Title: Rimatori siculo-toscani del dugento. Serie prima - Pistoiesi-Lucchesi-Pisani
Editor: Guido Zaccagnini
Amos Parducci
Release date: March 24, 2012 [eBook #39239]
Language: Italian
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SCRITTORI D'ITALIA
RIMATORI SICULO-TOSCANI
DEL DUGENTO
I
SERIE PRIMA
PISTOIESI - LUCCHESI - PISANI
A CURA DI
GUIDO ZACCAGNINI e AMOS PARDUCCI
BARI
GIUS. LATERZA & FIGLI
TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI
1915
PROPRIETÁ LETTERARIA
OTTOBRE MCMXV — 12670
A CURA
DI
GUIDO ZACCAGNINI
Amore non è cagione di pene, ma di gioia.
Nella donna, piú che la beltá, è da stimare la saggezza.
Fra i tormenti d'Amore si rallegra, pensando alla virtú della sua donna.
A fra Guittone
Se possiamo spegnere gli stimoli della generazione, non astenendoci dal bere e dal mangiare.
Al medesimo
Tornato di Francia, espone le sue miserie.
Al medesimo
Se Dio possa usare misericordia verso di lui peccatore.
Onesto e savio religioso frate Guittone, Meo Abracciavacca. A ciò che piú vi piace e' son sempre con volontá di servire.
S'amore crea solo di piacere, e piacere solo di bono, temo di convenire a vostra contanza, perché non è fòr d'amore amistate, ned amore fòr simile di vertú infra li amici. Mò, sostenendo veritá, conoscenza e bono desio, sono costretto a desiderare per ragione; unde conforto che 'l sano di voi gusto sosterrà lo mio amaro cibo: ché non fôra benignitá scifare bono volere d'alcuno che l'have in servire, ma pare dirittura di sovenire a colui che si vòle apressare a quello che porge e sovene a privadi e a strangi. Perciò vi dimando che sia brunito lo mio ruginoso sentore de la quistione di sotto per sonetto hovvi scritto. [12]
Al medesimo
Sul medesimo argomento.
Onesto e savio religioso frate Guittone, lo Meo Abracciavacca, ch'è vostro, vi si racomanda.
Se veritá cannoscenza sostene e bono amore, convene che ogni fine elezione da canoscenza mova ed amore lo confermi. Dunque, se, per vera dimostranza di bono, sento me apriso d'amore, e poi diletto disiando servir e veder voi, non meraviglio, ma laudo, conoscendo ciò ch'amare ed elegere si dee in esta parte, e purificando e sanando. Amore, non in ozio, ma in continua operazione regna. E quinde intendo vostra benignitá, sovenendo e svegliando me, ne la grave e fortunosa aversitade, in gioia alcuna, di che fue alquanto brunita la ruginosa mia intenzione. Ora sperando sanare la mente in veritá, mò vo' dimando risposta di fina sentenzia di ciò ch'i' ho dubbio, mandandolovi dichiarando per lo sonetto di sotto scritto. Consimil è la lettera e 'l sonetto a l'autro in sentenzia, ma non in voce. [13]
A Bindo d'Alessio Donati
Rimprovera l'amico d'essersi perduto in vizi carnali.
Amico Bindo, Meo Abracciavacca ciò che piú ti sia bono.
L'amistá fredda, celata d'amici lungiament'è veduta: però convene ad essa socorso di parole, almeno visitazione. Unde pesamevi non poco non di tuo stato inteso per te alcuna cosa, e ponderosa via piú mi grava odita quasi di pubrica voce non bene aconcia in tuo pregio. Di che bono comincio torna, per sentenzia di troppo avacciata natura, lá dove pregio montato avalla, poi suo podere nol sostene. Di che fôra minore assai male no aver cominciato che partir di bono comincio. Ché rasa scrittura di carta peggio poi loco si scrive, e cosí pregio istinto nel core peggio ralluma. Ahi come pare laido ditto, dicendo: — Quei fu giá bono! — Ahi, carnal desiderio, quanti nobili e grandi hai nabissati! Forsi sembrati scusa s'avete vinto? No, ma defensione piú laude porta. Onne operazione vòle misura, e fòr d'essa vizio si trova; e quanto meno ende fori, meno have vizio podere. Donque, se misurare omo non puote volontá carnale, apressi [14] quanto pote a misora. E se mi dici: — Gioventute forte m'asaglie, — dico: — Difendi con ragion vecchia c'hai. — Ché gioventude s'intende in due modi: quanto al tempo e quanto in costumi. E, se ragione loco resistere non pote, fuggi, ché fuggire s'intende prodezza, lá dove convene.
Se pronto ti pare mio detto, reputane d'ira furore; e, se ti piace, mi scrive quello che la tua coscienza giudica di te dirittamente, e al sonetto di sotto risponde con paraule e con operazione.
A Dotto Reali
Come mai l'anima, che è formata da Dio, possa essere sopraffatta da altre cure[1].
Al medesimo
Si lamenta che gli sia stato risposto oscuramente circa la questione esposta nel sonetto che precede.
Messer Dotto frate, Meo Abracciavacca salute di bono amore.
Da lume chiaro di natura prende scuro, e non da scuro chiaro lume, perché nond'abisogna vostro mandato. Credo che assai prova intelletto vostra operazione; perciò temendo parlo. Dico che ogni opera umana solo da volontá di posa move, e mai per omo in esto mondo non trovare si pò; e ciò è la cagione che [16] 'l core non si contenta. Poi dico che ogn'altra criatura naturalmente in esto mondo tanto trova sua posa; e, se omo maggiormente nobile creatura fo formato, come non sovra l'autre criature have perfezione di posa avere? Nente ragion lo vòle che lo 'ntelletto posi ned aggia affetto u' non è sua natura, e ch'elli non è creato come corpo si crea in esso loco; ma have del sommo e perfetto compimento, cusí pur di ragione altra vita intendo, ove intelletto posi e sia perfetto. E voi, intendo, siete omo razionale, ch'avete presa via di ritornar al perfetto principio per fina conoscenza. Se volontate varia per istati diversi, non vari operazione d'avere verace spera, venendo a fine fine. In ciò che mandasteme lettera e sonetto, perché risposta avete di mio sentire, rispondo; e, se vostra intenzione non si pagasse, riputatene il poco saver mio, che volontá pur aggio di sodisfare ad onne piacer bono: per compimento volontá prendete. A frate Gaddo e a Finfo, come imponesteme, il mostrai e diei scritto.
A Monte d'Andrea
Eviti le pene d'amore, mutando luogo.
Amore gli renda più pietosa la sua donna.
A Geri Giannini da Pisa.
Si compiace dell'amicizia offertagli da Geri.
Prega Dio che lo liberi dal dolore che l'affanna.
Si duole con Amore che la sua donna, da benigna, sia ora diventata con lui crudele.
Adducendo il triste esempio di se medesimo, che, senza saper perché, fu abbandonato dalla sua donna, esorta chi voglia aver ricompensa del proprio amore, di scegliere una donna piacente e saggia.
È combattuto dalla necessità di partire e dal dolore di dover lasciare la sua donna.
Esorta il re d'Aragona a prepararsi a difendersi dal re di Francia.
Ricorda a un uomo, superbo della sua ricchezza, l'instabilità della fortuna.
Risveglio doloroso.
Amore gli dona in sogno un fiore della sua donna.
Amore manifesti alla sua donna le sue pene.
Amara delusione.
Lamenta l'avversa fortuna che gli fa fare sempre il contrario di quel che vorrebbe.
Vicende di fortuna.
Coscienza netta non cura farneticar di gente.
I
MEO ABBRACCIAVACCA
Meo di Abbracciavacca di Guidotto de' Ranghiatici pare che appartenesse a una famiglia di cambiatori pistoiesi, perché tale fu suo padre, che fu console dei cambiatori nel 1237, e un suo figlio, Forese, fu nel 1304 nella banca degli Ammannati. Suo padre, e forse altri della sua famiglia, furono di parte ghibellina. Meo visse assai a lungo, perché era ancora vivo nel dicembre del 1300, quando, in un atto notarile di quell'anno un altro suo figlio, Iacopo, è detto: «Dominus Pucius (Iacobuccius) Bargomei (sic) Abraciavache de Pistorio» (vedi nei miei Rimatori pistoiesi, p. XLIV e sgg., negli Studi e ricerche di antica storia letteraria pistoiese, nel Bull. stor. pist., XII, 38 sgg., e in Per la storia letteraria del sec. XIII nel Libro e la stampa, VI, 78-79).
È dunque un vero fossile della maniera guittoniana, perché forse poetava ancora dietro le orme del dittatore, quando giá in Pistoia si udivano le dolci note della poesia di Cino. È il piú arido e il piú oscuro dei rimatori del gruppo pistoiese. Egli si aggira sempre nel circolo delle idee della poesia cortigiana; riproduce, piú o meno fedelmente, concetti e forme provenzali, che abbiamo udite le mille volte in altri poeti del suo tempo o a lui di poco anteriori; adopera tutti gli artifizi della scuola, come le rimalmezzo, le rime imperfette, spezzate, equivoche, i sonetti a dialogo, i sonetti con due [36] sole rime ed altre consimili preziositá; e soprattutto è oscuro, pesantemente oscuro, tanto da rivaleggiare in questo col piú oscuro dei guittoniani, Panuccio del Bagno. Di questo rimatore specialmente e di fra Guittone d'Arezzo si mostra caldissimo ammiratore e imitatore: del primo infatti rimaneggiò una canzone: «Di sí alta valenza ha signoria», in quella sua: «Considerando l'altèra valenza»; col secondo tenzonò su vari argomenti, e a lui diresse tre epistole in prosa. Se mai qualche peculiaritá si voglia trovare in questo oscuro e faticoso rimatore, è, a mio parere, l'esagerazione dei difetti della scuola, e l'imitazione cosí pedissequa de' provenzali, da non muovere un passo nelle canzoni, se non dietro le orme di quelli; cosicché si avvertono facilmente, or qua or lá, imitazioni da Bernardo di Ventadorn, da Peirol, da Gaucelm Faidit, da Peire Vidal, da Blacasset e da altri ancora.
Il testo delle poesie dell'A. è condotto sull'edizione che giá ne feci nel 1907 nei Rimatori pistoiesi, e quindi sul Laurenziano-Rediano (L), e per la canz. III anche sul Palatino 418 (P): l'ho migliorato in alcuni punti, giovandomi delle osservazioni che mi furono fatte da coloro che ebbero occasione di recensire il mio lavoro, e adattandolo alle norme stabilite per questa collezione.
E ciò s'intenda detto di tutta questa edizione dei Rimatori pistoiesi[2].
Canz. I, v. 3. Veramente L ha «d'esto mondo»; ma mi sembra che qui «mondo» non significhi nulla. Credo che voglia dire: «Spesso ho pensato di tacere, abbandonando il proposito di parlarne in questo modo».
v. 28. L, veramente, ha «pena»; ma di questa lezione non riesco a persuadermi. Intendo: «Non è colpa intera d'amore, ma d'odio».
v. 31: «ad esso». Cosí credo debba sciogliersi «adesso» di L, riferendo «esso» a «piacere».
v. 31. Il Casini, nell'ediz. diplomatica che fece del Laurenziano-Rediano 9, lesse «fa legge»; ma, oltreché codesta frase non dá un senso soddisfacente, è proprio scritto «s'alegge».
v. 57. «Con so» manca in L; ma giustamente ve lo aggiunse il Casini. [37]
v. 61. «dobblanza». Cosí correggo la mia edizione, poiché mi pare che in tal modo corra meglio il senso, e perché anche nella seguente canzone al v. 35 si dice: «Dunque dobblanza tenete in sentire». Vuol dire: «Mi pesa anche il dubitare (dobblanza = dubitanza, dubbio) di ciò».
Canz. II, v. 11. «Prendendo» ha L; ma non dá alcun senso, quindi bene il Gaspary lesse «prendono».
v. 15. L ha «per servire»; ma, poiché ogni strofa incomincia riprendendo le ultime parole della strofa precedente, è certo che qui si deve leggere «star servidore».
v. 55. Il Nannucci volle leggere «torte», e intese che fosse un avverbio «a torto»; ma, oltreché codesta sarebbe una forma inconsueta, è da credersi che si debba sciogliere in «tort'è», anche perché l'Abbracciavacca prediligeva queste rime imperfette.
v. 57. L ha «porea»; ma, poiché la strofe precedente termina con «poría», per la sopraddetta ragione deve leggersi «poría».
v. 65. Nella ediz. del 1907 scrissi «né voi»: ma deve correggersi, com'é in L, «né in voi».
Canz. III, v. 3. Il Biadene, che già pubblicò questa canzone, unisce «pensero» con «piager» del v. 2 e ne forma un concetto solo, quello di «piacevole pensiero»: credo invece di dover togliere l'«e» dopo «beltate» e la virgola che avevo posta dopo «pensiero», e cosí piú facilmente si può intendere: «Lo pensiero soviemmi», cioè «mi torna in mente».
v. 19: «non deggi'». Ho aggiunto l'«i» per ragioni fonetiche.
v. 29: «ch'è». Io stesso nella mia vecchia edizione ed anche il Biadene abbiamo lasciato «che»; ma certo è meglio intendere cosí: «Poiché è provato, cioè si è visto, che sotto viso dolce si nasconde cuore amaro, allora non si cela piú...».
v. 39: «ragione». Cosí scrivo, seguendo il Biadene ed L, sebbene P abbia «rasone».
v. 42: «bassenza». Cosí correggo «bassansa» di P., seguendo, per ragioni di rima, L.
Son. I, v. 2: «e luxuria». Nella mia precedente edizione avevo creduto aggiungere un «è» innanzi a «luxuria»: ma la risposta di fra Guittone fa presupporre una triplice necessità affermata dall'Abbracciavacca.
Lettera I a Fra Guittone. È in L.
Son. III, v. 4: «Ed eo». Cosí è in L, e non «ecco», come errando lesse il Bottari (Lettere di fra Guittone d'Arezzo, Roma, 1745, p. 76).
v. 7: «Regno»: non «segno», come avevo creduto di leggere, per aver un senso più chiaro, nell'ediz. del 1907. «Regno» dice veramente L.
Lettera II a Fra Guittone. È in L, da cui la riproduco. Fu già pubblicata dal Bottari (Lettere citt., p. 77).
Son. IV, prima terzina. Com'è in L, questa terzina non dà senso. L'ho rabberciata, sciogliendo il «che» in «ch'è» nel primo verso e aggiungendo la congiunzione «e» nel terzo. Il senso allora corre spedito: «Me ne [38] scoraggio, perché anche la giustizia di Dio è senza difetto. Vorrei sapere come misericordia chiede contro di essa al vero Dio o mi dà la salvazione dell'anima».
Lettera a Bindo di Alessio Donati. È in L, da cui la traggo, correggendo l'ediz. cit. del Bottari.
Son. V, v. 8: «unde». Cosí ha L, non «onde», come lesse erroneamente il Bottari.
v. 12: Tolgo l'«e», che avevo creduto di aggiungere, ma che non è in L, e sciolgo il «perché» in «per che». Leggo quindi «per che è», giacché nel ms. è anche questo «è».
v. 13: «animai». Veramente L ha «animali»; ma in tal modo non tornerebbe più il verso.
Son. VI, v. 12: «S'è per». Attenendomi ad L, correggo cosí la mia antica edizione, e il senso è chiaro: «Se è per colpa della fattura del corpo che contiene l'anima».
Lettera a Dotto Reali. È in L. La riproduco dall'edizione che ne ha data il Monaci nella Crestomazia del primo secolo della lingua, con lievissime modificazioni grafiche.
Son. VII, v. 4: «volere». L ha «voler»; ma, per necessità di verso, ho aggiunta un «e» finale.
v. 8: «ten». Cosí ha L, e non «tien», come, rabberciando, lesse il Bottari.
v. 14: «di lod'agi'altura». Il Bottari: «di loda gialtura».
Son. VIII. Nell'altra mia ediz. ho invertito l'ordine dei vv. 11-2 e 13-4, perché lo schema di questo son. corrispondesse a quello di Monte Andrea: «Languisce il meo spirto», di cui è risposta a rime obbligate; ma le giuste osservazioni, che altri mi ha fatte, m'inducono a rimaner fedele a L, anche perché mi sembra che ci si guadagni di chiarezza.
v. 13: «Monte». Mi pare che qui si tratti del vocativo di Monte Andrea. Infatti non è presumibile che il rimatore abbia voluto far rimare con «monte» del v. 10 proprio la stessa parola nel medesimo significato. Intendo: «Chè non v'è buono che possa dire: — Io discendo a valle, perché sento, o Monte, che vi posso trovare luogo fermo. — Né cavalieri, né baroni, né conti, né re possono dire ciò».
Son. IX, v. 10. Tolgo il «via», che avevo messo nella precedente ediz., perché, oltre che non necessario pel senso, non è in L.
v. 14: «dará li cura». Non occorre allontanarsi da L, che ha «dara li cura», per render piú chiaro il senso e cambiare «li» in «la», come feci nell'ediz. del 1907. Ma, prendendo «li» come pleonasmo, il senso corre assai bene.
II
SI. GUI. DA PISTOIA
Nonostante le piú diligenti ricerche, non ho potuto rintracciare chi mai sia questo antico rimatore: forse è Simbuono o Siribuono giudice, da Pistoia, a cui qualche cod. attribuisce due canzoni: «Spesso di gioia nasce ed incomenza» e «S'eo per cantar potesse convertire?». Certo è che il nome di Siribuono non è raro nei documenti pistoiesi.
I due sonetti sono nel Laurenziano-Rediano 9.
Son. I, v. 2: «el me' piace». Correggo la mia vecchia ediz., attenendomi ad L e intendendo: «Ciò che mi piace [il mio piacere] t'assegna me e il mio».
Son. II, v. 2. Mi attengo fedelmente ad L, correggendo la mia ediz.
vv. 1-5. Anche qui credo che bisogni attenersi ad L, perché chiaro corre il senso: «Perché, Iddio, ti compiacesti di donarmi gioia con ogni bene?».
III
LEMMO ORLANDI
Lemmo di Giovanni d'Orlando appartenne a famiglia popolana pistoiese derivata da Carmignano, castello che i pistoiesi avevano tolto ai fiorentini. Nacque da un Giovanni di Rolando di Oddo intorno al 1260. Nel 1283 condusse in moglie una certa Sobilia, da cui ebbe due figli, Vanni e Frosina. Fu, a quel che pare, a Bologna con alcuni mercanti, per la maggior parte toscani, nel 1284. Morí, poco più che trentenne, non molto prima del 6 gennaio 1294 (v. i miei Rimatori, p. LV sgg. e Per la storia letter. del secolo XIII, nel Libro e la stampa, VI, fasc, IV e VI).
Assai meno oscuro e artificioso di Meo Abbracciavacca, egli, pur ritenendo ancora della scoria guittoniana, provenzaleggia talvolta; ma si fa piú chiaro, meno prezioso. Delle sue rime deve esser piaciuta assai a' suoi tempi la cobbola «Lontana dimoranza», [40] e ciò prova non solo il fatto che non son pochi i codici che la contengono, ma l'averla messa in musica Casella. Le due prime canzoni sono nel Laurenziano-Rediano 9, la terza è nel Vaticano 3214 e nel Riccardiano 2846.
Canz. I, vv. 2-4: «fa'» e «ha'». Cosí interpetro, poiché è certo che in tutta la strofa il poeta parla in seconda persona ad Amore.
v. 13: «e'». Ho aggiunto l'apostrofo, perché è qui molto naturale questo «e'» = «egli» pleonastico.
v. 20. Pongo un punto e virgola dopo «mei» e muto il «che» in «ché», perché è certo che il senso cosí corre meglio.
v. 34: «com'». Muto pel senso il «con» di L in «com'».
v. 39. Com'è in L, il verso è falso: «Movet'ormai a merzede».
v. 48: «fior' e di nobeltate». Cosí L, e, anche per cagione di senso, mi attengo a questo codice.
Canz. II, vv. 34-5. Ho adottata la punteggiatura del Valeriani, perché in tal modo il v. 34 spiega come «sua vista era cangiata» verso di lui.
v. 56: «n'ha dato lei». Cosí ha L, e cosí credo si debba leggere, e non «n'ha dato a me», come posi nella mia antica ediz., tratto in errore dal Valeriani, che aveva rabberciato il passo con un «m'ha dato».
v. 61: «Ché grave 'n lui». Pongo dinanzi a «lui» un «'n», che è in L e che avevo soppresso nella mia precedente edizione.
Canz. III, v. 10. Per questo verso adotto, sebbene non sia nei codici, la buona lezione data dal Nannucci nel suo Manuale.
v. 14: «dolere». Cosí deve certamente leggersi per necessità di rima.
IV
PAOLO LANFRANCHI
Un Paolo Lanfranchi da Pistoia, che è certamente il rimatore, perché nessun altro di questo nome apparisce in documenti pistoiesi, fu dal febbraio all'ottobre del 1282 a Bologna; vi era ancora il 21 gennaio del 1283 (v. il mio art. cit. nel Libro e la stampa, p. 144). Di lá, molto probabilmente, visitò insieme con Guiraut Riquier e Folquet de Lunel la corte di Pietro III d'Aragona nel 1283 o nel 1284. Alla corte di quel re, e precisamente fra il 1283 e il 1285, anno in cui morí Pietro III, scrisse il sonetto in provenzale: Valentz segneur. Piú tardi, dalla Spagna fece ritorno in Pistoia, donde fu bandito per violenze private nel 1291 (v. i miei [41] citt. Studi e ricerche, estr. dal Bull. stor. pist., XII, 44). Pare che fosse ancora a Bologna nel 1295 (v. nel Libro e la stampa, nell'Appendice). Appartenne a una famiglia di mercanti.
Degno di particolare attenzione è il suo sonetto provenzale, perché esso e i due di Dante da Maiano, sono i soli che si abbiano in quella lingua.
Nelle poesie italiane rifugge dagli artifici, e fa versi facili e talvolta anche armoniosi. Nel son. «Un nobel e gentile imaginare» si sente sincero, sebbene crudo, il realismo della poesia popolare. Qualche sonetto è di argomento politico: pare che vi si alluda alla caduta della fortuna di Carlo d'Angiò: cosicché da questi suoi versi sembrerebbe che il Lanfranchi fosse stato di parte ghibellina.
Il sonetto provenzale è nel Laurenziano XLI, 42 (L), i sonetti italiani sono nel Barberiniano XLV, 47 (oggi Vaticano 3953) (B) e due nell'Estense X, B, 10 (E).
Son. II, v. 2: «gira e volge». Correggo cosí la mia antica ediz., mantenendomi fedele a B.
v. 5. Credo bene attenermi a B, abbandonando la lezione data dal Baudi de Vesme, che per il primo stampò questi sonetti: soltanto tolgo il «che» di B dinanzi a «tu 'l sai», e pongo «ora» e non «or» per necessità di verso.
v. 7. Anche qui mi attengo a B, che dá un senso piú chiaro della lezione da me seguita nella precedente edizione.
Son. III, v. 8. Veramente B ha «fa de mio amore, eo»: ma credo che, dividendo opportunamente, si debba leggere «de mi, o amore», e, correggendo la forma veneta «de mi» in «di me», venga fuori la lezione semplice e chiara «fa' di me, o Amor, ciò».
Son. IV, v. 10. Come è nel ms., il verso manca d'una sillaba: per compierlo v'aggiungo il «si» innanzi a «sta».
Son. VI, v. 2. Tolgo il «de», che avevo creduto di aggiungere in principio del verso, come non necessario.
v. 12: «con te». Veramente B ha «cum ti», che è forma veneta (si ricordi che quel codice fu scritto da Niccolò de Rossi trivigiano), la quale agevolmente si può correggere in «con te».
Son. VII, v. 3: «no el ghiaccio». Cosí mi permetto di correggere leggermente B, per ottenere la misura del verso.
v. 11: «transformormi». Cosí correggo, accettando la proposta fatta nella sua recensione alla mia ediz. dal De Geronimo; intendendo come egli dice: «Dio e la natura erano irati, quando mi crearono e mi fecer diverso da ogni creatura».
v. 12. Anche qui accetto la spiegazione del De Geronimo: «Il rimatore, indispettito che Dio e la natura l'abbiano forse creato, in un momento [42] d'ira — Il loro — ei dice — quel ch'essi poteano non gittarono in egual misura di quel ch'io possa gettar via, e l'anima, che mi dettero chiara e pura, non la riavranno essi giammai». —
Son. VIII, v. 4: «nota». Sospetto che debba dire «rota», cioè s'affatica seguendo il girare della ruota per arrivare al sommo di essa.
V
MEO DI BUGNO
Pare sia stato figlio di un Bugno di Napoleone, che nel 1284 fu bandito da Pistoia e che, tornato dall'esilio, fu nel 1287 del Consiglio del popolo per il quartiere di Porta S. Andrea; e credo sia proprio l'antico rimatore quel «Muccius (o Bartromuccius) filius Bugni Napoleonis», che il 21 marzo 1282 fu condannato per essere entrato a viva forza in una casa in Ripalta (v. i Rimatori, pp. LXVI-LXVIII e gli Studi e ricerche, pp. 40-41).
Il suo unico sonetto ha qualche sapore di poesia popolare: è un sonetto di «noia» e vi si lamenta delle sue disavventure. È nel Barber. XLV, 47, oggi Vaticano 3953 (B) e nel R. Archivio di Stato di Venezia, Deliberazioni del Maggior Consiglio, Comune I. Io mi sono attenuto a B., correggendo il testo dato dal Gualandi (Accenni alle origini della lingua e della prosa italiana, p. 17).
adastare — stare, rimanere.
adesso — subito (prov. ades).
adistato — eccitato.
aggio — ho.
aigua — acqua.
aldo — audo, odo (lat. audio).
alegge (s') — elegge (s').
alungi — allunghi, allontani (prov. alonger).
apprisa — presa.
asaggio — saggio, assaggiamento.
asizo — posto (prov. asiz).
asseduto — assediato.
attessa — affanno, tormento.
autro — altro.
avallo — cado in valle, m'abbasso, mi scoraggio.
avegna — avvenga.
aviso — avviso, opinione; dico di aviso — cosí mi sembra.
barnaggio — baronaggio, signoria.
bassenza — bassezza.
caggiuto — caduto.
certanza — certezza.
cherere — chiedere (lat. quaerere).
chero (sost.) — domanda.
chi, chine — che.
clamare — chiamare (lat. clamare).
clero — chiaro; cosa clera — il viso dell'amata.
coi — cuoi.
comando (sost.) — chi comanda (l'astratto per il concreto).
como — come.
compagna — compagnia.
coraggio — cuore (prov. coratge).
coral — che viene dal cuore (agg. da core).
corneggiato — colpito con le corna.
crudero — crudele.
desirare — desiderare (prov. dezirer).
dimoranza — dimora.
dimostranza — dimostrazione.
disacquista — perde ciò che aveva acquistato.
disdetto — ritrattazione.
diservire — mal servire.
disfallo — libero dal fallo commesso.
dispero (sost.) — disperazione.
doblata — raddoppiata (prov. doblar).
dobblanza — doppiezza, infingimento, incertezza.
dolze (agg.) — dolce.
dota — dote. Al v. 8 del son. III del Lanfranchi: «e d'ogni estremitá li dá sua dota», intenderei: «ad essa (la ruota della fortuna) regala («li dá sua dota») ogni estremo male».
dra — contrazione da derá, dará.
emaginare — immaginare.
fallenza — fallo (prov. falhensa).
falligione — fallo, errore.
fedele — fidente, sicuro.
fenire — finire.
ferneticare — farneticare.
fier — ferisce.
fio — feudo.
fini — finisci.
finimento — fine.
for' — senza; for' fallenza — senza fallo.
guardo — custodisco.
guigliardon — guadagno.
inanza — avanza (prov. enantir).
in nel — nel.
intensa (anche intendimento) — inclinazione amorosa (prov. entensa o entendemens).
intervallo — momentaneo allontanamento.
intiza — persona amata.
ismisuranza — dismisura.
istrano — m'allontano.
iusto — giusto (lat. iustus).
lane (avv.) — lá.
larga (è da) — è lontano.
leai — leali.
leggero (avv.) — leggermente.
loco (avv.) — qui.
lui (dat.) — a lui.
maginare — immaginare, aver nella mente.
mainera — maniera; prender mainera — prender norma.
mano ('n) — in balía.
membre (da membrare) — ricordivi.
meretria — meriterei; merteria voi — meriterei presso di voi.
messaggio — messaggiero.
meve — me.
mevi — a me.
mezore — maggiore.
miradore — specchio, esempio (prov. mirador).
mistero — mezzo.
natura — naturale sentimento.
nobel — nobile.
nonde — non ne.
norma — modo, regola.
obbriare — obliare.
obrianza — oblianza, oblío.
ostrero — nemico, demonio.
pagentero — benigno.
pareglio — pari, simigliante.
paro — paio, sembro.
partuta — parte.
patarino — paterino (eretico).
persò — perciò.
piacere — volontà.
pietanza — pietà.
piò — piú.
plagere (sost.) — piacere.
plageria — piacerebbe.
poderoso — colui che può, e anche possente, ricco (prov. poderos).
poggia d'onor — fa maggiore onore, sale in onore.
poi — poiché.
poi che — sebbene.
porea — potrebbe.
porte — porto.
posi — si può.
prefondo — profondo.
priso — preso.
privado — familiare.
proferto (ho) — mi sono espresso.
quida — quieta.
rancura — dolore.
regno (verbo) — duro (prov. renhar).
reo — re.
reparo — riparo.
risprende — risplende.
rivera — stanza.
saggio (avv.) — saviamente.
scur (avv.) — oscuramente.
sembianza — apparenza.
semblante (per) — per somiglianza (prov. per semblansa).
sentenzia — spiegazione.
sentore — sentimento.
sentuta — sentimento; non voglio mia sentuta — non son padrone del mio sentimento.
será — sará.
siguro — sicuro.
smirata — smisurata.
soffrenza — sofferenza, paziente attesa.
sofrente — sofferente.
somegli (me) — mi sembri.
sormontare — innalzare.
sove — sovviene, soccorre.
soverchianza (montare in) — diventare orgoglioso.
spera — speranza.
spero — specchio.
stallo — dimora; a fermo stallo — in dimora ferma, fermamente, immutabilmente.
stande — starne.
storma — s'allontana dalla torma, s'allontana.
strado — esco di strada.
Strettoia — immaginario nome di paese, che vuole alludere alle strettezze in cui il poeta si trovò a Pistoia.
strove — trova.
suoi — suoli, sei solito.
tardo (avv.) — tardi.
torma — schiera.
trabuccare — traboccare, cadere.
turba (verbo) — produce turbamento.
tuttora — sempre.
vallo — valle.
veduta — oggetto che si vede, figura, immagine.
veggi — vedi.
veglia — vecchia.
venegli — convenegli, gli conviene.
venme — vennemi, mi venne.
veo — vedo.
vertá — veritá (prov. vertatz).
visaggio — viso.
visii — cose vedute.
vo' — voi, a voi, vi.
vorestu — vorresti tu.
vorrea — vorrei.
A CURA
DI
AMOS PARDUCCI
È colpito dalla sventura; ma non perciò tralascerá di cantare la gioia che gli viene a mancare.
Rinasce all'amore, perché la donna sua lo esorta a sperare.
Sulla natura dell'onore e del piacere.
Si consola per aver ottenuto ciò che desiderava.
Lodi della sua donna.
Ama la sua donna, della quale loda le virtú; ma non ha coraggio di manifestarle il suo amore.
Dopo aver parlato della lotta, che combatte per la sua donna disserta sul ben fare e sulla follia.
Lodi dell'amore: prega madonna che lo voglia amare.
Si rallegra pensando alla gioia che spera d'avere.
Non ha l'amore della sua donna e vorrebbe dimenticarla: non essendogli ciò possibile, invoca da lei la fine dei suoi mali.
Credeva di non essere amato; ma ha avuto torto. E n'è lietissimo.
Invita pulzelle e maritate a darsi alla gioia e all'amore.
Si lamenta della durezza della donna sua, che un tempo lo aveva fatto sperar bene: ha fiducia però ch'ella un giorno muti pensiero.
Non si vantino le proprie virtú. Dio disperda chi male amministra la giustizia.
Varie e tante son le bellezze della donna sua.
Se il poeta è rimeritato del suo affetto, sará il piú felice tra gli amanti.
L'innamorata arde d'amore e prega l'amante, se ha intenzione di continuare nella sua fierezza, di volerla piuttosto uccidere.
Calda e viva esaltazione dell'onore.
Al Guinizelli
Disputa sulla nuova maniera di poetare.
L'uomo deve resistere fortemente ai colpi di fortuna.
Sebbene ferito, tacerá, perché cosí spera di vincere la durezza della donna sua.
Chi ha la fortuna favorevole non si rallegri troppo.
Non basta cominciare bene: perseverare bisogna.
È come il fanciullo, che torna al fuoco ove s'è bruciato.
Giuoca intorno alla parola «fiore».
Piú la ama e piú ella non cede.
Senza sapere, i signori possono perdere la signoria.
Ella ha in sè ogni cosa piacente, ogni valore, ogni conoscenza.
Molti amano non ricompensati, e il poeta è fra questi; ma sarebbe cortesia che il suo amore fosse un giorno veramente compreso.
Si sente lieto, ché, per ben servire, otterrá l'amore di lei; ma non ne fa mostra.
1
Di un anonimo a Bonagiunta
Come farsi riamare dalla sua donna.
2
Risposta di Bonagiunta
Il vero amore cresce per il servire e per il tacere, e non per il parlare.
1
Di un anonimo a Bonagiunta
Domanda se debba o no manifestare alla donna il suo amore.
2
Risposta di Bonagiunta
Vero amore è quello che è noto tanto all'uomo quanto alla donna.
Si rifletta prima di operare e di dire.
Vuol salire in alto sulla sedia del comando.
Loda le bellezze di lei.
Per quanto abbia pregato la Madonna, non ha potuto levar gli spiriti malvagi da alcuni sonetti.
Spera di ritornar lieto.
Tenzone fra Gonnella Antelminelli, Bonagiunta e Bonodico
I
Gonnella a Bonagiunta
Perché il ferro si lima col ferro?
II
Risposta di Bonagiunta a Gonnella
L'un ferro vince l'altro per forza dell'acciaio.
III
Risposta di Bonodico a Gonnella
Il ferro corrode il ferro per artifizio.
IV
Risposta di Gonnella a Bonagiunta
Perché vera arte non si può imparare?
V
Risposta di Bonagiunta a Gonnella
L'arte corregge la natura; ma, mentre vuol sollevarla, non cerchi d'opprimerla.
Tenzone fra Bartolomeo e Bonodico
I
Bartolomeo a Bonodico
Se donna gentile debba amare amante baldo e ardito o incerto e dubbioso.
II
Bonodico a Bartolomeo
Donna valente deve amare colui che a lei piaccia.
Come deve contenersi il franco amatore?
È caduto dall'altezza primiera, ma spera di risollevarsi.
Privazioni e disagi, che sostiene per causa d'amore.
A Meo Abbracciavacca
Domanda schiarimenti perché egli abbia cuore scontento e volontá imperfetta.
A te, Meo Abracciavacca, Dotto Reali, menimo frate dell'ordine dei cavalieri di beata Maria, manda salute.
Pensando che lo cor dell'omo non si chiami contento in de lo stato là' u' si trova; e sí come sono divizi li stati e le condissioni dell'omo, cosí sono divize le volontadi. E per le volontade, che sono diverse in del corpo de l'omo, perfessione non si trova in intelletto, ma parte de le cose si puon sentire per esperiensa e per ingegno; e ciò giudica ragione umana. E io, conoscendo in me simile core e volontade per defettiva parte del mio sentire, mi movo per fare me chiaro del mio difetto. E, accioché scuritate riceva lume da quella parte che dar lo pò, mando a te questo sonetto per tutte quelle cose che di sopra son ditte. E risponsione mi manda di ciò che senti. E mostralo a frate Gaddo e a Finfo.
Allo stesso
Sulla questione: Se l'anima viene compíta da Dio, com'è che può fallire?
Si ripubblicano qui quei Rimatori lucchesi del secolo XIII, che eran comparsi or non è molto nella Biblioteca storica della letteratura italiana (n. VII, Bergamo, 1905) diretta da F. Novati[3]. Il patrimonio poetico di Gonnella Antelminelli[4], Bonodico[5], Bartolomeo, Fredi e Dotto Reali riman sempre lo stesso; qualche leggera variazione si ha invece per quello di Bonagiunta Orbicciani. Il son. XI «In prima or m'è noveltá bona giunta», che a noi primamente era sembrato potersi attribuire all'Orbicciani, per quanto adespoto nell'unico cd. antico che lo conteneva (Pal. 418[6]), bisognerá toglierglielo addirittura. Non tutto è piano e chiaro; ma il «ser Bonagiunta» del v. 7 è un vero e proprio vocativo. Sí che non può essere autore del sonetto colui, al quale [108] esso viene indirizzato[7]. Cosí, per le buone ragioni messe innanzi specialmente dal Rossi[8], va ritenuto spurio il son. «Chi se medesmo inganna per neghienza», che era stato collocato fra le rime di «dubbia autenticitá»[9].
In compenso, per merito di un noto valente studioso, acquista sicuramente la ball. «Fermamente intenza» (n. V)[10]; e noi ora gli assegnamo senz'altro la canz. «Ben mi credea in tutto esser d'Amore» (n. XI). Un tempo, è vero, ci era sembrata l'opera di un falsificatore, sebbene abilissimo, anche perché conservataci solo dalla Raccolta giuntina del 1527 (IX, 108)[11]. Ma recenti studi han dimostrato la estrema attendibilitá di quella silloge[12]. Che tale canzone poi derivi da un ms., che potrebbe anche essere il Pal. 418, ha reso evidente, a parer nostro, F. Pellegrini[13]. [109] Qui si aggiunge a rincalzo della derivazione manoscritta che «addivenir» del v. 36 va manifestamente corretto in «a divenir». I Giunti si trovaron dinanzi ad uno di quei raddoppiamenti cosí frequenti nelle antiche scritture fiorentine «a ddivenir», e non lo seppero intendere.
Quanto al tempo, con gli spunti di «dolce stil nuovo» che lascia intravedere[14], deve con molta verisimiglianza riportarsi agli ultimi anni del rimatore[15].
Le osservazioni, che la prima edizione ispirò a una critica acuta e sagace, han giovato non poco alla presente ristampa. Alla quale apportammo anche di nostro tutti quei miglioramenti, che consigliavano i progressi ulteriori degli studi e l'attenta riesamina del testo[16]. Tenendo ben presente il pubblico, al quale ora ci rivolgevamo, fu nostra massima cura di render sempre chiaro, per quanto era possibile, il pensiero di questi rimatori e di dar la esatta corrispondenza moderna di vocaboli ed espressioni antiche. La disposizione del testo è sempre quella; soltanto fu introdotta una leggera trasposizione per le tenzoni, ché parve opportuno, a meglio e piú prontamente intenderle, ravvicinar fra loro i vari sonetti di «proposta» e di «risposta». Naturalmente anche i criteri, con cui fu messo insieme, son rimasti gli stessi: tuttavia la voce dei cdd. diversi da quello, su cui il componimento veniva esemplato, fu piú spesso tenuta presente ed ascoltata.
Di regola, però, quando la lezione del cd. esemplato vada bene per il senso, si adotta, anche se l'accordo degli altri cdd. dov'è alquanto diversa possa invitare a sostituirla. Evidentemente alcune volte, nei cdd. meno antichi, la parola è ammodernata: c. II, 14 «gioia», 18 «dee»; ball. III, 9 «ond'» etc.; talvolta non c'è nessuna ragione perché Bonagiunta, nella condizione speciale in cui si trovava[17], non abbia scritto cosí come il cd. [110] porta: c. I, 6 «cusí», III, 14 «du'»; ball. II, 18 «sprendore», 24 «criatura», 30 «smirato», III, 19 «sono», ecc. Certo, non si esclude che in qualche parte la vera lezione possa nascondersi negli altri cdd., se anche sieno in lieve disaccordo: cfr., ad es., c. III, 13 «sentire, sentore», ecc.
Anche dal punto di vista della metrica, questa edizione si trova avvantaggiata[18]. Dopo lo studio del Parodi, è indubitato il trionfo della rima siciliana di fronte alla cosí detta rima impropria: l'accolgo, quindi, nei casi, in cui egli ebbe giá ad indicarla per i nostri rimatori[19]. Solo nei due son. VIII, 11-14 «inamora: criatora» e XVIII, 10-13 «sono: alcono», la forma con «o» mi sembra preferibile (cd. «criatura» e «alcuno») perché l'«u» in «o» ha l'appoggio di un altro testo lucchese[20]: «alcono» è inoltre forma guittonesca[21] e, per conseguenza, possibilissima in Bonagiunta. Per la stessa ragione, in c. XI «misora» 31 e «vertode» 33[22]. Se non che, fino a che ulteriori studi non ci avran meglio chiariti sulle abitudini metriche degli antichi rimatori, sará prudente ed opportuno non spingersi piú oltre. Ché si corre il rischio di giudicare della metrica del sec. XIII — per necessitá di cose imperfetta — secondo criteri affatto moderni[23].
In altra parte di questo volume sono esposte le norme relative alla grafia adottata[24]. Con tutto ciò qualche incongruenza resta. Minuzie. Senza dubbio! Ma il far diversamente avrebbe richiesto [111] una serie di piccole ricerche, a cui non era qui il caso di sottoporsi. Quello che importa è che niente è stato toccato, che possa in qualche maniera aver relazione col dialetto di questi rimatori o trovi una qualche rispondenza nella realtà fonica toscana.
Poche aggiunte, e d'importanza minima, debbo fare alla bibliografia.
Codici.
a) Vaticano 4823. Per quanto ci riguarda, non è che tarda copia (sec. XVI) del Vat. 3793[25]. Contiene: di Bonagiunta c. IV (129v), V (129r), VI (128r), VIII (127v), IX (284r), X (124v); disc. I (125v), II (126v); son. I (401r), XI (342r), XII (342r) XIII, 2 (400v), XIV, 2 (401r) — di Fredi c. I (106v) — di Dotto Reali son. I (6r)[26].
b) Chigiano L. IV, 131: di vario tempo e di varie mani[27]. La maggior parte dei componimenti che contiene deriva dal Pal. 418[28]. Tali sono: di Bonagiunta c. IV (p. 85), V (p. 120), VI (p. 90), IX (p. 102); disc. I (p. 115); ball. I (p. 81), III (p. 15), IV (p. 35). I due son. I (p. 839) e IV (p. 849)[29] invece si trovano in quella sezione, sulla cui provenienza si discute[30]. Essi certo non derivano dalla raccolta di rime antiche pubblicate dal Corbinelli in fine de «La bella mano»; la collazione da me istituita permette di affermare la strettissima relazione di questo testo con quello [112] del Mediceo-Laurenziano pl. XC inf. 37[31]. Sí che l'ignoranza di questo cd. nessun danno produsse alla primitiva costituzione della lezione dei due sonetti.
Stampe.
α) V. Nannucci, Manuale della letteratura del primo secolo della lingua italiana, Firenze, 1843, I, 187 sgg. Contiene di Bonagiunta c. VI e XI; ball. II; son. III, IV, VIII[32].
β) H. Knobloch, Die Streitgedichte im Provenzalischen und Altfranzösischen, Breslau, 1886. Contiene il son. di Bartolomeo «Vostro saver provato m'è mistieri» (p. 68).
γ) B. Wiese, Altitalienisches Elementarbuch, Heidelberg, 1904. Contiene di Bonagiunta c. X (p. 208).
Seguono alcune osservazioni intorno ai singoli componimenti.
BONAGIUNTA
CANZONI
I, 10-2. Il paragone trae la sua origine dalla credenza che trovasi riferita, ad es., in un antico poemetto francese, nel quale appunto, a proposito della «balena» «Qui de biens est farsie et plainne» si dice fra l'altro: «Quant elle est prise et atrappée — Mieus en vaut toute la contrée»: cfr. G. Raynaud, Mélanges de philologie romane, Paris, 1913, p. 137. Altrimenti spiega quest'allusione G. Bertoni, in Zeitsch., XXXVI, 569-71. [113]
I, 55-60. «Ma per ragione di buona speranza, come l'oliva non cangia la verdura, cosí io non cangio il mio buon volere e il cor gioioso, piacente e amoroso, per quanto mi sia cangiato l'aspetto».
II, 24. «Come l'oscuritá è diversa dallo splendore».
II, 33. «Non partire» dipende da «faraggio» del v. p. Tutto il verso mi pare poi debba intendersi: «non partirò giammai»; «tutto tempo» è lo stesso che «giammai», da cui è rinforzato.
III. Per quanto riguarda lo schema metrico, in relazione a quello proposto, è probabile che nella seconda «volta» della prima strofa (specialmente vv. 14-5) si debba trattar d'assonanza; ma la seconda «volta» della seconda strofa (vv. 32-3) è certo errata: cfr. in contrario Wiese, Archiv cit., CXVII, 217. Il Wiese, invece, ha ragione quando afferma che gli ultimi otto versi (73-80) appartengono ad una nuova strofa, non al commiato. La canzone è dunque incompiuta.
III, 36. Il sogg. di «vien» è «sofferire», che si rileva da quanto precede.
III, 77. La corr. «ria» (cd. «seria») è del Wiese, Archiv cit., CXVII, 217.
IV, 12-3. «acciocché, per la mia fermezza, fossi sicuro di non render vana la mia fatica».
IV, 20. «Io non credo — ciò che sarebbe offensivo — ».
V, 36-8. Per la correz., cfr. Rossi in Gior. st. d. l. it., XLIX, 382. Sulla lezione di questi e dei sgg. vv. riportata nella Poetica del Trissino da un cd., che forse era l'archetipo del Pal. 418, cfr. Massèra, Una ballata cit., pp. 2-3 dell'estr. Quanto al significato, «sua» del v. 36 si riferisce a «core» del v. 33.
VI. Riguardo allo schema metrico, ci pare di dover sostenere ancora quanto dicemmo ne I Rimatori lucchesi cit., pp. 111-2. Le proposte del Wiese, Archiv cit., CXVII, 218, ci allontanano troppo dai cdd. e non sembrano interamente accettabili.
VI, 12. Per aver la rimalmezzo, come nei vv. corrispondenti delle altre strofe, si ha da correggere il «tanto» dei cdd. in «tutto»?
VI, 19-20. «che amore non è diverso da vera perfezione».
VI, 53. «E quel che io dico mi sembra un dir nulla». Manca la rimalmezzo: la proposta del Wiese, Archiv cit., CXVII, 218 («mando») urta contro la lettura dei mss.
VII, 1-6. «Sperando da lungo tempo di trarre a mio vantaggio la contesa impegnata con la mia donna, la quale mi dá tal coraggio ch'io credo sovrastare ogni altro uomo, conoscenza, che proviene da obbedienza, mi consiglia a ben servire».
VII, 10. La rimalmezzo è casuale, mancando nel verso corrispondente dell'altra strofa.
VII, 14-5. «Non è dubbio che conoscenza nasce da senno fino; e ciò è provato».
VII, 23. «che l'una cosa (il «ben fare» e il «comportar sofferenza» [114] = esser sofferenti) possa stare insieme con l'altra («usar villania» ed «esser folli»).
VII, 29. «contrar'.». La lieve correzione (cd. «contrario») è voluta dalla metrica. Per i molti esempi nei rimatori antichi di simili troncamenti, fra i quali è citato pur questo, cfr. Nannucci, Teoria dei nomi della lingua italiana, Firenze, 1858, p. 632.
VIII. Il dubbio sulla sua autenticitá, espresso dallo Zaccagnini in Rass. crit. cit., XI, 37-8, non ha fondamento.
VIII, 24-6. «e (l'amore) raccomanda continuamente di seguire la via amorosa, perché volle stare insieme con loro (con gli uccelli)».
IX, 2-3. «sono da considerare da ciascuno amatore».
IX, 14. Sottintendi «che».
X, 13. Meglio col cd. «pensos'a nott'e dia»?
X, 21. «m'ha conquiso». Per la correzione (cd. «mi comquise») cfr. Wiese, Archiv cit., CXVII, 219.
X, 29. Il cd. legge «osmantenere». Il Wiese, Altitalienisches Elementarbuch cit., p. 209 propone: «A fin [di pietanza] ottenere».
X, 42 sgg. Il Parodi, Rima siciliana cit., p. 124 n., si domanda — cosa che a me non sembra necessaria — se le finali in «-ente» di questa strofa non sieno da trasformare in «-enti», trovandosi in «gente» l'«-i» finale per «-e» del siciliano.
X, 43. «ch'è regina». La correzione era prima dubitativamente proposta in nota ne I Rimatori lucchesi cit., p. 115. Diversamente pensa il Parodi, Rima siciliana cit., p. 128 n.
XI. Riunisco qui le varianti. 4. Hor, 5. hauia, 27. Anchor, 30. alchun, 31. misura, 32. huom, 33. uertude, 34. huom, 36. addiuenir, 37. Ciaschuna, 53. humiliare, 56. Ch'allaccio, 61. ché detto, 62. ché á dire.
XI, 1. Nella stampa, è lasciato un po' di spazio per la iniziale grande, che manca: c'è invece una b minuscola.
XI, 52-4. «Prima di servirla, mi trovo che l'avvenente, per darmi gioia, umilia verso di me guiderdone (= ricompensa) si soave».
XI, 56. La correzione è del Pellegrini: cfr. Rass. bibliogr. cit., XXI, p. 19.
DISCORDI
I, 1-12. A considerare la prima parte della strofa di ottonari, anzi che di settenari, come giá mi parve, mi ha indotto e il piú attento esame della lezione dei cdd. (cfr. specialmente i vv. 1-2) e il confronto con la seconda parte.
I, 62. Secondo il v. 60, sottintendi «è», che si riferisce a «spera» e «cèra».
II. Relativamente alla ricostruzione metrica, ora mi pare che l'Appel abbia ragione (cfr. in contrario I Rimatori lucchesi cit., p. LXVI, n. 2) [115] per quanto riguarda i vv. 43-8, che egli collega alla strofa sg. D'altra parte, non so rinunziare a vedere fra le varie strofe quel cotal legame, su cui cfr. Biadene, Il collegamento delle stanze mediante la rima nella canzone italiana dei secoli XIII e XIV, Firenze, 1885, p. 13: cfr. V. 15 «Davante», v. 22 «falla», v. 34 «languisco». Certo, nella quarta strofa, che comincia appunto al v. 43, questo legame manca. Io ho l'impressione che ciò provenga da un trascorso del rimatore. Manca ancora, è vero, nell'ultima strofa: v. 61 sgg. Se non che, essa ne sará priva perché considerata stante a sè, come una specie di commiato.
II, 42. «che». È un «che» ripetuto, come si ritrova in antico italiano e anche in provenzale: Nannucci, Analisi critica dei verbi italiani, Firenze, 1843, p. 91, n. 6.
II, 46-8. «(e intanto) sto nascosto piú di quello che non stesse Adamo, quand'ebbe mangiato il frutto proibito».
II, 53-3. Sottintendi «a».
BALLATE
I, 17. Sia permesso riferir qui le due strofe, che nel cd. Pal. 418 seguono a questo verso e che ritenemmo interpolate (cfr. anche Wiese, Archiv cit., CXVII, 220): cfr. I Rimatori lucchesi cit., pp. 117-8.
a) Radice è di viltade | b) Nessuno è più ingannato |
c'a tucti ben dispiace | ke de la sua persona: |
lodare on sua bontade; | ké tal si tien biasmato |
e prodeza ki face, | ke Dio li dá corona, |
quei ke la fa ne cade, | e tal si tien laudato |
e quei che la tace | ke lo contraro dona |
ne cresce fermamente. | a llui similemente. |
I, 51. Sottintendi «che».
II, 29. «vostro viso» equivale evidentemente a «in vostro viso»; l'accordo dei cdd. non mi autorizza a proporre: «'n vostro viso».
II, 32-3. «vue» è correzione del Wiese, Archiv cit., CXVII, 220; il Parodi, Rima siciliana cit., p. 124 n. proporrebbe: «vui»: «fui». Per la correzione, piú propriamente, del v. 33, cfr. Rossi in Gior. st. d. l. it., XLIX, 383.
III, 10-1, «degno voi» = degno di voi.
III, 22. «vita» deve certo esser sostituita da qualche altra parola (cfr. anche quanto possono apprendere i cdd.); ma non riesco a trovarla. Forse un lucch. «lita» = «lite?».
IV. Il tipo composito della strofa è da mettere in relazione con quelli, di cui parla il Casini, Studi di poesia antica, Cittá di Castello, 1914, p. 40 sgg.
IV, 5. La correzione «tucto» dei cdd. in «tutta» è indispensabile.
V. Seguo la ricostruzione del Massèra (cfr. sopra); me ne allontano [116] solo, oltre che in qualche lieve ritocco d'interpunzione, al v. 64, dove, col cd., ammetto lo iato (Massèra: «ke è diricta e vera)».
V, 34. «la rivera»: è il Serchio, sotto il qual nome, per metonimia, è da intendere Lucca stessa.
SONETTI
I. Il son. di risposta del Guinizelli «Omo ch'è saggio non corre leggero», essendo ben noto, è superfluo riprodurlo qui: cfr. Casini, Rime dei poeti bolognesi del secolo XIII, Bologna, 1881, p. 40.
I, 2. «piacenti»: l'accordo della maggior parte dei cdd. mi ha indotto a preferire questa lezione a «amorozi».
II, 4. Cd. «ispeme».
IV, 10. «ispene». La maggior parte dei cdd., che hanno «spene», autorizza la correzione.
V, 10-13. Sarebbe pur possibile una rima siciliana in «ire»: cfr. Parodi, Rima siciliana cit., p. 124 n. e 131.
VII, 4. Cd. «gioie ed».
VIII, 12. «(Il vostro cuore) vede il mio volto che ciò non ostante implora».
IX, 5. «Chi sí non fa». Cioè: chi non cerca di aver «sapere».
IX, 14. «Il cagnolino battuto fa temere il leone».
XI, 1-4. «Molti, come appare dai versi amorosi che scrivono senza saper niente della verità, stanno nel fuoco d'amore, ma sono innamorati ingenui e che si fondan su nulla».
XII, 7-8. «In cuore le rendo onore e lode; e, tale essendo il mio cuore, non cado in dimostrazione esteriore di speranza (= nascondo sul volto la speranza)».
XII, 11. «(il pregio e il valore) rimuovono gli sdegni, e (per essi pregio e valore) si spenge l'orgoglio».
XII, 12-4. «La mia fede spera per il suo servire, il mio senno pensa che la lode sia il fondamento della speranza. Chi vive con inganno perisca di cordoglio!».
XIII, 1. Il son. è nel cd. Vat. 3793 — unico che ce lo tramandi — e precede immediatamente (n. 781) il son. di B. — Raccolgo qui le varianti: 1. bene... omo nom... trouare 3. sauere 4. bisongnasse 5. male parlare... tale 6. pari... omo 7. amore 9. comsilglio 11. partire 12. aportatore.
XIV, 1. Il son. è nel cd. Vat. 3793, che pure unico ce lo tramanda, e precede ancora immediatamente (n. 783) la risposta di B.: vedilo pure in Monaci, Crestomazia italiana, p. 308. — Ecco le varianti: 1. bem 2. rimonddo 3. fare piaciere... buoni 4. omo... monddo 5. ciausire 6. nom... pieto uidale... buono dismonddo 7. come 8. loro monddo 10. alti (per la corr. cfr. il passo corrispondente in XIV, 2, v. 10) 11. bene 12. vm comsilglio 12. bene. [117]
XIV, 2, 6. «fan». La correzione (cd. «fa») è del Wiese, Archiv cit., CXVII, 221.
XIV, 2, 7-8. «I quali lodano in voi i due che son fra loro eguali, anzi egualissimi, Folchetto e Dismondo».
XVI, 14. Se lo iato sembri troppo ardito, si corregga: «in mia balia», come propone il Wiese, Archiv cit., CXVII, 221.
XVIII, 1-4. «Con tutta sicurezza, poiché son vostro, dirò ciò che avviene de' vostri versi, fra i quali ho trovato un certo numero di sonetti, che hanno addosso spiriti malvagi».
XVIII, 12. «o perché» (cd. «perké»): la correzione mi par sicura, anche per ragioni metriche.
I di d. a., 5 «val»: cd. «vale».
TENZONE FRA GONNELLA ANTELMINELLI, BONAGIUNTA E BONODICO
I, 3-4. «L'un ferro lima l'altro, perché l'uno dei due è piú forte, perché cosí proviene dalla miniera o per la tempera ricevuta? Oppure l'uno dei due si lascia limare a causa della sua maggiore dolcezza?».
I, 5. Il soggetto è il «ferro».
I, 9. «Aspetto la soluzione e confido di ottenerla».
I, 14. Per riaffermar che gli alchimisti e coloro che mutano ad ogni parola il loro discorso sono stolti, conchiude: «la farfalla trae al lume stoltamente (non per senno)».
II, 1. «Che» = di cui.
II, 3-8. «L'un ferro vince l'altro per forza dell'acciaio, che è come il fiore del ferro, il quale vien fuori per opera del fuoco, quando il ferro è divenuto bianco da nero che era, e l'acciaio si mette dalla parte del taglio e sulla punta, e il ferro acquista piú forza nel suo stato primiero, sí che altro ferro non porta via nulla da lui».
II, 9-11. Rispondono alla «natural rasion» del v. 11 del s. 1 del Gonnella.
II, 12-4. Rispondono al «senno» del v. 11 del son. 1 del Gonnella: Bonagiunta non è stato lieto del complimento, che il Gonnella gli aveva rivolto.
III, 2-4. «Il ferro si corrode per mezzo del ferro, perché la sua virtú, per artifizio, si muta in maggior durezza di quel che era».
III, 14. «per allumar» = quando si accende il lume.
IV, 1. «Pensavo che tu non facessi l'indovino».
IV, 8. «che per lui si diprima» = decisiva.
IV, 14. «Asinello di monte (animale allo stato di natura) supera cavallo di stalla (animale, su cui ha agito l'arte)». Parrebbe un proverbio. [118]
V, 4 «vuole avanzare la natura e invece è a grande distanza da lei».
V, 12-4. «Ma se vera arte non si apprende, credo che si pecchi anche in senso contrario, ugualmente (cfr. i vv. 13-4 del son. IV): perché gli alberi da frutto vengono dalla propagazione artificiale».
TENZONE FRA BARTOLOMEO E BONODICO
II, 3 «piaquevo» = vi piacque (di rivolgervi a me).
FREDI
I, 41 sgg. Non mi è chiara l'allusione.
DOTTO REALI
CANZONE
1. «Di quello che il mio cuore prova, davvero non taccio niente. Ma io son savio; per questo adopero mezzi insidiosi per prender l'amore. Vero è, non lo nego: s'io dico che l'amore è come un vento estinto, giudico di sí alto valore contrariamente al mio modo di sentire. Io ho una nuova maniera di far versi: ché il mio verace amore mi fa parlar d'amore. Del resto, ho veduto un perfetto sapiente che non tace, standosene muto, né è naturalmente quieto.
2. Per questo non tralascio di far versi, né trascuro il canto: manifesto il mio grave pensiero, in cui son fitto. Ché quegli che piú mostra gioia m'annoia: un piccolo fuoco, a suo luogo, è piacevole; ma se cresca, è increscioso. Qual male, se la consuetudine lo rende piú grave, può diminuire, se non ci se ne astenga? Il tempo ben può allontanare il dolore, secondo ch'io odo da ciascuno che sia saggio.
3. La fede comprende in sé tutte le virtú: uomo che vede, crede; domanda che avvenga ciò che vuole; tiene ciò che è fede non per credenza (= senza rendersene ragione), ma spera vera sentenza, che è luce intera, chiara, da cui vien la vita. Egli disdegna fortemente la morte, la quale cancella, non registra, il fallo, permette anzi di fuggirlo. — Ma per il dolore l'arte mi vien meno: su tale argomento si posson far versi infinitamente.
4. Oh, quante pene evita colui che non segue il suo talento! Egli allontana da sé il dolore, se ne libera, come il serpente si libera della sua pelle. Seguire il proprio talento è vita infelice, ché l'ira strazia il cuore e l'offende. Sta' attento: fa male chi non ascolta! Molte volte ci rimette (= perde il ferro) chi serra... chi allontana i vizi, afferra le virtú. Chi pensa, cerca fama; non faccia tenzone, non faccia offesa chi non val nulla. [119]
5. Per questo chi ha senno non tardi a far versi, ma consideri il danno che hanno gli stolti: essi vivono penosamente. In ciò si loda il sapere: nell'aver moderazione e cura pura con misura: chi ha senno non varia. Chi prende l'èsca, pesca, e chi ha pensieri troppo leggeri si lascia ingannare».
I, 27. Il passo è corrotto (anche la metrica è offesa); ma non so presentare una proposta soddisfacente.
I, 41. La correzione (I Rim. lucch.: ben dir di tanto — o quanto) è del Wiese, Archiv cit., CXVII, 222.
SONETTI
I. La «risposta» vedila in Zaccagnini, I Rimatori pistoiesi dei secoli XIII e XIV, Pistoia, 1907, p. 34, e ora in questo vol., p. 15.
I, 6 «per parer non per forma»: «che sono apparenza, non sostanza».
I, 8 «defetto da ciò che piú forma»: «difetto proveniente dall'intelligenza».
I, 9-10. «E l'intender la ragione del difetto è mezzo ch'è fine del principio ed è, a sua volta, principio naturale del fine».
I, 11-14. Quest'ultimi versi non mi son chiari.
II. La «proposta» in Zaccagnini, I Rimatori pistoiesi cit., p. 32 e ora in questo vol., p. 15.
II, 1-2. «A voler maggiormente dimostrare che tu apporti veritá, non esiste una dottrina recondita».
[B. = Bonagiunta; G. = Gonnella; Bo. = Bonodico; Ba. = Bartolomeo; F. = Fredi; D. R. = Dotto Reali — t. = tenzone; c. = canzone; d. = discordo; b. = ballata; st. = stanza; s. = sonetto; s. d. d. a. = sonetto di dubbia autenticitá.
La cifra romana risponde al numero del componimento; l'araba al verso.
Quando il rinvio è fatto senza alcuna indicazione di autore, s'intende sempre che la voce appartiene a Bonagiunta.
Qualche leggera infrazione all'ordine strettamente alfabetico è dovuta alla necessità di non separare voci, che riposano sulla stessa base etimologica. Es. «insegnamento», «'nsegnamento»; «disianza», «desianza»; ecc.]
abondare. (che 'l meo core) abonda (b. IV, 11) — che sopraffa il m. c.
Acel G. (t.) (s. IV, 14) — asinello.
acento (per) G. (t.) (s. I, 13) — ad ogni parola.
aciero B. (t.) (s. II, 3) — acciaio.
a ciò (s. XJ, 7) — perciò.
Acciò (c. II, 13) — perché.
acrescensa (vene in) (s. XIJ, 9) — cresce.
acrescenza (trar in) (c. VIJ, 1-2) — trarre a vantaggio.
acrescimento (c. IV, 26) — lode, innalzamento.
adastare. (m)'adasta (b. II, 20) m'eccita; adasta (s. XV, 5) — irrita.
adivenire, adivene (s. XVIIJ, 2) — accade; D. R. (s. II, 13) — proviene.
adoblare. (m)'adoblaran (c. X, 33) — addoppieranno.
adorneze (b. II, 8) — ornamenti.
adovenire, adovene (s. VI, 1) — accade; (s)'adovegna (s. XVIIJ, 9) — accada.
Adunqua (c. X, 35 ecc.) — dunque.
afare (loda lo su') (b. I, 2) — si loda.
affinamento (c. VIIJ, 8) — perfezionamento.
afinata (c. VIIJ, 16) — perfetta.
agradito (ha) (c. VIIJ, 28) — ha reso gradito.
aigua (s. VJ, 9 ecc.) — acqua.
aire (c. I, 21 ecc.) — aria.
aita D. R. (s. II, 14) — opera, lavoro.
albóre (c. X, 3) — alberi.
árbore (c. XJ, 40) — albero. [122]
alchima G. (t.) (s. I, 12 ecc.) — alchimia.
alcidere. (m)'alcida (s. III, 2) — mi uccida.
ancidere. ancidetimi (b. IV, 20) — uccidetemi; (m)'ancidesse (b. IV, 24) — m'uccidessi; ancisi (s. XVIJ, 4) — uccisi.
allacciare. allaccia D. R. (c. 53) — afferra, prende col laccio.
allegransa (e. II, 9 ecc.) e
allegranza (d. I, 10) e
alegressa (b. I, 28 ecc.) — allegrezza.
allumar Bo. (t.) (s. III, 14) — accendere il lume.
allungiato (c. XI, 2) — allontanato.
alori (d. I, 15) — odori.
altera (d. I, 59) — bella; (s. X, 9) — alta (in senso buono).
altero (c. III, 42) — alto (in senso buono).
altesse (d. I, 47) — altezze.
altura (b. II, 34; b. V, 33) — altezza (in senso morale), eccellenza.
altura (in) (c. XJ, 41) — in alto.
alumato (s. XJ, 13) — acceso.
amadore (c. X, 6) — amanti.
amansa (d. II, 62) e
amanza (c. VJ, 26 ecc.) — amore; (c. XJ, 25) — donna amata; un'alta amanza Ba. (t.) (s. I, 4) — una donna di nobil condizione.
ambur (c. III, 5 ecc.) — ambedue.
amollare. (m)'amollo B. (t.) (s. II, 14) — mi piego, cedo.
amoranza (metta in) (c. VI, 6) — metta in amore.
amortare (s. VJ, 14) — smorzare.
ane (c. IV, 48) — affanni.
aparegiare. (s)'aparegiasse (s. X, 8) — si potesse paragonare.
apari (s. XIV, 2, 6) — insegnamenti.
aprendersi. s'aprende (s. VJ, 13) — prende.
ardere. (m)'ardi (c. X, 30) — mi infiamma (d'amore).
arditanza (con) Ba. (t.) (s. I, 6) — arditamente.
arditesse (b. I, 23) — arditezze.
argoglioso (c. X, 37) — orgoglioso.
artificero Bo. (t.) (s. III, 3) — artifizio.
asimigliare (c. VIJ, 8) — paragonare.
aspido (b. I, 38) — aspide.
assisi (cosí) (s. XVIJ, 8) — in tale stato.
astutare (b. IV, 12) — spengere, mitigare.
atenenza (avere.... di) (s. V, 14) — possedere.
atenere. (v)'atenete (d. I, 43) — vi astenete.
atri (c. XJ, 42) — altri.
atro (c. VIIJ, 13) — altro.
atto Bo. (t.) (s. III, 6), — azione.
atutare. (s)'atutasse (c. II, 6) — dileguasse, svanisse.
aucel B. (t.) (s. II, 9) — uccello.
auselli (d. I, 5) — uccelli.
aulente (s. VIJ, 14 ecc.) — olezzante.
aunore (b. V, 40; s. XIJ, 7) — onore.
auro (b. V, 48) — oro.
autrui (c. II, 11) — altrui.
auzidere. (m)'auzide (c. X, 49) — m'uccide.
avallare. (m)'avalla B. (t.) (s. II, 14) — mi vince, mi abbatte.
avanti (c. I, 20) — anzi.
avansare (s. I, 4) — sorpassare; avansa D. R. (c. 24) — rende piú grave.
baldeza Ba. (t.) (s. I, 5) — baldanza.
balía (b. I, 8) — forza, potere.
bassansa (può avere) D. R. (c. 24) — può diminuire.
bassare F. (c. 45) — cadere in basso.
bastanza (fôra) (c. VI, 35) — sarebbe assai. [123]
ben (c. VJ, 46) — quand'anche; D. R. (s. II, 11) — benché.
brusciato F. (c. 11) — bruciato.
Ca D. R. (c. 19) — che.
càggere. cagio (s. XIJ, 8) — cado.
callare. (si) calla Bo. (t.) (s. III, 14) — si cala.
cannoscensa (c. III, 37) e
canoscensa (c. III, 36; D. R. s. I, 1) e
canoscenza (b. I, 7) e
caonoscensa (s. XIJ, 10) e
caonoscenza (s. XIIJ, 2) e
caunoscensa (c. V, 13) e
caunoscenza (c. VJ, 18 ecc.) e
cognoscenza (c. VIJ, 13) — conoscenza, sapere.
cansare. cansa (d. II, 64) — allontana.
casione (d. I, 22) — pretesto; (b. IV, 30) — causa.
catel (s. IX, 14) — cagnolino.
caunoscenti (s. X, 6) — sagge; (b. V, 26) — saggi.
caunoscére (s. X, 5) — conoscere.
cecen F. (c. 7) — cigno.
cèra (c. 11, 19 ecc.) — volto, viso.
certanza (far) Bo. (t.) (s. II, 2) — esser sicuro.
chera (s. X, 12) — chiara.
cherère. chero (s. III, 9 ecc); chiero (b. III, 17) chiedo, domando — cher G. (t.) (s. IV, 11) domanda — cherendo (s. XV, 1) cercando.
chi F. (c. 46) — che, il quale.
chiunqua (s. II, 8) — chiunque.
ciasimento G. (st. 10) — discernimento, scelta.
claro Ba. (t.) (s. I, 12) — chiaro.
clera D. R. (c. 35) — chiara.
co' Bo. (t.) (s. II, 5) e
com' G. (t.) (s. IV, 2 ecc.) e
como B. (t.) (s. V, 3) — come.
colpare. colpa (c. V, 22) — colpisce.
colpare. (ci) colpasse (b. IV, 30) — ci avessi colpa.
compimento (c. VJ, 20) — perfezione.
compire (c. IX, 31) — giungere a termine.
compita (c. IX, 41 e 49) — perfetta.
compiuto D. R. (c. 13) — perfetto.
comune (usar.... con) (c. VIIJ, 26) — stare insieme con.
concludere. (si) conclude (c. I, 20) — si oscura, si annera; conclude D. R. (c. 30) — comprende.
contansa (c. III, 64) — rinomanza.
contendenza (c. VIJ, 2) — contesa.
contradiare (s. XVJ, 7) — contrariare.
convento (per tal) (c. VJ, 45) — per tal patto, in maniera tale.
convitare, (vi) convitano d'amare (s. VIIJ, 13) — vi invitano ad amare.
continuati (c. IX, 49) — pieni.
coragio (c. IV, 11 ecc.) — cuore; (c. IX, 36 e XI, 6) — desiderio.
corrompere. corrompe G. (t.) (s. I, 5) — si corrompe.
cortezia (c. III, 46) — cortesia.
costumanza (c. XJ, 57) — costume, abitudine.
credensa D. R. (c. 33) — credenza.
crescensa (prende) (c. V, 14) — acquista pregio.
crescere. (gli) cresce (s. II, 3) — lo assale con violenza — cresce G. (t.) (s. I, 5; B. (t.) s. II, 7) — acquista più forza.
criarsi. si cria (c. III, 50) — si trova.
criatora (s. VIIJ, 14) e
criatura (b. II, 24) — creatura.
cridere. crido B. (t.) (s. V, 9) — credo.
crudellesse (d. I, 51) — crudeltá.
crudera (b. IV, 27) — crudele. [124]
cuocere. coco (b. IV, 2; s. VI, 11) — brucio; cuoce (c. V, 22) — scotta.
damagio (s. II, 3) — danno.
dare. (né) dànno (s. XJ, 5) — né fanno doni.
defetto D. R. (s. I, 8) — difetto.
dettati (s. XVIIJ, 2) — rime, versi.
detto (s. XIV, 2, 12) — parola; (s. XIIJ, 2, 7) — rime, versi.
ditto D. R. (c. 16); ditti (s. I, 2) — rime, versi.
dichinare. dichina (c. VIIJ, 39) — umilia, avvilisce.
dichino (sta al) (s. IX, 3) — è disprezzato.
dicidere. dicido G. (t.) (s. IV, 9) — decido.
dicimare. (si) dicima G. (t.) (s. I, 4) — si spunta, si lascia corrodere.
dicrescere. dicresce G. (t.) (s. I, 5) — diminuisce, perde di forza.
dilettanza (c. XJ, 58) — diletto.
dimino (s. IX, 5) — signoria.
dimostranza (far) (d. I, 8; d. II, 51) — far dimostrazione, dimostrare; dimostranza (b. IV, 19) — apparenza.
diporto (d. I, 28; s. VII, 10) — diletto.
diprimere. (si) diprima G. (t.) (s. IV, 8) — si vinca.
dire D. R. (c. 41) — far versi; (non) dicon (s. XJ, 5) — non fanno versi.
dirieto (b. I, 37) — dietro.
dirimere. dirima B. (t.) (s. V, 6) — distingue, differenzia; Bo. (t.) (s. III, 4) — si muta.
disbasato (s. IV, 4) — messo in basso.
discrivere. discrivo Bo. (t.) (s. II, 14) — scrivo.
disdire. disdico D. R. (c. 5) — nego.
disferare (s. III, 2) — trarre il ferro: (non) disferate (s. III, 11) — non traete il ferro.
disfidare. (mi) disfido G. (t.) (s. I, 12) — diffido.
disformare. (si) disforma D. R. (s. I, 2) — prende forme diverse.
disiansa (c. II, 25) e
desianza (c. V, 5) — desiderio.
dismaruto F. (c. 17) — smarrito.
dismizuransa (c. II, 28) — mancanza di misura.
dispári (che fa.. ad)(s. XIV, 2, 2) — che si distingue da.
disperanza (sono in) F. (c. 3) — son disperato, sono in disperazione.
dissimigliansa (s. I, 12) — stranezza.
distornare. distorna (s. IX, 9) — cancella.
distringere. (mi) distringe (c. X, 16) — mi ritiene.
diversitate (s. XJ, 8) — stranezza.
divizione (c. II, 23) — diversitá.
dogli (d. II, 8) — dolori.
doglia D. R. (c. 44) — dolore.
doglienz(a) (s. XV, 10) — dolore.
dolire (s. II, 9) — dolere.
dolze (b. IV, 2) — dolce.
dolzore (s. XIJ, 3) — dolcezza.
donare. (mi) dona (c. VII, 5) — mi consiglia.
Donqua (c. VIIJ, 27 ecc.) — dunque.
dottanza (b. IV, 21; F. c. 20) — timore.
dottare. dotti F. (c. 40) — dubiti, esiti.
dottor (di rima) G. (t.) (s. I, 8) — poeta.
dottoso (c. VIIJ, 4; Ba. (t.) s. I, 7) — che teme, timido.
dovenuto (s. V, 9) — accaduto: cfr. adovenire.
driti (b. I, 41) — dritti. [125]
dubitanza (so' in tutta) Ba. (t.) (s. I, 2) — sono nel dubbio piú assoluto.
dura (tene a) F. (c. 30) — tiene duramente.
durare. dura (b. II, 14) — si estende; dura (b. II, 15) — sostiene, soffre.
duresse (non state piú in) (d. I, 46) — non siate piú dure; duresse (d. I, 48, d. II, 13) — durezze.
entendanza (c. IX, 27) — intendimento.
equo G. (t.) (s. IV, 14) — cavallo.
eransa (c. II, 16) — affanno.
erransa (torna in) (c. I, 53-4) — mi è sventura.
erranza (c. XJ, 4) — affanno amoroso.
erore (d. II, 48) — errore.
errore (c. XJ, 21; s. XVIJ, 6) — affanno, travaglio.
esempro (ad) (b. V, 28) — ad esempio, come.
esporre. ispogna (s. I, 10) — dichiari, interpreti.
falenza (b. I, 5) e
fallanza (c. IV, 22 ecc.) e
fallensa (s. XV, 6) — fallo.
fallero G. (t.) (s. IV, 5) — fallace.
fallimento (c. VJ, 21) — fallo.
fallire (s. IV, 11) — perdere; fallisce (c. XJ, 31) — erra; falla (s. VIJ, 13) — manca; falisse (s. VIJ, 8) — mancasse.
fantino (s. IX, 1) — fanciullo.
fede (in) G. (st. 6) — fedelmente.
fello (fallo) (s. VJ, 5) — lo irrita.
fenire (s. V, 4) — finire.
fenix (lo) F. (39) — (la) fenice.
feresse (d. I, 50) — fierezze.
feruta (s. III, 11) — ferita.
feruto (s. III, 1 e 5; F. c. 19) — ferito.
fi B. (t.) (s. II, 10) — fu.
fidanza (d. I, 58) — fiducia.
figura ('n) (s. XJ, 14) — finto.
fina (c. VIIJ, 33) — perfetta.
fin(o) (s. XIJ, 1 e XIIJ, 2, 13); Bo. (t.) (s. II, 10) — perfetto; (s. IX, 7) — come si deve; Ba. (t.) (I, 4) — fino core, perfetto amore.
fine (di) D. R. (s. I, 12) — finamente.
finita (b. III, 18) — morte.
finita D. R. (s. II, 11) — imperfetta.
fior (la) (s. VIJ, 5) e
flor B. (t.) (II, 4) e
flore (c. VJ, 7) — fiore.
fiorere. fiore (c. VIIJ, 15) — fiorisce.
florere. flore (c. VIIJ, 9) — fiorisce.
fochio (b. I, 29) — fuoco.
forma (c. XJ, 65) — fattezze.
forsa (s. I, 14) — forza.
fortesse (d. I, 44) — fortezze.
frangente (b. IV, 17) — tempestosa (l'it. antico conosce la parola come sostantivo, nel significato di «onda», «tempesta»).
frastenuto F. (c. 13) — trattenuto.
fredura B. (t.) (s. II, 10) — freddo.
frondire. fronde (c. VIIJ, 15) — frondeggia.
fruttare. frutta (c. VIIJ, 15) — fruttifica.
fruttiferosa (c. XJ, 40) — fruttifera.
gente (c. V, 21 ecc.) — gentile.
gialura (s. VIIJ, 2) — gelo.
girare. gira D. R. (c. 49) — offende.
gittare. gitto D. R. (c. 17) — manifesto.
giudía (b. IV, 28) — giudea.
giunta (s. XIIJ, 2, 2) — aggiunta, (s. XIIJ, 2, 6) — arrivo, (s. XIIJ, 2, 8) — arrivata.
goliare. golia (c. IV, 30) — brama, desidera. [126]
gradire (c. II, 22) — apprezzare.
grandire (c. XJ, 8) — esaltare.
graveza F. (c. 2) — dolore.
graziosa (c. IX, 11) — benigna.
guerrera (c. II, 31) — nemica.
guisa (tanta) (d. II, 10) — in tanta guisa.
ima B. (t.) (s. V, 4) — a grande distanza.
imbardare. (ne) 'mbardo (d. II, 58) — ne innamoro.
imperare. lo 'mpera (b. V, 54) — comanda a lui.
imprumera (b. IV, 9) — primiera.
inalturate (s. X, 9) — poste in alto (in senso morale).
inantir B. (t.) (s. V, 4) — avanzare.
inardir (e) (s. d. d. a., 2) — rinfrancare.
incarnare (d. II, 45) — raggiungere (il fine). Questo significato secondario deriva, certo, dalla espressione «incarnare i falconi» ammaestrarli a ghermire: cfr. Petrocchi, N. D. ad v. — incarnato (s. XJ, 14) — vero.
incendere. (lo) 'ncende (s. VJ, 5) — lo brucia — incende (s. VJ, 14) — brucia.
incuminzanza (c. IV, 17) — incominciamento.
indivinero G. (t.) (s. IV, 1) — indovino.
infinger(si), mi s'infinge (c. X, 19) — mi si mostra restía.
innamoranza Bo. (t.) (s. II, 4) — amore.
innavanzare. (s)'innavanza (d. I, 12) — s'esalta.
insegnamente (c. X, 44) — insegnamenti.
insegnamento (c. II, 15) — ragione; (c. III, 54) — sapere.
'nsegnamento (c. VI, 17) — sapere.
intalentare, (v)'intalenti (s. XIIJ, 2, 6) — vi piaccia.
intendensa (c. III, 61) e
'ntendenza (c. VJ, 16) — intendimento.
intendersi. (in fior m)'intendo (s. VIJ, 12) — m'innamoro del fiore.
intendimenti (c. IX, 4) — attenzioni.
intendimento (d. II, 17) — speranza: Ba. (t.) (s. I, 9) amore; Ba. (t.) (s. I, 12) — spiegazione.
intenza (b. V, 1) — intenzione, intelligenza, contrasto (?).
ira (s. VJ, 7) — dolore.
iscanoscienti (b. I, 33) — villani.
isfare. (se) isfaccia D. R. (c. 56) — che si disfaccia, che sia debole, che non valga nulla.
ispene (tener) (s. IV, 10) — sperare.
issa (d. I, 35) — ora, adesso.
laldatore (b. I, 18) — laudatore.
lanciato (c. X, 16) — ferito.
latin G. (t.) (s. I, 7) — chiaro.
latino Bo. (t.) (s. III, 7) — chiaro; in suo latino (c. X, 4) — in suo linguaggio.
laudore (s. XIJ, 7) e
lausor (s. XIJ, 13) — lode.
leansa (c. III, 49) — lealtá.
legero (di) G. (t.) (s. IV, 7) — facilmente.
legieri Bo. (t.) (s. II, 1) — leggero.
lena F. (c. 32) — alito.
leofante F. (c. 47) — elefante.
lontana (c. III, 64) — molto estesa.
lumato (b. I, 29) — acceso.
lumera (c. II, 24; c. XI, 24) — splendore; (s. I, 5) — lume.
lupardo F. (c. 15) — leopardo. [127]
ma' (s. V, 10) — malamente.
maestero G. (t.) (s. IV, 3) — abilitá.
magistero D. R. (s. II, 2) — dottrina.
mainera (c. II, 7 ecc.) e
manera (c. V, 37 ecc.) — maniera.
malenanza (c. VJ, 34) — male; F. (c. I) — affanno, doglia.
mallare. (si) malla Bo. (t.) (s. III, 11) — si nasconde.
mantenere. mantene (c. V, 15) D. R. (s. II, 12) — possiede, ha.
martire (c. X, 33) — tormenti.
martore (s. d. d. a., 6) — martoro.
me' (s. XV, 3) e
mei (c. I, 36) — meglio.
meglioranza F. (c. 40) — miglioramento, il divenir migliore.
menare. signoria menando (s. XVJ, 6) — signoreggiando.
mendare. mendate Bo. (t.) (s. II, 14) — correggete(lo).
mente (pur guardandovi) (b. II, 27) — pur guardandovi (?). O è una tmesi?; mente (la tene) (c. V, 18) — la considera.
mentire. mentisce (c. IX, 50) — smentisce.
meritare. merita (c. IX, 6) — compensa, rimerita — meritato (s. XJ, 10) — ricompensato.
merzé (b. III, 18) e
merzide (c. X, 46) — mercede.
messione (far) (d. I, 25) — esser liberali; non fa messione (c. III, 62) — non è liberale.
messire (d. II, 30) — messere.
metalla B. (t.) (s. V, 11) — metalli.
mettere. mettesse (b. V, 48) — spendesse.
miso (s. XIV, 2. 10; F. c. 13) — messo.
misora (c. XJ, 31) e
mizura D. R. (c. 63) — misura.
mistero (di) B. (t.) (s. V, 3) — misteriosa, arcana.
mistieri (m'è) Ba. (t.) (s. I, 1) — mi fa d'uopo.
mod(o) D. R. (c. 62) — moderazione.
molleza G. (t.) (s. I, 4) — dolcezza.
mondo (s. XIV, 2, 4) — schietto, puro.
montare. monta (c. III, 28) — importa, è pregiato — montasi (c. VIIJ, 14) — si accresce — montare in grande affare (c. III, 34-5) — essere altamente pregiato.
mossare. (si) mossa (b. I, 31) — si mostra.
movere. move D. R. (s. I, 1) — agita.
movimento (c. II, 30) — commozione.
mutanza (non fa) Bo. (t.) (s. II, 8) — non muta, non fa mutamento — (faccia di sé) mutanza F. (c. 37) — cambi, muti, faccia mutamento.
'ncrescenza (b. IV, 17) — il crescere, il sopravanzare.
nd' (c. I, 43 ecc.) e
nde (c. V, 24 ecc.) — ne.
nessuna (c. III, 26) — alcuna.
'ngegna (a) (s. XIJ, 14) — con inganno.
'ngegnero (chi è piú) B. (t.) (s. V, 7) — chi ha piú ingegno.
niente (torn'al) (b. I, 3) — non val niente — niente (non fue che montasse) (b. IV, 31) — non fu di nessuna importanza.
neente D. R. (c. 2) e
neiente (s. d. d. a., 5) — niente.
nieve (s. VIIJ, 1) — neve.
nodrire. nodrisco (d. II, 36) — mi nutro.
Nossa Donna (s. XVIIJ, 6) — Nostra Donna, la Madonna.
Novellamente (c. V, 1) — da poco tempo.
'ntensione (c. I, 59 e II, 32: int.) — speranza. [128]
odiozo (c. I, 31) — infesto, nemico.
odito (d. I, 9) — udito.
ofensione (b. IV, 31) e
offensa D. R. (c. 55) — offesa.
ogna (s. III, 8 ecc.) — ogni.
omne Bo. (t.) (s. III, 8) — ogni cosa.
onoranza (c. IV, 21 ecc.) — onore.
or (s. XIV, 1, 14) — oppure.
ore (a tutt') (c. III, 44) — continuamente.
ottima (c. XJ, 43) — ottima, la più perfetta.
paleze D. R. (s. I, 11) — palese.
paragio (c. VIJ, 7) — stato, condizione.
pararsi. ch'avanti a voi si pari (s. XIV, 2, 3) — che si paragoni con voi.
pareggiare. pareggiasse (b. II, 13) — stesse al paragone.
parenza (s. X, 7) — apparenza.
parere. pare (s. VJ, 2) — appare; pare D. R. (c. 19) — mostra.
pari (s. XIV, 2, 4) — simile.
parimento B. (t.) (s. V, 13) — parimente, ugualmente.
parlatura (s. I, 11) — modo di parlare.
parlieri Ba. (t.) (s. I, 7) — ciarloni.
parpaglion Bo. (t.) (s. III, 14) — farfalla.
partita (ben) (c. V, 27) — perfetta nelle sue parti.
partito (s. I, 6) — parte.
parvenza (a mia) F. (c. 10) — come me, a mia somiglianza.
passare. passa D. R. (c. 43) — evita.
patire. pata (s. XV, 2) — patisca; patuto (s. d. d. a., 11) — patito.
pegnare. pegno (b. III, 12) — do in pegno.
péllere. pelle G. (t.) (s. IV, 14) — supera, vince.
penetente (serestene) (b. IV, 24) — ne portereste pena.
penitensa (s. XV, 2) — penitenza.
pensagione (c. II, 20 e 38) — pensiero.
penseri (per mettervi 'n) Bo. (t.) (s. II, 3) — perché dubitavate, per il dubitare che voi facevate; penseri D. R. (c. 66) — pensieri.
pensero B. (t.) (s. V, 1) — pensiero; per pensero Bo. (t.) (s. III, 1) — secondo quel che mi sembra.
per B. (t.) (s. II, 3) — per forza.
percepenza (c. IX, 12) — percezione.
pertenere. pertene (b. III, 8) — appartiene, si addice; pertene...a D. R. (s. II, 9) — dipende da.
pesanza Ba. (t.) (s. I, 8) — affanno, tormento.
piacensa (c. V, 9) e
piacenza (c. XI, 9; s. X, 1) — bellezza; (c. VJ, 15) — piacere; (c. IX, 15) — gentilezza.
plagensa (c. II, 37 ecc.) — bellezza.
piacentieri Ba. (t.) (s. I, 3) — gentili, che dánno piacere.
piaceri Bo. (t.) (s. II, 7) — piacere.
piacimento (sta 'n vigore di tutto) (c. VIIJ, 10-1) — ha in sé tutti i diletti; piacimento B. (t.) (s. II, 13) e Bo. (t.) (s. II, 9) — piacere.
piare. pia (c. I, 46) — Si dice degli uccelli «che cantano in amore» (Petr.).
pietanza (c. VIIJ, 30 ecc.) — pietá.
pintura (c. VI, 30) — pittura, quadro.
piò (s. IV, 3); D. R. (s. II, 1 e 7) — più.
plovere. plove D. R. (s. I, 3) — piove.
ponto (b. II, 23) — punto.
pratora (d. I, 2) — prati.
mutilaprendimento (non ha) G. (t.) (s. IV, 13) — non si apprende. [129]
prescio (b. I, 13 ecc.) e
presgio (s. XIV, 2, 1) — pregio.
presiar(e) G. (st. 2) — pregiare.
preso (c. VJ, 15; c. VII, 9) — pregio.
primero B. (t.) (s. II, 7) — primiero; B. (t.) (s. V, 5) — la materia prima; sta primero Bo. (t.) (s. III, 5) — resta com'era prima.
priso (b. II, 3) — preso.
priva (c. I, 23) — priva di vita. È sinonimo di «morta» che precede.
procaccio (c. II, 5) — guadagno.
prodessa (b. I, 26) — prodezza.
prodesse (b. I, 21) — prodezze.
propria (c. VI, 31) — originale.
provamento Bo. (t.) (s. III, 10) — prova.
proventi (stan piú) (b. V, 30) — piú obbediscono.
quagli (s. IX, 4) — quali.
quine (s. I, 7) — qui.
ralegranza (c. VI, 2 e 3) — allegrezza.
rasion(e) (c. XI, 49 ecc.) e
rason(e) B. (t.) (s. II, 1 ecc.) — ragione.
regimento F. (c. 46) — sostegno.
renverdire (s. d. d. a., 14) — rinverdire.
reo (c. I, 53) — crudele.
reto (c. VJ, 46) — dietro.
ricca (c. IV, 17) — bella; faraggio ricca (c. II, 32) — appagherò; (c. VII, 11) — grande.
rifinare. rifino (c. X, 8) — cesso (di cantare).
rifrescare. rifresca (s. II, 14) — rinfresca.
riguardato (c. XJ, 6) — protetto.
riguardi (c. X, 15, 27) — sguardi.
rinfrangere. rinfrangesse (b. IV, 23) — si spezzasse.
riprendensa(c. II, 8) — riprensione.
riprimere. riprima G. (t.) (IV, 4) — reprima.
risemblare. risembla (s. VJ, 3) — sembra.
risentire (de lo) (c. II, 2) — ridestare a.
risposa G. (t.) (s. IV, 8) e
risposo G. (t.) (s. IV, 4) e D. R. (s. II, 8) — risposta.
risprendere. risprende (s. X, 14) — risplende.
ristauro (b. V, 50) — ristoro.
ritenenza (b. IV, 16) — ritegno.
ritenire (s. V, 6) — ritenere.
rivera (d. I, 1; b. V, 34) — riviera.
saggiare. sagio (s. XIIJ, 1, 5; XIIJ, 2, 7) — provo, misuro.
sagio (s. XIIJ, 1, 1) — sapiente; (s. XIIJ, 1, 3) saggio; (s. XIIJ, 2, 1) saggezza; (s. XIIJ, 2, 3) — poeta; (s. XIIJ, 2, 5) — gusto.
saglire (c. III, 24) — salire; saglito F. (c. 24) — salito.
saucido Bo. (t.) (s. III, 12) — ?.
scarso (c. XJ, 36) — avaro.
scaunoscenza (c. VIJ, 17) — difetto di conoscenza, ignoranza.
schifare. schifa (s. IX, 3) — scansa, sfugge.
scogliare. scoglia D. R. (c. 45) — muta la pelle, si libera.
scrittura (s. I, 14) — studio.
sdegna (s. XIJ, 11) — sdegni.
seguiti (son) (s. IX, 2) — hanno seguito.
sensa D. R. (c. 42) — senza.
sentensa (c. III, 31) — soluzione; D. R. (c. 34) — sentenza.
sentenza Bo. (t.) (s. III, 9) — senno; Go. (t.) (s. I, 9) — soluzione.
sentieri (agio) Bo. (t.) (s. II, 5) — sento, ho sentore. [130]
sentire (c. I, 2) — dolere D. R. (s. II, 5) — conoscere; sento D. R. (c. 7) — penso; sente (c. V, 22) — fa male; B. (t.) (s. V, 8) — piú sente de l', piú è versato nell'; sente (s. IX, 11) — se ne accorgerá; D. R. (c. 1) — prova.
serino (c. X, 2) — sereno.
sfogliamento (s. d. d. a., 14) — lo sfogliarsi.
sguardare. sguardo (d. II, 55) — guardo.
signoragio (c. IV, 10 ecc.) — signoria, potenza.
simil (a) D. R. (s. I, 7) — in tale condizione, cosí essendo le cose.
similemente (b. II, 31) e
similimente D. R. (s. I, 1) — similmente.
smarruto (c. II, 26) — smarrito.
smirato (b. II, 30) — limpido.
so (s. IX, 5); F. (c. 14) — suo.
soferenza (s. III, 13) e
sofrenza (s. III, 7; s. d. d. a., 10) — tolleranza.
sofferére (e. VIJ, 23) — sopportare.
soldare. solda (b. II, 34) — soddisfa, appaga.
soperchio (far) (s. IV, 13) — esser tracotante.
sormontare (c. VIIJ, 13) — avanzare; (s. d. d. a., 12) — soverchiare.
sotano (d. II, 32) — inferiore.
sottigliansa (s. I, 9) — sottigliezza.
sparere (c. XJ, 18) — perder di pregio.
spavenza F. (c. 12) — spavento.
spegnare. spegnasende (s. XIJ, 11) — se ne spenge; spegna D. R. (c. 38) — cancella.
spene (tene) (s. XIJ, 12) — spera.
spera (c. XJ, 23) — specchio; (s. I, 7) — sole.
spera (d. I, 61; s. III, 9) — speranza.
spiagensa (s. XV, 4) — dispiacere.
sprendere. isprendete (s. X, 13) — splendete; isprendente (s. X, 13) — splendente.
sprendore (b. II, 18 ecc.) — splendore.
sprimare. (si) sprima B. (t.) (s. II, 4) — vien fuori; Bo. (t.) (s. III, 6) — cambia, muta.
sprimere. (si) sprima G (t.) (IV, 2) — si esprima.
stagione (ogna) (c. III, 22); stasione (ogne) (c. VIIJ, 14) — sempre; a la stasion (c. VIIJ, 39) — talvolta.
stare. (pur) istando (s. VIIJ, 9) — col tempo.
stesse (b. I, 19) — stesso.
stranero (c. XJ, 3) — strano.
stranianza (b. IV, 9) — inesperienza.
straniata (c. IX, 18) — allontanata.
stridere. (mi) strido G. (t.) (IV, 12) — mi chiedo gridando (dall'assillo del pensiero).
strimare. strima B. (t.) (s. II, 8) — assottiglia, porta via; si strima Bo. (t.) (s. III, 2) — si assottiglia.
stringer(e) (s. IX, 10) — costringere, dominare.
strutto (c. VI, 11) — distrutto.
sublimare. sublima G. (t.) (s. IV, 6) — vola cosí in alto.
succiso (c. V, 35) — tagliato, strappato.
talento (l'ho 'n) (d. II, 5) — mi piace.
talore (c. VIIJ, 38) — talora.
taupin (s. V, 12) — tapino.
temenza (s. XVIJ, 4) e
temore (s. d. d. a., 4) — timore.
tempestanza (d. II, 42) — tempesta.
tempestare. tempesto (c. VIIJ, 32) — sono in tempesta.
tenere. (la) tegna (s. XIJ, 13) — sia il fondamento della. [131]
tensa D. R. (c. 55) — tenzone.
termino (in piccolo...) (s. V, 11) — in poco tempo.
tesauro (b. V, 46) — tesoro.
tinto (c. XJ, 12) — tintura.
tirare. tira D. R. (c. 48) — strazia.
togliere. tolle Bo. (t.) (s. III, 5) — diminuisce, si assottiglia.
tormente (c. X, 48) — tormenti.
traier (canson) (s. I, 14) — far canzoni; trare (s. III, 4) — trarre; tragio (s. XIJ, 5) — traggo; trai (s. X, 11) — trae.
transiti (s. IX, 8) — passati.
transmutamento B. (t.) (s. V, 10) — cambiamento.
traportare (c. VJ, 34) — cambiare.
tremore (s. XVIJ, 3) — trèmito.
trovare D. R. (c. 9) — modo di far versi.
tutor (c. X, 19, 38) — sempre.
tuttavia (c. VIIJ, 25) — continuamente.
u (c. III, 72) — o.
ubidenza (c. VIJ, 6, 12) — obbedienza.
unque (c. X, 32 ecc.) — mai.
usagio (s. II, 5; XIJ, 2) — uso.
usato (lung'...) (s. XJ, 11) — paziente, longanime.
uzansa D. R. (c. 23) — consuetudine.
valensa (c. III, 57; s. XIJ, 10) — valore, virtú; (s. XIJ, 13) — senno.
valenza (s. X, 3) — valore, virtú.
valimento (c. III, 49; c. VJ, 48) — virtú; (s. d. d. a., 13) — valore.
vazel D. R. (s. II, 12) — piccolo vaso, il corpo.
ventare. venta D. R. (s. I, 5) — spira.
vertode (c. XJ, 33) — virtú.
vilitate (s. d. d. a., 3) — viltá.
visagio (non cagio'n) (s. XIJ, 7-8) — non cado in dimostrazione esterna.
visaggio (c. XJ, 17) — viso.
visii D. R. (c. 53) — vizi.
vo' Bo. (t.) (s. II, 12) — vi, a voi.
volenza (s. x, 11) — volere.
volo (con...) (s. XIV, 2, 13) — alla sfuggita, affrettatamente, senza pensarci.
vossi (s. XVIIJ, 2) — vostri.
vosso (s. XVIIJ, 1) — vostro.
zitello (s. VI, 1) — fanciullo.
A CURA
DI
GUIDO ZACCAGNINI
Ha ricevuto da madonna una rosa e molto spera per questo lusinghiero principio.
CANZONE EQUIVOCA
Si lagna che da piú d'un anno sia caduto in servitú di lei e ne loda le bellezze.
Brutti lacci quelli d'Amore, e quanti affanni esso procura!
È contento di servire madonna.
È contento di soffrire gravi pene per lei.
Si lagna d'aver perduto la gioia che prima aveva avuto, amando madonna.
Si lagna delle pene in cui si trova per servire madonna.
Ancora mostra il suo dolore per la crudeltá di lei.
Si lamenta ancora di dover tanto soffrire per essere servo d'Amore.
Si lamenta delle prepotenze e ingiustizie che commetteva in Pisa la parte che spadroneggiava al governo della cosa pubblica.
Vorrebbe trovar rimedio contro le pene d'amore, ma non sa come.
Dice d'esser tutto preso dall'amore di lei e di non avere altro pensiero.
RINTRONICO
Consiglia a soffrire le avversitá con rassegnazione, sperando d'averne un giorno lenimento.
Non potendo piú reggere alle amare pene che lo affliggono, si risolve a parlarne, ma in forma coperta, perché non lo intenda un tal Corso.
Anche qui parla chiuso, per dare sfogo al dolore che lo affanna.
L'anima viene pura dall'alto; ma si guasta poi e si travia, come quella del poeta, che ha dato a madonna l'impero del suo cuore.
Instabilitá della fortuna.
Conforta un amico d'un grave dolore che lo affanna.
Dice ad un amico come giá da tre anni sia servo d'amore, e gli domanda consiglio.
Esorta altri a mostrare, ch'è tempo, il proprio valore, per togliersi dal basso stato, ov'è caduto.
Discopre le sue pene per essere in signoria d'Amore.
Si lamenta di vedere abbandonata la giustizia e trionfare la slealtá.
Ogni sua volontá, ogni diletto è in piacere a lei.
Amore ha preso tutta la sua anima ed è porto d'ogni sua virtú.
Ha la graziosa immagine di madonna fissa sempre in cuore.
Si mostra lieto di essere in servitú d'Amore per una donna avvenente.
Chiede a madonna, poiché è in tutto servo di lei, che si mova a pietá del suo amore.
Si lagna delle pene che gli dá Amore e chiede a madonna che si mova a pietá del suo dolore.
Della gioia che prova a guardar lei.
Si lagna che madonna lo faccia tanto soffrire.
Si lamenta che Amore lo abbia ingannato e lo prega a far sí che madonna abbia pietá di lui.
In madonna è ogni bellezza e gentilezza, ed è onorato chi ha fermezza in amar lei.
Stolti coloro che lodano Amore, fonte di tanti mali.
Si lagna di Amore, che con tante pene lo tormenta, e chiede perdono a Dio d'essersi fatto schiavo di lui.
Esprime il dolore che sente a veder governata Pisa da tali che non curano il bene e fanno strazio della patria.
A Natuccio Cinquino
Si duole della sua dolorosa vita e chiede pietá a Dio.
Risposta di Natuccio Cinquino
Comporta il dolore che ha, sperando che abbia una volta a finire.
A Si. Gui. da Pistoia
Se preferisca che la loro amicizia invecchi o sia sempre fresca.
Tenzoni fra Natuccio e Bacciarone
1.
A Bacciarone di Messer Bacone
Perché il dolore e la gioia siano date all'uomo sempre per il suo meglio.
2
Risposta di Bacciarone
Nel dolore l'uomo impara a soffrire, e nelle prosperitá apprende ad esserne grato a Dio.
1.
A Bacciarone di messer Bacone
Perché il peccato sia piú amato che fare e dire il bene.
2.
Risposta di Bacciarone
Il peccato è amato piú del bene a causa dell'abitudine, che è piú forte della natura e della ragione.
Loda la bellezza e la virtú della sua donna e le chiede scusa se non sa celebrarla come essa merita.
Si lamenta della sua infelice vita e soprattutto di essere abbandonato dalle persone piú care.
Si lagna che madonna gli abbia prima fatto sperare d'aver gioia del suo amore, e poi lo abbia ingannato.
Dice ad un poeta che è bene riflettere lungamente prima di parlare.
Proemi de doctrina de cort.
Començament de doctrina provincial vera e de rahonable locucio.
Nominatiu, «hic amics»; genetiu, «amic»; datiu, «amic», acusatiu, «amic»; vocatiu, «amics»; ablatiu, «ab amic», «per amic», «del amic», «en amic», «ses e senes amich». E plural, «amic»; genitiu, «amics»; datiu «amics» acusatiu, «amics»; vocatiu, «amic»; ablatiu, «ab amics», «pels amics» «dels amics», «en amichs», «ses e senes amics», etc. [231]
Nominatio, «franca»; genetiu, «franca»; datiu, «franca»; acusatiu, «franca»; vocatiu, «franca»; ablatiu, «ab franca»; e plural, «francas»; genetiu, «francas»; datiu, «francas»; acusatiu, «francas»; vocatiu, «o francas»; ablatiu, «ab francas», etc.
Nominatio, «hec amors»; genetiu, «amor»; datiu, «amor» acusatiu, «amor»; vocatiu, «amors»; ablatiu, «ab amor», etc. E plural, «amors»; genetiu, «amors»; datiu, «amors»; acusatiu, «amors»; vocatiu, «amors»; ablatiu, «ab amors», etc.
Nominatio, «cors»; genetiu, «cors»; datiu, «cors»; acusatiu «cors»; vocatiu, «cors»; ablatiu, «ab cors»; et plural, «cors»; genetiu, «cors»; datiu, «cors»; acusatiu, «cors»; vocatiu, «cors»; ablatiu, «cors», etc. [234]
Nominatio, «chantayritz»; genetiu, «chantayritz»; datiu, «chantayritz»; acusatiu, «chantayritz»; vocatiu, «o chantayritz»; ablatiu, «ab chantayritz», etc. Et plural, «chantayritz»; genetiu, «chantayritz»; datiu, «chantayritz»; acusatiu, «chantayritz»; vocatiu, «o chantayritz»; ablatiu, «ab chantayritz», «ses o senes chantayritz», etc.
Nominatio, «tots»; genetiu, «tot»; datiu, «tot»; acusatiu, «tot»; vocatiu «totz»; ablatiu, «ab tot». Et plural, «tuyt»; genetiu, «totz»; datiu, «totz»; acusatiu, «totz»; vocatiu, «tuyt»; ablatiu, «totz».
Nominatio, «sotils»; genetio, «sotil»; datio, «sotil»; acusatio, «sotil»; vocatio, «sotils»; ablatio, «ab sotil», «ses o senes sotil», etc. Et plural, «sotil»; genetio, «sotils»; datio, «sotils»; acusatio, «sotils»; vocatiu, «sotil»; ablatiu, «ab sotils», «ses o senes sotils», etc. [236]
Nominatio, «us»; genetiu, «un»; datiu, «un»; acusatio, «un»; vocatio, «us»; ablatio, «ab un», etc. Nominatio, «dui»; genetio, «dos»; datio, «dos»; acusatio, «dos»; vocatio, «dui»; ablatio, «dos», etc.
Nominatio, «sor»; genetio, «sor»; datio, «soror»; acusatio, «soror»; vocatio, «sor»; ablatio, «ab soror». Et plural, nominatio, «sorors»; genetio, «sorors»; datio, «sorors»; acusatio, «sorors»; vocatio, «sorors»; ablatio, «ab sorors», «ses o senes sorors», etc. [237]
Nominatio, «baros»; genetio, «baron»; datio, «baron»; acusatio, «baron»; vocatio, «baros»; ablatio, «ab baron». Et plural, «baron»; genetio, «barons»; datio, «barons»; acusatio, «barons»; vocatio, «o baron»; ablatio, «ab barons», etc.
Nominatio, «seygner»; genetio, «seignor»; datio, «seignor»; acusatio, «seignor»; vocatio, «seigner»; ablatio, «seignor». Et plural, «seignor»; genetio, «seignors»; datio, «senyors»; acusatio, «seignors»; vocatio, «seignor»; ablatio, «ab seignors». [238]
Nominatio, «trobayre»; genetio, «trobador»; datio, «trobador»; acusatio, «trobador»; vocatio, «trobayre»; ablatio, «ab trobador». Et plural, «trobador»; genetio, «trobador»; datio, «trobadors»; acusatio, «trobadors»; vocatio, «trobador»; ablatio, «ab trobadors».
Nominatio, «mellers»; genetio, «mellor»; datio, «mellor»; acusatio, «mellor»; vocatio, «mellers»; ablatio, «ab mellor». Et plural, nominatio, «mellor»; genetio, «mellors»; datio, «mellors»; acusatio, «mellors»; vocatio, «mellor»; ablatio, «ab mellors», etc.
Nominatio, «cel»; genetiu, «celui»; datio, «celui»: accusatio, «celui»; ablatio, «celui». Et pluraliter, «cel»; genetio, «cels»; datio, «cels»; acusatio «cels».
Nominatio, «il»; genetio, «il»; datio, «lei»; acusatio, «lei»; ablatio, «ab ley». Et pluraliter, «ellas»; genetio, «ellas»; datio, «ellas»; acusatio, «ellas»; vocatio, «ellas», etc.
Acababa es la doctrina de cort provincial e de vera e rabonable locucio.
Un'edizione critica dei rimatori che cantarono a Pisa nel secolo XIII sotto l'influsso guittoniano, non è stata finora tentata. Il lavoro, a dir vero, non era tale da invogliare; giacché, senza dire che le rime di quei rozzissimi poeti ci sono state tramandate in forma assai malsicura da pochissimi codici, e spessissimo dal solo Laurenziano-Rediano 9 (L), l'oscuritá regna siffattamente nei loro noiosi componimenti, che volere intender sempre il loro «dittato forte» è impresa disperata. Ciò valga a far perdonare le deficienze della presente edizione, la quale, senza alcuna pretensione di criticitá, vuol dare semplicemente un testo, quale lo stato odierno degli studi permette di esibire.
I
GALLO O GALLETTO
Un Gallus iudex Agnelli notò il Gaspary (St. d. letter. ital., I, 423) fra gli ambasciatori pisani al concilio di Lione nel 1275 (cfr. Muratori, RR. II. SS., XXIV, 682). In un documento pisano del 17 e 19 giugno 1282 sono ricordati la podesteria di Volterra di Gerardo d'Isacco pisano «et iudicatus Galli Agnelli de Pisis» (Regestum Volaterranum dello Schneider, Regesta chartarum Italiae, p. 302, n. 896). E finalmente troviamo nel gennaio 1288 una provvisione fatta «a domino Gallo Angnelli» e da altri anziani di Pisa (Bonaini, Statuti pisani, I, 692). Si tratta forse del nostro rimatore.
Riproduco per le due canzoni l'edizione del Monaci, Crestomazia dei primi secoli, con lievi modifiche d'indole grafica. La canzone I è in L e in V (Vaticano 3793). [252]
Canzone I, v. 4: «s'inavanza». Correggo cosí il «s'avansa» di L, per la misura del verso.
v. 31: «Cicilía». L ha «seccelía». Seguo V, che ha la forma «Cicilía», corrotta in L.
v. 40: «aulía». Cosí in V: L ha «auliva».
Canzone II, v. 7: «com'este». Cosí in V: L ha «como ad esser».
v. 26: «roma». Cosí credo debba leggersi l'«aroma» di V: L ha al v. 26 «ruma», come al v. 29 «a Ruma». Ma è assai difficile capire che cosa abbia voluto dire il p. con la parola «roma», suggeritagli probabilmente dalla rima: forse «romana»?
v. 39: «e saglie». V «salsi»: ricavo la forma da me adottata da L che pure ha «saglisce».
v. 60: «ch'a ciascun». Cosí in V: L «che ciascun».
II
LEONARDO DEL GUALLACCA
Diresse il suo serventese a Gallo, servendosi dello stesso schema metrico usato dal suo amico e delle stesse rime.
Anche per questa poesia (che è in L e in V) riproduco la cit. ediz. del Monaci, correggendola in qualche parte.
v. 1: «lasso». V «a nasso»; ma va conservato «lasso» di L, perché è anche nel v. 1 della canzone di Gallo.
v. 4: «l'asso». È noto che nel giuoco della zara o dei dadi si faceva un tiro infelice, quando si gettava l'asso.
v. 9: «Daviso». Sta per «David» per tirannia della rima. Il ricordo di Salomone, e soprattutto il v. 10: «lo profeta piagente», fanno congetturare che qui si debba intendere il «daviso» di L e V per «Daviso».
v. 35: «né 'n versi». Cosí in V: L non ha l'«'n», dopo il «né».
v. 37: «in fallo». V ha «ispallo» e L «isfallo»; ma credo che sia indispensabile la mia correzione. Il p. vuol dire: Chi s'innamora senza essere riamato («in fallo», «a vuoto»), ho udito dai saggi che si trova assai male.
v. 40: «rifallo». Cosí in L: V ha «a rio fallo». Forse vuol dire che l'esperienza del male rifá chi ha buon senso?
v. 43: «chi quivi serra». Cosí in L: V «chi vi serra».
v. 44: «chi saglie». Cosí in L: V «s'elgli».
v. 54: «ne dan d'amor». Congetturo che, pel senso, cosí si debba leggere, e non «vedran da lor lo saggio», com'è in L, o «vedran d'Amor lo sagio», com'è in V. [253]
v. 60: «Non crea a vista né ad atto». V ed L hanno «né a matto»; ma l'assai facile correzione è suggerita dal senso.
v. 72: «abocco». Cosí in V: L ha «attoccho».
III
PANUCCIO DEL BAGNO
Non fu egli dei Bagni di San Giuliano presso Pisa, come qualcuno ha creduto; ma d'una famiglia Del Bagno di Pisa. Infatti trovo che Rainerius de Balneo pel novembre e il decembre del 1297 è anziano a Pisa (v., nella Chronica antiqua conventus Sanctae Catharinae de Pisis, ed. da F. Bonaini, nell'Arch. stor. ital., 1ª serie, t. VI, il Breve vetus seu Chronica antianorum civitatis Pisarum ab an. Dominicae Incarnationis MCCLXXXIX ad an. MCCCCIX). Pei mesi di novembre e dicembre del 1305 è fra gli anziani Puccius de Balneo (ivi).
In una sua canzone politica, «La dolorosa noia», si lamenta di certuni, «non saggi, alpestri», degni del capestro, che lo costringevano a stare dove non avrebbe voluto, in loro soggezione. Costoro avevan tolto dal governo «i valorosi e degni e buon rettori» e avevan tratte in loro potere tutte le cose del Comune, avevan conculcato ogni sentimento di giustizia «e perdute castella e piano in guerra». Si allude sicuramente alla cessione di castelli e di parte del piano di Pisa, che fu fatta dal conte Ugolino della Gherardesca e dagli uomini di sua parte dopo l'infelice battaglia della Meloria. Non mi pare vi sia alcun dubbio che in questa canzone Panuccio si lamenti della signoria ghibellina, che il conte Ugolino della Gherardesca impose a Pisa nel 1285.
Guittoniano puro, Panuccio è, tra i rimatori pisani, il piú oscuro e il piú artificioso: la sua poesia è tutta infarcita di forme e di reminiscenze provenzali.
Le sue rime sono quasi tutte soltanto nel Laurenziano-Rediano 9 (L), pochissime anche nel Vaticano 3793 (V). Sicuramente non appartengono a lui alcune canzoni: «Quant'aggio ingegno e forza in veritade» e «Chiar' ha 'n sé valore», «Lasso taupino, in che punto crudele», e il sonetto «Quando valore e senno d'om' si [254] mostra» che il Valeriani (Poeti del primo secolo, 1) gli assegnò: L li dá anonimi.
Canzone I, v. 4 «e stat'», ecc: Intendi: il «vostr'altèro plagimento e la gran conoscenza e la valenza» hanno preso tale stato altèro e perfezione, che, ecc.
v. 15: «vui». L ha «lui»: sostituisco «vui», voluto dal senso e riferito a «donna».
v. 25: «so'». L ha «fo», che non darebbe senso alcuno, né inteso per «faccio» né per «fu»; ma mi pare il senso corra, se si sostituisca «so'» = «sono». Intendi: Non sarei («fôr'» = fôra = sarei) amato, quanto son degno di essere.
v. 32: «diven'». Intendo «divengo» e spiego: E come io, o donna, veramente divengo degno d'essere amato...
v. 38: «del». L ha «dal».
v. 40: «altèr». L ha «altero», che non può stare per la misura del verso.
v. 42: «a voi». L ha «di voi», evidentemente errato.
Canzone II. Stampo questa canzone secondo l'ottima edizione che ne ha data Leandro Biadene, Canzone d'amore di un antico rimatore pisano, Pisa, Mariotti, 1904, per nozze D'Ancona-Cardoso.
v. 67: «di cosa». Il Valeriani mantiene «di cosa», e arzigogola intorno alla forma provenzale «de re» e a quella francese «de rien»; ma chi mai ha usato questa forma in tal significato? Il Biadene, p. 16, che ha ben capito il passo, costruisce: «Né mai meo cor non tenne cura di cosa che sol di servir lei», e spiega: «Manifestamente 'di cosa che' vuol dire 'di altra cosa che', oppure 'di cosa alcuna tranne che'».
Canzone III, v. 18. Questo verso è certo lacunoso, perché dovrebbe essere endecasillabo: anche il v. 19 manca di due sillabe.
v. 25: «e 'n ciò che m'era». L ha «eccio».
v. 38: «grev'è a». L ha «grev'a».
v. 48: Il verso è evidentemente guasto in L: «in me pro scende». Arrischio la mia correzione come semplice congettura.
v. 50: «gravoso... languir». L ha «gravozi». Per la misura del verso tolgo l'«e» a «languire», com'è in L.
v. 69: «in cor». L ha «il cor». Intendo: E la morte, che m'assegna, mi sarebbe vita, perché sarebbero finite le pene nel mio cuore.
Canzone IV, v. 45: «grav'è. Sembro». Cosí correggo L, che ha «sembra», e intendo: Tal cagione mi dá ria pena, che è fuor di misura grave. Cosí pensieroso sembro aver vita...
v. 50: «e piú mi». L ha «piú enmi».
v. 51: «lo spirto». L ha «spirito», che non posso accettare per la misura del verso.
v. 52: «e qual piú pregiudicio». L ha «e qual piú progiudicio».
v. 64: «pena». L ha «pene». [255]
v. 67: «dipartire». Per la misura del verso correggo L, che ha «partire».
v. 70. Vuoi dire che conoscere il male («cernendo») e perseverare in esso è fallo molto maggiore che essere nel male, cioè fallire, non conoscendolo.
Canzone V, v. 10: «natora». L ha «di natura»: il «di» probabilmente fu aggiunto per errore, a causa del «di», che è avanti a «servire».
v. 22: «per lo piacere». L ha «per lor piacere»: ma non saprei a che cosa riferire quel «loro». Intendi: Ed attendendone in parte diletto, il quale io immaginai per il piacere che ne provavo.
vv. 31-35. Passo assai oscuro. Pare voglia dire: Per qualche ora parve che mostrasse verso di me che le («i») gradisse la gioia con cui io le servivo.
v. 34: «di ciò sorrise». L ha «di ciò sormize». Correggo, intendendo: Di ciò, cioè della mia gioia in servirla, sorrise con gran benignità. Questo benigno sorriso era la dimostrazione che ella faceva «per sembianza».
v. 35: «mea vista». L ha «me vista».
v. 38: «poi». L ha «per».
v. 42: «'n morte». L ha «e morte»: la correzione mi è suggerita dal principio della strofa seguente: «Regnando in morte».
v. 50: «m'ha sí». Correggo L, che ha «usima».
v. 68: «com'al foco cero». L ha «col mal foco cero».
v. 69: «ispero». Intendi: Né alcuna cosa spero mi possa risanare, finché ella mi disdegna.
v. 70: «disdegnand'». L ha «desdignand'».
v. 77: «ma perciò». Il senso, a dir vero, richiederebbe «e perciò». Che si debba leggere proprio cosí?
Canzone VI, v. 6: «guerrero». Lo schema metrico delle strofe richiedeva qui una rima in «ore». Deve forse leggersi «guerrore» per «guerrero»? Può essere che il copista, trovando questa forma «guerrore» necessaria per la rima, l'abbia voluta correggere in «guerrero». Oppure il poeta s'è contentato d'una specie di consonanza?
v. 9: «quando». L ha «quanto».
v. 30: «senza mora». L ha «senza monora». Intendo: Ma ora che mi sono dipartito da lui, mi ricordo di tutto e ricordo quanto contrastai con lui («quanto ontai di lui») senza posa.
v. 38: «viveva dimorando». L ha «dimorava dimorando».
v. 59: «d'ella». L ha «ad ella». Intendo: Ahi! penso («aviso») che forte è il dolore, ove perda soltanto un poco di essa cosa».
vv. 76-79. Passo assai oscuro e difficile. Parmi si possa cosí intendere: Quando il suo sentire operava in me, penso («diviso») che ogni piacere languisse, quando io sentiva dolore senza che ne venisse a lei alcun male («diviso d'ognunque suo male»). Credo che forse, invece di «desentir», si debba leggere «resentir». [256]
v. 80: «e dammi noia». L ha «e dammi gioia»; ma il senso è, mi pare: E mi dá dispiacere in ciò in cui credo invece d'aver piacere.
vv. 82-85. Pare voglia dire: Desidero («desio») potere quello che ero costretto a desiderare solo da ultimo («a disiar infinale») e ben diverso da quello che non poteva mai effettuarsi.
v. 93: «ch'e' fui». L ha «che 'n fui».
Canzone VII, v. 13: «e non solo dimor'». Cosí in L. Il Valeriani guasta il senso, per avere la misura del verso, e legge «dimorar»; laddove bastava leggere «solo» invece di «sol» com'è in L, perché il verso tornasse. v. 19: «venisse, u' sosten». Il Valeriani stampa «'ve Pisa sosten regno», ma non vedo che ci sia ragione di allontanarsi da L, che ha come noi stampiamo. Intendo: E mi meraviglio che Dio sostenne (tollerò) che ciò avvenisse in un paese ov'egli sostien regno (in paese di cristiani), poiché essi hanno messo in «disguiglio» il comune.
v. 20: «disguiglio». L ha «disviglio», che si corregge facilmente, se si pensa alla «disguiglianza» del verso seguente.
v. 33: «ora l'hanno». Correggo, per la misura del verso, L, che ha «or l'an».
v. 40: «piano». L ha «e periano». Accetto la correzione giá fatta dal Valeriani.
v. 42: «e che 'n vero». L ha «e che ver».
v. 53. Aggiungo un «è», che non è in L, ma che è indispensabile pel senso.
v. 55. L ha «ladron» e «mercanti».
v. 59. Intendi: E pare che dei detti signori adagi a ciascuno, cioè pare che tutti ne siano contenti.
v. 75: «sian lor piace». Intendo: E le terre che son tante perdute, non giá l'hanno volute difendere, ma piace loro che siano perdute. Il Valeriani invece legge: «Ma perdute difender si han, l'or piace», e non so quale senso da ciò potesse ricavare.
v. 76. Intendo: E, quando è loro vietato far ciò, allora fanno pace solo per far del male agli uomini di parte avversa.
v. 79: «procederà». L ha «procedrà».
v. 91: «smodata». L ha «smondata».
v. 108: «ed ho di gravosa doglienza». Accetto la correzione del Valeriani: L ha «ed di gravoza dogliensa».
Canzone VIII, v. 21: «diviso». Il Valeriani stampa «divis' è da ciò», e veramente L ha «divize da ciò»; ma, leggendo «diviso», il senso è chiaro: Ma penso («diviso») ben diversamente da ciò.
v. 37: «ch'era». Aggiungo «ch'», sebbene non sia in L, pel senso.
v. 41. Il Valeriani ha tralasciato questo verso.
v. 55: «fero». L ha «fera». [257]
v. 70: «falso». Pel senso, congetturo che cosí si debba leggere, sebbene L abbia «valco».
v. 83: «'ncontra». L ha «contra». Il Valeriani non ha affatto inteso questo passo: malamente separa le parole di L, e legge «medico» invece di «me dico», e l'«enme» di L intende «emmi», «mi è». Cosí come lo stampo, mi pare che il passo dia un senso assai chiaro: Io dico («me dico») che somiglia a un pazzo sperimentato chi segue il suo danno ed ha contrario il bene: in me accade («'ncontra») quel che ho contato sopra.
v. 85: «allor». L ha «lor».
v. 92: «el mio tormento». L ha «en mia tormento».
Canzone IX. È soltanto nel Vaticano 3793 (V). Ho creduto però, anche per questa canzone, di seguire le forme grafiche di L, che piú si attengono all'uso del volgare pisano del secolo XIII.
v. 6: «lento». V «lente».
v. 7: «feci». V «fea».
v. 18: «ch'ove ho trovato». V ha «ch'aveo trovato». Il «trovato ho» del verso seguente suggerisce la correzione da me adottata.
v. 32: «parimento». V ha «parimente»; ma è facile la correzione, perché questa parola deve rimare con «conoscimento».
v. 38: «con seco om bene». Mi attengo a V, che ha «con seco hom bene», e correggo la lezione errata data dall'ediz. D'Ancona e Comparetti: «con se combene». Intendo cosí il passo: «Voglienza d'amore» in altrui consiste in volere uomo goder bene con seco (con la donna amata): invece in me consiste in «fare lo mio piagere nel suo».
v. 40: «di fare». Cosí, certamente, e non «disfare», com'è in V.
v. 52: «a l'ofuscato». Cosí correggo V, che ha «a lo fustato».
vv. 59-62. Interpungo e stampo diversamente dal D'Ancona e Comparetti, prima di tutto perché cosí si dá ad «ella» e a «mei» (me) il verbo «ha», che altrimenti mancherebbe; e poi torna meglio l'ordine grammaticale nel v. 61, che in V non dá senso alcuno: «c'acciò ch'eo son commosso». Intendo cosí: Vero è che ella non me (perché ha piú potenza di me) ha ciò per cui io sono commosso, ove ella è (V ha «eran» di facile correzione) sempre nella sua grande virtú.
v. 73: «vòl». Veramente V ha «sol»; ma il senso richiede questa correzione.
Canzone X. È soltanto in L, ed ivi è detta «rintronico», parola che pare sia una corruzione italiana della parola provenzale «retroencha», con la quale si voleva indicare piú la musica che la forma metrica del componimento.
v. 4: «infirma». L «infima». Intendi: Chi s'inferma gravemente, deve fare cherenza di medicina «ponderosa». Forse si dovrá leggere «poderosa», assai piú comune nell'antica poesia; tanto piú che il v. 6, «e non cui falla punto potimento», ci fa credere che il p. volesse dire «poderosa» e non «ponderosa». Tuttavia non ho voluto allontanarmi da L, che ha «ponderosa». [258]
v. 11: «stolti». L ha «colti», che non dá senso. Intendo: Stolti coloro che aspettano a guarire del male d'amore: è difficile guarirlo, quand'esso è violentissimo.
v. 27: «l'omo». Non è in L; ma congetturo che possa mancare il soggetto del verbo «dea» del verso seguente, poiché il primo verso d'ogni strofa deve essere un endecasillabo, e questo, come è in L, mancherebbe di due sillabe: «Però en cui è poderosa».
v. 39: «eccellenza». L «eccilensa».
v. 40: «vertudiosa». L «verturioza».
v. 42: «a farne». Aggiungo un «a», che non è in L, ma che mi pare necessario.
v. 49: «vizi». L «visu». Penso che voglia dire: Credo che sia proprio dell'avversitá purgare, vincere e conculcare i vizi di ciascuno che stia pronto a volere, ché «l'avversitá» gli sarebbe di danno senza altro frutto, e ciò è pazienza che dá virtú a colui che sa pazientare.
v. 69: «Aver ch'è». L «averi den». Cosí correggo, intendendo: Dunque è buon provvedimento voler seguitare con fede e speranza («spera») e avere retto sperare in lui, che è quello che quotidianamente crea rimedi che non mai animo potrebbe escogitare eguali.
Canzone XI. È in L. Il p. parla oscuramente, in «dittato chiuso».
v. 4: «è alcun». Veramente L ha «c'alcun»; ma il senso è: Non è alcun uomo sotto il cielo con potenza di tal virtú.
v. 18: «che». L «o».
v. 31: «e». L «so».
v. 38: «conobbe». L «connove».
v. 55 e sgg. Gli ultimi versi di questa canzone sono un vero indovinello. Pare voglia dire: Ma se tale, che m'ha condotto a questo punto, volesse che giá avvenisse cosí, e se sapesse farmi avvenir ciò, divido («parto») il nome di lui, togliendone quella parte che gli sta innanzi, cioè separo «Corso» da Bonaccorso. Ma chi è mai questo Corso, col nome del quale si chiude la canzone?
v. 64: «me' so». Cosí separo «messo» di L e intendo: E so che è meglio a non dire a ciascuno il mio corso, perché non lo sappia Corso.
Canzone XII. È soltanto in L, ove è detta «quivica», «equivoca». Per capire qualcosa in questa oscura poesia, mi sono allontanato in parecchi punti dal testo datone dal Valeriani.
v. 6: «n'ho capra». Cioè non ho che cappia, capisca, entri: nello stesso significato è usata questa parola nel sonetto di Panuccio, XVIII, 4.
v. 22: «nell'affannarmi». L «nell'affaimarmi».
v. 26-7: «l'autre donne». L «l'autre e donne». Ma che cosa vuol dire? Forse si allude con «petra» al nome di madonna o al luogo dove ella era?
v. 41: Verso assai difficile ad intendersi. Vuol forse dire: Ed io ho nel suo cuore grande virtú?
v. 58: «si m'è». L «sí mi». [259]
v. 63: «vidivi». L «visivi».
v. 68: «ha' mò». L veramente ha «homo»; ma è certo che qui vuoi dire che un uomo potrebbe domandargli: — Perché hai ora parlato, se anche voi in ciò pensate saggiamente? — Questo «voi» accenna forse alla persona cui è diretta la canzone?
Sonetto XIII, vv. 1-2. Il Valeriani scioglie «sente» di L in «sent'e'» (sento eo), e a «pura la mia mente», com'è in L, aggiunge un «a» dopo «pura». Credo che abbia ragione.
v. 6: «vii». Cosí correggo L, che ha «luil».
vv. 9-10. Come si vede, mi allontano affatto dal senso e quindi dall'interpunzione del Valeriani e intendo: Ed io dolente, quale è il mio operare? Si vede manifesto anche nel mio fallare.
Sonetto XIV. È in L. Anche per questo sonetto non ho tenuto alcun conto dell'errata lezione data dal Valeriani, il quale interpunge in modo da mostrare di aver malamente inteso il senso. Il quale per me è questo: Se colui che regna ed è signore fosse sicuro della sua signoria, ciò, a mio credere, sarebbe ragione per la quale un uomo, che è basso, non avrebbe mai speranza di salire in altezza, ma d'aver miseria.
v. 10: «volgendo». L ha «voglendo», erroneamente conservato dal Valeriani.
v. 17: «far». L «fa»; ma deve dipendere da «vesi», vedesi.
v. 18: «non cre'». L ha «non credo»; ma questa forma non può essere conservata per la misura del verso.
Sonetto XV. È in L.
Sonetto XVI. È in L.
v. 3: «sono». L ha «son», a cui aggiungo una sillaba per la misura del verso.
v. 11: «Postra». Cosí dice L; ma deve intendersi che questa strana forma sia stata adoperata per necessità di rima in luogo di «poscia».
v. 14: «terso». Si osservi che nel dialetto pisano si usava spesso «s» invece di «z», quindi sta per «terzo». Qui ed altrove, lo dico una volta per sempre, mantengo questa forma ortografica dell'antico dialetto pisano, per la rima. S'intende che, negli altri casi, mi attengo alle norme di questa collezione.
Sonetto XVII. È in L.
v. 10: «sé 'n tempo». Aggiungo questo «'n», che non è in L.
v. 16: «vallo». L «valle».
v. 18: Questo verso è aggiunto nel margine di L da mano piuttosto antica.
Sonetto XVIII. È in L.
v. 16: «chi non è ad esso». Veramente L ha «chi non già 'l meno sottoposto»; ma che cosa mai significherebbero queste parole? Congetturo che «ad esso» si possa sostituire a «meno», riferendo «esso» ad Amore, e si debba togliere «già», che guasta la misura del verso e non è necessario [260] pel senso. Interpetro dunque: Perché chi non è sottoposto ad Amore può venire tosto a perfezione di bene.
v. 17: «di ben a perfezion». L «di bea perfession».
Sonetto XIX. È in L.
v. 11: «avverso». L «abbersa». Intendo tutta la strofe cosí: Ché non solo donna né uomo («converso») abbia core stanco di pensare e fare ciò per cui è perduto il bene, sicché ogni uomo leale può dire: — Non abbranco virtú, anzi il contrario («il male») — ...
Sonetto XX. È soltanto in V.
v. 11: «me tenuto tuo». Cosí deve correggersi V, che ha «me tenuto in suo agio il parere». Il senso allora è chiaro: E aggio tenuto me in tuo parere, cioè ho seguito la tua volontà.
v. 12: «cosa». L «certa», che non darebbe alcun senso.
Sonetto XXI. Anch'esso in V. È, come dicevano gli antichi, un «sonetto equivoco repetito», cioè ha le rime con le stesse voci (perciò «equivoco»); ma con significato diverso e ripetute al principio de' versi (perciò «repetito»). È difficilissimo ad intendersi.
Il ms. veramente lo reca in questa forma:
Amor sa il mio volere miso di | non falla giammai non | ||||||||||||||||
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sovra | \ | ||||||||||||||||
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Che sua virtú da me sia punto | sí forte lo parere | \ | |||||||||||||||
divizo | |||||||||||||||||
E l'alma avinta ognora se posoo | e da me non mai punto e | / | |||||||||||||||
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sovro | / | ||||||||||||||||
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tucco non com elli e tanto | da me astenne saetta | ||||||||||||||||
Et quella amore in me che tanta | ed onne virtú non sol di | ||||||||||||||||
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porto | parte | ||||||||||||||||
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in che pensando benenenza | sentir di lei me donne | ||||||||||||||||
da cui non mai lei tanto | |||||||||||||||||
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regna | |||||||||||||||||
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di ben di sé vero in cui |
Sonetto XXII. È soltanto in V.
v. 10: «corro». V «curo».
IV
BETTO METTEFUOCO
Ben poco sappiamo di questo rimatore, e nulla possiamo ricavare dall'unica poesia che ci ha lasciata. Una famiglia di questo nome era in Pisa sui primi del secolo XIV, ed ebbe qualche potenza, perché un Bindo Mettefuoco è notaro degli anziani pel gennaio e il febbraio del 1303 (v. nella cit. Chronica antiqua conventus Sanctae Catharinae de Pisis). [261]
Fortunatamente questa canzone è assai meno oscura e artificiosa di quelle di Panuccio, e quindi riesce piú facile darne un'edizione soddisfacente.
È in L e in V; ma nel primo è mutila (non ve ne sono che tre strofe): la terza strofa è invece la seconda in V.
v. 13: «'nde temo». V ha «ne dotto», che pare in parte correzione di L.
v. 14: «e paur'». V ha «che paura». Troppi «che» si susseguono; mi pare quindi preferibile la lezione di L.
v. 15: «no le». Cosí V: L ha «a lei non».
v. 17: «Se vo' vegno, e non veggo». L ha «se vo veggio non vegho», ove evidentemente è errato quel «veggio»; V «s'eo vengno e non vegio». Prendo da V «vegno», correggendo per tal modo l'errore manifesto di L.
v. 18: «sprendiente». Cosí L: V ha «splendiente». Preferisco la forma data da L, perché piú corrispondente all'uso antico pisano.
vv. 19-20: «sguardi... parli». Cosí L, laddove V ha «sguarda» e «parla». Il senso e la grammatica richiedono che qui ci sia il congiuntivo: Se io vengo da voi, e non vedo che il vostro splendente viso guardi con pietà e parli con dolcezza.... L'incompiutezza della canzone in L non detrae totalmente, a me pare, alla grande autorevolezza del codice.
v. 21: «reggo». Cosí L, ed è miglior lezione che il «tegno» di V, il quale non rima con «veggo».
v. 23: «vivendo». Cosí in L: V ha «servendo»: l'idea di servire è espressa nel verso seguente.
v. 30: «mi pare». Cosí in L: V ha «mi piace», che non può ammettersi in questo luogo, essendo «piace» proprio nel verso seguente.
v. 33: «or dunqua». Cosí in V: L ha «dumque».
v. 35: «non oso». Cosí in L: V ha «no' l'auso».
v. 37: «Ben so». Cosí in L: V ha «ben credo ne moragio».
v. 39: «nonde porò». Cosi in L, in forma certo piú antica e quindi piú genuina. V ha «e non credo campare». Si sente qui, come in parecchi altri punti, che lo scrittore di V ha rabberciato il testo che aveva dinanzi.
v. 40: «grazioso». V ha «lazioso».
v. 44: «eo». Non è in V.
v. 45: «possa». Cosí in L: V ha «e poi». Anche qui è evidente l'intenzione dell'amanuense di V di correggere il testo.
vv. 46-47: «Sire Deo». L ha «sire o Deo», e V «oi sire Deo».
v. 52: «de montagna». V ha un «la» fra «de» e «montagna», che guasterebbe la misura del verso.
v. 59: «e fái». V ha «falli»; ma l'ordine grammaticale richiede qui un «e», e mi pare allora naturale la forma antica «fái», i fa, gli fa.
v. 67: «e'». È indispensabile aggiungerlo per la misura del verso, sebbene non sia in V.
V
CIOLO DELLA BARBA
Una famiglia Della Barba era in Pisa nel secolo XIII: infatti un frate Egidio Della Barba nel 1270 è ricordato nella cit. Chronica antiqua Sanctae Catharinae, p. 430. L'unica canzone, che ci rimanga di questo rimatore, è conservata soltanto da V, donde la pubblicò per la prima volta il Grion nel Propugnatore, III, 101. Poi la diedero in edizione migliore il D'Ancona e il Comparetti, nella Collez. di opere inedite o rare del Romagnoli, 1881, II, 71-76.
v. 3: «che». Non è in V; ma è indispensabile per la misura del verso.
v. 4: «ch'om' agia». V ha «com'agio»; ma il senso mostra evidente l'errore.
v. 7: «de rota». V ha «de la rota»; ma quel «la» v'è di piú, guastando la misura del verso.
v. 10: «piú che nel». V ha «piú che del».
v. 13: «e sonde». Aggiungo un «e», che mi pare richiesto dal senso: Temendo io guardo («veo», vedo) e ne sono pauroso...
v. 17: «possedete». V «presedete».
V. 20: «com' fenice». V ha «com' fa fenice»; ma anche qui il «fa», per la misura del verso, è di troppo.
v. 21: «naturali». Cosí è nel ms. «Naturali» per «naturale» è per necessitá di rima, dovendo rimare con «'guali» del v. 24; del resto questa forma di singolare in «i» era frequente nei volgari toscani.
v. 26: «come compresi». V ha «me ne comprese»; ma è evidentemente errato.
v. 38: «ora». V ha «or»; ma cosí non tornerebbe la misura del verso.
v. 40: «la fior tembra». Che cosa sia questo «fior tembra» non comprese bene il Grion. Il Targioni-Tozzetti (Dizionario botanico, parte II, p. 212) dice che col nome di «timbra» o «timbro» intendesi la Satureia Iuliana, cioè la santoreggia del monte San Giuliano, che non è altro che la Micromeria Iuliana Benth., come m'informa il mio collega prof. Baroni, il quale mi avverte che codesta pianta ha la corolla caduca. Questa circostanza è importante per l'intelligenza del testo. Infatti il poeta termina invitando madonna ad aver pietà di lui, e a voler che non faccia come il fior «tembra», a cui cade la corolla.
VI
PUCCIANDONE MARTELLI
Di Pucciandone Martelli fortunatamente si può attingere qualche notizia dalla cit. Chronica antiqua di Santa Caterina, dalla quale apparisce che prese parte alla vita pubblica di Pisa, specialmente nell'ultimo decennio del secolo XIII. Fu degli anziani per il gennaio e il febbraio del 1289, per il novembre e il decembre del 1292, per il gennaio e il febbraio del 1295, e infine per il maggio e il giugno del 1297. Forse è diretto a lui il sonetto CCXCI di Guittone che è in L e che incomincia: «Guelfo conte e Pucciandon la voce»?
La maggior parte delle poesie di questo rimatore sono soltanto nel Palatino 418 (P); solamente il son. «Signor senza pietanza udit'ho dire» è in L. Disgraziatamente in P mancano or qua or lá alcuni versi. Il Valeriani ha stampato le due canzoni e la ballata assai scorrettamente, non avendo capito nulla del metro in cui sono scritte.
La ballata ci prova che il Martelli risentí qualcosa dell'influsso della nuova scuola fiorentina. Quella ballata, oltreché nel metro, ha qualche agilitá e dolcezza nella forma, insolite fra i guittoniani.
Canzone I. È veramente da lamentarsi che il cod. P, che solo conserva questa canzone, l'abbia cosí guasta, da rendere difficilissimo raccapezzarne lo schema metrico. Certamente vi mancano or qua or lá dei versi. Dopo aver fatto vari tentativi, credo che lo schema possa essere questo: ABBA, BAAB | bCcD, EEcBB; ma, per ridurre le varie strofe a questo schema costante, sono stato costretto a rabberciare qua e lá i versi.
v. 2: «vene». P ha «'nfra meve»; ma mi sembra forma insolita per dire «in me», «dentro di me»: tutt'al piú il p. avrebbe detto «in meve». Congetturalmente quindi correggo «'nfra vene», fra le vene.
v. 3: «quei». P ha «quelli»; ma in questa forma non torna il verso.
v. 7: «saggio». P ha «sagio», come piú sotto «selvagio», «agio» ecc. Non credo di dovere accettare queste forme, le quali non si trovano in altri rimatori pisani e che probabilmente derivano dalla grafia particolare dell'amanuense.
vv. 14-15. Questi versi furono assai malamente stampati dal Valeriani, che dette il v. 15 cosí: «Son signor senza pietá», non accorgendosi che in tal modo mancava la rima con i vv. 10-11. Il mezzo migliore per rabberciarli era di trasportare il «son» nel v. 14. [264]
v. 20: «ed umiltà». V ha «od».
v. 20: «adorna». Cosí in P: il Valeriani, non so perché, legge e stampa «a Donna piagenza».
v. 22. Il verso certamente in P è guasto. Credo bene pel senso di dover cambiare «a sua potenza» in «a mia potenza», e intendo: Non si creda che ella per amore mai («ma'») metta la sua virtú in mio potere, perché io prenda loco in tale cuore.
vv. 24-25. Il Valeriani li stampa lasciando perfino un «non» nel v. 25, e ponendo «aitale», senza accorgersi che bisognava sciogliere in «à 'n tale».
v. 31: «tornerá». P ha «a tornara», che il Valeriani cambia arbitrariamente in «ha tornata».
v. 31: «in bassanza». Ho trasportato queste parole dal v. 30, come sono in P, al v. 31, perché in tutte le strofe di questa canzone il verso quattordicesimo deve essere endecasillabo.
v. 35 e sgg. Tutta questa strofe è guasta ed è assai difficile ricostruirla. Certo è che, guardando allo schema metrico, non si può lasciare «crudele fero», che P ha al principio del v. 38: e, guardando pure allo schema metrico delle altre strofe, si capisce che manca una parte del secondo piede della fronte.
v. 45: «m'asicuro». P ha «m'asicura»; ma è evidente che debba correggersi, per aversi rima con «puro» del verso precedente.
v. 46. Son costretto ad aggiungere «egli» per la misura del verso.
v. 48. Veramente P ha «che lo meo cor sostene tuttavia»; ma, come si vede nelle altre strofe, questo verso deve rimare col precedente. Credo che debba leggersi: «che tuttavia lo meo cor sostene».
v. 49. P ha «faria ben ked io d'altro non curo»; ma è evidentemente un verso guasto, anche perché deve essere un settenario e non un endecasillabo.
v. 52 e sgg. Questa strofa è ancora piú guasta delle altre. Forse qualche verso può togliersi, senza guastare il senso; ed io mi sono sforzato, togliendo alcune parole, a ridurre la strofe allo schema delle altre. Veramente V ha: «Amore, se risurgi la mia mente cosí forte seguente ti parraggio, che farai acordanza con lei di darmi amanza di campare, di che d'ella faccio non folle pensare ma tuttor mi procaccio star selvaggio di lei nascostamente». Quale senso plausibile si può ricavare da queste parole? Senza dire che ne verrebbe fuori una strofe di 18 versi e con la sirima diversa da quella di tutte le altre strofe. Cosí come propongo di leggere, il senso è chiaro: Amore, se fai risorgere la mia mente, ti seguerò cosí fortemente, che t'accorderai con lei di concedermi amore. Faccio non folle pensare di lei a star selvaggio, a nascondermi a lei, che mi diviene come l'uomo che cammina, che cela la luce (cioè fa ombra) a chi va con lui. — Ma avrò proprio còlto nel segno? E poi quel «faccio» che rima con «selvaggio» non si dovrà forse leggere «faggio»? [265]
v. 54: «regina». P ha «redina».
v. 60: «parrá». P ha «parerá»; ma cosí non può stare per la misura del verso.
vv. 70 e sgg. Anche questa strofa è assai guasta e mutila in qualche verso.
v. 81: P ha «dovreste aver mercede», senz'altro; ma deve mancare la parola finale, perché il verso dovrebbe rimare con «molto» del verso seguente, ov'è la rimalmezzo.
v. 83. Anche qui, per la misura del verso, credo necessario togliere il «che», che in P è innanzi a «non fi' grave».
Ballata II. È in P con qualche lacuna. Il Valeriani non comprese nemmeno che è una ballata.
v. 15. P ha: «la vostra angelica sembransa»; verso, come si vede, di nove sillabe: né tornerebbe ugualmente, se si leggesse, come fa il Valeriani, «angelicale». Credo che manchi una parola innanzi ad «angelica», che le dia valore di superlativo: congetturo quindi che manchi «sovra».
v. 18. Questo verso è certamente mutilo in P, perché quello a esso corrispondente nelle altre strofe è endecasillabo.
Sonetto III. È in L. È un sonetto doppio.
v. 18: «me... faccia». Il Valeriani prende «me» per «me'» (meglio). No: il senso è: Dio vi lasci trovare miglior servitore, e lasci che io trovi un signore che ricompensi.
Canzone IV, v. 18: «allegresse». Qui mantengo l'ortografia propria dell'antico dialetto pisano, per la rima con «avesse».
v. 51: «odito». P ha «odite».
v. 61: «intendenza». Non «intendanza», com'è in P, perché mancherebbe la rima con «benvoglienza».
Sonetto V. È in L. È un sonetto artificiosissimo per la doppia rimalmezzo che è in tutti i versi. Anche qui, a causa della rima, ho mantenuto le forme ortografiche pisane «bellessa», «adornessa», ecc.
v. 11. Verso assai difficile a intendersi. Pare voglia dire: Che vi trova meravigliosissimi («permirata») tutti i sentimenti («ogna sens'ha») che vi pensa («che i pensa»).
VII
BACCIARONE DI MESSER BACONE
Anche di questo rimatore ben poco sappiamo. Fu amico di fra Guittone, che gli diresse una delle sue lettere, confortandolo a mostrarsi prode a vantaggio della sua patria. Quale fu l'occasione per la quale l'aretino cercò di stimolare a forti opere di [266] guerra l'amico pisano? Dice fra Guittone: «Segondo la parvissima caritate, umanitate e bonitate mia, compassione di vostra passione presi; e non solo giá voi, ma pisani tutti compatiti e doluti ho quasi aretini, amore che porto essi me distringendo» (Lettere, ediz. Bottari, p. 70). Egli dunque compiange gli amici pisani per qualche grave sventura pubblica. Poiché altrove abbiamo veduto Panuccio lamentarsi dello sgoverno dei ghibellini in Pisa nel 1285, mi pare assai probabile che a quei fatti si riferisca la lettera di Guittone. Il quale, in un altro passo della lettera, dice a Bacciarone che, tornato in patria, ben poteva provvedere con l'opera sua al bene di essa: «Tornando a casa vostra nell'agio vostro, buono parvo for magno sembrerá voi, e quasi soavissimo affanno grave, al buono parvo presente, ed al mal grande sovvenendo bene» (ivi, p. 71). A quale opera poteva il guelfo rimatore d'Arezzo stimolare il signore pisano e i suoi compagni, se non a quella d'osteggiare la prepotenza ghibellina? A questi stessi fatti mi par certo che si riferisca la canzone III. Le rime di Bacciarone sono solamente in L.
Canzone I, v. 16: «loro e i loro e 'l loro»: cioè danneggiando essi e i loro seguaci e i loro averi.
v. 52: «conducía». Cosí deve essere per la rima col seguente «obbría»; non «conducea», come ha L.
v. 96: «per potersi». Mi pare che il senso richieda che cosí si corregga il «poterm'» di L.
v. 120: «potete». L ha «potetava».
Canzone II, v. 23: «voglienza». L ha «veglensa».
v. 49: «fiata spico». L ha «fieta». Intendi: È cosa che odora («fiata») piú che spigo. Lo spigo poi ognun sa che è un'erba aromatica.
v. 54. Intendi: Quanto piú possiede senza Dio, piú è iniquo.
v. 62: «impasso», cioè impazzo. Anche qui conservo l'ortografia pisana per la rima con «lasso».
v. 74: «for' nullo par bono»: cioè fuori di cui non appare alcun buono.
v. 100: «in tal pentèro». L ha «pente pentero». Intendi: Non vi sono tante stelle in cielo, né gocce d'acqua in mare («candelle»), quante io non ho gocce (lacrime) in tal pentimento.
Canzone III, vv. 7-8. «Torto» qui sta per «tolto». Il senso è: Perché mi vedo tolta gioia da ogni parte; e il cuore sempre accorto erra a darmi il contrario della gioia, cioè il dolore.
v. 9: «isperato». L ha «sperato».
v. 13: «chi di guardar». L ha «che di guardarno [267]
v. 17: «e chi ne ha». L ha «e chi 'n dá». Intendo: E chi ha fatto ciò, che si fugga il bene e si segua il male, tra quelli che piú avevano potenza in Pisa?
v. 22: «furon». L ha «fisson». Il senso è: Non l'ardire di chi ho detto nel saper ferire senza fallir colpo. Perché furon montati in alto monte («serra»), sembra loro («vis'è lor») non manchi diporto, né alcuno sconforto dicono li cacci dalla terra («li sterra»).
v. 26: «noi'» (noia). L ha «no»; ma il senso richiede questa correzione.
v. 31. Forse vuol dire: Hanno pensato di far fare il porto dentro la porta di Pisa, finché dura la guerra.
v. 32: «averrá». È una di quelle che si dicevano rime false.
VIII
GERI GIANNINI
Questo rimatore tenzonò con un Si. Gui. da Pistoia (vedi sopra, nei Rimatori pistoiesi, p. 19) e con Natuccio Cinquino. Il Valeriani dá a lui un terzo sonetto «A quei ch'è sommo dicitore altèro»; ma in L, ove sono le rime che di lui rimangono, è di anonimo.
Sonetto I, v. 10. Il Valeriani stampa: «E del no chero, ch'ha esta balanza», ma queste parole non dánno senso. Il verso che segue: «se piú tardanza fa, tanto 'l desiede» fa capire che si parla di qualche cosa che tarda a venire. Intendo: Si può («posi») dire che è gran fallire del nocchiero che guida questa bilancia. E il nocchiero parmi che debba intendersi Amore. È un sonetto anche questo assai tenebroso.
v. 15: «par Deo». Non credo affatto si debba intendere, come vuole il Valeriani, «per Dio». Il poeta vuol dire: Non ho («non porto») alcun conforto pari a Dio, ossia pari a quello che mi viene da Dio, ché io tengo in servitú («'n feo», in feudo) la mia scura vita, e ho paura di non esser mai padrone di me stesso.
Sonetto II, v. 9: «chi 'n dire». L ha «chi 'n nire». La correzione è facile, se si pensa al verso corrispondente del Giannini: «che gran fallire dire posi 'ntero». Il Valeriani stampa «chi in ire».
Sonetto III. Si. Gui. da Pistoia gli rispose col sonetto «Tanto saggio e bon poi me somegli» (vedi nei Rimatori pistoiesi, p. 19).
IX
NATUCCIO CINQUINO
Questo rimatore appartenne all'antichissima famiglia pisana dei Cinquini (R. Roncioni, Delle famiglie pisane, in Arch. stor. ital., disp. XIII ter, t. VI, p. II, suppl. 2º, p. 947 sgg.). I Cinquini presero attiva parte alla vita pubblica in Pisa negli ultimi decenni del secolo XIII: un «Vannes Cinquina» è anziano per il settembre e l'ottobre del 1289, un «Guiscarduccius Cinquinus» è degli anziani per il marzo e l'aprile del 1289 e del 1290, e un «Bonaiuncta Cinquinus» per il settembre e l'ottobre del 1292 (Chronica antiqua cit.). Credo che si debba identificare il rimatore con quel «Benenatus Cinquina», che è anziano per il settembre e l'ottobre del 1299 (Chronica cit.). Per me Natuccio è lo stesso che Benenatuccio. È nuovamente anziano per il luglio e l'agosto del 1305 (ivi). Fu in corrispondenza poetica con Bacciarone e con Geri Giannini. I suoi sonetti sono soltanto in L.
Sonetto I, v. 11. Costruisci: «e non è viso (visto) per mia 'ntenza», cioè non vedo da me come ciò possa essere.
v. 12. Costruisci e intendi: «Se alcun uomo risiede in vita degna, fora mei (meglio) a lui vita che stallo (stanza, dimora) in morte; se da ciò (ossia dalla vita degna) poi si parte, e' va a perdenza».
Sonetto II. Risponde al sonetto di Natuccio Cinquino: «A cui prudenza porge alta lumera».
v. 11: «fuggon». L ha «fuggen».
Sonetto III, v. 6: «no è». Cosí in L e non, come vuole il Valeriani, «non è».
v. 9: «vo'». Cosí in L e non «voi», come legge il Valeriani.
Sonetto IV, v. 11: «e 'l ben». L ha «e ben»: aggiungo l'articolo, perché richiesto dalla grammatica e perché è innanzi a «fallire».
X
LOTTO DI SER DATO
Rimangono di questo rimatore due canzoni, una delle quali: «Della fera inferta e angosciosa», è d'argomento politico e pare riferirsi al dominio della parte ghibellina in Pisa nel 1285. Sembra [269] quindi che anche questa canzone si debba annoverare fra quelle poesie dei guelfi pisani che in quel tempo si lagnarono del mal governo dei ghibellini e del conte Ugolino della Gherardesca. Le due canzoni sono conservate soltanto da L.
Canzone I, v. 15: «cèra». L «chaira».
v. 17: «deviso». Intendi: Non v'è donna né uomo cosí fermo nell'operare che non abbia divisa (= distratta) la sua attenzione a riguardare lá dove sente che ella apparisce.
v. 32. Intendi: Ha per ispecchio la strada («ruga»), ossia ha gli occhi bassi a terra.
v. 60. L ha «che 'l saggio conta voglia opassione». Per me è evidente che il copista non vide il segno dell'abbreviazione nel «p» di «opassione», oppure, copiando, dimenticò di scriverlo. Il senso è, come dice il Valeriani: Ché il saggio pone in conto (anche al v. 49 il rimatore ha usato «conto» per «tengo in conto»), cioè a merito, la buona voglia che si ha d'operare.
Canzone II. Questa canzone ha nelle singole strofe lo stesso schema metrico della canzone che in L segue immediatamente a questa: «Magna medela a grave e perigliosa» di Panuccio del Bagno. È assai probabile che Lotto la indirizzasse a Panuccio e che questi gli rispondesse, cercando di confortarlo delle sventure della patria e della sua parte.
v. 17: «l'èe». L ha «lei».
v. 18. Intendi: Che, dopoché Dio ebbe fatto lei («quella cosa» cioè l'uomo), gli fu («fuli») cosí amorosa, cosí cara, che le die' libertá di fare il bene e il male.
v. 29. Intendi: Conforto a questo avremmo soltanto il «trapassamento» (la morte), parola che è qui nello stesso senso del «trapassare» del v. 34.
vv. 37-39. Intendi: Se non fosse che sappiamo che le nostre anime terrebbero («terren'») tal via, che girerebbero («giréno») a perdizione senza aver mai redenzione».
XI
NOCCO DI CENNI DI FREDIANO
Furono in Pisa verso la fine del secolo XIII due notai che ebbero nome Nocco, un «Noccus de Avane», anziano per il luglio e l'agosto del 1289 e un «Noccus de Ceuli», anch'egli anziano nello stesso anno per il novembre e il decembre (Chronica antiqua cit.). Ma se il rimatore debba identificarsi con uno di questi due, è assai difficile risolvere. Di lui non rimane se [270] non una sola canzone, che è in L. Fu assai malamente stampata dal Valeriani, il quale ne comprese assai poco lo schema metrico.
v. 21. Il Valeriani stampa mutilo questo verso «vedrete in gio' montarmi», non essendosi accorto che L aveva anche «e 'n frutto bono».
v. 37: «ma Amor». L ha «m'amor».
v. 38: «for' voi». Intendi: Amore, pur volendo, vide che non potea fare a me lo stesso (cioè: come ho detto sopra), senza di voi.
v. 44: «ingannòme». L ha «ingegnome», mantenuto, senza ragione, dal Valeriani, il quale, per il senso, è poi costretto a spiegarlo con «ingannommi».
v. 45: «saccio per vista». L ha «aggio»; ma il senso mi pare richieda «saccio». Il Valeriani stampa «provista» = «provvista», non avendo compreso il senso, assai facile del resto, di «per vista», che vale «per averli veduti». Il senso è: So, per averli veduti, che crescono molti alberi.
v. 50: «'n frutto». L ha «che 'n frutto», ma il «che» è di troppo.
v. 73: «cavrete». Cosí in L: il Valeriani stampa invece «m'avrete». Il senso qui è chiaro: Ovvero mi caverete dalle mani d'amore, nelle quali mi metteste, tornandomi nel mio primiero stato.
XII
GERONIMO TERRAMAGNINO
Il nome «Geronimo» si ricava dal v. 1 del sonetto di risposta, che in L segue all'unico che ci rimanga di lui: quel sonetto d'anonimo incomincia «Gieronimo, com' credo, voi sapete».
v. 9: «assetto». L ha «essetto», dal Valeriani cambiato in «effetto». Ma non credo che, sebbene Terramagnino fosse poco abile versificatore, si mostrasse però cosí imperito da non sapere trovare una nuova rima e ripetesse proprio la parola «effetto» del v. 3. Intendo: Glorioso di ogni buona provvista («assetto») di dottrina che avete fatta.
DOCTRINA DE CORT
Pubblico questo poemetto dal testo che ne ha dato Paul Meyer nella Romania, an. XIII, pp. 181 e sgg. da un codice madrileno. Lo riproduco con pochissime varianti: ho accettato [271] nel testo alcune delle correzioni che il Meyer ha fatte in nota, perché mi è parso chiaro che gli errori fossero cosí grossolani da doversi attribuire, nella maggior parte dei casi, piú a negligenza di scrittura che ad ignoranza dell'autore. Molti altri errori sarebbe troppo arrischiato correggere, perché possono essere necessari effetti della scarsa conoscenza che Terramagnino aveva della lingua provenzale. Infatti dice il Meyer: «Terramagnino est un grammarien peu intelligent. Il ne comprend pas toujours son modèle et dans aucun cas il ne se montre capable de le perfectionner». Il poemetto dunque ha assai poco valore come trattatello di grammatica e scarsa originalitá, poiché è un rifacimento delle Razos de trobar di Raimondo Vidal. Può avere qualche importanza per gli esempi, che assai spesso dá dei trovatori provenzali, soprattutto perché alcuni di questi poeti non sono noti per altra fonte. «Toute l'originalité de Terramagnino — continua infatti il Meyer — consiste dans le choix des exemples, en général tirés des poésies des troubadours, qu'il allègue pour justifier chacune des règles qu'il emprunte à R. Vidal, même en des cas où les faits sont tellement constants et fréquents qu'il n'est pas besoin de les justifier. Ces exemples ne sont jamais ceux de R. Vidal. Notre auteur semble s'être fait une loi de remplacer toutes les citations de son devancier; on vient de voir qu'il n'a pas toujours été heureux dans ses substitutions. La sèrie des exemples qu'il rapporte révèle des faits qui ne sont pas sans intérêt pour l'histoire de la poésie des troubadours... Terramagnino connaissait des poésies provençales qui ne nous sont pas parvenues, ou qui du moins n'ont pas été signalées jusqu'à ce jour: nous ne devons pas être surpris si, parmi les poésies d'auteurs connus qu'il cite, il s'en trouve que nos chansonniers ne contiennent pas». Dal che si può scorgere come il trattatello grammaticale dell'oscuro rimatore pisano non sia inutile per la storia della letteratura occitanica e della diffusione di questa in Italia. A ogni modo, nonostante i molti errori dell'autore, inesperto della lingua occitanica, la Doctrina de cort ci prova come i nostri piú antichi rimatori avevano conoscenza vasta e diretta della lingua e della letteratura provenzale.
v. 1. Il ms. ha «en lo».
v. 4. Il ms. ha «faut mon acort per els».
v. 10. Il ms. ha «dic» e «mils»: quest'ultimo è certo un errore di scrittura per «nuls»; ma anche questo è errato per «negus». Il ms. ha anche «reprehendre». [272]
v. 16. Il Meyer osserva che qui il verso è assai guasto; ma come correggere?
v. 36: «anars». Il ms. ha «en ars».
v. 42: «genre». Il ms. ha «jen».
v. 44: «escriutz». Il ms. ha «eseratz», che mi pare errore di scrittura.
v. 58: «genr'». Anche qui il ms. ha «jen».
v. 63: «nom». Il ms. ha «mon», errore certo di scrittura.
v. 67: «gen». Dovrebbe dire «genre»; ma allora non tornerebbe piú il verso.
v. 71: «jeu». Il ms. ha «ies».
v. 74: «genre». Il ms. ha «ien».
v. 78: «tan». Il ms. ha «can».
v. 84: «en cestui»: Il ms. ha «entestiu».
v. 85: «qu'an». Il ms. ha «qu'am».
vv. 91-2. Il passo è certamente guasto. Il ms. ha «o golim», che si può correggere con «Ugolim».
vv. 97-98. Anche qui il passo è guasto. Il senso richiederebbe che si dicesse: «E las autras qui per semblansa — mostron qualitat ses substansa»; ma questi versi non sarebbero più ottonari.
vv. 99-100. Il ms. ha «o que conta, o que fay — o que soste, o con vay»; ma, dice bene il Meyer, l'imitatore non ha ben compreso il testo di R. Vidal, che aveva dinanzi.
v. 105: «De los». Il ms. ha «dels»; ma cosí non tornerebbe nemmeno la misura del verso.
v. 131: «sotz». Forse voleva dire «totas».
v. 164: «masclin»... «femnin». Il ms. ha «mascolin» e «femenin»: ma allora non tornerebbe la misura del verso.
vv. 181-2. Alla fine di entrambi questi versi nel ms. è «mi desplay», che guasterebbe la misura dei versi.
v. 202: «quim». Il ms. ha «quin».
v. 203: «quel». Il ms. ha «qual».
v. 243: «vai». Il ms. ha «vas».
v. 268: «anar». Il ms. ha «amar».
v. 281: «cestui». Il ms. ha «testiu».
v. 286: «deman'». Dovrebbe dire «demana»; ma allora mancherebbe la rima.
v. 312: «cars». Il ms. ha «anars».
v. 313: «ris». Il ms. ha «nis».
v. 320: «luecs». Il ms. ha «luets».
v. 323: «las». Il ms. ha «lau».
v. 331: «chantayritz». Il ms. ha «caucayritz».
v. 397: «e sas». Il ms. ha «asas».
v. 455: «s'eschai». Il ms. ha «s'eschar».
v. 464: «amanz». Il ms. ha «emanz». [273]
v. 470: «bom il». Il ms. ha «humil».
v. 493: «ieu». Il ms. ha «ies».
v. 506: «preposition». Il ms. ha «proposion».
v. 554: «con vay cre». Il ms., con evidente errore di scrittura, ha «ton vaycre».
v. 564: «jen». La rima richiede «jen» e non «jeu», come ha il ms.
v. 612. Questo verso è guasto nel ms.: «Ara desiu es es vuoill dir».
v. 613: «i». Il ms. ha «e», errore che mi pare da attribuirsi a svista di scrittura.
v. 642: «trahic». Il ms. ha «tric», errore anche questo che mi pare da attribuirsi al copista.
vv. 646-'47. Fra questi due versi manca la rima, forse perché il v. 647 non è di T., ma di Folchetto: altrove però il p. ha sempre trovato modo di rimare i suoi versi con quelli citati.
v. 687: «si mena». Il ms. ha «s'amena».
v. 699: «cel qu'a dezhonor». Avrebbe dovuto dire «cel e dezhonor».
v. 700: «y es». Anche qui v'è certamente errore. Forse doveva dire: «qui de demandar no s'atrai?».
v. 733: «de sa rima». Il ms. ha «desari ni»; ma per me qui non è dubbio che l'errore sia del copista.
v. 749: «donch a ops». Il ms. ha «tocha ops»; ma anche qui mi pare si possa credere ad un errore di scrittura.
v. 784: «e menar». Il ms. ha, col solito errore che per me è certo effetto di negligenza, «amenar».
v. 788: «sai». Il ms. ha «seu».
v. 791: «lo». Il ms. ha «ley».
v. 803: «seretz». Il ms. ha «secretz».
Correggo in fine il ms. che, certo per errore di scrittura, ha «d'acord», invece di «de cort». Non credo di dover correggere il «rahonable» del ms., sebbene forma catalana, perché Terramagnino, che forse era a mercanteggiare nella Catalogna, può aver introdotta, inavvertitamente, questa forma catalana in luogo di «razonal».
acontamento — conoscimento.
acontanza — conoscimento, e anche avvicinamento.
acontare — conoscere.
acchiuso — chiuso (Bacciar. di messer Bacone, I, 48).
accorto — accolto (Bacciar., canz. I, 35).
adagi (verbo) accomodi, piaccia (Panuccio, VII, 58).
adanno (s') — si danno.
aderenza — applicazione, adattamento? (Panuccio, X, 25: «ad onta... aderenza» = nonostante che vi abbia applicato qualche conforto?)
adesso — subito (prov. ades).
agensa (m') — m'aggentilisce, mi piace (prov. m'ajensa).
agiuntare — aggiungere.
agra (agg.) — acerba, amara.
agra (verbo) — aggradisce? (Panuccio, canz. XII, 24).
alcona — alcuna (Panuccio, V, 57).
aldo — audo, odo (lat. audio).
alegera (m') — m'alleggera, m'alleggerisce.
alena (verbo) — allevia, alleggerisce.
alieno — inutile (Panuccio, X, 26).
alleggiare — alleggerire.
allegranza — allegrezza.
allenare — alleggerire.
allor — allorché.
altroi — altrui.
altura — altezza.
aigua — acqua.
amanza — amore.
amarore — amaro, amarezza.
amontare — salire (Leonardo del Guallacca, 48).
amorta (s') — s'ammorta, s'uccide (prov. amortar).
angore — angoscia (lat. angor).
aparegli (m') — m'apparecchi.
arbítro — arbitrio.
arendere — rendere.
arimembrare — rimembrare.
argollianza — orgoglio.
arra — pegno, promessa, garanzia (Nocco, 35).
ascosta — ascosa, nascosta.
aservirsi — asservirsi, obbedire (Leon. del Guall., 71).
assessino — assassino.
assiso — fermo, costante (Panuccio, I, 30), anche fornito (Lotto, I, 37).
ataupina (s') — diventa tapino, misero (Pucciand. Martelli, I, 57). [276]
aulire — odorare.
autro — altro.
auso — oso (lat. audeo).
avanza — giova.
aventura — avventura, fortuna: «passa in aventura» = si espone alla fortuna (Betto Mettef., 54).
averrà — avverrá.
aviso — penso.
avraggio — avrò.
baglía — balía (Ciolo della Barba, 37).
baglia (verbo) — «S'alcuna mi si baglia» (Leonardo del Guallacca, 66) — S'alcuna cade in mio potere.
bailia — balía, potere.
balanza — bilancia, navicella.
baldore — baldanza.
bassanza — bassezza.
bastanza — sufficienza.
benenanza o beninanza — bene, felicità, benignità.
beno — bene (Nocco, 32).
'bento — abento, pace, riposo.
benvoglienza — benevolenza (prov. benvolenza).
blasmare — biasimare (prov. blasmar).
bonore — bene.
branco (verbo) — abbranco.
'brobbriosa — obbrobriosa.
ca — che.
canoscenza — conoscenza, perizia, intelligenza (prov. coinossensa).
capra — cappia, capisca, entri (Panuccio, canz. XII, 6 e son. XVIII, 4).
carezza — pregio (Panuccio, IX, 86 e Pucciandone Martelli, I, 36).
calessa — delicatezza, gentilezza.
catuno — cadauno, ciascuno.
'ccorto — accorto.
celato — confidente.
cerna — scelta.
cèra — viso, aspetto.
cerne — cerni, spiega (Panuccio, canz. VIII, 91).
cernita — veduta? (Panuccio, XII, 51).
chente — quale.
cherenza — chiesta.
cherere — chiedere.
clero — chiaro.
chiostro — luogo chiuso.
ciòe — ciò.
coi — cui (Panuccio, I, 8).
colpa (verbo) — incolpa, colpisce, (Leon. del Guallacca, 46).
compagna — compagnia.
complire — effettuare: «complir sua disianza» — realizzare il suo desiderio (Panuccio, III, 6).
como — come.
comone — comune.
compimento (a) — a perfezione.
comuno — comune: «parlo 'n comuno» (Bacciar., son. IV).
condutto (riprendon) — riprendono il governo (Panuccio, VII, 71).
conservire — restar servo (Panuccio, V, 18).
considranza — considerazione.
consomare — consumare.
contanza — contezza, conoscenza (prov. coidansa).
contezza — conoscenza, familiaritá, amicizia.
conta (verbo) — tiene in conto, apprezza.
conto (agg.) — gentile.
conto — raccontato.
contra (avv.) — contro.
contra (sost.) — il contrario. [277]
contrara (la) — il contrario: «contrara di gioia» (Lotto, II, 31) — il dolore.
convento — accordo.
converso — uomo, quando sia in contrapposizione a «donna». Vedi v. 7 della canz. XIX di Panuccio del Bagno: «ché donna, né converso».
coraggio — cuore (prov. coratge).
corale (agg.) — in cuore, che viene dal cuore: «coral foco» (Panuccio, IV, 29), fuoco nel cuore.
corale (avv.) — cordialmente.
cordoglienza — cordoglio, dolore.
corenza — corrente (Ciolo della Barba, 30).
corto di ciascun bene — privo d'ogni bene.
covertora — copertura (Lotto, I, 28).
cotidio — quotidianamente (Panuccio, X, 69).
creamento — creazione, opera (Panuccio, VI, 69).
cre' — credi.
credimento — credenza, fede.
criamento — creazione.
criare — creare.
croio — crudele.
crudero — crudele.
curamento — cura.
cusi — cosí.
dannaggio — danno (prov. damnatge).
dea (verbo) — deva, debba.
defalto — fallo (Panuccio, XIV, 16).
defetto — difetto.
deggi — devi.
deletto — diletto.
delmi — me lo deve (Bacciarone, III, 3).
dene — ne de', ne deve (Panuccio, X, 5).
deporto — diporto.
dési — devesi, si deve.
desentire — risentire? (Panuccio, VI, 78).
desiedere — cadere di seggio? (Geri Giannini, I, 11).
desplagire — dispiacere.
destene — distiene, trattiene? (Panuccio, X, 41).
deritto — diritto.
dia — dí.
día (verbo) — deva, debba.
dibonaire — amorevole, buono.
dicimento — dicitura (Natuccio Cinquino, II, 4).
difensa — difesa.
digiunto — disgiunto.
dilibberare — liberare.
dipartuto — dipartito.
dischiaramento — schiaramento, fortuna, felicitá (Panuccio, X, 59).
disconciare — guastare, rovinare.
disconforto — disperazione, dolore.
discoperchio — discopro, scopro.
disformare — bruttare, guastare (Bacciarone di messer Bacone, I, 60).
disguiglianza — disuguaglianza (Panuccio, VII, 20).
disguiglio — disuguaglianza.
disidranza — desideranza, desiderio.
disnaturare — andare contro natura, cambiar natura (Panuccio, II, 23).
disovro — vado sopra, esagero (Panuccio, XI, 13).
disorrato — disonorato.
displagere — dispiacere.
dispero — disperazione (Bacciar. di messer Bacone, II, 96). [278]
disragione — sragionevolezza, torto (Panuccio, VII, 97).
distretto — stretto, avvinto.
distringe (mi) — mi stringe, mi assedia.
disvene — disconviene (Panuccio, IX, 15).
dittato — dettato.
diverso — strano.
diviare — disviarsi, allontanarsi (Panuccio, X, 10).
diviso — penso (prov. devizo): anche far capire (Pan., canz. IX, 68) e far conoscere, annunziare (Lotto, II, 67).
doblata — doppiata, doppia.
doglienza — dolore.
dolzore — dolcezza.
donqua o donque — dunque.
dovereane — ne dovrebbe.
drittura — dirittura.
dubitanza — dubbio.
dutto — tratto, ricavato (Nocco, 42).
èe — ebbe (Lotto, II, 17).
elegimento — elezione, scelta.
empera — impera (Pan., XIV, 1).
enchiostra (verbo) — è chiusa (Panuccio, XVI, 5).
ene — è.
eniquo — iniquo.
enver' — inverso, verso.
eo — io.
erro' — errore.
esta — codesta.
eternai — eternali, eterne.
faite (verbo) — fate.
fallanza e fallenza — errore (prov. falhensa).
falli (verbo) — manchi.
falligione — fallo.
falsía — falsitá, errore.
faraggio — farò.
fascia — fasci, lacci (Bacciar. di messer Bacone, I, 13).
fède — fiede, ferisce.
fene — fece.
fenire — finire.
fenita — finita, fine.
feo — feudo, servitú: «tegno 'n feo», tengo in servitú (Geri Giannini, I, 16).
ferale — degno di fiera (detto della vita), non umano, che vive come una fiera (Panuccio del Bagno, VI, 45).
fiata (verbo) — odora.
fiato — respiro, vita: «non ben agiato fiato» — vita non comoda, non felice (Geri Giannini, I, 7).
fier (verbo) — ferisce (Panuccio, XVIII, 2).
finare — finire.
finimento — fine.
fiore — punto (Natuccio, son. II, 5).
fiso — fisso, fermo; «volere fiso» (Pan., canz. II, 32): «credo fiso» — credo fermamente (Panuccio, I, 27).
foi — fui (Panuccio, IV, 22).
folle (sost.) — mantice (Panuccio, XII, 70), dal lat. follis.
follore — follia.
for' — fuori, senza.
for' misora — senza misura.
fornire — bastare (Lotto, I, 54).
forsi — forse.
franchezza — franchigia, libertá.
'frizzione — afflizione (Panuccio, VI, 104).
fuli — gli fu.
gecchito — umile, abbattuto, stanco.
general (avv.) — generalmente.
gente — gentile.
gioglio — loglio.
giostra — briga (Pan., son. XVI, 4).
girèno — girerebbero.
gola (verbo) — s'allegri (da un supposto golire): «par gola» — pare che s'allegri (Leonardo del Guallacca, 20).
gola — (sost.) — brama (Gallo, II, 20).
golia (verbo) — agognava, bramava (Gallo, I, 13).
gradivo — gradito.
granare o granire — sbocciare.
grato (sost.) — piacere (Panuccio del Bagno, IX, 57).
greve — grave.
'guale — uguale (Ciolo della Barba, vv. 24-5: «'guali de li miei desiri» — uguali, conformi a' miei desidèri).
gudire — guari (Panuccio, II, 73).
guerenza o guirenza — guarigione (prov. guerensa, guirensa).
guerigione — guarigione.
guerire — guarire.
guerrero (o guerrore, come richiederebbe la rima) — nemico (Panuccio, VI, 6).
guer mò — guari mo' (Pan., son. XIV, «non credo regni guer mò» — non credo rimanga ora a lungo).
guigliardone — guiderdone, guadagno.
i — le, a lei.
inchiarire — render chiaro, illuminare (Panuccio, II, 49).
increscimento — rincrescimento, dispiacere (Lotto, II, 58).
in de — nella: «in de l'altezza» (Ciolo della Barba, 8).
indigenza — bisogno: «a sua indigenza — secondo il suo bisogno» (Panuccio, X, 65).
infertà — infermitá (Lotto, II, 1).
infinale — alla fine, finalmente (Panuccio, VI, 83).
infirma (verbo) — s'inferma, s'ammala (Panuccio, X, 4).
ingannevil — ingannevole.
inico — iniquo.
inorare — pregare (Ciolo della Barba, 16).
innantire — avanzare (prov. enantir).
innaurato — splendente (Lotto, I, 14).
insegnamento — educazione, civiltá.
insembre — insieme.
insetatura — innestatura, innesto, (Nocco, 10).
intendenza — inclinazione amorosa, amore.
intendimento — amore.
invegli — invecchi.
inverso — l'opposto: «far del dritto inverso» = far l'opposto del diritto, del giusto (Panuccio, XIX, 3).
iscurezza — oscuritá.
isguardare — guardare.
isguardo — sguardo.
islealtate — slealtá.
ismarrimento — smarrimento.
ismisurare — essere fuor di misura (Panuccio, VIII, 59).
isperso — sperduto.
isperto — esperto.
isporto — sporto: «si che isport'è» — cosicché è sporto, cosparso d'ogni gran male (Geri Giannini, II, 6).
istecco — stecco, spogliato come uno stecco (Panuccio, XVIII, 6). [280]
istranare — uscire di strada, allontanarsi (Panuccio, V, 67).
isvariamento — varietà (Panuccio, VI, 64).
isvolere — disvolere, non volere.
labore — fatica (lat. labor).
laido — brutto, disonesto.
lasso — laccio.
latino — facile.
launque — lá, ovunque.
leccera — leccona, ciana (ant. franc. lechiere), becera (Leon. del Guall., 17).
lei — a lei.
lena — fiato, respiro, le forze vitali (Panuccio del Bagno, X, 28).
levare — alleggerire: «ma levar... no ha, ni ebbe, ni mai aver dia» (Panuccio, X, 33-36) = ma non ha, né ebbe, né mai aver debba alleggerimento. «Levar» ha qui forza di sostantivo.
li — gli.
locagione (fa) — ha luogo, dimora (Bacciarone, p. 211, 11).
loco — dove (Gallo, II, 5, ecc).
'lor — allor.
lumero o lumera — lume.
lungiamento — allungamento, continuazione di dolore.
luntano — lontano (Panuccio, V, 66).
maggio (agg.) — maggiore.
magno — grande (lat. magnus).
mai che — fuorché (prov. mas que).
mainera — maniera.
malenanza — male (prov. malenanse).
malparlieri — sparlatori, diffamatori.
mancagione — mancanza, difetto.
manco (agg.) — manchevole.
mantenenza — mantenimento (Pucciand. Martelli, I, 35).
manto — molto (prov. manto).
marrimento — smarrimento.
matto (ne do) — Ne do scacco matto (l'immagine è tolta dal giuoco degli scacchi), cioè supero tutti (Gallo, II, 60).
medela — medicina (lat. medela: Panuccio, X, 1).
me o mei — meglio.
mei — me.
memòrare — ricordare.
memóra — memoria (Panuccio, VI, 29).
meno — me.
mevi — me.
mi — a me.
mina — mena (forma usata per la rima da Pucciand. Martelli, I, 70).
minaccio — minaccia (lat. minacium).
miraglio — specchio.
miro — medico (ant. franc. mire: Leon. del Guall., 21).
mistero — mestiere, bisogno.
misera — miseria.
mò — ora (lat. modo).
molesta — molestia (Pucciand. Martelli, IV, 40).
monta (agg.) — montata.
montanza — aumento, sovrabbondanza.
montare — crescere.
mora — dimora, posa.
moraggio — morrò.
mormòro — mormorio.
mostranza — mostra.
munimento — difesa (lat. munimentum).
mutanza — mutazione.
'mprimera (all') — da principio. [281]
naturale (avv.) — naturalmente.
naturali (agg.) — naturale (Ciolo della Barba, 21).
'ncontradire — contraddire.
neente o nente — niente.
neghire — inneghittire, poltrire.
nesciente — che non sa, che ignora.
neun — niuno, nessuno.
ni — né.
nighettoso — neghittoso.
nobel — nobile.
nocente — che nuoce, cattivo.
nochero — nocchiero.
nòe — no.
noia — affanno, dolore.
nome — forse per nomo (Panuccio, XI, 58).
nonde — non ne.
norisco — nutrisco (Ciolo della Barba, 15).
'nvegliare — invecchiare.
obbria (sost.) — oblio, dimenticanza.
obbriare — obliare.
obrio — oblio.
occupamento — offuscamento (Panuccio, X, 32).
odire — udire.
offenza (anche offenzione) — offesa, danno.
ognunque — ogni, qualunque.
oltragravoso — gravosissimo.
oltraselvaggio — piú che selvaggio.
ombra (verbo) — prende ombra (Panuccio del Bagno, XII, 12).
onora — onore (Ciolo della Barba, 36).
ontare — fare onta, ingiuriare, contrastare (Panuccio, VI, 30).
ontoso — ingiurioso.
operamento — operazione.
oreglio — orecchio.
orgoglianza — orgoglio.
oranza — orranza, onore.
ordo (agg.) — orrido (sincope: ant. franc. orde). Riferito ad Amore per le pene che apporta (Panuccio, VI, 90).
ove (comendi) — Lo lodi, ove (se) lo meriti (Panuccio, VII, 94).
ovi — ove.
ovra — opera.
ovra (s') — se opera.
paga (si) — s'appaga (Panuccio, III, 9).
palpe — il Monaci intende che sia un cong. pres. di «palpare». Forse il v. 39 della canz. di Leonardo del Guallacca vuol dire: Molto ha di male da toccare, cioè gli toccherà molto male.
paraggio (a) — a somiglianza, a paragone, a confronto (Bacciarone di messer Bacone, I, 69).
paraggio (verbo) — parrò.
paroma — canapo di cui si servono i marinai liguri per legare la nave (Leon. del Guall., 26).
parato — pronto (lat. paratus).
pare — pari, uguale.
pareglio — pari, simile.
parimento — uguaglianza (Panuccio del Bagno, IX, 32).
parlamento — parlata, favella: «lo mutulo torna in parlamento» — il mutolo riprende la favella (Gallo, I, 26).
parli — pargli, gli pare.
parrea — parrebbe.
partagerò — mi partirò (Geri Giannini, I, 14).
partimento — partenza, fine (Gallo, I, 29).
parvente — apparente.
parvenza (a mia) — a mio parere (Bacciarone, V, 6).
parvo — piccolo (lat. parvus). [282]
pato — patisco.
patuto — patito.
penale — degno di pena, alla stessa guisa che «ferale» per «degno di fera»: «Imperciò ch'è penale» (Panuccio, VI, 26) — perciocché è cosa degna di pena. Oppure si deve leggere: «Imperciò che pena l'è»?
pensamento — pensiero.
pensivo — pensieroso.
pensria — penseria, penserebbe.
pentèro — pentimento (Bacciar. di messer Bacone, II, 99).
percepenza — intelligenza.
perdenza — perdita.
perdonanza — perdono.
pereggio — peleggio, puleggio, viaggio (Bacciar. di messer Bacone, I, 35).
permirato — meraviglioso (Pucciand. Martelli, V, 11), dal lat. permiratus.
persò — perciò.
perso — scuro, nero.
pesanza — noia, gravezza.
piacenza — piacere.
pietanza — pietá.
piggiore — peggiore.
pintura — pittura.
piò — piú.
piú via troppo — sempre piú (Panuccio, V, 48).
plagente — piacente.
plagenza — piacere.
plagimento — piacere, bellezza che dá piacere a chi la mira.
plangére — piangere.
pò — può.
poderato — rinforzato, aumentato (Panuccio, VI, 15).
poderoso — potente, forte.
podere — potenza, forza: «a podere» — a tutta forza (Panuccio, VII, 113).
podire — potere.
pogo — poco.
ponta, (si) — si sforza.
porò — potrò.
portatura — portamento.
posa — sosta, dimora (Panuccio, XX, 5).
possa — poscia (Betto Mettef., 51): «da possa» — da poi che (Geri Giannini, II, 16).
postra — poscia (Pan. del B., XVI, 11).
potimento — potenza (Panuccio, VI, 86).
potrèno — potrebbero.
poso — riposo (Panuccio del B., III, 76).
possibile (a) — quanto piú può (Panuccio, X, 5).
prendimento (anche prendenza) — presa.
primero — primiero.
pro (sost.) — l'utile.
prode — valore.
profittabile — profittevole.
propunto (ci) — c'insisto (Leon. del Guall., 36).
provedenza — provvidenza, avvedimento (Panuccio, canz. II, v. 12).
prunto — pronto.
puosi — si può.
quito — quieto (Lotto, I, 67): forma usata per necessitá di rima.
raffino — divengo piú fine: «raffino 'n servire» — divengo migliore nel servire a madonna (Betto Mettefuoco, 24).
rancura — affanno, tormento.
redenza — redenzione (Lotto, II, 39).
regnare — stare, dimorare.
reo — crudele.
resedere — risiedere (Natuccio Cinquino, I, 12).
resto — resta (lat. arista), spiga (Gallo, II, 56).
risurgere — far risorgere: «se risurgi la mia mente» (Pucciand. Martelli, I, 62).
ruga — strada (franc. rue).
saluta — saluto (Lotto, I, 33).
sapo — so (lat. sapio).
sapra (si) — si saprá (Pan., son. XVIII, v. 8).
savemo — sappiamo.
savire — sapere.
sbaudire — perdere baldanza (Gallo, I, 20).
scalcata — soppiantata (Panuccio, VII, 23).
sconoscenza — ignoranza, ingratitudine.
scora — scura, oscura (Panuccio, I, 66).
scordanza — discordia.
segondo — secondo.
semblanza — sembianza, somiglianza.
semblare — assomigliare.
sensa — sensi, sentimenti (Pucciandone, V, 11).
sentire — sentimento, opinione: «al mio sentire» — a mio avviso.
sentore — sentimento (Panuccio, I, 41).
sería (anche serea) — sarebbe.
serra — montagna (Leon. del Guall., 43, ecc.)
servente — servitore.
servimento — servizio.
sguardare — guardare.
siccomo — siccome.
signoraggio — signoria (prov. senhoratge).
siguranza — sicurezza.
sigurare — assicurare (Gallo, I, 42).
silvaggio — selvaggio, inusitato, strano.
simel — simile.
simiglia — simili, pari (Panuccio, II, 16).
smirare — rimirare.
snaturare — allontanarsi da natura (Nocco, 28).
sodutto — sedotto; ma anche guasto, distrutto (Panuccio, VII, 28).
sofferea — soffrirebbe.
sofferenza — paziente attesa.
sofferrá — soffrirá.
soffrenza — sofferenza.
soffriraggio — soffrirò.
soi — suoi.
sòl — suole.
solaccio — sollazzo (lat. solacium).
sommiso — sottomesso.
somovere — muovere, spingere (Panuccio, XV, 5).
sonde — ne sono.
soperchio — sovrabbondanza.
sormontare — salire in alto.
soverchianza — sovrabbondanza.
sovramagiore — grandissimo.
sovrapiagente — piacentissima.
sovro (verbo) — vado sopra, da un supposto sovrare (Panuccio, XI, 16).
sovro (avv.) — sovra, sopra.
spera — speranza (prov. esper).
spera — specchio. Anche oggi in Toscana si dice «spera» per «specchio».
speramento — speranza.
spiacimento — dispiacimento, dispiacere (Lotto, II, 59).
spietosa — spietata, senza pietá (Lotto, II, 53).
spiramento — ispirazione. [284]
sporto — porto (Panuccio, V, 53): da sporgere, porgere: v. nel De quinquaginta curialitatibus di Bonvesin da Riva, II, 56 «on sporze a verun altro ch'è tego in compania».
sprefondato — sprofondato.
sprendiente — splendente.
sre' — sarebbe (Panuccio, X, 14).
stallo — stanza, dimora.
stasso — stanza (Bacciar. di messer Bacone, I, 56).
stata — stato, stanza (Lotto, I, 3).
stato — fine: «senza stato» — senza fine (Panuccio, VI, 97).
sterra (verbo) — caccia fuori della terra (Bacciarone, III, 24).
stettamento — lenimento? (Panuccio del Bagno, X, 16).
storte — storture (Geri Giannini, I, 5: «male storte» — disgrazie, contrarietá).
stremosa — estremitá, estremi mali (Panuccio, X, 17).
strò — starò (sincope).
suggizione — suggezione, servitú.
suoie — sue (Panuccio, IX, 24, 26).
svariare — cambiare.
tembra (la fior tembra) — (Ciolo della Barba, 40): la santoreggia del monte San Giuliano.
terzoletto — anche terzuolo, una specie di vela: v. il Dizionario del Tommaseo-Bellini, che cita un esempio del Ciriffo Calvaneo.
testimonia — testimonianza.
tinore — tenore.
tormentare — agitare come in una tormenta, tempestare (Pucciand. Martelli, IV, 33).
tormento (vivere a) — vivere in tormenti (Gallo, I, 32).
torte — fasci, legami.
torte (avv.) — a torto: «dannato 'n torte» — dannato a torto (Geri Giannini, II, 5).
torto — tolto (Bacciarone, III, 7).
totta — tutta.
tragállo — trággalo, lo tragga (Leon. del Guall., 59).
tragetto — tragitto.
tralassato — tralasciato, abbandonato.
trappare — acchiappare (franc. atraper: Leon. del Guall., 28).
trasatto — lasciato (Pucciandone Martelli, IV, 45: «ma poi mi n'ha' trasatto», ove, anche per quel che precede, il senso mi pare questo: Ma poi tu, o Amore, m'hai lasciato un po' di pace).
treccera — ingannatrice (ant. franc. trichere), falsa (L. del Guall., 14).
tristore — tristezza, male.
tuba — tromba (lat. tuba).
turberea — turberebbe.
tutto — tuttoché, sebbene (Panuccio, II, 35).
tuttore — sempre: vale spesso anche «sebbene».
u — o, ovvero.
umelia (s') — s'umilia.
umeltá — umiltá.
unde — onde, ne, di cui.
usanza — uso, abitudine.
uso — esperienza.
uvi — ove (Panuccio, XI, 28).
valca — valica, passa.
valenza — valore.
valimento — valore.
vallo — valle.
varco (sost.) — valico, passo. [285]
veglio — vecchio.
veno (si) — si vedono (Bacciar. di messer Bacone, I, 23).
ventare — dare vento, soffiare (Panuccio, xii, 71).
veo — vedo.
verdero — verziere, verde prato, giardino.
ver' — verso.
vero (avv.) — veramente.
vertá — veritá.
vertú — virtú.
vertudioso — virtuoso.
vertudiosamente — virtuosamente.
vesi — si vede.
vilezza — viltá.
vinde — ve ne (Ciolo della Barba, 36).
visare — avvisare, esser d'avviso, capire.
vivente (al meo) — in vita mia.
vizo — vizio.
voglia (portare) — aver voglia.
voglienza — voglia.
voi' — voio, voglio (Bacciar. di messer Bacone, II, 81).
voito — vuoto.
volno — vogliono.
vorea e vorrea — vorria vorrei. [286]
[1] Per la risposta di Dotto Reali, si veda fra i Rimatori lucchesi.
[2] Mi corre l'obbligo di ringraziare vivamente il prof. Flaminio Pellegrini, che con la sua molta dottrina e con l'autorevole consiglio mi ha efficacemente aiutato in questa nuova edizione dei Rimatori pistoiesi e anche in quella dei Rimatori pisani
[3] Furono presi in esame da:
G. Bertoni, in Zeitschrift für rom. Philologie, XXX [1906], 342-5;
M. Pelaez, in Rassegna bibl. della letter. ital., XIV [1906], 292-4;
G. Zaccagnini, in Rassegna critica della letter. ital., X [1907], 34-8;
B. Wiese, in Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen, CXVII [1907], 214-223;
V. Rossi, in Giornale storico della letter. ital., XLIX [1907], 373-383;
K. Vossler, in Literaturblatt für germ. und rom. Philologie, XXVIII [1907], 290-4.
[4] Osservò giá il Rossi, Gior. st. d. letter. it. cit., XLIX, 374 e n. I, che questo rimatore non è da ritenere come notaio: nei documenti egli è costantemente e unicamente designato come «iudex».
[5] Il prof. A. Zenatti cortesemente mi comunica che questo rimatore deve proprio chiamarsi «Bonodito», come giá noi congetturammo: cfr. I Rimatori lucch., p. XXXVII. Egli ne fornirá la prova.
[6] Cfr. I Rim. lucch., pp. LXXIII-IV.
[7] Cfr. pure Rossi in Gior. stor. cit., XLIX, 377 e Zaccagnini in Rass. crit. cit., XI, 37.
[8] Gior. stor. cit., XLIX, 378. Cfr. pure Wiese in Archiv cit., CXVII, 214.
[9] Il Wiese, Archiv cit., CXVII, 214, dubita anche della paternitá dei due sonetti «Gli vostri occhi ch'e' m'hanno divisi» (n. XVII) e «Con sicurtá dirò po' ch'i' son vosso» (n. XVIII); ma non adduce alcuna prova che confermi il suo dubbio. Lo stesso dicasi del Tommasini-Mattiucci, Bonagiunta Orbicciani nel canto XXIV del Purgatorio, Cittá di Castello, 1911, p. 20, n. 2: cfr. pure, per il son. XVII, Vossler in Literaturblatt cit., XXVIII, 291. E allora? Il loro valore nella produzione poetica di Bonagiunta fu rilevato nel nostro saggio, Sulla cronologia e sul valore delle rime di B. O. da Lucca, Messina, 1902, pp. 39-40. A tal proposito è massimamente prezioso il son. XVII «Gli vostri occhi»; per quanto anche il n. XVIII «Con sicurtá», pur dopo la nuova interpretazione, possa sempre offrire un appoggio alla nostra tesi. La quale, sia detto di passaggio, ha trovato un deciso avversario nel Tommasini-Mattiucci, Bonagiunta Orbicciani cit. Ma ad altri (vedili ricordati quivi stesso, pp. 28-9) non è parsa poi del tutto cosí ardita da doversi senz'altro metter da parte.
[10] A. Fr. Massèra, Una ballata sconosciuta di Bonagiunta Orbicciani, in Rass. bibl. cit., XIV, 210 sgg. I vv. 11, 13, 23, 62, come settenari, apparrebbero veramente allontanarsi dallo schema metrico proposto: a5 a6 a6 x7; a7 b8 a7 b8; c6 c5 c6 x7. Ma è da notare che i vv. 11 e 62 comincian per vocale, e interviene pertanto un'elisione con la finale del v. pr. Nel v. 13, sintatticamente, è possibile anche la soppressione del se con cui comincia, se pure non è, come nel v. 23, una di quelle apparenti anomalie metriche, che la musica faceva scomparire, di cui non mancano esempi: cfr. A. Fr. Massèra, Il serventese romagnolo del 1277, in Archivio st. ital., 1914, disp. 1ª, p. 10, n. 1 dell'estr.
[11] I Rim. lucch., cit., p. LXXVIII.
[12] S. Debenedetti, Nuovi studi sulla Giuntina di rime antiche, Cittá di Castello, 1912. Cfr. poi, a proposito di tale pubblicazione, F. Pellegrini, in Rass. bibl. cit., XXI [1913], 12 sgg.
[13] Cfr. Rass. bibl. cit., XXI, 18-9. La correzione del secondo passo: «Considerando tutto quel ch'è detto», ecc. è giá in Valeriani, I, 511.
[14] Vedi anche I Rim. lucch., pp. LXXVIII-IX.
[15] Il Bertoni proporrebbe una rivendicazione anche per le due canzoni «Oramai lo meo core» (per questa canz. vedi pure Pelaez, Rass. bibl. cit., XIV, 294) e «Sovente, Amore, aggio visto manti»: cfr. Zeitschrift cit., XXX, 344. Ma le sue argomentazioni non son riuscite a scuotere la nostra ancor come un tempo ferma opinione in contrario.
[16] La prima edizione, con tutto l'apparato critico, mette in grado di rendersi conto di ogni piú piccola mutazione. Ogni nuova congettura fu esplicitamente avvertita.
[17] Cfr. I Rim. lucch. cit., p. XCII.
[18] Gli schemi che raggruppammo alle pp. LXVI-VIII de I Rim. lucch. cit., prima di esser citati, è necessario controllarli con quelli di questi nuovi testi.
[19] Rima siciliana, rima aretina e bolognese, in Bull. d. soc. dantesca ital., XX [1913], 123, n. 1. A proposito di questo articolo cfr. tuttavia G. Bertoni, in Fanfulla della domenica, XXXVI [1914], 25 gennaio.
[20] Cfr. Zeitschrift cit., XXXI, 178.
[21] Parodi, Rima siciliana cit., pp. 136-8.
[22] Il Petrocchi, Novo dizionario, ad v., registra questa forma per l'ant. ital.; ma non dá esempi.
[23] È un difetto, in cui cade il Wiese, ad es., nella recensione citata. Per conto mio, lo iato, spesso dato anche dall'accordo dei cdd., giustifica sicuramente i vv. c. VIII, 2 e 14, IX, 41; dis. 1, 5, 6, 10; ball. I, 33; ecc.; sono da considerare, senz'altro, come bisillabi: «lui» nei son. II, 8 e IV, 8 della tenzone fra il Gonnella, Bonagiunta e Bonodico, «poi» nel son. I, 2 della tenzone fra Bartolomeo e Bonodico, e come trisillabo: «assai» in D. R. c. I, 67; né credo che, a causa della cesura, debbano modificarsi, ad es., c. VIII, 17 e ball. II, 13-4 e 23-4.
[24] La misura del verso esige senza discussione «ciera» in ball. IV, 25.
[25] Cfr. D'Ancona e Comparetti, Le antiche rime volgari, Bologna, 1875, I, p. XX e n. I. A proposito del son. I di Dotto Reali, che non è compreso nel Vat. 3793, cfr. sempre quivi.
[26] Le canz. I e III di Bonagiunta, che sono nel Vat. 3793, non son quivi trascritte; ma per la I, a 284r, a sinistra, nel margine, è notato: «Auegna che partensa. 294. Reale», e per la III, a 129r, sempre nel margine, a sinistra: «Similen.te honor. 124. Reale», con richiami manifesti (294 e 124) al Vat. 3793.
[27] Vedasi su di esso Barbi, Per un sonetto attribuito a Dante e per due codici di rime antiche, in Bull. d. soc. dantesca ital., XVII [1910], p. 255 sgg.
[28] Barbi, Per un sonetto cit., p. 255. Dá anche come di Bonagiunta le due canz. «Donna amorosa» (p. 109 e «La mia amorosa mente» (p. 111), che nel Pal. 418 seguivano adespote alla ball. I dell'Orbicciani.
[29] Il primo verso del son. I si trova pure riferito a p. 739; cosí il primo verso del son. IV è a p. 789.
[30] Cfr. Barbi, Per un sonetto cit., p. 256 sgg.
[31] Solo il v. 8 del son. I: «Che passa or sôma luce e di valore» — altre poche varianti non hanno alcuna importanza — se ne allontana alquanto. Ma dipende certo dal desiderio del trascrittore di dare un senso, suo, al passo tormentatissimo.
[32] Il Nannucci pubblica anche come di Bonagiunta la canz. «Tanto di fino amore son gaudente», avvertendo che essa insieme con la ball. «Donna, vostre belleze» «dall'editore fiorentino [Val., I, 433] sono assegnate al Saladino da Pavia; ma nel Codice Pucciano, in quello di Pier del Nero ed in altri, vanno sotto il nome del nostro Bonaggiunta» (Manuale cit., I, 195). È certo una svista, perché si fatta canzone, in tutti i cdd. in cui si trova, è attribuita al Saladino: cfr. G. B. Festa, Bibliografia delle più antiche rime volgari italiane, in Romanische Forschungen, XXV [1908], 2, p. 596, n. 614.
ERRATA CORRIGE
p. 143, v. 4: | estat' | corr. | e stat' |
p. 154, v. 69: | i' spero | » | ispero |
p. 156, v. 59: | ad ella | » | d'ella |
p. 179, v. 10: | aver | » | viver |
A cui prudenza porge alta lumera, | Pag. | 209 |
Aldendo dire l'altèro valore, | » | 210 |
A me adovene com'a lo zitello, | » | 82 |
Amore amaro, a morte m'hai feruto, | » | 17 |
Amore, perché m'hai, | » | 181 |
Amor s'ha il mio voler miso di sovra, | » | 179 |
A piò voler mostrar che porti vero, | » | 105 |
A scuro loco conven lume clero, | » | 15 |
Avegna che partensa, | » | 49 |
Ben mi credea in tutto esser d'Amore, | » | 65 |
Certo, non si convene, | » | 97 |
Chi nel dolore ha bona sofferenza, | » | 210 |
Chi va cherendo guerra e lassa pace, | » | 87 |
Compiutamente mess'ho intenzione, | » | 185 |
Con sicurtá dirò, po' ch'i' son vosso, | » | 89 |
Considerando l'altera valenza, | » | 7 |
Considerando la vera partenza, | » | 155 |
Credea essere, lasso, | » | 137 |
De la fera infertá e angosciosa, | » | 215 |
De la rason, che non savete vero, | » | 92 |
De la rota son posti esempli assai, | » | 28 |
Del dolor tant'è 'l soverchio fero, | » | 20 |
Dentro da la nieve esce lo foco, | » | 83 |
Dev'omo a la fortuna con coragio, | » | 80 |
Di ciò che 'l meo cor sente, | » | 101 |
Di dir giá piú non celo, | » | 169 |
Dimme, Amore: vorestú tornare, | » | 29 |
Di sí alta valenz'a signoria, | » | 145 |
Dogliosamente con gran malenanza, | » | 99 |
Dolendo, amico, di gravosa pena, | » | 175 |
Dolorosa doglienza in dir m'adduce, | » | 161 |
Donna, vostre bellezze, | » | 73 |
El nom de Dieu qu'es subiranz, | » | 224 |
Eo so ben ch'om non poría trovar sagio, | » | 85 |
Fèra cagione e dura, | » | 23 |
Fermamente intenza, | » | 77 |
Feruto sono e chi di me è ferente, | » | 80 |
Fin amor mi conforta, | » | 55 |
Fina consideransa, | » | 51 |
Fior di beltá e d'ogni cosa bona, | » | 213 |
Giá non sète di senno sí legieri, | » | 95 |
Gli vostri occhi ch'e' m'hanno divisi, | » | 88 |
Gioia né ben non è senza conforto, | » | 57 |
Gravoso affanno e pena, | » | 21 |
Greve di gioia — pò l'om malenanza, | » | 219 |
In alta donna ho miso mia 'ntendanza, | » | 135 |
Infra le gioi' piacenti, | » | 61 |
La dolorosa e mia grave doglienza, | » | 152 |
La dolorosa noia, | » | 158 |
L'altrier, dormendo, a me se venne Amore, | » | 29 |
L'altrier pensando mi emaginai, | » | 30 |
Lasso di far più verso, | » | 178 |
Lasso, sovente — sent'e' — che natura, | » | 173 |
Lo fermo intendimento, ched eo aggio, | » | 187 |
Lo gran presgio di voi si vola pari, | » | 87 |
Lontana dimoranza, | » | 25 |
Madonna, vo' isguardando senti' amore, | » | 192 |
Madonna, vostr'altèra canoscenza, | » | 5 |
Madonna, vostr'altèro plagimento, | » | 143 |
Magna ferendo me tuba 'n oregli, | » | 206 |
Magna medela a grave perigliosa, | » | 167 |
Meo fero stato — nato — è sí forte, | » | 205 |
Molto si fa biasmare, | » | 72 |
Movo di basso e vogli' alto montare, | » | 88 |
Naturalmente falla lo pensero, | » | 93 |
Ne l'amoroso foco molti stanno, | » | 84 |
Nel tempo averso om dé' prender conforto, | » | 90 |
Non posso proferir quant'ho voglienza, | » | 180 |
Non so rasion, ma dico per pensero, | » | 92 |
Non volontá, ma omo fa ragione, | » | 14 |
Nova m'è volontá nel cor creata, | » | 195 |
Novellamente amore, | » | 56 |
Ogni meo fatto per contrario faccio, | » | 30 |
Oi, amadori, intendete l'affanno, | » | 69 |
Omo, ch'è sagio ne lo cominciare, | » | 81 |
Parlare scuro, dimandando, dove, | » | 16 |
Pensando ch'ogni cosa aggio da Dio, | » | 13 |
Pensávati non fare indivinero, | » | 93 |
Per fino amore — lo fiore — del fiore — avragio, | » | 85 |
Però che sète paragon di sagio, | » | 86 |
Piggiore stimo che morso di capra, | » | 177 |
Poi che mia voglia varca, | » | 171 |
Poi contra voglia dir pena convene, | » | 150 |
Poi dal mastro Guitton latte tenete, | » | 223 |
Poi di tutte bontá ben se' dispári, | » | 86 |
Poi sento ch'ogni tutto da Dio tegno, | » | 12 |
Poi sono stato — convitato — a corte, | » | 206 |
Preg'a chi dorme ch'oramai si svegli, | » | 176 |
Qual omo è su la rota per ventura, | » | 81 |
Quando apar l'aulente fiore, | » | 63 |
Quando vegio la rivera, | » | 67 |
Quattr'omin son dipinti ne la rota, | » | 31 |
Rapresentando a conoscenza vostra, | » | 175 |
Saver, che sente un piciolo fantino, | » | 83 |
Se doloroso a voler movo dire, | » | 202 |
Se 'l filosofo dice: — È necessaro, | » | 10 |
S'eo sono innamorato e duro pene, | » | 75 |
Se quei che regna e 'n segnoria empera, | » | 174 |
Sí come 'l pescio al lasso, | » | 139 |
Sí dilettosa gioia, | » | 148 |
Sí forte m'ha costretto, | » | 199 |
Signor senza pietanza, udit'ho dire, | » | 191 |
Similemente canoscensa move, | » | 105 |
Similemente, — gente — criatura, | » | 194 |
Similemente onore, | » | 52 |
Sovente aggio pensato di tacere, | » | 3 |
Sovrapiagente mia gioia gioiosa, | » | 179 |
Sperando lungamente in acrescenza, | » | 59 |
Tal è la fiamma e 'l foco, | » | 76 |
Tanto saggio e bon poi me somegli, | » | 19 |
Tua scritta intesi bene lo tinore, | » | 211 |
Tutto el tempo del mondo m'è avenuto, | » | 33 |
Tutto lo mondo si mantien per fiore, | » | 82 |
Tuttora aggio di voi rimembranza, | » | 190 |
Una rason, qual eo non sacio, chero, | » | 91 |
Un nobel e gentil imaginare, | » | 28 |
Uno giorno aventuroso, | » | 60 |
Vacche né tora piò neente bado, | » | 11 |
Valenz senher, rei dels Aragones, | » | 27 |
Vero è che stato son manta stagione, | » | 164 |
Vita noiosa pena soffrir láne, | » | 17 |
Voi, ch'avete mutata la mainera, | » | 79 |
Vostra piacenza — tien più di piacere, | » | 84 |
Vostro saver provato m'è mistieri, | » | 94 |
I — RIMATORI PISTOIESI | |||
I. Meo Abbracciavacca. | |||
Canzoni. | |||
I. | Amore non è cagione di pene ma di gioia, | p. | 3 |
II. | Nella donna, piú che la beltá, è da stimarsi la saggezza, | » | 5 |
III. | Fra i tormenti d'Amore si rallegra, pensando alla virtú della sua donna, | » | 7 |
Sonetti. | |||
I. | A fra Guittone. Se possiamo spegnere gli stimoli della generazione, non astenendoci dal bere e dal mangiare, | » | 10 |
II. | Al medesimo. Tornato di Francia, espone le sue miserie, | » | 11 |
III. | Al medesimo. Se Dio possa usare misericordia verso di lui peccatore, | » | ivi |
IV. | Al medesimo. Sul medesimo argomento, | » | 12 |
V. | A Bindo d'Alessio Donati. Rimprovera l'amico d'essersi perduto in vizi carnali, | » | 13 |
VI. | A Dotto Reali. Come mai l'anima, che è formata da Dio, possa essere sopraffatta da altre cure, | » | 15 |
VII. | Al medesimo. Si lamenta che gli sia stato risposto oscuramente circa la questione esposta nel sonetto che precede, | » | ivi |
VIII. | A Monte d'Andrea. Eviti le pene d'amore, mutando luogo, | » | 17 |
IX. | Amore gli renda piú pietosa la sua donna, | » | ivi |
II. Si. Gui. da Pistoia. | |||
I. | A Geri Giannini da Pisa. Si compiace dell'amicizia offertagli da Geri, | » | 19 |
II. | Prega Dio che lo liberi dal dolore che l'affanna, | » | 20 |
III. Lemmo Orlandi. | |||
Canzone | I. Si duole con Amore che la sua donna, da benigna, sia ora diventata con lui crudele, | » | 21 |
Canzone | II. Adducendo il triste esempio di se medesimo, che, senza saper perché, fu abbandonato dalla sua donna, esorta, chi voglia aver ricompensa del proprio amore, di scegliere una donna piacente e saggia, | » | 23 |
Canzone | III. È combattuto dalla necessitá di partire e dal dolore di dover lasciare la sua donna, | » | 25 |
IV. Paolo Lanfranchi. | |||
I. | Esorta il re d'Aragona a prepararsi a difendersi dal re di Francia, | » | 27 |
II. | Ricorda a un uomo, superbo della sua ricchezza, l'instabilitá della fortuna, | » | 28 |
III. | Risveglio doloroso, | » | ivi |
IV. | Amore gli dona in sogno un fiore della sua donna. | » | 29 |
V. | Amore manifesti alla sua donna le sue pene, | » | ivi |
VI. | Amara delusione, | » | 30 |
VII. | Lamenta l'avversa fortuna, che gli fa fare sempre il contrario di quel che vorrebbe, | » | ivi |
VIII. | Vicende di fortuna, | » | 31 |
V. Meo Di Bugno. | |||
Coscienza netta non cura farneticar di gente, | » | 33 | |
Nota, | » | 35 | |
Glossario, | » | 43 | |
II — RIMATORI LUCCHESI | |||
I. Bonagiunta Orbicciani. | |||
Canzoni. | |||
I. | È colpito dalla sventura; ma non perciò tralascerá di cantare la gioia che gli viene a mancare, | » | 49 |
II. | Rinasce all'amore, perché la donna sua lo esorta a sperare, | » | 51 |
III. | Sulla natura dell'onore e del piacere, | » | 52 |
IV. | Si consola per aver ottenuto ciò che desiderava, | » | 55 |
V. | Lodi della sua donna, | » | 56 |
VI. | Ama la sua donna, della quale loda le virtú; ma non ha coraggio di manifestarle il suo amore, | » | 57 |
VII. | Dopo aver parlato della lotta, che combatte per la sua donna, disserta sul ben fare e sulla follia, | » | 59 |
VIII. | Lodi dell'amore: prega madonna che lo voglia amare, | » | 60 |
IX. | Si rallegra pensando alla gioia che spera d'avere, | » | 61 |
X. | Non ha l'amore della sua donna e vorrebbe dimenticarla: non essendogli ciò possibile, invoca da lei la fine dei suoi mali, | » | 63 |
XI. | Credeva di non essere amato: ma ha avuto torto. E n'è lietissimo, | » | 65 |
Discordi. | |||
I. | Invita pulzelle e maritate a darsi alla gioia e all'amore, | » | 67 |
II. | Si lamenta della durezza della donna sua, che un tempo lo aveva fatto sperar bene: ha fiducia però ch'ella un giorno muti pensiero, | » | 69 |
Ballate. | |||
I. | Non si vantino le proprie virtú. Dio disperda chi male amministra la giustizia, | » | 72 |
II. | Varie e tante son le bellezze della donna sua, | » | 73 |
III. | Se il poeta è rimeritato del suo affetto, sará il piú felice tra gli amanti, | » | 75 |
IV. | L'innamorata arde d'amore e prega l'amante, se ha intenzione di continuare nella sua fierezza, di volerla piuttosto uccidere, | » | 76 |
V. | Calda e viva esortazione dell'onore, | » | 77 |
Sonetti. | |||
I. | Al Guinizelli. Disputa sulla nuova maniera di poetare, | » | 79 |
II. | L'uomo deve resistere fortemente ai colpi di fortuna, | » | 80 |
III. | Sebbene ferito, tacerá, perché cosí spera di vincere la durezza della donna sua, | » | ivi |
IV. | Chi ha la fortuna favorevole non si rallegri troppo, | » | 81 |
V. | Non basta cominciare bene: perseverare bisogna, | » | ivi |
VI. | È come il fanciullo, che torna al fuoco ove s'è bruciato, | » | 82 |
VII. | Giuoca intorno alla parola «fiore», | » | ivi |
VIII. | Piú la ama e piú ella non cede, | » | 83 |
IX. | Senza sapere, i signori possono perdere la signoria, | » | ivi |
X. | Ella ha in sé ogni cosa piacente, ogni valore, ogni conoscenza, | » | 84 |
XI. | Molti amano non ricompensati, e il poeta è fra questi; ma sarebbe cortesia che il suo amore fosse un giorno veramente compreso, | » | ivi |
XII. | Si sente lieto, ché, per ben servire, otterrá l'amore di lei: ma non ne fa mostra, | » | 85 |
XIII. | 1. Di un anonimo a Bonagiunta. Come farsi riamare dalla sua donna, | » | ivi |
2. Risposta di Bonagiunta. Il vero amore cresce per il servire e per il tacere, e non per il parlare, | » | 86 | |
XIV. | 1. Di un anonimo a Bonagiunta. Domanda se debba o no manifestare alla donna il suo amore, | » | ivi |
2. Risposta di Bonagiunta. Vero amore è quello che è noto tanto all'uomo quanto alla donna, | » | 87 | |
XV. | Si rifletta prima di operare e di dire, | » | ivi |
XVI. | Vuol salire in alto sulla sedia del comando, | » | 88 |
XVII. | Loda le bellezze di lei, | » | ivi |
XVIII. | Per quanto abbia pregato la Madonna, non ha potuto levar gli spiriti malvagi da alcuni sonetti, | » | 89 |
Sonetto di dubbia autenticitá. | |||
Spera di ritornar lieto, | » | 90 | |
II. Tenzoni. | |||
I. Tenzone fra Gonnella Antelminelli, Bonagiunta e Bonodico. | |||
I. | Gonnella a Bonagiunta. Perché il ferro si lima col ferro, | » | 91 |
II. | Risposta di Bonagiunta a Gonnella. L'un ferro vince l'altro per forza dell'acciaio, | » | 92 |
III. | Risposta di Bonodico a Gonnella. Il ferro corrode il ferro per artifizio, | » | ivi |
IV. | Risposta di Gonnella a Bonagiunta. Perché vera arte non si può imparare?, | » | 93 |
V. | Risposta di Bonagiunta a Gonnella. L'arte corregge la natura; ma, mentre vuol sollevarla, non cerchi d'opprimerla, | » | ivi |
II. Tenzone fra Bartolomeo e Bonodico. | |||
I. | Bartolomeo a Bonodico. Se donna gentile debba amare amante baldo e ardito o incerto e dubbioso, | » | 94 |
II. | Bonodico a Bartolomeo. Donna valente deve amare colui che a lei piaccia, | » | 95 |
III. Gonnella degli Antelminelli. | |||
Stanza. | Come deve contenersi il franco amatore?, | » | 97 |
IV. Fredi. | |||
Canzone. | È caduto dall'altezza primiera, ma spera di risollevarsi, | » | 99 |
V. Dotto Reali. | |||
Canzone. | Privazioni e disagi, che sostiene per causa d'amore, | » | 101 |
Sonetti. | |||
I. | A Meo Abbracciavacca. Domanda schiarimenti perché egli abbia cuore scontento e volontá perfetta, | » | 104 |
II. | Allo stesso. Sulla questione: Se l'anima viene compíta da Dio, com'è che può fallire, | » | 105 |
Nota, | » | 107 | |
Glossario, | » | 121 | |
III — RIMATORI PISANI | |||
I. Gallo o Galletto. | |||
I. | Ha ricevuto da madonna una rosa e molto spera per questo lusinghiero principio, | » | 135 |
II. | Canzone equivoca. Si lagna che da piú d'un anno sia caduto in servitú di lei, e ne loda le bellezze, | » | 137 |
II. Leonardo del Guallacca. | |||
A Gallo. Brutti lacci quelli d'Amore, e quanti affanni esso procura!, | » | 139 | |
III. Panuccio del Bagno. | |||
I. | È contento di servire madonna, | » | 143 |
II. | È contento di soffrire gravi pene per lei, | » | 145 |
III. | Si lagna d'aver perduto la gioia che prima aveva avuto, amando madonna, | » | 148 |
IV. | Si lagna delle pene in cui si trova per servire madonna, | » | 150 |
V. | Ancora mostra il suo dolore per la crudeltá di lei, | » | 152 |
VI. | Si lamenta ancora di dover tanto soffrire per essere servo d'Amore, | » | 155 |
VII. | Si lamenta delle prepotenze e ingiustizie che commetteva in Pisa la parte che spadroneggiava al governo della cosa pubblica, | » | 158 |
VIII. | Vorrebbe trovar rimedio contro le pene d'amore, ma non sa come, | » | 161 |
IX. | Dice d'esser tutto preso dall'amore di lei e di non avere altro pensiero, | » | 164 |
X. | Rintronico. Consiglia a soffrire le avversitá con rassegnazione, sperando d'averne un giorno lenimento, | » | 167 |
XI. | Non potendo piú reggere alle amare pene che lo affliggono, si risolve a parlarne, ma in forma coperta, perché non lo intenda un tal Corso, | » | 169 |
XII. | Anche qui parla chiuso, per dare sfogo al dolore che lo affanna, | » | 171 |
XIII. | L'anima viene pura dall'alto; ma si guasta poi e si travia, come quella del poeta, che ha dato a madonna l'impero del suo cuore, | » | 173 |
XIV. | Instabilitá della fortuna, | » | 174 |
XV. | Conforta un amico d'un grave dolore che lo affanna, | » | 175 |
XVI. | Dice ad un amico come giá da tre anni sia servo d'amore, e gli domanda consiglio, | » | ivi |
XVII. | Esorta altri a mostrare, ch'è tempo, il proprio valore, per togliersi dal basso stato, ov'è caduto, | » | 176 |
XVIII. | Discopre le sue pene per essere in signoria d'amore, | » | 177 |
XIX. | Si lamenta di vedere abbandonata la giustizia e trionfare la slealtá, | » | 178 |
XX. | Ogni sua volontá, ogni diletto è in piacere a lei, | » | 179 |
XXI. | Amore ha preso tutta la sua anima ed è porto d'ogni sua virtú, | » | ivi |
XXII. | Ha la graziosa immagine di madonna fissa sempre in cuore, | » | 180 |
IV. Betto Mettefuoco. | |||
Si mostra lieto di essere in servitú d'Amore per una donna avvenente, | » | 181 | |
V. Ciolo Della Barba. | |||
Chiede a madonna, poiché è in tutto servo di lei, che si mova a pietá del suo amore, | » | 185 | |
VI. Pucciandone Martelli. | |||
I. | Si lagna delle pene che gli dá Amore e chiede a madonna che si mova a pietá del suo dolore, | » | 187 |
II. | Della gioia che prova a guardar lei, | » | 190 |
III. | Si lagna che madonna lo faccia tanto soffrire, | » | 191 |
IV. | Si lamenta che Amore lo abbia ingannato, e lo prega a far sí che madonna abbia pietá di lui, | » | 192 |
V. | In madonna è ogni bellezza e gentilezza, ed è onorato chi ha fermezza in amar lei, | » | 194 |
VII. Bacciarone di messer Bacone. | |||
I. | Stolti coloro che lodano Amore, fonte di tanti mali, | » | 195 |
II. | Si lagna di Amore, che con tante pene lo tormenta, e chiede perdono a Dio d'essersi fatto schiavo di lui, | » | 199 |
III. | Esprime il dolore che sente a veder governata Pisa da tali che non curano il bene e fanno strazio della patria, | » | 202 |
VIII. Geri Giannini. | |||
I. | A Natuccio Cinquino. Si duole della sua dolorosa vita e chiede pietá a Dio, | » | 205 |
II. | Risposta di Natuccio Cinquino. Conforta il dolore che ha, sperando che abbia una volta a finire, | » | 206 |
III. | A Si. Gui. da Pistoia. Se preferisca che la loro amicizia invecchi o sia sempre fresca, | » | ivi |
IX. Natuccio Cinquino. | |||
Tenzoni fra Natuccio e Bacciarone. | |||
I. | 1. A Bacciarone di messer Bacone. Perché il dolore e la gioia siano date all'uomo sempre per il suo meglio, | » | 209 |
2. Risposta di Bacciarone. Nel dolore l'uomo impara a soffrire, e nelle prosperità apprende ad essere grato a Dio, | » | 210 | |
II. | 1. A Bacciarone di messer Bacone. Perché il peccato sia piú amato che fare e dire il bene, | » | 210 |
2. Risposta di Bacciarone. Il peccato è amato piú del bene a causa dell'abitudine, che è piú forte della natura e della ragione, | » | 211 | |
X. Lotto di ser Dato. | |||
I. | Loda la bellezza e la virtú della sua donna e le chiede scusa se non sa celebrarla come essa merita, | » | 213 |
II. | Si lamenta della sua infelice vita e soprattutto di essere abbandonato dalle persone piú care, | » | 215 |
XI. Nocco di Cenni di Frediano. | |||
Si lagna che madonna gli abbia prima fatto sperare d'aver gioia del suo amore, e poi lo abbia ingannato, | » | 219 | |
XII. Geronimo Terramagnino. | |||
I. | Dice ad un poeta che è bene riflettere lungamente prima di parlare, | » | 223 |
II. | Doctrina de cort, | » | 224 |
Nota, | » | 251 | |
Glossario, | » | 275 | |
Indice dei capoversi, | » | 287 |