso, due corni e due clarinetti, dedicato a Mad. Louisa Pascal distinta suonatrice di arpa. Questo concerto è d'una composizione dotta e graziosa, e molto adattata a dar risalto a quell'instromento. Vi sono altresì impresse a Parigi presso Pollet molte di lui canzonette italiane.
Mongez (Mr), dell'Istituto nazionale di Francia è autore di una Mémoire sur la réunion des littérateurs et des artistes dans l'Institut Français, et sur l'esprit qui doit les animer, 1796. “Bacone, dic'egli, quel bel genio, che simile al Giove di Esiodo, ha fatto germogliare dal suo vasto cerebro le cognizioni di tutti i gradi di perfezione, di cui è suscettibile l'umano spirito, aveva proposto di riunire le fatiche de' letterati, e quelle degli artisti. Questa riunione era desiderata dallo spirito filosofico, che distingue il secolo già vicino a terminare... Gli architetti allorchè costruiranno delle sale di adunanza, [39] apprenderanno dagli artisti divenuti giustamente celebri mercè lo studio della declamazione e della musica, le forme, che l'abitudine sovente meglio instruita che la teoria, avrà mostrate loro come le più vantaggiose per il canto, e per la voce. Isolati sinora i musici, ed i maestri della declamazione acquisteranno nella società degli altri artisti, un grado di perfezione, di cui la loro modestia gli impediva di credersi capaci. L'accento della verità, quell'accento che con tanta fatica imita l'arte, perchè nemmeno l'aveva sospettato, sortirà da quella bocca, che declamando, o piuttosto cantando i suoi versi, riaccenderà il bel fuoco che li aveva inspirati. Quest'accento prezioso colpirà l'immaginazione del musico osservatore che ne farà l'ornamento del suo recitativo, e dell'Artista giudizioso, che lo farà rimbombare sulla scena sorpresa. Quanto sarà loro favorevole l'intima conoscenza dei tragici, e de' comici greci o romani? Gli amatori delle lingue antiche ne comunicheranno loro i tesori. Finalmente questi artisti, sì cari a' nostri occhi, ed alle nostre orecchie apprenderanno dai grammatici a modulare il canto e la declamazione secondo la vera espressione delle idee. Gli uni eviteranno quelle sospensioni almanco oziose, che dividono un pensiero complesso; e gli altri temeranno il rimprovero fatto assai volte con ragione alla turba dei compositori esteri, quello di ravvicinare o de' termini opposti, o delle idee incoerenti. Figlie di Mnemosine le Muse sono sorelle, e si danno a vicenda uno scambievole appoggio. La presenza degli artisti, le loro osservazioni, la discussione delle loro opere, e delle loro opinioni, produrranno ancora degli effetti sensibili sulle fatiche de' letterati. [40] I Poeti saranno allora più obbligati agli Artisti che abbelliscono la scena, e che animano l'orchestra. Eglino daranno costantemente ai loro drammi un andamento favorevole alla melodia; faranno rivivere la cesura antica, o quei riposi simmetrici, situati nelle stanze e nelle strofe dell'istesso metro, tanto ardentemente bramati dai nostri celebri musici, e tanto felicemente usati da Metastasio, il Quinault di Firenze, e di Vienna. Io qui devo invocar la tua ombra illustre immortal cantore d'Ifigenia, d'Alceste e di Armida. Nudrito nella lettura di Sofocle e di Euripide, Gluck aveva acquistato, mediante la meditazione de' loro capi d'opera, e lo studio della lingua armoniosa, nella quale essi hanno scritto, una conoscenza della scena ed un tatto delicato, di cui i poeti, i quali accompagnavano colle loro le di lui fatiche, risentirono spesse volte de' felicissimi effetti. Gli eruditi imploreranno altresì il vostro soccorso, o emuli di Amfione, per dileguare le tenebre, sotto alle quali è ancor ricoperta quella musica de' greci, di cui tanto si sono vantati i prodigiosi effetti... Così a vicenda viaggiatori e guide i Letterati, e gli Artisti si presteranno de' scambievoli soccorsi, che aspettar non si potevano, se non se da una riunione già progettata da gran tempo da Bacone e da altri filosofi.” Nel 1801 Mongez fece all'Istituto nazionale, di cui egli è membro, un rapporto Sur les moyens de faire entendre les discours et la musique par tous les spectateurs, en quelque nombre qu'ils puissent être. Questo Rapporto, e la Memoria, di cui se n'è dato un piccolo saggio, possono leggersi nel primo e nel terzo volume des Mémoires de l'Institut ec.
Montalbani (P. Bartolomeo), minor conventuale da Bologna, nel 1651 era maestro di cappella in Palermo, ove stampò mottetti [41] ad una ed in sino ad otto voci, dedicati ai Senator Bargellini suo parente. Più alcune sinfonie di violini impresse in Palermo nel 1629. Egli morì finalmente maestro di cappella del suo convento di S. Francesco di Bologna (V. della Valle Mem. del P. Martini p. 7).
Nozari da Bergamo, allievo del suo concittadino David rinomatissimo cantante di tenore d'oggigiorno. Benchè non fosse molto bella la sua voce, con l'arte e la profondità del suo sapere ha egli così ben saputo correggere i difetti della natura, che tutti i teatri fanno a gara per averlo. Il suo canto alletta ed istruisce. Trovasi egli attualmente nel R. teatro di Napoli.
Pages (M.) è autore di un'eccellente opera pubblicata nel 1800 a Parigi in 6 vol. in 8vo, col titolo Cours d'études encyclopédiques redigé sur un plan neuf. Contiene la storia dell'origine e dei progressi di tutte le scienze, delle Belle-Lettere, delle Bell'Arti, e dell'arti meccaniche con l'analisi de' loro principj. Gli amatori di musica troveranno molto di loro profitto ne' varj articoli, in cui si tratta della medesima come arte, e come scienza.
Pananti (Dr. Filippo), da Mugello in Toscana, poeta e bello spirito del secolo, da alcuni anni in quà ha fatta la sua dimora in Londra, sebben nello scorso anno 1814 fu per suoi affari alcun tempo in Palermo. Egli è uno della società d'italiani autori dell'Italico Giornale, che dal 1813 si va pubblicando in Londra, ove trovansi di lui alcuni Saggi teatrali (Agosto 1813, p. 408). Il primo ha per titolo: Musica e Parole; vi si contengono delle buone, benchè non nuove riflessioni sull'intima parentela [42] della poesia e della musica, e sul dovere del compositore di dare il colorito proprio alle immagini disegnate dal poeta: ma gli esempj e gli aneddoti, che a tal proposito vi si rapportano, par che vengano smentiti dal buon senso, e dalla sperimentata saviezza delle persone, alle quali attribuisconsi. “Haydn, vi si dice, pretendea che il poeta componesse dietro alla musica, e un giorno che il Dr. Morell che avea fatto le parole de' di lui oratorj si avvisò di fargli osservare che la musica non corrispondeva bene, non esprimeva il senso delle parole, Haydn tutto sdegnato esclamò: maledette le vostre parole, ecco le mie idee; voi far dovete su quelle idee le parole. (Credat judæus apella, non ego). Di questo lagnavasi, e si burlava l'ab. Casti. Un giorno Giuseppe II gli disse, fatemi delle parole, arriva il gran duca di Russia, vò dargli un nuovo spettacolo. Chi farà la musica, domandò Casti. La musica è fatta, disse l'imperadore; ho trovato prima di voi Salieri, ed egli ha già finito il travaglio. Oh questa è da ridere veramente, disse il leggiadro autor del re Teodoro, degli apologhi e delle novelle. Sapete cosa farò? Io farò il Signor del villaggio che ordina uno spettacolo, e fa far la musica prima delle parole. Musica e poi parole sarà il titolo del mio dramma.” Io lascio giudicar a' lettori, se è pur verisimile che così pensasse un Haydn, un Salieri: se è possibile lo scriver la musica di un dramma intero pria che esistessero le parole, e se un principe così illuminato come Giuseppe II avesse potuto esiger dal Casti un così scempiato strafalcione, ovvero se il Dr. Pananti vuol farci ridere a carico de' grand'uomini. Dummodo risum — Excutiat sibi, non hic cuiquam parcet amico. L'altro di lui saggio è intitolato [43] La musica dolce e patetica: pensieri usati e comuni come nel primo. Nel suo Romanzo poetico in sesta rima intitolato: il Poeta di teatro, Londra 1809, 2 vol. in 12º, trovansi alcuni canti sulla musica: Le due sorelle, Musica e Poesia nacquer gemelle, il Canto; la Perfetta armonia; la Musica ec. Nelle annotazioni s'incontrano delle notizie di molti distinti soggetti tuttora viventi, e che si son fatti un chiaro nome nella musica. Io le trascriverò quì: “La Grassini, per la soavità, l'espressione, per quella che chiaman voce accostante, accompagnata da una mirabile azione; Braham, per l'agilità, pel sonoro metallo, pel così detto bel corpo di voce; Siboni per l'eccellente stile, il metodo giudizioso, la dotta azione; Naldi, per la vivacità della scena, la chiarezza del sillabare, e pel talento raro di far brillare non tanto il cantante quanto il declamatore, tutti questi si distinguono nell'Europa per la scienza profonda del canto, hanno moltissimo merito, e tutti si rendono commendabili per il lor carattere onesto e per la dolce urbanità dei loro costumi. Io rendo questa giustizia al merito e alla verità.” (t. 2, p. 302). Grazioso è l'aneddoto di Farinelli, che l'A. racconta a carte 346. “Il musico Farinelli vantava al Papa Lambertini i grandi onori e le gran ricchezze ottenute in Ispagna. Rispose il faceto e spiritoso Papa. Avete fatta tanta fortuna colà perchè vi avete trovate le gioje che avete perdute in quà.” Ho creduto però dover omettere un altro aneddoto riguardante il musico Guadagni, non molto a lui onorevole, perchè, per servirmi dell'espressioni dell'autore medesimo, sembrami una storia strampalata e una vera fandonia.
Pau (Felice), vescovo di [44] Tropea, al di cui articolo nel 3º t. p. 157 puossi aggiungere che scrivendo all'avvocato Mattei nel 1769, egli dice di avere impiegato parecchi anni in sua gioventù nella musica per acquistare una non leggiera cognizione di tale facoltà e per esaminare quanto dell'antica musica ne aveano scritto i più dotti autori: che avea disegnata un'opera divisa in tre libri. Nel primo faceva il confronto dell'antica colla moderna musica; nel secondo comparava l'antico al moderno teatro; e nel 3 esaminava in qual maniera la musica opera i suoi effetti nel nostro meccanismo, che a suo talento ci dispone alla letizia, ed alle tante altre diverse passioni. Egli non ne compose altro, che il primo, mentre dimorava in Roma. Era così perito nella musica che racconta nella stessa lettera, come ne' primi anni ch'egli fu in Roma, fu condotto nella cappella pontificia ad udir nella settimana santa il cel. Miserere, che veramente lo sorprese, e perchè seppe, che ci era pena di scomunica a chi mai ne dava fuori la copia, egli per averlo portò seco nell'altre sere un pezzo di carta di musica con un calamaretto, e col solo udirlo in quello, e nell'anno seguente, sel copiò e lo teneva poi presso di se. Per poterlo copiare, egli dice, io posi l'orecchio in prima al solo basso, ed andai seguitando la traccia de' suoi tuoni, e così ne notava le figure musicali. Dopo terminato il basso, feci lo stesso col soprano, al contralto ed al tenore.
Perne (François-L.), nato a Parigi nel 1772, allievo dell'abb. d'Haudimont, e professore di armonia, unisce ad una profonda cognizione della teoria della musica quella di più lingue sì antiche che moderne, ed è presso a dare alla luce alcune opere interessantissime alla letteratura musicale. Hanno [45] elleno per principale oggetto di ristabilire un certo nesso in tutte le parti dell'istoria della musica, e di rischiarar quella de' tempi di mezzo. A tal fine ha posto già in partitura una raccolta di composizioni di Guglielmo de Machault (V. quest'artic. nel t. 3, p. 41), di alcuni altri musici de' secoli 13, e 14, ch'egli spera far risalire sino a Guido di Arezzo. Questo dotto artista è membro attualmente della R. Accademia di musica, ed ha composto molta musica per chiesa, fra la quale distinguesi una messa a grande orchestra, eseguita in S. Gervasio, e la prima che si fosse intesa dopo le turbolenze della rivoluzione.
Pfeiffer e Pezold, tedeschi costruttori di stromenti in Parigi, nel 1806 esposero in vendita un forte-piano verticale di loro invenzione, il di cui meccanismo è stato a perfezione eseguito. Egli non occupa altro luogo, fuorchè quello necessario per la larghezza della cassa di un piano-forte ordinario, stabilita verticalmente, aggiungendovi l'estensione di una tastiera: i suoni ne sono piacevoli, e facile l'esecuzione. Un'altra loro invenzione è di un forte-piano orizontale di forma triangolare, che può situarsi alle mura di una stanza, senza che il suonatore sia costretto a volger le spalle agli ascoltanti. La sua tastiera trovasi riposta sopra uno de' lati del triangolo, aggradevole del pari ne è l'armonia. (V. Archiv. des dècouvert. 1808).
Poisson (Nic. Joseph), prete dell'Oratorio, nato a Parigi, viaggiò lungamente in Italia, e vi si fece ammirare per l'erudizione e lo spirito. Aveva molto studiato le opere di Descartes suo amico, e morì assai vecchio a Lione nel [46] 1710. Egli pubblicò in Parigi: Abrégé de la musique par M. Descartes, avec les éclaircessemens nécessaires, 1668 in 4º, ed in latino: Elucidatio physica in Cartesii musicam, dove più uso fa delle ragioni e delle sperienze del Galileo, che di quelle del suo autore Cartesio, che prese ad illustrare.
Pollet (Nicolina), nata a Parigi nel 1787 da M. Simonin autore d'una meccanica per l'arpa, studiò per tre anni sotto Blattman quest'istrumento, e perfezionossi quindi colla direzione di M. Dalvimare. Ella prese in marito M. Benedetto Pollet, abilissimo anch'egli professore di arpa, ed il primo ad unir questo stromento col corno di caccia, a cui si dee un metodo, e un giornale di arpa. Mad. Pollet ha composte molte arie con variazioni per arpa, che sa vieppiù render belle colla sua esecuzione. Essa si è fatta sentire a Parigi in più pubblici concerti, e nella Sala-Olimpica con molto successo. In quest'anno 1815 venne ella in Palermo, e nel R. teatro Carolino vi si è fatta ammirare sull'arpa per la chiarezza, agilità ed una singolar espressione di suoni, che sa trarne. Oltre a questa virtù che eminentemente possiede, rendesi commendevole per la coltura del suo spirito, e l'amabilità della sua compagnia.
Puppo (Giuseppe), nato a Lucca nel 1749 fece suoi primi studj di musica nel Conservatorio di S. Onofrio a Napoli. I suoi progressi nello studio della composizione furono brillanti e rapidi; ma una inclinazione predominante per il violino lo indusse a darvisi interamente. A tal fine narra egli che andò in Padova per aver lezione dal cel. Tartini, che dopo aver esaminato le sue disposizioni, questo gran maestro gli disse tre cose esser necessarie per sonar bene di [47] violino: suono, arco e giustezza: in quanto alle dita è la natura che le dà. In conseguenza Tartini raccomandava al suo allievo di filar de' suoni sopra tutti i tuoni e sopra tutte le posizioni a lunghe arcate. Quest'esercizio durò per diciotto mesi, ed otto ore per ciascun giorno senz'interruzione. Ecco quello ch'egli chiamava gettar delle grosse pietre per la base dell'edificio. Puppo assicura di esser restato cinque anni sotto di lui, e che nol lasciò se non quando quel grand'uomo il riconobbe di non essere egli un violino del volgo. Puppo viaggiò quindi per l'Italia, la Spagna, il Portogallo, l'Inghilterra e venne a Parigi, ove soggiornò per venti sette anni. Nel 1799 pubblicò i suoi studj per violino, e tre duo per violini. Quel che eminentemente caratterizza lo stile e la maniera di questo eccellente artista egli è una leggiera tinta di malinconia, che s'impadronisce dolcemente dell'anima. Egli eseguisce con magìa ed incanto la musica del suo concittadino Boccherini, che così graziosamente ha chiamato la moglie di Haydn. Puppo attualmente è in Napoli direttore di orchestra di un teatro secondario di quella città.
Radicati da Torino, famoso suonator di violino fu scolare del Pugnani. Dopo essersi arricchito col prodotto della sua arte, sposò la celebre cantante la Bertinotti, e oggidì vivono agiatissimamente in Bologna. Egli ha abbandonato il suo istromento per darsi alla composizione, e vi si distingue pel gusto e le grazie della novità, non men che per la solidità del suo sapere.
Rega (la Signora), napoletana, moglie del rinomato incisor di camei Filippo Rega, è la più abile suonatrice di Arpa che siavi in Napoli, e una delle virtuose di quella Real Accademia. Eseguisce con [48] precisione ed esattezza qualsivoglia concerto o composizione che gli si presenti. Il suo nome è conosciutissimo in Europa, cosichè i forestieri si fanno un pregio di conoscerla, ed ammirarla, e ne prendon nota ne' loro giornali di viaggi.
Renaudin, professore di arpa a Parigi, è l'inventore di un nuovo Cronometro, ch'egli propose nel 1785 come il più semplice di tutti quelli, che sin'allora eransi inventati, e il più facile per l'esecuzione. È questo un cordone di seta, alla cui estremità pende una balla di piombo. La sua lunghezza è divisa da alcuni segni posti a certe convenute distanze, e che formano altrettanti gradi. Si sa che le oscillazioni di un pendolo sono sempre in ragione della sua lunghezza; cosicchè quei segni servono per dinotare, ove bisogna sospendere il cronometro, cioè la lunghezza che bisogna dargli per accelerare o ritardare il moto proprio ad ottenere tutt'i gradi di celerità possibili. Il vantaggio di questo strumento sopra tutti gli altri consiste nell'essere di una costruzione facilissima, e di pochissima spesa, nell'essere portatile, e soprattutto nell'essere un esatto mezzo di corrispondenza tra' musici alle più rimote distanze.
Riffelsen, meccanico danese, cel. per l'invenzione di più importanti macchine, è anche inventore di un nuovo strumento detto Melodica. Essa è composta di tubi di metallo battuto di varie grandezze, e di una tastiera simile a quella del forte-piano. Vi si adatta una ruota per mettere i mantici in movimento: il suono ne è armonioso, aggradevole, e gli intendenti lo preferiscono a quello del piano-forte. L'inventore avendo osservato che un cordone passando [49] dalla ruota allo strumento eccitò, mediante le sue vibrazioni, delle straordinarie sensazioni sulla persona, che faceva girar quella ruota, provossi di mettere molte persone in contatto con quel cordone. Siffatta esperienza ha prodotto de' buoni effetti sopra diverse persone di complession debole, e singolarmente su quelle attaccate di male di nervi, di podagra, di scorbuto, ec. Secondo questi principj M. Riffelsen ha fatto costruire una macchina destinata singolarmente a questi salutevoli effetti, e ha avuto l'approvazione de' medici di Coppenaghe (Esprit des Journaux, août 1808).
Rollin (Charles), celebre rettore dell'Università di Parigi, e autore di molte opere utilissime di letteratura e di storia, ha trattato della musica de' Greci nel tom. XI de l'Histoire ançienne, a Paris 1737, in 12º. Egli osserva che l'antica musica presso i Greci era semplice, grave e maschia: nota in qual tempo e in qual maniera si è corrotta: specifica i diversi generi, e i varj modi della loro musica, e la maniera con la quale notavano il canto. Esamina se bisogna dar la preferenza alla moderna o all'antica musica, e dopo aver considerate le ragioni pro e contra: Per me, egli dice, non so astenermi dal credere, che i Greci portati, come lo erano, a' passatempi, educati e nudriti nel gusto de' concerti, con tutti i soccorsi, di cui ho parlato, con quel genio inventore ed industrioso per tutte l'Arti che si riconosce in loro, non siano stati anche eccellenti nella Musica come in tutto il resto. Ecco la sola conseguenza, che da tutto il ragionamento, che sinora ho fatto io ne traggo, senza pretendere di dar la preferenza agli Antichi sui Moderni. Mr. Fayolle, senza forse averlo letto, ne dà il seguente saggio; [50] Ce qu'il en dit est rapporté sur ouï-dire et sans aucune connaissance de cause: il eût mieux fait de n'en pas parler. Non si capisce però cosa dir voglia, quando attacca M. Rollin di aver parlato della musica de' Greci sur ouï-dire. Egli non potè esser presente a quella musica per poterne dar saggio, gli fu dunque d'uopo starsene alle memorie che ce ne rimangono, ed ognuno che scrive delle cose antiche non ha altro mezzo che consultare gli antichi, e parlarne sur ouï-dire. Attacca altresì Rollin di averne parlato senza cognizione alcuna di causa, cioè ch'egli non ha conosciuto nè l'antica, nè la moderna musica. Ma quale prova ne adduce M. Fayolle? Forse perchè questo Autore dopo aver consultati tutti i Scrittori sì antichi, che moderni sull'antica musica (il che non ha mai certamente fatto il Sig. Fayolle) è disposto a credere, che i Greci sian riusciti eccellenti nella musica, come in tutte le Belle-Arti, lo che non gli va molto a sangue, ed egli espressamente il dimostra ogni qual volta ha occasione di entrare in questa materia, perciò è ch'egli conclude, che avrebbe fatto meglio a non parlarne. Questo giudizio è veramente ingiusto e ridicolo.
Rossini (Gioacchino), da Pesaro allievo del cel. Ab. Mattei, è ancora molto giovane, ma le sue composizioni sono state così bene accolte in Italia per la novità e gajezza dello stile, che vien egli riputato oggigiorno come uno de' più grandi ingegni, e de' migliori compositori del bel paese della musica. Non aveva ancor compiti i dodici anni allorchè acquistossi gran nome per una solenne Messa e un Tantum ergo da lui composto per S. Petronio di Bologna: gli applausi e le grida di tutta l'udienza cambiaron, per così dire, la chiesa in teatro. Aveva egli scritto un Inno [51] in lode di Murat, ma entrate le armi Austriache fecero arrestar Rossini per l'entusiasmo che aveva eccitato la poesia e la musica di quell'Inno: liberossi dal castigo, che gli si minacciava, a condizione di comporre in tre ore la musica di un altro Inno in onor dell'Imperatore. Ad onta della strettezza del tempo vi riuscì al segno che vien creduto quel pezzo un capo d'opera dell'arte. Ha scritto altresì la musica di varj drammi, come il Tancredi, e gl'Italiani in Algeri, che si è rappresentato in questo R. teatro Carolino di Palermo nel corrente anno con universale approvazione. Si racconta di lui, che obbligato a scrivere in Italia un certo dramma, che non gli andava molto a sangue, dopo aver fatta la musica del primo atto, se n'andò via da quel paese di notte tempo per le poste, lasciando scritto in fronte alla partitura: fatevi comporre il resto da uno de' bravi maestri già morti, il che mostra un pò di quella mattezza, che al dir di Tullio, non va scompagnata dai grandi ingegni.
Russo (Raffaele), nato in Napoli, fu nella più tenera età da' suoi parenti portato in Palermo. Come mostrava sin d'allora delle buone disposizioni per la musica, gli si fece apprenderla nel conservatorio de' Figliuoli dispersi di questa Capitale sotto la direzione del maestro Amendola. Dato avendo de' saggi d'una estrema facilità, e d'una somma vivacità di fantasia nel comporre, gli fu fatto scrivere assai giovane l'Atalia, oratorio per il real teatro di S. Cecilia. La sua musica eseguita alla presenza della Real Famiglia ebbe il più brillante successo, nè minor si fu quello ch'ella incontrò poi sul teatro di Londra. L'anno d'appresso egli scrisse pel medesimo teatro di Palermo un'opera buffa, che fu del paro sommamente applaudita. [52] Comecchè ne' suoi accompagnamenti non si trovi molta esattezza e regolarità nella condotta, nè naturalezza e felicità nelle transizioni di un modo all'altro, vi si ravvisano tuttavia alcuni tratti di genio, e de' lampi di quell'estro creatore, che caratterizza i gran compositori, onde siavi da sperare che coll'esercizio, e lo studio de' buoni modelli acquistar debba quella correzione, che ancor vi si desidera. E tale dommi a credere che sia l'oggetto de' viaggi ch'egli ha intrapreso ne' paesi, ove da sommi uomini maggiormente coltivasi questa bell'arte.
Sales (Pietro-Pompeo), nato a Brescia nel 1729 è stato riguardato a ragione come uno de' migliori compositori sulla fine dello scorso secolo. Egli si era di già acquistato pe' suoi talenti gran fama nella patria, e poteva aspirare a farvisi maggior fortuna, quando un orribil tremuoto gli fè perdere tutti i parenti, e lo costrinse ad allontanarsene per cercar altrove la sua sussistenza. Dopo aver viaggiato per alcun tempo, venne in Germania, ove per molti anni fu al servigio di diversi principi, che amavano e proteggevano la musica, tra quali il vescovo principe di Ausburgo. Nel 1763 fu chiamato a Padova per comporvi un'opera seria, e quindi in Inghilterra, dove ebbe il più gran successo. Nel 1772 ebbe l'onore di comporre per il teatro dell'elettor di Baviera: e nel 1777 la rimembranza de' suoi talenti il fè richiamare a Londra dove fu accolto col massimo favore. Egli morì finalmente maestro di cappella e consiglier di finanze dell'elettore di Treveri a Coblenz verso il 1796. Nelle sue opere egli riunisce nel canto l'armonia tedesca alla soavità italiana, ed impiega con giudizio gl'instromenti nell'accompagnamento.
Scacchi (Marco), dotto maestro di cappella romano, al servigio del re di Polonia, assai conosciuto, dice il Marpurg, per le sue opere teoriche e pratiche, fioriva nel 1640. (Hist. abreg. du Contrepoint, p. XVII) Vi ha di lui per le stampe di Venezia Cribrum musicum, ossia: Esame della musica de' Salmi di Paolo Sifert di Dantzica, 1643.
Scoppa (Ab. Antonio), nato l'anno 1767 di assai civile famiglia nella città di S. Lucia presso Messina, fece in questa città i primi suoi studj, che venne a terminar poi con ottimo successo in Palermo, in Napoli e in Roma. Dopo aver viaggiato per l'Italia, ed aver fatto conoscenza co' Letterati più celebri di quel paese, venne a stabilirsi in Parigi sul principio del corrente secolo. Egli vi si è fatto distinguere in qualità di uomo di lettere per più opere da lui pubblicate. Nel 1803 diè alla luce in Parigi il Saggio dell'eccellente Opera, di cui or parleremo, col titolo di Traité de la Poésie italienne rapportée a la Poésie française, che fu assai favorevolmente accolta da' Letterati di Francia, non che dell'Italia. “Egli dimostra (dice M. Leulliette professore della scuola centrale) con infiniti esempj e tutti scelti con delicatezza di gusto che la lingua francese è del paro espressiva e adatta a render tutt'i movimenti dell'anima, e i vezzi della musica, come l'italiana, a cui erasi sino a quest'ora deferita la maggioranza: nè dubito punto che quest'opera esser non possa sommamente utile a' letterati delle due nazioni: essa non può principalmente che onorar all'estremo la nostra.” (Lettre à M. Garnier). Narra lo stesso abb. Scoppa, che mercè questo primo Saggio ebbe l'onore di esser ammesso nell'Accademia italiana come membro corrispondente, [54] e che con un diploma divenne allora socio dell'Accademia del buon gusto di Palermo; onore, ch'egli mostra d'aver gradito sommamente. “Io mi fo un dovere, dic'egli a questo proposito, di qui dichiarare che la mia patria è Sicilia: che in qualsisia tempo o luogo, ove la sorte vorrà mettermi, sempre geloso de' suoi interessi e della sua gloria, tutte le mie fatiche letterarie ed i viaggi per mia instruzione intrapresi non avranno altro scopo se non di meritare il suo compiacimento.” (Préfac. du 3 tom. p. V). Incoraggiato da questo successo intraprese egli a trattar con più estensione lo stesso soggetto, e ciò ha prodotto l'eccellente opera Les vrais principes de la versification développés par un examen comparatif entre la langue italienne et la française, tom. 3 in 8º a Paris, 1811-1814. Egli vi esamina la versificazione e la musica delle due lingue: propone le regole per comporre de' versi lirici, e i mezzi di accelerare i progressi della musica in Francia, e rilevando tutte le bellezze della lingua francese, che la rendono suscettibile delle grazie della poesia, e della musica, la difende dalle imputazioni di coloro che le niegano dolcezza ed armonia. “Io devo aspettarmi, dic'egli, una dimanda dal canto de' miei lettori: siete voi musico? Io dirò loro francamente che no: che io ignoro sin le menome regole dell'arte, e le note elementari, contento dell'idee che poteva offrirmi la musica della natura. Oggetto del mio lavoro non è di occuparmi del tecnico della musica; non è d'uopo esser musico per isviluppare la semplicità di certe idee, i di cui principj sono nella natura, che ci parla per l'organo dell'orecchio (t. 3, p. 191). Alcuni musici mi han censurato, perchè abbia usurpata la giurisdizion loro nell'entrare in [55] materie di musica, e nel proporre sopra un'arte, che io ignoro, delle regole facili in teoria, e nell'immaginazione, ma impossibili nell'esecuzione agli occhi di coloro che conoscono le difficoltà delle quali è circondata quest'arte. Cerco in vano di giustificarmi col rispondere che io non parlo del tecnico della musica, ma sul modo di associar la parola al canto, e vuolsi ch'io creda essere anche in ciò essenziale la cognizion della musica. Mostrar la maniera di accoppiar le parole al canto, non è lo stesso che insegnar l'arte della musica che io ignoro. Quel che non ignoro, e che ignorar non dovrebbero alcuni musici, si è la Musica della natura, che fa magía al cuore, e risveglia il sentimento, e che non è straniera ad una ben organizzata orecchia. Guai a coloro, che sono obbligati a studiarla affinchè la sentano! Assai volte quegli che non sa la musica dell'arte ignora quel che sanno i musici: ma quegli che conosce la musica della natura, sa quel che ignorano i musici. Non fa d'uopo esser musico per isviluppar le idee sull'unione della parola colla musica: i principj di queste idee sono impressi nella natura del canto, che ci parla per l'organo dell'orecchio, per la voce del buon senso, per l'uso d'una buona filosofia (Pref. t. 2).” Non giudicò infatti così di quest'opera uno de' più specchiati professori dell'arte, M. Gretry, allorchè scriveva all'A. ch'egli approvava come veri i suoi Principj relativamente a quel che riguarda la musica e ch'egli era dello stesso suo sentimento. “Voi avrete dritto alla pubblica riconoscenza, dic'egli, nel vendicar la nostra lingua dalle false imputazioni, di cui la caricano. Gradite altresì ch'io vi renda grazie pe' servigj che prestate all'arte, che io professo.” I musici potran leggere con diletto e con utile quel che dietro a' migliori maestri insegna l'A. sulla divisione dei tempo [56] nella musica: come sia possibile il misurare il tempo; come si evitino i due gran scogli del controttempo, e del controsenso (tom. 1, p. 204 seg.). Esamina egli quindi da filosofo, se la musica è un'arte imitativa come la poesia e la pittura (p. 349), e si attiene al sentimento, che determina l'imitazion della musica per l'espression delle parole, che in questo senso può la musica vocale esser imitativa, e che la strumentale non può con precisione ottenere lo stesso vantaggio; dacchè non dà essa se non espressioni vaghe ed equivoche, che possono applicarsi a più immagini. Nel 2º tomo tratta egli dell'accento musicale, che secondo lui non è che il risultato dell'accento oratorio e patetico. L'accento musicale propriamente detto, dic'egli, è un linguaggio particolare della natura e delle passioni, che si esalano cantando: associandosi alle lingue egli le rende cantanti, e dà loro quel che non hanno. Nel 3º tomo esamina l'A., se il clima, e il gusto e 'l genio della nazione francese possono opporsi a' progressi della buona musica: espone quindi le vere cagioni che li han ritardato in Francia, e che li han promosso in Italia e in Alemagna, e termina con proporre i mezzi più energici perchè quest'arte giunga alla stessa perfezione presso i Francesi com'ella è giunta presso gl'Italiani e i Tedeschi. L'A. è per lo più così chiaro nelle sue spiegazioni, dice l'ab. Sicard, così adeguato ne' suoi principj, così sincero nelle sue critiche, che i Francesi di buon grado saran per perdonargli alcune leggere scorrezioni che rendono men vago il suo stile, senza indebolir mai la forza della sua logica. Quest'opera merita di essere ben conosciuta, e 'l suo autore otterrà dei dritti alla stima de' letterati di tutte le nazioni, come ne ha alla riconoscenza de' Francesi.
Scorpioni (Domenico), da Rossano, minor conventuale [57] fu maestro di cappella in Roma, e nel Duomo di Messina sui principj dello scorso secolo. Le sue Riflessioni Armoniche stampate in Napoli nel 1701, sono citate con elogio dal P. Martini, e da Gugl. della Valle.
Silva, una delle più rinomate cantanti de' nostri giorni è stata grandemente ammirata per una bellissima voce, per la sua buona scuola di canto, e molto più per la sua singolar saviezza ed avvenenza. Essa nacque di nobil famiglia a Reggio di Modena, e più per suo diporto, che per bisogno ha cantato in alcuni pochi teatri. La fama di questi eminenti suoi pregi giunta essendo in Londra, fu spedita a bella posta una persona di distinzione a Reggio per scritturar la Signora Silva per quel teatro a qualunque condizione volesse ella imporre in quanto al prezzo, ma mentre trattavasi l'affare un'immatura morte venne a rapirla non compiti ancora i trent'anni di sua età.
Silvestro ii (il Papa), ossia Gerberto, prima arcivescovo di Rheims, poi di Ravenna, e precettore di Ottone III, e finalmente sommo Pontefice fu francese di nascita: ma venne giovine a Roma, ove conosciuto dall'Imperatore Ottone I, ebbe da lui il governo del cel. monastero di Bobbio verso l'anno 970. Egli adoperossi singolarmente a farvi rifiorire gli studj. Quattro anni soli governò la Chiesa Romana, ma ciò che il rendette assai caro ed utile all'Italia, ed all'Europa tutta, fu il di lui zelo nel risvegliare in tutti l'ardore del coltivamento de' buoni studj che già da più secoli sembrava del tutto estinto. Nelle sue lettere tratta sovente non sol della matematica, che era lo studio suo prediletto, ma della musica e d'altre scienze nelle quali ei si mostra versato. Le lettere, ove parla egli della musica, sono la 92, 124 e 151. Tra molte [58] sue opere di meccanica si fa menzione di un organo idraulico di sua invenzione, nel quale l'acqua scaldata produceva i suoni (V. Tiraboschi tom. 3).
Solone nacque a Salamina, ma il desiderio di colta educazione lo fè trasferire da ragazzo in Atene. S'istruì nell'armonia e nella scienza de' costumi e della politica, e diede di tutto i più luminosi saggi. Incaricato dal Senato di formare un nuovo codice di leggi, egli vi diè opera con tal senno e prudenza, che ne' giorni festivi i ragazzi si radunavano a cantarlo nel tempio. Si sa che le leggi in que' tempi componevansi in versi e cantavansi in musica (V. l'artic. di Dracone). Platone nel Timeo dice di aver egli cantato il codice di Solone in questa circostanza insieme con gli altri ragazzi; assicurandoci che la melodia de' suoi canti era così particolare, che se gli sconvolgimenti degli Ateniesi non l'avessero disturbato, Solone sarebbe da paragonarsi con Omero, ed Esiodo per la leggiadra armonia delle sue composizioni. Solone morì a Cipro in età di 80 anni sei secoli prima di G. C.
Speranza (l'Abbate), uno de' più profondi teorici, e de' più illustri discepoli del maestro Durante, teneva scuola di musica in Napoli sua patria nella metà del p. p. secolo. A mostrare la di cui celebrità, basterebbe il dire essersi in essa formato il rinomatissimo Zingarelli. “Per avvezzare gli scolari, dice il dotto Carpani, a trarsi d'impaccio speditamente, ecco il metodo che soleva adoperare il celebre abate Speranza di Napoli. Egli obbligava il suo discepolo a comporre trenta volte di seguito, e variando tuoni e tempi, la stessa aria senza uscire dal carattere prescritto dalla poesia. La cosa è fattibile dappoichè trenta diversi maestri possono comporre sulle [59] medesime parole, far ognuno un'aria confacente alle medesime, e nessuno aver fatto la musica dell'altro. Un bell'esempio di ciò ne abbiamo di recente in quella arietta messa in musica da cento e più maestri, e stampata dal Mollo in Vienna. Ma trarre da una sola testa e di seguito trenta cantilene diverse sulle stesse parole è cosa, come ognuno vede, scabrosissima. Di questa fatta il detto Speranza addestrò il rinomato Zingarelli, ec.” (Lett. 3).
Stat (M.), di nazione tedesco, cel. professore ed improvvisator di violino, venne in Italia sulla fine dello scorso secolo: fu in Milano alla corte di Ferdinando arciduca d'Austria. Oltre a più pregi necessarj per ben distinguersi su quell'istromento, che eminentemente trovavansi in lui riuniti, faceva nel suonare anche uso del pollice, di che ricavavane non indifferenti vantaggi. Viaggiò per tutta l'Italia, ed essendo in que' tempi assai illustre la riputazione del Pugnani, recossi a Torino. Ammesso in un'accademia, dove quel virtuoso eseguir doveva in presenza de' Sovrani un suo concerto dopo aver riscosso costui i più grandi applausi dalla corte e da tutti gli astanti, M. Stat pregò Pugnani che gli permettesse di suonar quel concerto medesimo, il che ottenuto capovolse la carta, e l'eseguì con tal franchezza, espressione e forza, che si trasse de' replicati viva, non che l'ammirazione di quanti eran presenti: ma al Pugnani sopraggiunsero così gagliarde convulsioni, che fu costretto ad uscirsene dalla sala. Siffatto aneddoto è il più grande elogio che far gli si possa.
Stellini (P. D. Giacomo), chierico regolare de' Somaschi, di Cividal nel Friuli, coltivò le lingue greca e latina, la poesia, la storia, la musica, le matematiche e la teologia. Fu professore di Morale nell'università [60] di Padova, ove contrasse singolare amicizia col cel. Cesarotti e quindi morì l'anno 1770. Tra le sue opere stampate in Padova dopo la di lui morte nel 1781, in 6 vol. in 8º, molte cose si trovan sulla musica, che possono leggersi con profitto.
Testori (Angelo) da Milano, quanto brutto di persona, altrettanto amabile cantante di soprano è stato molti anni alla corte di Russia. Dopo aver guadagnati quivi de' tesori colla bella sua voce è tornato in Italia a goderne co' suoi ed è tuttora al servigio della R. Cappella di Milano. Era la sua maniera maestosa ed espressiva, e quel che più sorprendeva era il suo talento come attore.
Viganoni da Bergamo, può dirsi il primo de' cantanti di tenore nel genere comico o di mezzo carattere come dicesi in Italia. Egli si è spezialmente distinto nel Matrimonio segreto di Cimarosa per l'aria che fu per lui scritta pria che spunti in ciel l'aurora: non vi è stato teatro dove non gli si sia fatto cantar questo pezzo, senza produrre lo stesso entusiasmo e furore della prima volta. Viganoni è stato lungo tempo in Londra dopo aver girato per tutta quasi l'Europa: alla sua sublime maniera di cantare univa gran talento nell'azione, e sapeva sulle scene far divenire interessante la sua persona. Egli vive oggidì molto agiatamente in la sua patria all'età di 65 anni. Gli s'imputa alcun poco d'avarizia; ma a fare il suo elogio basta il proverbio ch'eravi in Italia: David per il serio, e Viganoni pel mezzo carattere.
Vinci (Pietro), di Nicosia in Sicilia, fu a' suoi tempi celebratissimo per le sue composizioni musicali. Egli fecesi apprezzare anche in Roma ed a Bergamo come maestro di cappella, e morì nella sua patria nel [61] 1584. Il suo epitafio dà a divedere la riputazione di cui godeva al suo tempo. Temporis Amphyon nostri hac modo conditur urnâ — Haec Petrum Vinci barbara saxa tenent: — Ille tamen lapides sonitus dulcedine traxit — Hunc trahit in cineres efferas iste lapis. Egli aveva posto in musica (e sa Dio in quale musica) quattordici Sonetti dell'Eccell. Vittoria Colonna marchesa di Pescara, che fu stampata a Venezia nel 1580 in 4º. I suoi mottetti a quattro voci furono ancor quivi pubblicati nel 1578, onde può rilevarsi come uno sbaglio del dottissimo Andres, l'aver egli asserito che “la prima raccolta e pubblicazione di mottetti notati in musica colle sue parti che sia giunta a di lui notizia è stata quella del Vittoria d'Avila fatta in Roma nel 1535.” (Dell'origine ec. t. 4, pag. 263, ediz. di Parma). La pubblicazione de' mottetti del Vinci precede di sette anni quella del Vittoria. Questa osservazione, benchè di piccolo momento, deesi all'importunità di un mio amico dello stesso paese del Vinci, che volle comunicarmela per farne onore, pubblicandola, al suo compatriotto.
Zamora (Giov. Egidio da), frate spagnuolo di S. Francesco visse sulla fine del tredicesimo secolo. Il re Alfonso X nominollo precettore del principe Sancio suo figlio. Tra molte dotte sue opere si distingue la sua Ars Musica che manoscritta conservasi nella biblioteca del Vaticano. L'abate Gerbert l'ha resa pubblica nella sua Collezione degli autori di musica tomo II, p. 369.
Fine del quarto ed ultimo tomo.
Sul punto di compiersi l'impressione dell'ultimo tomo del presente Dizionario, mi giunse per avventura alle mani il Trattato di Armonia del maestro Bonifacio Asioli, inciso elegantemente in più rami col ritratto dell'autore in Milano 1813, in fol. Ho creduto mancar al mio dovere, se data non ne avessi notizia a' miei Lettori. Per la ristrettezza del tempo, a dir vero, io non l'ho ancora che leggermente scorso: ma per quanto ho potuto formarne giudizio, parmi che soddisfar possa alla brama da me dimostrata nel suo articolo (t. 1, p. 56) di avere il pubblico da questo valent'uomo oltre a' Principj elementari della Musica quelli ancora della Composizione, onde formarsi un corso compito di lezioni pei Conservatorj. Il presente libro riguardar si può come la prima parte di un intero Trattato sulla Composizion musicale, promettendoci per altro l'Autore di darne uno in appresso sulla Fuga, come era stato espressamente immaginato, e disteso per lui dal suo maestro Angelo Moriggi. Avvegnacchè, come molto a proposito riflette egli stesso, a formare un retto e lodevole compositore fa di mestieri, che questi unitamente possegga le tre parti, che costituiscono la Composizione, cioè l'Armonía, l'Artifizio, ed il Gusto; in ordine alla prima offre agli studiosi l'Autore il presente Trattato: per l'acquisto del secondo ne promette egli un altro sulla Fuga; e per il Gusto, siccome non vi ha nè lezione, nè maestro atto ad infonderlo, parzial dono essendo sol di Natura, e solo stuzzicar puossi, dic'egli, ed ingentilire col frequente studio delle eleganti altrui composizioni, colla metodica progression degli accordi, cogli effetti derivanti da un numeroso complesso d'istrumenti e voci cantanti, ec. ec., così a dilucidar tutto ciò con opportuni esempj, promette l'Autore un suo nuovo lavoro, in cui farà conoscere di quanto abbisogni al Compositore onde trattare con successo tutti gli stromenti che servono la Chiesa, la Camera, e 'l Teatro; mostrerà i capi d'opera de' gran maestri moderni, indicando minutamente i mezzi, co' quali seppero eglino produrre i più sorprendenti effetti, ed esporrà in fine gli progressi del Buon Gusto colle produzioni de' più accreditati Compositori, cominciando dall'insigne Benedetto Marcello, e percorrendo le diverse epoche sino a' tempi nostri. Ai voti de' veri amatori di questa Bell'Arte, uniamo il nostro, di veder cioè ben presto condotto a termine dall'Autore un sì util progetto, e compita veramente così questa sua scuola di Composizione. Ma per far ritorno al surriferito Trattato d'Armonia: egli porta in fronte la più onorevole approvazione de' Professori di quel Conservatorio di Milano, e de' Commissarj da loro destinati all'esame per l'adozione del medesimo come di base all'insegnamento degli allievi di quel Regio stabilimento. La celebrità di questi membri della commissione rende vieppiù rispettabile ed autorevole il giudizio che recato ne hanno. Sono eglino i celebri maestri Minoja, Pollini, Federici, e Piantanida. “Dopo avere consultate, dicono essi, le migliori opere, che hanno trattato sull'armonia, e d'appresso le proprie cognizioni acquistate collo studio de' Classici, e convalidate dall'esperienza abbiam ritrovato, che il sistema d'armonia sottoposto alla nostra lettura, ed esame, è sviluppato in ogni sua parte con tanta maestria, evidenza e chiarezza per non ammettere verun dubbio, che il Giovane studioso guidato dalle regole, ed esempj ivi proposti, e spiegati deve con tutta sicurezza attingere lo scopo che vorrà prefiggersi, sia per la Composizione, o per l'Accompagnamento. Dalla dotta ed insieme accuratissima Analisi degli Accordi, e particolarmente delle dissonanze d'ogni genere, vien tolta quella specie di mistero, e di dubbio in cui sono stati finora avvolti per mancanza di un sistema certo su cui appoggiare la derivazione, e quindi l'uso delle medesime. Questo sistema viene incontrastabilmente fissato, ed illustrato dall'Autore del presente Trattato, dietro le tracce del dottissimo P. Vallotti, il primo che lo abbia investigato, ec.” Questo si è il Saggio, che ne han dato quattro de' più gran maestri che si abbia oggigiorno l'Italia, a cui ben volentieri mi vi soscrivo.
Perchè i lettori possano formarsi un'idea generale della storia progressiva della musica, offriamo loro, come in sul principio dell'opera l'abbiamo promesso, il catalogo di tutti gli scrittori ed artisti disposti secondo l'ordine de' tempi. L'oggetto di questo catalogo si è di riunire sotto quest'altro punto di vista tutti gli articoli, che trovansi sparsi quà e là secondo l'ordine alfabetico ne' quattro tomi del Dizionario, e di facilitar così la maniera di riscontrarli secondo il vario gusto e l'uopo di ciascheduno. Per distinguere gli Scrittori dagli Artisti, si rimarcherà la qualità dei primi, e si avverte di sottintendersi quella de' secondi col non metter altro di loro che il solo nome. Siccome gl'Inventori occupano un distinto rango nella storia dell'arte, così verrà notato il genere d'ogni loro scoperta. I nomi che trovansi scritti in caratteri corsivi, dinotano gli articoli che si sono adottati dal Dizionario francese di M. Fayolle a differenza di quelli che in grandissimo numero abbiamo nuovamente sopraggiunti, o che quivi in niun modo s'incontrano: il che serve in oltre di prova a quanto si è da noi avanzato nel Discorso preliminare pag. LVI, cioè che infinite sono le omissioni del sullodato dizionario, con ispezialità in riguardo all'Antica Storia della Musica, oltre a molte inesattezze ed errori, che alle volte abbiam rilevati all'occasione in molti de' nostri articoli.
SECOLI INNANZI G. C.
SEC X.
SEC IX.
SEC VIII.
SEC. VII.
SEC. VI.
SEC. V.
SEC. IV.
SEC. III.
SEC. II.
SEC. I.
D'INCERTA ETÀ INNANZI G. C.
ERA VOLGARE, O CRISTIANA.
I. SEC.
II. SEC.
III. SEC.
IV. SEC.
V. SEC.
VI. SEC.
VIII. SEC.
IX. SEC.
X. SEC.
XI. SEC.
XII. SEC.
XIII. SEC.
XIV. SEC.
XV. SEC.
XVI. SEC.
XVII. SEC.
XVIII. SEC.
XIX. SEC.
O CATALOGO RAGIONATO
DE' MIGLIORI TRATTATI DI MUSICA
DISPOSTI SECONDO L'ORDINE DELLE MATERIE,
RELATIVAMENTE ALLA CLASSIFICAZIONE
CHE N'È STATA FATTA
NEL DISCORSO PRELIMINARE
DALLA PAG. V. — XXVI.
DELLA MUSICA CONSIDERATA COME ARTE.
I. TRATTATI ELEMENTARI.
Lustig. Introduzione alla conoscenza della musica. Amsterdam 1754.
Bisch. Explication des principes élémentaires de musique. Charenton 1802.
Tansur. A new musical grammar. London 1790.
Vallo. Compendio elementare di musica specolativo-pratica. Napoli 1804.
Asioli. Principj elementari di musica adottati dal R. Conservatorio di Milano 1811.
II. DIZIONARJ DI MUSICA TEORICA E PRATICA.
Brossard. Dictionnaire de musique. Paris 1703.
Crassineau. Musical Dictionary. London 1740.
Geminiani. Dizionario armonico. Londra 1743.
Rousseau. Dictionnaire de musique. Paris 1768.
Arnold. Dictionary of music. London 1784.
Wolff. Breve Dizionario de' termini tecnici della musica. Halle 1787.
Busby. Dictionary of music. London 1802.
Koch. Dizionario teoretico di musica. Lipsia 1802.
III. MUSICA VOCALE.
Crescentini. Esercizj per la vocalizzazione. Parigi 1811.
Mancini. Pensieri e riflessioni pratiche sopra il canto. Vienna 1774.
Tomeoni. Teoria della musica vocale. Parigi 1799.
Righini. Esercizj per la perfezione nell'arte del canto. 1803
Pellegrini. Grammatica o sieno regole per ben cantare. Roma 1810.
Minoja. Lettere sul canto. Milano 1813.
Boisquet. Essai sur l'art du musicien chanteur. Paris 1813.
IV. STRUMENTALE.
Bach. Saggio sopra la vera maniera di sonar il cembalo con esempj. Lipsia 1787. Opera classica, trad. in francese da Charon.
Assensio. Nuova scuola di ben sonare il piano forte. Palermo 1815.
Tartini. Lettera a Mad. Sirmen, importante a' suonatori di violino. 1770.
Conte di San Raffaele. Lettera intorno ai principj dell'arte del suono del violino. Lett. II sopra le rivoluzioni dell'arte del suono. 1784.
Geminiani. L'arte di sonar di violino. 2. ediz. 1801.
Durieu. Méthode de violon. Paris 1793.
Galeazzi. Elementi teorico-pratici, e dell'arte di sonar il violino. Roma 1791.
Tessarini. Nuovo metodo di sonar di violino. Amsterdam 1761.
Quanz. Méthode pour apprendre à jouer de la flûte. Breslau 1781.
Tromlitz. Dissert. sul flauto e sulla maniera di suonarlo. Lipsia 1790.
Blasio. Nouvelle méthode de clarinette, et raisonnement des instrumens. Paris 1796.
V. RETTORICA E POETICA MUSICALE.
Lacépède. Poétique de la musique. Paris 1785.
Devismes. Pasilogie, ou de la musique considérée comme langue universelle. Paris 1806.
Chabanon. De la musique considérée en elle-même et dans ses rapports avec la parole, les langues, la poésie etc. 3 vol. Paris 1785.
Engel. De la peinture en musique. Berlin 1780.
Baily. Alliance of music, poetry and oratory. London 1790.
Bemetzrieder. Essai sur l'harmonie suivant les règles de la syntaxe et de la rhétorique. Paris 1781.
Webb. Observation on the correspondance between poetry and music. London 1793.
Weber. L'arte poetica di Orazio tradotta da Ramler, con note per i compositori ed i musici, vol. 2. 1806-1810.
Morellet. De l'expression en musique. Paris 1771.
Hiller. Sull'imitazion della natura in musica. Lipsia 1781.
Bonesi. Della misura o divisione de' tempi nella musica e nella poesia. 1806.
Mattei. Della filosofia della musica. 1780.
Beattie. Essay on poetry and music. 1783; trad. in franc. Paris 1798.
Framery. Mémoire sur les Rapports de la musique avec la déclamation. Paris 1802.
VI. SUL VARIO STILE DA CHIESA, DA TEATRO E DA CAMERA
Algarotti. Saggio sopra l'opera in musica. 1770.
Borsa. Saggio sulla musica imitativa teatrale. 1781.
Doni. Della musica scenica e teatrale. Firenze 1763.
Arnaud. Lettre au comte de Caylus. Paris 1754.
Carpani. Le Haydine ec. Milano 1812.
Sacchi. Lettere al conte Riccati ec. 1789.
Raymond. De la musique dans les Eglises, et lettre à M. Millin en Paris 1811.
Riccati. Due lettere al P. Sacchi intorno al grado di eccellenza, al quale è giunta la musica ec. 1769. Lettera al medesimo, dove si paragona l'antica alla moderna musica. Modena 1787.
Schultes. Trattato della musica di chiesa. Livorno 1809.
VII. REGOLE DELLA COMPOSIZIONE O CONTRAPPUNTO.
Marpurg. Trattato della fuga e del contrappunto, trad. in franc. Berlino 2 volumi 1756.
Paolucci. Arte pratica di contrappunto. Venezia 1765.
Martini. Saggi di contrappunto. Bologna 1776.
Manfredini. Regole armoniche. Venezia 1797.
Gervasoni. Scuola della musica in tre parti. Piacenza 1800.
Fux. Gradus ad Parnassum, in fol. 1725; e tradotto in italiano da Aless. Manfredi. Carpi 1761.
Albrechtsberger. Trattato elementare di composizione, in tedesco. Lipsia 1790.
Riepel. Elementi della composizione musicale, e del sistema della misure, in ted. Ratisbona 1754.
—— Spiegazione indispensabile del contrappunto ec. con esempj, in ted. 1768 in fol.
Vallotti. Scienza teorica e pratica della moderna musica. Padova 1779.
Sabbatini. Vera idea delle musicali numeriche segnature. Venezia 1799.
—— Trattato della fuga, 2. vol. in 4º. Venezia 1801.
Rey. Système harmonique etc. Paris 1801.
Choron. Principes de composition des Ecoles d'Italie, 3 volumi in foglio di 1456 rami. Paris 1809. opera classica.
DELLA MUSICA CONSIDERATA COME SCIENZA.
I. ACUSTICA OSSIA SCIENZA DE' SUONI.
Diderot. Lettre sur les sourds et muets, etc. Paris 1751.
Euler. Sur la nature et la propagation du son. Basilée 1727.
—— Tentamen novæ theoriæ musicæ, etc. Petropoli 1738.
Ganterot. Sur la théorie des sons. 1800.
Chladni. Traité d'Acoustique. Paris 1809.
Perolle. Sur les expériences acoustiques de Chladni et de Jacquin. 1799.
—— Recherches physiques sur le son, etc. 1799.
Sauveur. Principes d'acoustique. 1701. 1713.
Suremain. Théorie acoustico-musicale. Paris 1793.
Lagrange. Sulla propagazione del suono. Torino 1759.
Riccati. Delle corde etc. e delle vibrazioni sonore. Verona 1781.
Taylor. Methodus incrementorum directa et inversa. Lond. 1715.
Young. An enquiry into the principal phænomena of sounds and musical strings. Dublin 1784.
II. SISTEMI, E TEORIE MUSICO-MATTEMATICHE.
Estève. Nouvelle découverte du principe de l'harmonie. 1751.
Lalande. Principes de la science de l'harmonie et de l'art de la musique. 1751.
Montù. Numerazione armonica per ispiegare le leggi dell'armonia. 1809.
Rameau. Nouveau Système de musique théorique, etc. 1737.
Barca. Introduzione ad una nuova teoria di musica. Padova 1786.
Alembert. Elémens de musique théorique et pratique. Lyon 1779.
Romieu. Nouvelle découverte des sons harmoniques graves, etc. 1753.
Tartini. Trattato di musica secondo la vera scienza dell'armonia. Padova 1751.
Kirnberger. Principj dell'uso dell'armonia; e l'arte della composizione pura, secondo positivi principj, con esempj. 1776 in tedesco.
Klein. Saggio d'instruzione sistematica della musica. 1783 in tedesco.
Lasalette. Considérations sur les différens systèmes etc. Paris 1811.
Mercadier. Nouveau système de musique. Paris 1776.
Eximeno. Dell'Origine, e delle regole della musica. Roma 1774.
III. SOPRA LA COSTRUZIONE DEGLI STRUMENTI DI MUSICA E LORO TEMPERAMENTO, COME DE' TEATRI.
Antegnati. Arte organica per accordare ogni sorta di strumenti. Brescia 1608.
Adlung. Istruzione sulla costruzione degli organi con addizioni di F. Agricola maestro della corte di Prussia, con fig. 1768.
Bedos. L'art du facteur des orgues, 4 vol. in fog. Paris 1778. Classico.
Kirnberger. Costruzione della temperatura equilibrata, in ted. 1760.
Sorge. Istruzione per accordar gli organi e i cembali. Amburgo 1744.
—— Esame de' temperamenti del cembalo di Schroeter, 1754.
—— Istruzione nei principj del calcolo e della geometria per i costruttori d'organi. 1773.
Marpurg. Saggio sul temperamento in musica. Breslav. 1776.
Rhodes. Teoria della propagazione del suono per gli architetti, in ted. Berlino 1800.
Vitruvio. Suo trattato latino di architettura con i comentarj di Valla, Dan. Barbaro, Perrault, Galiani ec.
Saunders. Treatise on theatres including some experiments on sound, London 1790 in 4.
Milizia. Trattato completo formale e materiale del teatro, Venezia 1794.
ERUDIZIONE MUSICALE
I. STORIA GENERALE
Blainville. Histoire générale, critique et philologique de la musique. Paris 1765.
Bontempi. Storia della musica. Parigi 1695.
Burney. History of music from the earliest ages to the present period, 4 vol. in 4º. London 1788.
Hawkins. A general history of music, 5 vol. in 4º. London 1776.
Forkel. Storia generale della Musica in ted. 2 vol. in 4º. Lipsia 1802.
Martini. Storia della musica, 3 vol. in 4º. Bologna.
Kalkbrenner. Histoire de la musique, 2 vol. in 8º. Paris 1802.
II. STORIA DELLA MUSICA PARTICOLARE DI ALCUNE NAZIONI.
Girault. Lettre sur la musique des Hebreux. Paris 1810.
Herbin. Sur la musique ancienne. Paris 1806.
Bettoni. Della musica degli ebrei a' tempi di David, ec. Bergamo 1786.
Goulley. Sur les anciens poètes de Sicile et sur l'origine des instrumens à vent, nel vol. 5 delle Memor. delle Iscriz.
Requeno. Saggi storici dell'arte armonica de' Greci e Romani Cantori, 2 vol. in 8º. Parma 1797.
Passeri. De musica veterum Etruscorum. Romæ 1770.
Jones. Musical and poetical Relicks of the Welsh Bards. London 1786.
Cesarotti. Della musica de' Caledonj, nel Ragion. prel. alla sua traduzione di Ossian, t. 1. Bassano 1795.
Klockenbring. Sullo stato della musica ne' paesi nuovamente scoverti nel mare del Sud. 1787.
Desmarchais. Sur la musique et les instrumens du royaume de Juida en Afrique, nel 3º vol. di Mitzler.
Fortis. Della musica de' Morlacchi. Venezia. 1777.
Pigeon. Mémoire sur la musique des Arabes. 1790.
Arnot. De la musique des Chinois et leurs instrumens, dans le 6. vol. des Mémoires sur ce peuple par M. l'Abbé Roussier. Paris 1780.
Roquefort. Sur la musique et les instrumens des Français depuis le IX siècle jusqu'au XVII. Paris 1880.
Toderini. Della musica de' turchi, nel 1. t. della sua letteratura turchesca. Venezia 1787.
III. BIBLIOGRAFIA E LETTERATURA MUSICA.
Ebeling. Saggio sulla formazione d'una biblioteca di musica. 1784.
Forkel. Biblioteca musico-critica, 3 vol. in 8º. 1778.
—— Letteratura generale della musica, ossia instruzione per conoscere i libri di musica in tutte le lingue. 1804.
Burney. Present state of music in France and Italy, and Germany, 3 vol. in 8º. London 1778.
Eschtruth. Principj della musica trascendente ove si tratta della letteratura e dell' espressione della musica. 1789.
Marpurg. Memorie storiche, critiche per servire a' progressi nella musica, 3 vol. in 8º. 1752.
Martinelli. Lettere critiche sulla musica, Londra 1762. 2 volumi.
Collier. Musical Travels. London in 12º 1790.
Gruber. Letteratura della musica, o istruzione per conoscere i migliori libri di musica, in 8º. 1783.
Laugier. Sentimens d'un harmoniphile sur différens ouvrages de musique. Lyon 1756.
Legipons. Dissertationes philologico-bibliographicæ de adornandâ musices bibliothecâ. Verona, in 4º 1746.
Walther. Lexicon, o Biblioteca di musica. Lipsia 1732.
Gerber. Dizionario storico di musica. Lipsia 1790.
Mensel. Dizionario degli artisti alemanni. 1787.
Mitzler. Biblioteca di musica in ted. 3 vol. in 4º 1754.
Moret. Dictionnaire raisonné, ou histoire générale de la musique et de la lutherie, 13 vol. in 8º. 1775.
Choron et Fayolle. Dictionnaire historique des Musiciens, tom. 2, in 8º. Paris 1811.
IV. CONSIDERAZIONI FILOSOFICHE SULLA MUSICA.
Dubos. Réflexions critiques sur la poésie, sur la peinture et sur la musique, 3 vol. in 12º. 1770.
Batteux. Principes de la littérature etc. de la musique et de la dance, 5 vol. 1775.
Bettinelli. Dell'entusiasmo delle belle arti. Venezia 1801.
Borsa. Saggio sulla musica imitativa. 1781.
Arteaga. Rivoluzioni del teatro musicale italiano ec. 3 tom. Ven. 1785.
Kausch. Riflessioni psicologiche sull'influenza de' suoni, e particolarmente della musica sulle affezioni dell'anima. 1782.
Hiller. Sull'imitazione della natura in musica. 1760.
Schulz. Idee sull'influenza della musica per rapporto alla civilizzazione delle nazioni. Copenague 1790.
Planelli. Dell'opera in musica. Napoli 1772.
V. DELL'USO DELLA MUSICA IN MEDICINA.
Gaspar. De arte medendi apud priscos musices ope. Lond. 1783.
Desbout. Ragionamento fisico sopra l'effetto della musica nelle malattie nervose. Livorno 1780.
Desessarts. Mémoire sur la musique dans les maladies. Paris 1813.
Van-Swieten. De musicæ in medicinam influxu, atque utilitate. Leida 1773.
Mojon. Memoria sull'utilità della musica, sì nello stato di salute, come in quello di malattia. Genova 1802.
Lichtenthal. Dell'influenza della musica sul corpo umano, e del suo uso in certe malattie. Milano 1611.
Nicolai. Sull'unione della musica con la medicina. 1745.
POEMI SULLA MUSICA.
Boileau. Dialogue. La Poésie et la Musique.
Delille. Poème sur l'Imagination: Ch. V de l'Harmonie.
Dryden. Ode on the power of harmony.
Dorat. De la déclamation théâtrale, Ch. III des Opéra en musique.
Gesner. L'invention de la lyre et du chant; Idylle.
Mozza. Ode e sonetti sull'armonia.
Pope. Ode on the Music.
Marmontel. Poème de la musique.
Fraguier. Schola Platonico-Musica.
Rubbi. Sonetti sull'armonia.
Rosa. Satira contro i musici.
Seré. Poème didactique sur la musique en 4 chants.
Yriarte. La musica: Poema didattico in lingua spagnuola.
COLLEZIONI DI AUTORI DI MUSICA.
Meibomio. Antiquæ Musicæ Græci scriptores septem. Amstelodami 2 vol. in 4º 1652.
Wallis. Ptolemei Harmonica cum Comment. Porphyrii græce ac lat. cum adnot. Oxonii 1699.
Gerbert. Scriptores Ecclesiastici, de Musicâ Sacrâ ex variis. Ital. Gall. et German. Codd. MS. nunc primum editi. Paris 1774.
Hertel. Raccolta di scritti sulla musica, in ted. 1758.
Fine del quarto, ed ultimo tomo.
PAGINA | ERRORI | CORREZIONI |
---|---|---|
2. | Sabbati | Sabbatini |
8. | e la di lui | e che la di lui |
21. | guoco | gioco |
40. | cognitione | cognatione |
41. | venggonsi | veggonsi |
69. | un non previsto cidente | un non previsto accidente |
81. | certo non avrebbe | certo non avverrebbe |
95. | dagl'intendenli | dagl'intendenti |
ivi. | Il suo slile | Il suo stile |
97. | A philosophicol | A philosophical |
129. | di Estitica musicale | di Estetica musicale |
142. | nell'aste | nell'arte |
NE' SUPPLEMENTI. | ||
1. | discrizione | descrizione |
5. | compesitore | compositore |
7. | Madena | Modena |
16. | non mancano | ne mancano |
21. | Tenevale | tenevane |
23. | Cretentes | Cretenses |
30. | celebre | celebri |
38. | aritisti | artisti |
47. | e vanne | e venne |
54. | de la verification | de la versification |
Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le grafie alternative (armonia/armonìa/armonía, qui/quì, Copenhague/ Coppenhague/ Coppenague/ Koppenhagen e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate dall'Autore a fine libro sono state riportate nel testo.
Per comodità di consultazione un indice schematico è stato inserito all'inizio del volume.
Sono stati corretti i seguenti refusi (tra parentesi il testo originale):
29 — | Say (Samuele), ecclesiastico [acclesiastico] |
46 — | suo nome, nello scorso [corso] sec. |
48 — | secondo l'ab. Gerbert [Gerbest] egli viveva |
78 — | prima dell'era cristiana [cristiaca] |
116 — | più energica; avvegnachè [avvengnachè] |
s-61 — | che manoscritta conservasi [conservarsi] nella |