Title: Un bel sogno
Author: Achille Giovanni Cagna
Release date: October 6, 2014 [eBook #47069]
Most recently updated: October 24, 2024
Language: Italian
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by Biblioteca Nazionale Braidense - Milano)
NOTE DEL TRASCRITTORE:
—Corretti gli ovvii errori tipografici e di punteggiatura.
—Lʼindice non è compreso nellʼopera originale. Ne è stato prodotto ed aggiunto uno dal trascrittore.
—La copertina è stata creata dal trascrittore ed è posta in pubblico dominio.
A. G. CAGNA
ROMANZO
«O speranze, speranze; ameni inganni
«Della mia prima età! Sempre parlando
«Ritorno a voi; che per andar di tempo
«Per varïar dʼaffetti e di pensieri,
«Obliarvi non so!.........
Leopardi
MILANO 1871
PRESSO CARLO BARBINI EDITORE
Via Chiaravalle, 9.
Prezzo L. 2—
UN BEL SOGNO
A. G. CAGNA
UN BEL SOGNO
ROMANZO
MILANO 1871
PRESSO CARLO BARBINI EDITORE
Via Chiaravalle, 9.
Proprietà Letteraria.
Ditta Wilmant.
Pag. | ||
Dedica | 5 | |
Capitolo | I. | 9 |
» | II. | 18 |
» | III. | 24 |
» | IV. | 34 |
» | V. | 46 |
» | VI. | 54 |
» | VII. | 62 |
» | VIII. | 67 |
» | IX. | 77 |
» | X. | 86 |
» | XI. | 97 |
» | XII. | 111 |
» | XIII. | 119 |
» | XIV. | 127 |
» | XV. | 136 |
» | XVI. | 173 |
» | XVII. | 185 |
» | XVIII. | 200 |
» | XIX. | 205 |
» | XX. | 214 |
È un romanzo, unʼinvenzione?... Domanderanno taluni—Ma voi, o signora, a cui intitolo questo lavoro, voi sola potreste dire: È verità.
Io lo so, voi non la direte mai questa parola, e forse per la prima inarcherete le ciglia affettando di credere al romanzo—Non importa; per quanto facciate, la vostra coscienza non la penserà così; nelle recondite fibre del vostro cuore, ve ne saranno di quelle che gemeranno per dolore,... e diciamolo pure, per rimorso.
Riandando colla mente sui fatti che espongo, ricordandovi di quei personaggi che assai meglio di me conosceste, voi sola potete farvi una chiara idea del mio intendimento nello accingermi allʼimpresa di narrare la storia di uno sventurato artista.
Voi sola potete sapere perchè io ve ne abbia fatto in secreto la dedica—Vi sono delle lezioni che si ripetono per tutta la vita, e questa che a voi tocca è una di esse. La pubblicazione di questo lavoro è una protesta contro la spensieratezza e lʼincostanza.
Non accuso alcuno, espongo semplicemente i fatti dai quali il lettore può a tuttʼagio trarne sentenza. Aggradite o signora la dedica che a voi faccio delle preziose reliquie di unʼanima grandemente generosa ed infelice; soddisfo così ad un debito sacrosanto che mʼimpone la coscienza—Io ho fatto il mio dovere, ed il mio cuore è libero.... auguro altrettanto a voi.
Avete una figlia—Che lʼesempio di Laura vi tenga lontana dallʼeducarla alle frivolezze del mondo, ed allorchè sarà grandicella, e la ragione si farà strada nella sua intelligenza, mettetele fra le mani questo libro facendo segni su certe pagine che non sarà necessario indicarvi—Può darsi che quella bambina compiangendo alla sorte di Ermanno, impari a non rendersi causa di altrettali sventure.
Allontanate da vostra figlia tutto ciò che può[7] essere vanità o capriccio, insegnatele a non assumersi la responsabilità di promesse inconsiderate che traggono spesso a fatali conseguenze—Lʼincostanza di Laura le sia di esempio, la sventura di Ermanno la conforti a fare se è dʼuopo sacrifizio delle tendenze arrischiate del suo cuore—Insegnatele o Signora, ad amare, non a fantasticare; ponete freno alle inquietudini della sua giovane fantasia, affinchè non tocchi a lei pure il rammarico di aver fatto unʼinfelice.
Colle attuali esigenze sociali, non è possibile conciliare certe tendenze del cuore cogli interessi di famiglia. Il mondo posa troppo ancora sui pregiudizi di casta, e la convenienza regna tuttavia sui destini umani perchè si possa toccare ad una libertà dʼamore—Lʼuguaglianza dei cuori e ancor troppo plasmata sulle uguaglianze sociali perchè le aspirazioni generose possano conseguire la loro meta.
Un giorno, forse non lontano, si verrà alla soluzione di questo problema che ha già una radice presso tutti i popoli inciviliti—Quel giorno segnerà lʼapogeo dello sviluppo umano, perchè allora soltanto avrà principio la gerarchia del[8] cuore e dellʼintelligenza.—Credete Signora alla sincerità deʼ miei consigli sui quali non vi diedi mai motivo a dubbio—Checchè io faccia non sarà mai che possa pervi in non cale; sono trascinato mio malgrado ad interessarmi di tutto ciò che vi riguarda, e se ora mʼincombe di arrecarvi qualche dolore, e tastarvi qualche piaga, siate certa che non lo faccio senza rammarico.
La più benefica legge di natura è lʼoblio dei mali del passato, e la speranza nellʼavvenire: sperale. Voi più che ogni altra abbisognate di conforti nelle gioie domestiche, ed io ve ne faccio augurio di vero cuore.
La storia di Ermanno può contenere qualche ammaestramento; essa non appartiene più a noi —Associandovi a questʼopera intendo di farvi parte di quel poʼ di bene che taluno potrà trarre dalla lettura di queste pagine——– non è unʼespiazione, ma dovere dʼumanità.—Compatitemi, e credetemi di voi affezionatissimo
A. G. Cagna.
Vercelli, Ottobre 1870.
UN BEL SOGNO
Non sono ancor trascorsi molti anni che in Brescia nelle tarde ore della notte, in una via poco frequentata, udivasi di sovente il suono di un pianoforte eccitato da una mano maestra.
Erano melodie spontanee soavemente malinconiche, vibrazioni patetiche che scorrendo sullʼaria quali folate armoniche, andavano perdendosi lamentosamente a guisa di zeffiro che destandosi vigoroso ed ardito si smarrisce tra i fogliami delle siepi, e muore alitando un flebile sospiro.
Non era difficile lʼaccorgersi che quelle soavi modulazioni erano prodotte da unʼabile mano che rispondeva interprete ad un gentilissimo sentire—Per concepire ed esprimere quel misterioso linguaggio che si chiama musica, bisogna avere il cuore suscettibile alle soavi emozioni, ed i concenti sublimi di quel pianoforte erano lʼemanazione palpitante di una fantasia delicata, erano la voce, lʼespressione di un sentimento puro, ineffabile, celeste.
Per quanto possa essere lʼarte inerente allʼuomo, nullameno lʼartista vive si può dire di una doppia esistenza; lʼarte è unʼegoista, unʼinnamorata gelosa che si costituisce nella mente degli uomini un governo speciale, assoluto, determinato a certi momenti in cui tutte le altre facoltà dellʼintelletto devono inevitabilmente sottomettersele—Lʼartista, il vero artista della fantasia, cessa dʼesser uomo nel momento che crea, la sua mente sprigionandosi dalla cerchia troppo angusta in cui è costretta, erra libera negli spazi dellʼinfinito in cerca di emozioni da trasfondere ed imprimere nelle opere dʼarte.
Egli è appunto in uno di questi momenti che noi sorprenderemo il giovane pianista Ermanno Alvise, giacchè era desso il gentile disturbatore del silenzio notturno, era desso che colle soavi melodie arrestava il passeggiero per quella via costringendolo ad assaporare sino allʼestremo quei melodiosi sospiri.
Un salotto arredato con molto gusto, e di cui principale ornamento era un pianoforte verticale di elegante costruzione, un tavolino ripieno di scartafacci di musica, alcune sedie ed una poltrona che dallʼampia sua forma prometteva un comodo adagiarsi; ecco lo studio del nostro Ermanno il quale stava seduto al pianoforte colle mani erranti sulla tastiera nellʼabbandono di chi tenta modulare i concetti che gli attraversano la fantasia.
Ermanno avea 25 anni, la sua statura era un medio, nè troppo alta nè troppo bassa; ciò che più colpiva in lui erano due grandʼocchi bruni che spiccavano sopra il volto palliduccio e gramo; la sua figura non aveva nulla di straordinario, allʼinfuori di una leggiera mestizia che spiravagli dallo sguardo.—
Allorchè egli era rapito dalla corrente delle sue idee, le labbra si socchiudevano lasciando sfuggire un lieve sorriso di soddisfazione.
Dotato di un grandissimo amore per la musica, egli aveva di gran lunga superate le belle speranze concepite sul suo ingegno; al culto dellʼarte ei dedicò i suoi primi anni, e giovanissimo ancora era salito in bella fama. Nessuno meglio di lui traeva accordi più soavi dal pianoforte, la musica da lui eseguita aveva lʼimpronta di un linguaggio misterioso, ed il fascino che sapeva esercitare sullʼanimo degli uditori era sì grande, che bene spesso era giuocoforza abbandonarsi colla mente a tutte le oscillazioni di quelle corde, che sotto le dita del giovane pianista fremevano dʼun nuovo accento, ed accarezzavano lʼudito siccome le patetiche modulazioni dellʼarpa—Ma ciò che più di tutto distingueva Ermanno, era la sua abilità nellʼimprovvisare sul pianoforte. Allora la fantasia svincolandosi dalle strettoie di un concetto limitato in poche linee di stampa prendeva il largo negli spazi infiniti della sua feconda immaginativa; in questi slanci della mente appariva vergine ed intatto il genio dellʼartista, che secondando lʼimpulso dʼun cuore ardentissimo, ora strappava lacrime con un adagio flebile, delicato, quasi impercettibile che ricercava le fibre dellʼascoltatore, e carezzandole soavemente inspirava allʼanimo sensi di dolcissima mestizia—Ora come torrente che straripa, le note incalzavano le note, e tanto rapidamente, che pareva dʼassistere allo spettacolo dʼun temporale dʼinferno, allo urtarsi impetuoso di schiere dʼarmati spronati ad orribile massacro.
Era bello Ermanno in quei momenti di abbandono, il suo sguardo stava sempre rivolto alle mani, elio agilissime sorvolavano sui tasti con tanta grazia e delicatezza come si accarezzerebbe la chioma di una donna amata.
Da qualche tempo egli lavorava alla composizione di una fantasia nella quale stillava tutta la sua feconda[12] inspirazione. Buona parte ne era fatta, ma la riuscita non corrispondeva mai alle esigenze dellʼartista.
Passava ore intiere alla ricerca di una frase, diremo di più, ogni nota era lʼoggetto di un paziente esame, ne provava tutte le vibrazioni, ne analizzava lʼaccento modulandola in mille guise finchè lʼaveva collocata al suo vero posto—Era un lavoro lunghissimo, un raffinamento squisito del genio, un ricamo della fantasia.
Sorprendiamo Ermanno in una delle sue veglie. La notte era già di molto avanzata, eppure non se ne accorgeva; da più di unʼora le sue mani cercavano sulla tastiera unʼidea inafferrabile che gli attraversava la fantasia senza poterla colpire.—Non solamente la parola si ribella ad esprimere tutto ciò che si concepisce; la musica siccome quella che presenta un campo pia vasto nella regione delle idee, riesce sempre più indecisa nellʼespressione del pensiero. Qual è lʼartista che possa vantarsi di tradurre fedelmente le idee che gli sorgono dalla mente? Tutto ciò che si esprime in arte non è che una pallida riproduzione di ciò che si concepisce. Se le parole potessero tener dietro e concretizzare tutti i voli dellʼimmaginazione, sarebbe gran ventura per gli uomini di genio.
Tali riflessioni le faceva pure Ermanno che da molto tempo affaticavasi invano nel cercare la traduzione di un concetto troppo ardito per poterlo esprimere coi mezzi incompleti dellʼarte. Già era passata la prima ora del mattino senza che lʼostinato artista pensasse che anche la natura esige i suoi tributi; ei non aveva sonno, la sua volontà era tanto fissa in quellʼidea che non sentì neanche il suono di una voce che lo chiamava per nome.—Alla seconda chiamata però si scosse, ed alzandosi immantinente corse ad aprire la porta che introduceva in una stanza attigua alla sua sclamando:
—Hai chiamato mamma?
—Sì, rispose la voce.
—Attendi, porto il lume, e levata una candela dal pianoforte, ritornò nella camera della madre accostandosi premurosamente al letto.
—Ti senti forse male?
—No, no, rispose sorridendo la buona donna, sto benissimo, ho domandato perchè voglio che tu vada al riposo, è molto tardi ed hai lavorato abbastanza.
—Ma no, non sono stanco, ti assicuro che mi sento bene.
—Non importa, tu non sei troppo robusto figlio mio, dà retta a me, va al riposo, da bravo.
—Va bene, mormorò Ermanno sorridendo, vado, ma, per farti piacere.
Nella stessa camera eravi una specie dʼalcova nascosta da unʼampia cortina; Ermanno aveva colà il suo lettuccio; vi entrò e poco dopo madre e figlio stavano immersi nel sonno. La madre era una donna sui cinquantʼanni ancora ben conservata; in essa consisteva tutta la famiglia del pianista a cui da molti anni era mancato il padre. Non si potrebbero dire i sacrifizi che fece quella buona donna onde assecondare le inclinazioni artistiche del figlio, ma ne riceveva in compenso il ricambio di unʼaffezione figliale senza pari.
Quelle due creature vivevano lʼuna dellʼaltra; Ermanno non usciva mai a meno che non vi fosse costretto dalle sue faccende. Di giorno dava lezioni di musica, verso sera faceva una breve passeggiata colla madre, indi entrambi rientravano; egli si assideva tosto al pianoforte suo fedele amico, come diceva, la madre gli si poneva accanto, e stava ad ascoltare la musica finchè il sonno non le gravava le ciglia, poi se ne andava al riposo—Ermanno fermavasi ancora lunghe ore a studiare senza che per ciò il sonno della[14] madre venisse menomamente disturbato; anzi quella buona creatura si addormentava dolcemente come in braccio ad una visione, fra i flebili accordi del pianoforte, e lʼultimo suo moto era un sorriso di compiacienza che le restava impresso sulle labbra.
Dallʼepoca in cui Ermanno si accinse a dar lezioni, le sorti della piccola famiglia erano dʼassai migliorate, e mercè unʼassiduo lavorare, il figlio poteva procurare tutti i comodi alla madre—Ogni giorno si arricchiva dʼun mobile quel modesto alloggio, e dopo molti risparmi erasi avverata una cara speranza; potendo finalmente il giovane artista far acquisto di un buon pianoforte, e rinunziare al suo vecchio tavolaccio.
Niuno più felice di quei due esseri che vivevano unicamente per consolarsi a vicenda. Accadeva talvolta che Ermanno dovesse passar la sera in qualche concerto, e la madre allora non si metteva a letto finchè egli non fosse di ritorno, lo aspettava se dʼestate alla finestra, se dʼinverno accanto al fuoco, tendendo lʼorecchio a tutti i passi che risuonavano sulla via.
Nel seno di unʼesistenza sì tranquilla Ermanno trovava le inspirazioni per lʼarte sua, e nel silenzio della sua cameretta vegliava le notti studiando, confortato dal pensiero che mercè sua la buona madre riposava tranquilla e felice. Entrambi insomma godevano di una pace domestica rara ed invidiabile.
Allʼindomani di quella notte in cui Ermanno aveva protratto lo studio sino a tarda ora, mentre stavasene seduto al piano discorrendo colla madre, fu bussato alla porta.
—Avanti, rispose il giovane, volgendosi per scorgere chi vʼentrava, oh sei tu Alfredo?... Che nuove?....
Un giovinotto vestito con molta eleganza e ricercatezza, entrava liberamente come uno che fosse di casa,[15] e dopo di aver stretta la mano a mamma Alvise, si avvicinò ad Ermanno dicendo:
—Proprio io, ti disturbo forse?
—Eh! scherzi, tu sai che di te non mi prendo soggezione. La mia sorpresa attribuiscila allʼessere qualche giorno che non ti vedo.—La tua famiglia come sta?
—Benissimo. Fui a Milano, non lo sapevi?
—Ma no, risposa Ermanno additando una sedia allʼamico.
—Propriamente, sono stato a Milano per dodici giorni, in casa di mio zio a cui ho portata via la famiglia per farla passar qualche tempo con noi.
—Come, è in Brescia la signora Ramati?
—Sì; ho incarico di farti i suoi saluti. Per parte di mia sorella poi, debbo tirarti unʼorecchio; a quanto ella mi disse, tu hai disertata la nostra casa.
—Chiedi scusa per me a madamigella Letizia, figurati che non ho ancora potuto arrivare a metà della mia Fantasia per piano solo, e sì che ci lavoro attorno di santa ragione.
—E che perciò, ne abbiamo forse noi colpa alcuna per abbandonarci così?—Ora poi, aggiunse Alfredo, spero che vorrai favorirci, tanto più che mia cugina muore per la voglia di sentirti; le parlai tanto bene di te.
—Come hai una cugina?
—Ma si, la figlia dello zio, una giovinetta di diciassette anni, uscita che è poco dal collegio, bionda, bella e viva come una farfalla. Tu la vedrai con piacere; anzi venni apposta per dirti che stassera sei atteso. Mia sorella te ne prega, mia cugina te ne scongiura.
—Bada, disse Ermanno sorridendo, tu parli con troppo ardore di questa cugina.
—Che vuoi mio caro! è una fanciulla così viva ed amabile, che mi butterei sul fuoco per piacerle.—È convenuto, stassera ti aspetto.
—Senti Alfredo, non potresti dilazionare? Per questa sera avevo unʼaltro progetto.
—Impossibile, se tu non mi prometti di venire, non avrò più il coraggio di presentarmi a casa; mia cugina...
—E dalli.
—Oh senti, tu verrai ad ogni costo, perchè ho già impegnata la mia parola; anzi siccome conosco i tuoi gusti per la tranquillità, diedi ordine che per questa sera non si riceva alcuno; così saremo noi soli a bearci delle tue melodie. Ripassa se lo hai dimenticato quel tuo bellissimo notturno—Al chiaro di luna—Mia cugina è ansiosa di sentirlo.—Siamo dunque intesi, stassera alle sei ti aspetto, pranzeremo insieme.
—Impossibile, interruppe Ermanno, fino alle otto non sono in libertà.
—Perchè?
—Perchè alle sette ho un altro impegno.
—Allora alle otto, già di te mi fido...
—Sta sicuro.
—Addio.
—A rivederci.
Alfredo Ramati era un simpatico giovinotto di distinto casato; la sua famiglia era molto ricca, ma questa volta, come non avviene troppo spesso, le ricchezze andavano congiunte ad una bontà e compitezza veramente rara.—Il padre di Alfredo era stato avvocato di molta fama in gioventù, ed ora allʼombra della pace domestica si godeva i frutti del suo lavoro. Sua moglie era morta da parecchi anni lasciandolo con due figli, Alfredo e madamigella Letizia. Questʼultima disimpegnava le funzioni di padrona di casa, e tutto veniva regolato secondo il di lei gusto.
Alfredo aveva una passione pronunciata per la musica, ed era legato ad Ermanno per vincolo di vera amicizia; il suo affetto e la sua ammirazione pel giovane[17] artista andavano fino allʼesagerazione, e non poteva parlare dellʼamico senza dare in elogi infiniti.
Ermanno era si può dire di famiglia in casa Ramati, aveva libero accesso in qualunque ora del giorno, e talvolta per compiacere madamigella Letizia, si fermava sino a tarda sera.
Da qualche tempo però egli aveva sospese le sue visite unicamente per le soverchie occupazioni.
Alfredo per puro diporto era partito alla volta di Milano, ove si fermò qualche giorno presso suo zio, fratello dellʼavvocato Ramati, lo zio Pietro, come lo si chiamava. Dopo viva istanze ottenne da lui di condurre la zia e la cugina Laura in Brescia per passarvi un poʼ di tempo.—Come al solito Alfredo in causa del suo debole parlò sovente alla cuginetta dellʼabilità e del talento di Ermanno, e tanto si esaltò nel magnificarlo, che nacque nella ragazza un desiderio ardentissimo di udire questo portento.
Ecco come stavano le cose, e perchè Alfredo si recò da Ermanno appena arrivato.
Ermanno dal canto suo aveva accettato volentieri giacchè riguardo a madamigella Laura, non eravi a prendersi soggezione. Partito Alfredo da casa sua, egli si rimise al pianoforte, e studiò lungamente. Nella giornata ripassò il suo notturno, ed alla sera verso le sei uscì a passeggiare colla madre.—Ecco qual era lʼimpegno di Ermanno, il dovere di amico non gli faceva scordare quello di figlio.—Alle otto Ermanno era sulla via che guidava al palazzo Ramati.
Aveva appena scossa la corda del campanello, che risuonarono dallʼinterno della casa esclamazioni di gioja. Venne tosto aperto, ed apparve sulla soglia madamigella Letizia seguita da una bella ragazza che appena vide Ermanno si mise a gridare:
—Eccolo, eccolo, è desso!
Il giovane fu introdotto nella sala della signorina Letizia, che nellʼaddurlo per mano gli disse:
—Questa volta non ci scappa più.
Non furono neccessarie tante cerimonie di presentazione, giacchè la madre di Laura già conosceva Ermanno; in quanto a madamigella Laura nel suo eccesso di espansione aveva già tolto il cappello e la canna di mano al giovane con tale confidenza come se da molto tempo lo conoscesse.
—Tu ne sarai sorpreso, disse Alfredo, ma mia cugina ti conosce già intimamente; ella sa tutta la tua storia; epperciò non è il caso di stare in complimenti.
—Oh! si davvero, sclamò Laura vivamente, il signore era già una mia conoscenza prima ancora che lo vedessi; domandi alla mamma quante volte abbiamo parlato di lei. Alfredo mi fece siffattamente lʼelogio del suo talento per la musica, che non avrei avuto più pace se non mi veniva dato di udirlo.
—Il caro Alfredo ha troppo zelo a mio riguardo, rispose Ermanno sorridendo, e sarò a lui debitore se la mia poca abilità non corrisponderà affatto alle troppo grandi aspettative di madamigella.
—Via signorino, ella vuole rimpicciolirsi per apparire[19] poi più grande, interruppe Letizia. Intanto Laura aveva già preso Ermanno per il braccio, e tirandolo dolcemente lo fece sedere al pianoforte dicendo:
—Animo, favorisca di suonare quel notturno—al chiaro di luna—ne conosco già una parte.
—Davvero? chiese Ermanno.
—Ma sì, il cugino Alfredo aveva la compiacenza di cantarlo.
Ermanno era confuso, giammai egli aveva incontrato un carattere così vivace, ed ingenuo. Sedendo al piano, alzò gli occhi sulla giovinetta che si era posta a lui di fianco, e stette a contemplarla, anzi ad ammirarla.
Alfredo non aveva punto esagerato; Laura era di una bellezza sorprendente. Nulla di più soave del suo occhio ceruleo improntato di una vivacità straordinaria; in quello sguardo brillava un misto dʼingenuità e civetteria che formava uno strano contrasto. Una bella fronte di neve contornata da ricchissima capigliatura, bionda come quella di un cherubino.
Il complesso della persona gareggiava in vezzi colla soavità del volto, e lʼinsieme di quella figurina era di una eleganza statuaria.
Ermanno rimase colpito; giammai egli aveva vista fanciulla più bella, giammai nelle ricerche della sua fantasia dʼartista, erasi immaginata una realtà così seducente. Abbassò lo sguardo dal volto di lei, e sfiorando colle mani la tastiera del pianoforte, improvvisò uno Scherzo, una specie di Capriccio delicato come le idee che gli si erano destate nellʼanima contemplando quella gentil creatura.
Laura stette ad ascoltare senza batter palpebra, e quando egli ebbe terminato, ella corse ad abbracciare la cugina Letizia mormorando: Oh come suona bene!
—Improvvisato, improvvisato! non è vero? chiese Alfredo premuroso.
Ermanno rispose affermando col capo.
Laura e Letizia si erano frattanto avvicinate al piano.
Noi non sapremmo dire come e perchè, ma è certo che il volto di Laura si era acceso dʼun colore insolito, e se un mano indiscreta si fosse posata sul di lei cuore, ne avrebbe sentito i moti più agitati.
È possibile che ella abbia potuto penetrare nel sentimento di quel Capriccio suonato da Ermanno?.....
..... Forse sì; havvi una corda nel nostro cuore che se viene scossa rivela confusamente il perchè del suo eccitamento; dʼaltronde lo sguardo di Ermanno esprimeva qualche cosa in quellʼistante; era unʼespressione quasi impercettibile che però fece palpitare la giovinetta, la quale per istinto ne aveva forse compreso il significato prima ancora che Ermanno potesse spiegarselo—quel pensiero melodico non poteva essere inspirato che dallʼesame fatto sul volto della fanciulla, e lʼemanazione di quel concetto fu tanto rapida ed improvvisa che la stessa mente che lo aveva concepito, non potè prima tradurne il senso allʼintelligenza.
Ermanno aveva creata una melodia senza accorgersene sotto lʼimpressione della bellezza. Laura aveva indovinato col cuore.
Quel Capriccio voluttuoso, carezzevole, quei tocchi graziosi delle note spiranti la mollezza, suonarono come soave linguaggio nel cuore della fanciulla, che senza comprenderne il vero significato, pure dallʼaccento, dalle vibrazioni, aveva scoperto in quel concetto un saluto dʼammirazione.
Ermanno dal canto suo aveva rimarcato il leggiero rossore di quelle guancie; incontrando una seconda volta lo sguardo di Laura, vi trovò lʼespressione di un turbamento interno.
—Al notturno, interruppe Letizia.
—Sì, sì al notturno, ripetè Laura, saltellando per la sala, onde nascondere lʼemozione cagionatale dallo sguardo di Ermanno.
Tutti si raccolsero attorno al pianista; Laura si collocò dietro a lui e guardava sul piano passandogli lo sguardo giù per le spalle,—Letizia a destra Alfredo a sinistra.
Fin dalle prime note dʼintroduzione, quegli entusiasti dʼuditori cominciarono a trattenere quasi il respiro, ed era bello il vederli immedesimati nel carattere della musica di cui ne seguivano tutte le gradazioni. Dopo lʼintroduzione seguiva unʼadagio sulle corde basse, e la mollezza di quel canto era tanto dolce, tanto insinuante, che negli occhi di Laura vi brillò una lagrima di tenerezza. La povera giovinetta non era più sulla terra, pareva che cercasse in quelle note unʼespressione, unʼaccento che le facesse più chiaro ciò che le passava per la mente, giacchè in quei suoni ella vi trovava un significato, e sembravale di sentirsi parlare in cuore da una voce affettuosa e cara già conosciuta, già udita altra volta.
Mentre Ermanno suonava, sentivasi lʼalito di lei sfiorargli la guancia, ed eragli tanto soave quella carezza, che per prolungarne la durata fece ritornello sullʼultima parte del notturno, aggiungendovi una lunga cadenza così ben trovata, così morbida, che Laura rapita dallʼeffetto, lasciò cadere le mani sulla spalla di Ermanno appoggiandovisi sopra leggermente.
Il giovane fu scosso a quel tocco, lʼemozione rese tanto delicato il senso del tatto in quel punto ove le mani si posarono, che gli parve di accarezzarne le graziose dita.
Letizia alzò lo sguardo su Laura, e sorrise nel vederla in tale abbandono; la giovinetta arrossì, e ritirò[22] lestamente le mani.—Si suonò dellʼaltra musica, indi fu concessa un poʼ di tregua al povero pianista che era tutto in un sudore, ed allora si appiccò una conversazione animatissima. Parlarono di musica, di teatri e di mille cose che sarebbe follia ripetere; basti notare che la chiacchierata durò due ore. In tanto tempo si possono dire molte cose, due ore sono lunghe con una nojosa compagnia, ma parvero due istanti specialmente a Laura, e diciamolo pure ad Ermanno.
Durante quel lungo discorrere i loro sguardi sʼincontrarono parecchie volte, e lasciamo immaginare al lettore cosa poterono dirsi quegli occhi. Non staremo certo a svelarne i dolci misteri, ci manca il coraggio di accingerci a tanto, giacchè gli occhi parlano spesso assai più della lingua, ed il loro silenzio è tanto eloquente da rendere inetta la parola ad esprimere tutto ciò che possono racchiudere.
Lʼallegrezza di Laura in quella sera fu portata al colmo; ora saltava, ora rideva; talvolta abbassavasi allʼorecchio della cugina mormorandole sommesse parole, mentre di sottecchi sorrideva ad Alfredo ed Ermanno, come se essi potessero indovinare ciò che ella diceva.
A taluni parrà alquanto esagerata questa subita espansività, ma noi possiamo affermare che quel brio, quella spontanea allegria sono naturali nelle ragazze che da poco lasciarono le mura di un collegio, ove imparano a desiderare il mondo colle sue illusioni e le sue libertà. Ai primi soffii dʼaria libera che le sfiorano il viso, esse si esaltano, si commovono, e vorrebbero nel loro entusiasmo abbracciare lʼuniverso intiero; il mondo traveduto nei vergini sogni si presenta ad esse come un mazzo di fiori freschi e profumati ma, non sanno ahimè che quel profumo stordisce, che quellʼaria balsamica spesse volte uccide!
Ermanno si sentiva commosso nel mirare quella fanciulla così bella e felice; lʼocchio del giovane errava spesso a fare, unʼesame troppo scrutatore di quelle bellezze, talchè Laura accorgendosene ne arrossiva sorridendo, mentre con infantile civetteria si guardava negli specchi.
Il tempo, quel giudice crudelmente imparziale segnò le undici ore sullʼinesorabile Clepsidra, ed una torre lontana rispose a quel segno a colpi di squilla.
—Undici ore? chiese Letizia.
—Propriamente, rispose Alfredo guardando il pendolo.
—Diggià! mormorò Laura un poʼ uggiosa.
—Allora, disse Ermanno alzandosi, me ne vado.
—Oh non ancora, sclamò Laura, bisogna suonare anco una volta il notturno.
Ermanno si rimise al piano, e Laura riprese la stessa positura. Il notturno era piuttosto lungo, e la stagione non troppo favorevole per una lunga fatica al piano, per cui alla fine del pezzo Ermanno aveva la fronte madida di sudore; Laura se ne accorse, titubò alquanto, guardò prima Letizia, poi Alfredo; indi per un moto quasi involontario trasse il fazzoletto e lo passò leggermente sulla fronte del giovane pianista, il quale la ringraziò con un dolce sorriso.
Ermanno non si potè partire da casa Ramati senza prima aver promesso di tornarvi alla dimane, ed ancora mentre stava per scendere le scale, Laura trattenendolo per mano sclamò: Si ricordi che lʼaspettiamo!
Potrebbe mai mente umana esprimere con parole tutto ciò che passava per la testa al giovane artista mentre avviavasi verso casa?.... Egli stesso mal sapeva darsi ragione di ciò che provava in quei momenti.—Tutto lʼaccaduto di quella sera gli appariva come un sogno, un lungo e dolcissimo sogno; alcunchè di nuovo agitavasi nellʼanimo suo, un senso ignoto di malinconica beatitudine a cui lʼimmagine di Laura non era affatto estranea.—Quanto è bella quella giovinetta! ripeteva fra sè, e con piacere riandava col pensiero su tutto ciò che ella gli aveva detto.—Era una piena di nuove sensazioni che gli scaturivano dallʼanima, ed egli ne assaporava le dolcezze senza comprenderle.—Con infantile compiacenza ripetevasi mentalmente il nome di Laura, e quel nome era seguito da qualche cosa che rassembrava ad un sospiro.
Rammentavasi poscia quel leggiero alito della fanciulla che stavagli alle spalle mentre egli suonava; quellʼalito che gli aveva sfiorata la guancia come una carezza, quel soffio delicato che aveva scossa la sua fantasia costringendolo ad amplificare le frasi del suo notturno. E tutto ciò non era che un sogno? quellʼadorabile creatura non era una visione, unʼideale? No, giacchè egli avea sentite le mani di lei appoggiarsi alle sue spalle, ne aveva strette le delicate dita.
No, egli non sognava, solamente la sua esistenza accennava ad una fase novella; le sue idee subivano una reazione, la mente era più serena, il cuore più agitato.
Giunto a casa Ermanno si assise al pianoforte, suonò, od almeno cercò di suonare perchè era distratto; le idee ed i concetti musicali venivano disturbati da dolci meditazioni.—Se ne andò al riposo chiudendo gli occhi onde non interrompere le belle fantasmagorie dellʼimmaginazione; chiuse gli occhi e si addormentò sognando di trovarsi ancora in casa Ramati, accanto a colei che aveva suscitato un mondo di idee nuove nellʼanimo suo.
Sognava, ed il suo sogno era felice. Allʼindomani la madre di Ermanno che si alzava sempre per la prima, scorse sul labbro del figlio un sorriso di compiacenza; quel volto addormentato esprimeva la felicità, e la buona donna si ritirò con tutta precauzione onde non turbare lʼincanto del sogno che faceva sorridere il suo Ermanno.
Cosa è il sogno? Chi lo disse una rimembranza del passato, chi un riflesso del presente, chi un presagio dellʼavvenire. Non sarebbe egli invece un complesso di tutto, un crogiuolo dove si fondono le memorie del passato, il bene od il male del presente, le speranze od i timori dellʼavvenire?
Il sogno è un compendio delle nostre idee, un sunto ristretto della storia di nostra vita; una specie di romanzo fondato su fatti reali ingranditi dalla fantasia.
Ermanno sognò, ed il suo sogno fu tanto dolce che allo svegliarsi trovò il sole splendente di luce più bella, il cielo più sereno.—Quel sorriso che gli errava sulle labbra nel sonno, durò tuttavia mentre era desto. Guardò lʼorologio, erano le otto del mattino, e quasi senza volerlo riflettè che per arrivare alle otto di sera, si dovevano trascorrere ancora dodici ore.
Durante la giornata che gli parve un poʼ lunghetta, studiò quasi sempre, ripassando alcuni pezzi che da molto tempo aveva lasciati in oblio, come per cercarne[26] uno che piacesse...a lei; diciamolo pure, in tutto quel giorno egli non agì per conto suo; il suo spirito era rivolto ad altro oggetto. In quel giorno i suoi pensieri non furono tutti per sua madre, la quale dal canto suo non poteva esser tanto egoista da adombrarsi se le aspirazioni del figlio non erano tutte a lei rivolte.
In questo mistero dellʼesistenza, la felicità appare tanto più bella, quanto più è incompresa, ed Ermanno senza discutere sulle cause del suo benessere, ne accettava le dolci conseguenze.—Importa forse sapere il perchè si è felici? La felicità assorbe in un punto tutti i desiderii, anche la curiosità; lʼafflitto esamina la causa deʼ suoi dolori per porvi riparo, lʼinfelice cerca nellʼorigine del male per trovarvi il mal seme che turbò la sua pace? chè perciò? Lʼuomo contento dovrebbe forse indagare sulle cause che produssero il suo bene? Il dolore concentra, la felicità distrae; cercare lʼorigine del bene sarebbe follia quanto quella di cercarne il termine.—Se Ermanno avesse esaminato il perchè della sua allegrezza ne avrebbe guadagnato qualche dolore, giacchè era facile scoprire che la sua gioia altro non era che unʼedifizio senza base, un castello in aria, unʼillusione.
—Spesso la conoscenza della causa distrugge il prestigio dellʼeffetto, e lascia lo sconforto della realtà.
Ermanno era felice; e chi non lo fu alla sua età? Chi non sorrise di gioia allo spettacolo dellʼavvenire traveduto nello sguardo di una giovinetta? Chi come il nostro artista non abbandonossi intieramente alla lusinghiera carezza di una dolce speranza?—Il bene della vita si riduce ahimè! pur troppo ad una lunga fila di speranze le quali cadono ad una ad una nel nulla sconfortante della delusione; la realtà dʼun bene non è sufficiente a costituire la vera felicità, se non vi si mesce la speranza di un miglioramento.
Verso sera Ermanno uscì colla madre per la solita passeggiata, ma per la prima volta quella gita aveva un doppio scopo, ciò si scorgeva facilmente dal volgersi che faceva il giovane al minimo rumore di carrozza. Il suo sguardo errava su tutti I volti come se cercasse qualcuno. Alla madre non sfuggì certo la continua distrazione del figlio, tuttavia non ne fece motto; non vi poteva essere nulla di serio, dacchè Ermanno aveva unʼaria così felice.
È duopo dirlo? Non erano ancora suonate le otto, che già Ermanno si avviava verso casa Ramati; aggiungeremo inoltre che la sua toeletta era più accurata. Camminava col passo dellʼuomo felice, o meglio, di quegli che va in cerca della felicità, e sa dove trovarla.
Mentre il nostro artista vola trasportato dal turbine lusinghiero delle speranze palesando in mille modi la sua gioia, passeremo a vedere quale impressione abbia fatto Ermanno nel cuore di Laura.
Nella prima sera in cui ella lo conobbe, la corrente di simpatia superò certe sciocche convenienze, e vedemmo quella ragazza abbandonarsi ingenuamente a tutto il brio e la libertà che erano in lei natura. Vi sono nellʼuomo certi misteri incomprensibili di cui se ne subiscono giornalmente le conseguenze, spesso ci diventa simpatico unʼindividuo al solo sentirne a parlare; diremo di più che questa simpatia nata improvvisamente si trova giustificata al primo incontro che si ha collʼindividuo in persona.
Alfredo, lʼabbiamo detto, era stato a Milano qualche giorno in casa della cugina; questo bravo giovane era entusiasta per Ermanno, e parlò di lui a Laura in modo tale, che costei si sentì curiosa di conoscerlo personalmente—Ecco lʼunica ma sufficiente scusa che può giustificare la condotta di Laura.
Dʼaltronde a diciasette anni si pensa forse tanto alle conseguenze? No per buona sorte: La natura si trova a quellʼetà ancora intatta, basata cioè sui principii di unʼeguaglianza generale. Che non può poi quel mago che sconvolge ogni cosa, lʼamore? Lʼamore, quel senso misterioso che si rivela tutti i giorni sotto forme novelle, quella rugiada di paradiso che basta per sè sola a confortare tutti i dolori, a sanare tutte le ferite! È tuttavia in comprensibile il suo dominio, tutti i mortali lo hanno provato, tutti furono trasportati nel seno di quel mare di voluttà, tutti bevvero in quella coppa che racchiude le più sante delizie, senza che uno solo abbia potuto afferrare il secreto di quelle gioie; la specola della scienza non ascese puranco alle regioni dʼamore.
Come nasce, come muore? Dove passa? nessuno lo sa;—Il filosofo austero potrebbe pensare e studiare secoli interi senza venirne a capo di una definizione —Come si manifesta? Chiedetelo a Laura, che per quella prima notte cercò invano il riposo—Lʼimmagine dʼErmanno le stava sempre davanti agli occhi, ed ella dʼaltronde non cercava menomamente di bandirla.
La prima manifestazione dʼamore nel cuore umano compie la più grande delle rivoluzioni nelle idee; tutto ciò che prova un cuore vergine al primo palpito è nuovo, confuso, come melodia portata da lontane regioni frammista al mormorio dellʼaria; come il profumo di mille fiori raccolto in una folata della brezza primaverile.
Eccola per esempio, la vispa Laura, colei che non aveva un minuto di quiete, che non si era crucciata mai per nulla; dovʼè la sua allegria, dove lʼeterno sorriso di soddisfazione, il sorriso dellʼinnocenza? Per la prima volta la giovinetta pensava; a che? Ella[29] stessa noi sapeva—Seduta in un angolo remoto del giardino, pareva intenta a comporre un mazzolino di fiori, e la soverchia cura che poneva in quel lavoro, palesava il vero secreto. Il labbro più non sorrideva; il sorriso non può passare per la stessa via del sospiro, e Laura sospirava di frequente.
Povera fanciulla! Inginocchiata sullʼerba, interrompeva talvolta il lavoro per abbandonarsi alle riflessioni; ella pensava, ed il suo pensiero vagava altrove mentre il corpo rimaneva là, immobile come statua.
Tutto le parlava allʼanima un linguaggio dolce e commovente, tutta natura era unʼarmonia soave come la musica di Ermanno.... Ermanno! A questo nome il suo pensiero si arrestava, ed un lieve rossore le pingeva le gote; nel pronunziarlo ella sentiva alcunchè dʼignoto destarsi in lei, e sorrideva malinconicamente. Era un sorriso traditore che celava un sospiro.
Il mazzolino era terminato, ma il tempo impassibile ai più ardenti desideri, scorre lento per chi aspetta; e Laura aspettava misurando i momenti—Sembravale che il sole si ostinasse a non scendere per contrariare lei, che ne aspettava ansiosamente il tramonto.
Man mano che le otto ore si avvicinavano, ella diveniva sempre più inquieta, finalmente il pendolo segnò lʼora desiderata, e quasi contemporaneamente risuonò il campanello di casa Ramati.
Era desso! il cuore non lʼaveva ingannata; era Ermanno che entrando incontrò lo sguardo smarrito della fanciulla, che tradì colla sua confusione il suo secreto. In quella sera la madre di Laura ritirossi di buonʼora perchè alquanto indisposta; sullʼavvocato Ramati era assolutamente vano il far calcolo; erano tempi di agitazioni politiche!
I giovani adunque rimasero soli e padroni del campo[30]. Ermanno suonò, e naturalmente Laura appoggiò le mani alle sue spalle; non era più una novità, e poteva farlo liberamente. La stagione non correva troppo propizia per restar rinchiusi in una sala, ed Alfredo propose una passeggiata nel suo ampio giardino—Si accettò con gioia—Di notte i giardini sono più deliziosi che non di giorno; al chiaro delle stelle si può benissimo comporre un mazzolino di fiori, ed Ermanno dopo pochi passi, aveva fatta la sua messe sopra un rosaio il più vago che si fosse mai visto—Un bottoncino di fiori accuratamente intrecciati, passò rapidamente dal seno di Laura nelle mani di Ermanno Vengano ora a dirci che di notte non si vede! La comitiva si fermò sopra un poggio che si ergeva nel mezzo del giardino, e tutti si adagiarono senza tante reticenze sullʼerba morbida e fresca.
—Ermanno! saltò su a dire Alfredo, mia cugina canta molto bene, tu sei poeta discretamente felice, e musico per eccellenza; non potresti comporre una Romanza?
—Bella idea, sclamò Laura battendo le mani, quando sarò a Milano, mi verrà di gran conforto nella noia della solitudine il cantare qualche cosa che mi ricordi questa casa.... Non già che io abbisogni di unʼeccitamento per ricordarmi di Brescia, questa bella città mi lascia troppe impressioni perchè io la possa dimenticare! e si dicendo senza accorgetene strinse la mano dʼErmanno, il quale rispose:
—Mi proverò signorina, ma non si lusinghi di troppo.
—Evviva la modestia, sclamò Letizia, figurati Laurina che anche a me diceva lʼistessa cosa, eppoi mi ha fatto una delle più belle Barcarole che si sieno mai sentite. Il male si è che da qualche tempo ho cambiata la voce, e non arrivo più a cantarla.
—È dunque inteso, interruppe Alfredo; ora tocca a Laura di scegliere il soggetto.
Laura si mostrò alquanto imbarazzata. A quella semplice proposta le si presentarono dʼun tratto tante idee, che mal sapeva dove scegliere. Non era assolutamente il soggetto che le mancava, ma sibbene il coraggio di palesarlo.
—Hai trovato? Chiese Letizia.
—Davvero non saprei, mi vengono in mente tante cose....
—Ti aiuterò io, disse Alfredo, ma prima è necessario sapere qual genere di canto preferisci.
—Malinconico, rispose Laura.
—Una lacrima!...
—No.
—Un sospiro?
—Nemmeno.
—Una preghiera!
—No, rispose ancora la fanciulla, e volgendosi ad Ermanno. Animo, gli disse, ci aiuti; fuori una delle sue belle idee, ed aggiunse con un lieve accento di rimprovero: parmi poi che ella non dovrebbe essere affatto estraneo alla scelta di questa canzone!...
Letizia non comprese. Alfredo pensava al soggetto, ma Ermanno conobbe il vero senso di quelle parole; lo conobbe tanto bene che rispose subito:
—Un addio?
—Bene, bene risposero le ragazze.
—A chi? chiese Alfredo.
Questa volta toccò ad Ermanno lʼimbarazzo, ma Laura, come se avesse compresa la titubanza, e per dargli coraggio sclamò con accento malizioso:
—Fuori dunque, non esiti, a lei non possono venire che buone idee.
—Addio alla patria! gridò Alfredo come se avesse colto bene.
—No, no.
Ermanno si fece coraggio, e mormorò:
—Un addio allʼamico....
—Lontano, aggiunse Laura, con estrema finezza.
—Dunque, Un addio allʼamico lontano, ribattè Alfredo. Bene, ma non troppo, quellʼamico....
—Eh! via, osservò Letizia, non capisci che lʼamico è un amante!
—È unʼamante?... Allora non parlo più.
Il volto di Laura era talmente acceso che fu vera fortuna per lei se le tenebre della sera le fecero velo.
Dopo poco tempo, si fece ritorno nella sala di musica.
Laura volle provarsi a cantare, ma invano, la voce rispondeva al sentimento che la agitava; nella sua piccola fantasia la povera giovinetta credette di aver commesso alcunchè di straordinario.—Alfredo tentò egli pure una cavatina, ma la troncò a metà, allegando unʼimpedimento di voce causato forse dallʼaria della sera.
Ermanno pure era alquanto pensoso; pareva assorto in qualche grave riflessione, e sfiorava sbadatamente la tastiera del pianoforte, senza punto curarsi di ciò che ne usciva. Ad un tratto una vocina delicata che lo fece fremere, interruppe le sue meditazioni.
Era Laura che durante quel martellare sul piano, erasi rimasta dietro a lui, non azzardando di sturbarlo; era dessa che scuotendolo dal suo letargo lo invitava a suonare—Ermanno alzò gli sguardi al soffitto come fanno i pianisti per richiamarsi alla mente qualche pezzo, indi nel riabbassarli, incontrò quelli di Laura che gli si era posta accanto; era un sorriso seducente, che egli contemplò a lungo senza che perciò la giovinetta sʼimbarazzasse.
Ermanno suonò, ed alle prime note dʼintroduzione venne interrotto da Alfredo che gridava:
Attente figliuole, attente a questa sublime musica, è di Talberg....
Ermanno risalì al principio del Notturno che riuscì dʼun magico effetto. Letizia batteva le mani, e Laura invasa dal senso malinconico che la dominava, mormora al giovane:
—Quanto è caro...questo notturno.
Batteva la mezza dopo le dieci quando Ermanno si levò dal pianoforte per andarsene.
—Così presto? chiesero le fanciulle.
—Me ne duole signorine, ma mia madre non istà troppo bene, e non è prudenza lasciarla sola per tanto tempo.
—Allora vada pure signor Ermanno, sarebbe dal canto nostro esigere un poʼ troppo.
—Letizia dice bene sclamò Laura prendendo la mano ad Ermanno, e trattenendolo aggiunse. A rivederci quando?
Ermanno si mostra imbarazzato.
—Domani perbacco, disse Alfredo, non è vero?
—Purchè mia madre stia bene....
—Oh sempre inteso, anzi ascolta, ho un progetto per domani; suonare tutta la sera è troppa fatica con questo caldo; andremo a fare un giro in carrozza, vi pare madamigelle?
—Va benissimo.
—A domani dunque.
—A domani.—Ermanno uscì salutato per lʼultima volta da Laura che gli aveva mormorato: Lʼaspetto!
La felicità non è sempre la ben giunta nel cuore degli uomini. Taluni forse per eccesso di timidezza, diffidano della felicità che si rivela sotto troppo belle speranze—È bene lʼesser parco in tutto onde non avere a dolersi di troppo per la perdita di un bene vagheggiato, e coloro che accettano per buone tutte le gioie che arreca una dolce speranza, non agiscono ragionevolmente.—Chi più compra, più paga—e se tutti potessero tenersi impressa questa inevitabile conseguenza, sarebbe evitato lo spettacolo doloroso di tanti poveri illusi ai quali sembrava di toccare il cielo; che poi precipitano nel nulla della delusione. E perchè ciò? Perchè si erano affidati ad una falsa speranza; perchè non seppero giudicare a tempo se fosse possibile la sussistenza di unʼedifizio infondato.
Diffidare di una felicità sperata, sarebbe gran virtù; ma come fare se è destino che la vita dellʼuomo sia una continua speranza? Sperare il male, sarebbe follia; e poichè si deve tendere a qualche cosa, meglio è sperare nella felicità.
Laura aveva centomila lire di dote, ed era figlia unica.—Questa dichiarazione è assolutamente necessaria per giustificare i dubbii e le apprensioni di Ermanno. Il nostro giovinotto allʼuscire di casa Ramati era tormentato da tristissime meditazioni; ormai non vʼera più dubbio sulla realtà del suo amore. Invano egli avea lottato contro quel sentimento che minacciava la sua pace; lʼamore è più ostinato che mai, si[35] potrebbe lottare allorchè non si ama; ma il primo sintomo di lotta e il primo sintomo dʼamore.
Ermanno era ragionevole, a mente tranquilla egli non si sarebbe mai sognata una cosa tanto lontana dal possibile; eppure nel breve periodo di due giorni egli era soggiogato. Non era il caso dʼilludersi, il dolore che provava nel riconoscersi vittima di quel sentimento, era la più certa prova dellʼamor suo. Strana follia! Egli povero umile artista innamorarsi di una giovinetta appartenente a distintissima famiglia. Ma come mai colla sua sana intelligenza non aveva compreso che quellʼamore era un sogno, una chimera? —Ma quel sogno era tanto bello, che egli vi si addentrò senza avvedersene; ed ora che la prima riflessione gli parava innanzi la gelida realtà, ora che erasi abbandonato inscientemente nellʼonde delle illusioni, sentiva lʼimpossibilità di ritrarsi.
Ciò che più di tutto lo addolorava, era la certezza che aveva dellʼamore di Laura. Come non accorgersene? come non credervi se ella stessa si era tradita con tanta sincerità. Egli avea accettato il fascino misterioso di una prima impressione, e difatti in quella prima sera non una triste idea era surta a funestarlo. La speranza gli sorrideva presentandogli la coppa delle illusioni; invece di respingerla, invece di sciogliere lʼincantesimo col soccorso della ragione, non seppe resistere al senso misteriosamente dolce che lo attraeva verso quella vezzosa fanciulla.—Ma gli infelici fruiscono poco del prestigio di unʼillusione, e la verità corre tosto premurosa a disperdere la trama delle speranze.
La realtà! ed era ben dessa quella crudele che aveva atterrate le pure gioie del povero Ermanno! Spingendo il pensiero attraverso le nubi dallʼavvenire, egli non vi trovava che un cammino monotono privo[36] di ogni sorriso dʼallegrezza; il campo dellʼarte divenne per sè stesso troppo arido; egli avea traveduto in sogno una mano gentile che poteva guidarlo ad altissima meta; accanto al sentiero di spine, aveva sognata una via di rose.
È meglio non pensarci più, diceva fra sè; ma subito dopo gli tornava alla mente il bel viso di Laura, la sua grazia, il suo sguardo espressivo, che richiamavano in un cielo di dolcezze sante e pure; allora si apriva per poco lʼanimo suo alla speranza, e nel trasporto di tenerezza baciava quel mazzolino di fiori che ella gli aveva dato come pegno dʼaffetto; ma di quale affetto? Dove si fondava quellʼamore? E pur troppo Ermanno riconosceva in esso il frutto dellʼinesperienza, e pensava che allʼindomani quella giovinetta ingenua educandosi alla scuola della vita, avrebbe cessato di commoversi per un oggetto di poco conto; che domani Laura leggendo nel gran libro del mondo, riderebbe forse allo svegliarsi di quel sogno troppo puerile.
Allʼetà di Laura, nulla avvi di certo sulle aspirazioni del cuore, nè si discute menomamente sulla possibilità o non di amare—In quel primo brillare dei raggi della vita, si fa tutto senza calcolo, e forse senza bisogno.
Perchè Laura amava Ermanno? Perchè le piaceva; ecco tutto. A quellʼetà non si bada troppo alle esigenze sociali che pongono lʼamore fra le strettoie delle convenienze. Che importava ad essa se Ermanno non era ricco? Questo pensiero non le passava neanche per la mente. A diciasette anni la donna ama per amare; lʼanimo suo non ancora corrotto dal soffio delle passioni; risponde con entusiasmo alla prima parola dʼamore che si sente mormorare.
Per tutta la susseguente giornata Ermanno stette[37] in preda ad unʼagitazione febbrile; la musica non ebbe forza alcuna per distrarlo dalle sue dolorose meditazioni; infine dopo tanto riflettere, prese lʼeroica decisione di non porre più piede in casa Ramati.—Egli aveva troppo bisogno della sua pace per non cimentarla dietro ad una folle speranza.
Man mano però che si appressavano le otto ore, egli sentiva che la sua costanza vacillava. Invano cercava di distrarsi, invano tentava nelle risorse della sua ragione un eccitamento per resistere al desiderio che lo attraeva. La seducente apparenza della bella serata che avrebbe potuto passare in casa Ramati lo faceva titubare nella presa risoluzione.
Più volte fu sul punto di lasciarsi trascinare ove lo chiamava il cuore, ma seppe resistere. Suonarono le otto, ed egli stette fermo, malgrado un palpitargli agitato del cuore che lo avvisava esser quello il momento di andare.
Egli aveva vinto; con un grande sforzo di volontà seppe comandare a sè stesso; ma la lotta fu strenua, il combattimento accanito, ed il povero Ermanno riportò colla vittoria la noja e la spossatezza.—Egli che aveva vegliate tante notti nello studio dimenticandosi del mondo, non sapeva ora dove trovare una distrazione; il suo pensiero vagava per la città in cerca della carrozza che trasportava Laura, la povera Laura desolata forse per il di lui contegno.
A tale idea Ermanno sentivasi stringere il cuore, e per poco non sarebbe corso in casa Ramati a scusarsi. Erano già trascorse le nove, ed egli non era puranco al sicuro, il cuore non voleva cederla ad ogni costo. Che fare? Si appigliò al consiglio di cercar nel riposo un poʼ di pace; recarsi a spasso sarebbe stata follia, dove andrebbe? ovunque lʼaspettava la noia, eppoi chi lo assicurava che discendendo nella[38] via, le gambe non lo guidassero macchinalmente verso quella casa? Sono sì facili le distrazioni di simil genere!
Ermanno si mise a letto, ma sarebbe arduo assai lʼasserire che egli dormisse.—La notte gli parve lunghissima; se era desto pensava a lei; se dormiva sognava di lei, e dappertutto sì nella veglia che nel sonno, vedevasi innanzi la bella Laura che con aria corrucciata lo rimproverava per aver mancato alla data parola di trovarsi allʼindomani presso di lei.—
Era tanto piacevole questo rimorso, che egli lo accettò, ed a poco a poco finì per persuadersi di aver commessa una sciocchezza.—A che prò pensava egli, a che prò far tanti sacrifizi per evitare un bene? per fuggire una gioia; è vero bensì che abbandonandosi alla corrente delle sua speranze ne avrebbe riportate infine amarezze e dolori; ma soffrire anticipatamente per evitare un dolore incerto, è follia, tanto più se per giungere a quel dolore si passa per la via del piacere;—Tanto vale dolersene poi.
Ermanno si alzò allʼindomani con quelle savie riflessioni riportate dal lungo pensare durante la notte; infine, diceva fra sè, che ci arrischio? Quella giovinetta mi ama, è vero, ne sono certo; ma per puro eccesso di entusiasmo. Essa crede amore ciò che probabilmente poi non sarà che un capriccio di ragazza.—In uno slancio della sua vergine fantasia mi prodiga sorrisi e carezze, con rara ingenuità mi stringe la mano, come per ringraziarmi delle dolci emozioni che le cagiono, ed io dovrei essere tanto crudele da respingerla e disilluderla amaramente svegliandola da un sogno che la farà felice per qualche giorno?..... Mai, e poi mai; ciò sarebbe per parte mia un eccesso di crudeltà, e non voglio certo rendermi colpevole della prima lacrima che parte dal cuore di una giovinetta!
Come ben vediamo, le riflessioni di Ermanno, se non erano del tutto logiche, conservavano almeno le apparenze in faccia al suo amor proprio. Difatti dopo di aver aspettato ardentemente che la giornata volgesse al termine, egli era convinto in cuor suo di arrendersi per deferenza, per atto di generosità; ma intanto il tempo gli pareva lunghissimo, ma mentre colla testa egli forma vasi un piano di difesa, il cuore palpitavagli violentemente in seno, e non si avvedeva che quel debole barlume di speranza era il segno certo della sua sconfitta.
Lʼuomo sʼillude nel commettere un errore; egli pensa e crede tutto il contrario di quanto potrà succedergli, e tenta con ogni scrupolo di giustificarsi in faccia alla sua coscienza.—Per il bene si ricorre alla ragione; per il male, allʼillusione; son due tribunali che si rassomigliano.
Alle sette e mezza il nostro eroe era già sulle mosse verso la casa di Alfredo; sicuro della sua coscienza egli camminava quasi baldanzoso; ma appena scorse da lontano il balcone di casa Ramati, e sovrʼesso vi distinse Laura, si senti al cuore una scossa tanto forte, che mancò poco non cadesse. Alla sola vista di quella giovinetta disparve in un baleno lʼapparato del suo eroismo; tutto il coraggio si franse dʼun colpo, tutte le idee di generosità inspirate da un falso amor proprio si dileguarono, e con esse ogni dubbio sulla reale esistenza del suo amore.
Egli aveva potuto senza vederla fabbricar progetti a suo piacimento; il cuore lo lasciò fare senza punto disturbarlo; ma che può mai la mente allorquando il cuore parla? Questa particella di noi stessi, impianta per sè sola una specie di governo assoluto, un centro dʼazione contro cui si frange la punta del più saldo raziocinio.—Ermanno stesso rimase colpito dello[40] strano potere che aveva preso nellʼanimo suo quella fanciulla, e conobbe di quanto avesse progredito il suo amore in soli due giorni.
A che servirono mai tutti i suoi proponimenti? La verità ora si appalesava con tutta chiarezza.—Riavutosi alquanto egli riprese il suo cammino, ma più si appressava a quel balcone, più ingrandivasi la sua agitazione.—
Laura intanto era fissa cogli occhi al fondo di unʼaltra via che attraversava quella percorsa da Ermanno; dalla sua attitudine era facile lʼindovinare che ella sperava di veder comparire qualche persona aspettata.—Tratto tratto, scorreva collo sguardo su tutti i punti dominati dal balcone, palesando una viva impazienza.
Allorchè le venne dato di vedere Ermanno, si fece rossa in viso, ed anchʼessa fu colpita da un assalto di palpitazione.
Quando egli entrò nel portone, Laura gli corse incontro ad aprirlo, e lo ricevette sullʼultimo gradino con una convulsiva stretta di mano, ed un sorriso che riassumeva mille rimproveri, e mille ringraziamenti.—Entrarono sempre tenendosi per mano, giunti nella sala del balcone, Laura sedette, ma era tanto lʼaffanno della poverina da non trovare il respiro per dire una sola parola.
Letizia ed Alfredo non erano presenti per quel momento, ciò accresceva lʼimbarazzo di Ermanno, il quale pure non aveva ancora aperto bocca—Infine Laura ruppe per la prima il silenzio.
—Bravo, bravissimo il signore, ieri sera noi abbiamo aspettato invano!....
—Mille perdoni madamigella.... non fu per colpa mia; dʼaltronde non aveva accertato di venire....
—È vero; ma pure farsi tanto desiderare, la è una[41] vera crudeltà. Come era naturale anche la passeggiata andò in fumo.
—Duolmi assai che per causa mia....
—Oh! per me, sclamò Laura ingenuamente, non è la perdita della passeggiata che mi crucci, ma sibbene..... Quivi si arrestò, senzʼavvedersene ella entrava in un punto troppo pericoloso; e cambiando tuono dʼun tratto disse:
—Ma via, si sieda qui accanto a me, mentre stiamo aspettando i cugini, discorreremo alquanto—Come sta sua mamma?
—Egregiamente.
—Come egregiamente, se ieri ancora?....
—Ah è vero, ma ora ha migliorato dʼassai.
—E mi dica in qual modo consumò la sera?
—Stando in casa.
—Proprio..... senza uscir mai?
—Mai.
—Ed ha suonato, senza dubbio.
—No.
—Come, non ha suonato? E che cosa ha fatto in tutta la sera mio bel signore?
—Ho pensato....
—A che cosa?
Ermanno restò confuso. Se Laura avesse avuto un tantino di pratica, poteva subito leggere sul volto di lui quale fosse stato lʼoggetto deʼ suoi pensieri—Ermanno diffatti era commosso; il suo sguardo non si saziava mai di contemplare quella graziosa figurina, ed ella lasciavasi guardare senza scomporsi.
—E del mio mazzolino, che ne avvenne? chiese Laura sorridendo.
—Lo conservo gelosamente.
—Davvero?
—Certo, è una memoria tanto cara!
—Sì, ma appena quei poveri fiori saranno appassiti, ella si dimenticherà di chi glie li ha dati....
—Oh! no signorina, è questa unʼaccusa gratuita che non mi merito certamente.
—Davvero! Ella non mi dimenticherà sì presto? Ciò mi fu molto piacere; dopo tutto sarebbe una vera crudeltà se si perdessero così presto certe belle memorie! Oh! per parte mia glie lo assicuro, ciò non sarà mai, e prevedo pur troppo che dovrò annojarmi per bene quando sarò sola a Milano, lontana da questa cara Brescia....
—Ma, disse Ermanno, ci vuole ancor molto tempo prima che....
—Ohimè! Papà scrisse a mamma pregandola di trovarsi a casa fra quattro giorni!.....
Tal nuova afflisse tanto profondamente il giovane che se ne stette senza parola!—Quattro giorni appena! Ed era questa la felicità che aveva sognata? Mai non gli venne in mente che Laura dovesse partire, e questʼidea lo colpì sì forte, che ne provò vero dolore.
Laura vedendolo così triste, non cercò dʼinterrompere il filo delle sue riflessioni; serbò il silenzio per qualche istante scrutando attentamente tutte le oscillazioni del di lui sguardo. Forse non si sbagliò sul secreto del dolore che gli si dipinse in volto, e come per tentare qualche conforto, sclamò mestamente:
—È doloroso a dirsi, in questo mondo si nasce solamente per fare dei sacrifizii!
—Pur troppo, rispose Ermanno, dacchè il discernimento della ragione rischiarò la mia mente, io vidi essere lo scopo della vita non altro che una continua aspirazione ad una meta inconseguibile. È tanto vero che la felicità è una chimera impossibile, che io stesso abbandonai ogni speranza di ottenerla. Diffido della[43] speranza perchè so che essa frutta il disinganno; eppure questa fata menzognera, mi ha sedotto anco una volta; eppure malgrado tutta la mia triste esperienza, ho sperato una follia! Sperai che un fiore non dovesse mai avvizzire, ed a quel fiore ho legati i miei affetti.—Che mi rimarrà infine?.... Nulla, un fuscellino dʼerba appassita!....
Laura questa volta aveva compreso; le parole del giovane suonarono amaramente nel di lei cuore.
—Feci male, mormorò Ermanno, feci male venendo qui questa sera, doveva aspettare domani, o dopo....
—Ma bravo! sclamò Laura con accento di rimprovero, il male lʼavrebbe fatto non venendo, perchè ieri sera lʼabbiamo desiderato vivamente, perchè con lei si passa unʼora senzʼaccorgersene; perchè infine se ella non venisse, arrecherebbe gran dispiacere allo zio, ai cugini...... ed a me!
La giovinetta pronunziò queste parole con tale accento di dolore, che Ermanno ne ebbe rimorso, in quella voce egli ritrovò lʼespressione di una pena viva e profonda. Ne ebbe tanto rimorso che prendendo la mano di lei le disse:
—Mi perdoni madamigella.—Io stesso non so bene quello che mi dico.... Creda pure che mi sarebbe stato impossibile resistere più oltre, giacchè se dipendeva solamente dalla mia volontà, a questʼora non sarei qui; ma da due giorni comanda in me unʼaltra potenza tanto forte, che mi abbandono rassegnato al mio destino.—Sia che vuolsi, se è vero che sarò poi infelice, è pur vero che ora sono felicissimo!
Laura strinse nelle sue la mano di lui, ed egli proseguì con voce sommessa fissandola negli occhi:
—Ma perchè ora piange.... perchè quelle lacrime?
—Perchè sono felice, rispose Laura sorridendo cogli occhi lagrimosi. La dolcezza delle parole di Ermanno[44] le aveva strappato il pianto; ma il pianto della gioia, quelle lacrime soavi che escono da un sorriso, e Laura piangeva sorridendo.
Si erano detto tutto?.... Chi lo sa; chi potrebbe dire sin dove si sarebbero arrestati? ma non era prudente lʼabusare dellʼoccasione, tanto più che poco dopo sopraggiunse Letizia.
—Ben venuto signor Ermanno, sclamò Letizia sorridendo, meno male che ella si sia ricordato dei torti che aveva da riparare—Laura era con lei indignata, ma a quanto vedo la mia buona cugina pecca per troppa indulgenza.
—Si fu perchè sua madre non istava bene, disse tosto Laura.
—Madamigella Letizia sa meglio di me che non mi faccio troppo pregare per venire in casa sua.
—Oh per me, rispose Letizia, non ci fo gran caso, sono sì bene abituata alle sue stranezze che non mi sarei stupita se anche questa sera non fosse venuto.
In quel momento entrò Alfredo, il quale fece pure ad Ermanno i suoi rimproveri aggiungendo:
—Però quello che non si fece ieri, si può fare oggi. Volete signorine che andiamo in carrozza?
—In carrozza! osservò Laura, non sarebbe meglio a piedi?
—E sia pure, disse Letizia, che glie ne pare signor Ermanno?
—Per me sono a loro disposizione, comandino....
—Allora è inteso, non faccio attaccare, chiese Alfredo.
—Letizia, disse Laura, vedi se mamma vuol venire, ed anche lo zio.
—Non darti pensiero per mio padre, tu lo sai a questʼora egli si dispone per recarsi al suo inevitabile caffè. Sì dicendo Letizia uscì di sala.[45] Rimasero soli sul balcone Alfredo, Ermanno e Laura; il primo sempre distratto come al solito, si mise a canterellare unʼarietta, guardando sbadatamente nella via. Ermanno e Laura erano seduti di fronte, e si dicevano tante cose cogli occhi.
Letizia ritornò ad interrompere quella mutua contemplazione annunziando che anche la madre di Laura avrebbe preso parte alla passeggiata; e difatti dopo pochi istanti madama Ramati comparì in sala ove trovò tutti disposti alla partenza. La sera era fresca, ed eccitava al passeggio; presero la via per recarsi nel viale fuori di città.
La comitiva si dispose così: Laura diede il braccio al cugino Alfredo, Letizia restò indietro colla zia ed Ermanno.
La madre di Laura era una vera gentildonna per modi distinti, aveva una certa conoscenza con Ermanno, epperciò non vi mancava lʼelemento alla conversazione.
Naturalmente il discorso cadde su Laura, e lasciamo supporre quanto gradevole fosse questo tema ad Ermanno. Se si volesse poi sapere di che parlavano Alfredo e Laura che precedevano gli altri di qualche passo, è facile immaginarlo.—Le donne hanno un certo tatto istintivo per far cadere il discorso su ciò che loro piace senza che chi parla se ne accorga menomamente.—Appena Laura si era appoggiata al braccio di Alfredo trovò, modo di toccargli la corda debole parlandogli cioè di Ermanno; Alfredo cadde[47] subito a quel primo attacco, e ne disse fino allʼentusiasmo in favore dellʼamico.
—Sarà debolezza, aggiungeva, ma Ermanno mi è tanto simpatico, che se io fossi una donna, me ne innamorerei perdutamente.
—Fortuna per lui che non avrà bisogno di te per avere delle innamorate.
—Tʼinganni, tʼinganni dʼassai; in fatto dʼamore il mio amico è del tutto profano.
—Odia forse le donne?
—Tuttʼaltro, nella carriera che percorre, si trova di sovente a contatto colle signore, ma nessuna che io sappia gli inspirò qualche cosa più di un poʼ di cortesia.—È troppo concentrato nellʼarte sua della quale egli se nʼè formata una amante; non vive che per la musica.
—Ma, ribatteva Laura, non mi sembra vero che un giovinotto, unʼartista non celi in seno qualche fiammetta....
—Eppure credimi la è proprio così; diamine io che gli sono sempre ai fianchi, dovrei saperlo. Di giorno non esce che per le sue lezioni, del resto se ne sta sempre al pianoforte. Se talvolta a forza di preghiere si lascia trascinare in qualche concerto o serata musicale, fa propriamente un sacrifizio. Egli non ama la società; è nemico dei clamori; per chi non lo conosce sembra un selvaggio, ma chi lo frequenta riconosce in lui un giovane pieno di talento e di modestia.
—Lo credo perchè me lo dici, sclamò Laura, ma pare davvero impossibile che un giovane così amabile e distinto non cerchi qualche conforto in unʼaffetto—Si è tanto felici quando si ama.
—Ma mia cara, per uno della tempra di Ermanno lʼamore si trova ma non si cerca.
—Chissà che un giorno....
—Sarà difficile, e sinceramente non gliene farei augurio....
—Perchè mai?
—Mio Dio, la fedeltà è tanto rara al giorno dʼoggi, ed Ermanno è una di quelle nature che amando si legano corpo ed anima...
—In questo caso, che male ci sarebbe?
—Che male? il ciel lo guardi! Se per disgrazia sʼinnamorasse, e venisse poi deluso, credo che si darebbe alla disperazione.
—Ma cugino mio, non tutte le donne sono leggiere, ve nʼha di quelle che possono dedicare lʼintera loro vita al culto di un solo ed unico affetto.
—Sì ve ne sono tali donne, ma nei Romanzi...
—Oh! senti, non dubitare così, ciò mi fa dispiacere; secondo voi altri noi saressimo lʼincostanza personificata.
—Via via, cuginetta, non adirarti meco; se vuoi che ci creda, crederò; ma solamente per farti piacere.
Di questo passo si giunse al pubblico passeggio, ivi lʼordine della comitiva si sciolse; Letizia si unì a Laura, Alfredo prese il posto di Letizia accanto alla zia a cui chiese:
—Ebbene è ella stanca della passeggiata?
—Tuttʼaltro, non mi sono neanche accorta dʼaver fatto tanta strada, mi trovo in sì buona compagnia!...
Il complimento era diretto ad Ermanno, che glie lo restituì nel modo il più lusinghiero.
—Nipote, disse madama Ramati ad Alfredo, quando ti verrà occasione di recarti a Milano, tʼimpegno a condur teco il signor Ermanno; ha promesso di venire.
Ermanno sorrideva con aria di rifiutarsi, e madama soggiunse:
—Sicuramente, badi che io conto con scrupolo sulle[49] promesse, o che verrà colle buone, o le faremo venire per forza.
—Si accerti, o signora, rispose Ermanno, non vi sarà questa necessità.—Mi procurerò un giorno questo piacere.
Le due giovinette intanto si erano di molto allontanate; pareva che parlassero di qualche cosa ben importante, perchè si portarono alla distanza da non essere udite.—Laura volgevasi spesse volte indietro; indi si rimetteva a parlare gesticolando in modo che tradiva la sua contentezza. Che mai diceva essa alla cugina per discorrere con tanta enfasi? e perchè Letizia ascoltava col labbro atteggiato ad un sorriso malizioso?—Le donne, e le ragazze specialmente, abusano spesso di confidenza verso le loro amiche; un primo amore, il primo palpito del cuore, è un peso troppo grave per una fanciulla, perchè possa celarne il segreto. È vano pretendere che ella debba tenersi per sè le impressioni che la agitano, e nel seno di unʼamica versa tutto il suo mistero.
Le confidenze divengono una necessità nella donna che ama per la prima volta. Lʼuomo è egoista della sua felicità, la donna ne è ambiziosa; lʼuomo la nasconde con tutta cura, la cela agli sguardi di tutti; la donna invece prova una grande compiacenza nel rivelarla, e tradisce il secreto in tutti i suoi atti.
Laura col solo suo modo di camminare, appoggiata, anzi abbracciata a Letizia, palesava il suo amore.—Le due ragazze dopo di aver passeggiato sole per qualche tempo, si rivolsero agli altri, e Letizia chiamò:
—Signor Ermanno, ascolti una parola.
—Ai loro ordini, rispose il giovane avvicinandosi; non aveva ancora parlato, che già esse si erano attaccate alle sue braccia.
—Siamo stanche, disse Laura appoggiandosi a lui, abbiamo bisogno di un cavaliere....
—E dove trovarlo migliore? sclamò Letizia.
—Signorine, rispose Ermanno sorridendo, non vorrei che mi canzonassero...
—Ce ne guardi il cielo!
—Era per parlare un poco anche con lei, che lʼabbiamo chiamato, mormorò Laura.
—Comʼè bella questa sera illuminata dalla luna, veramente poetica.
—Passerei la notte passeggiando, disse Laura.
—Sola?
—Oh no, avrei paura.
—Come sono soavi queste notti illuminate mestamente, disse Letizia con accento declamatorio; e dire che vi son taluni che negano il romanticismo; con che cuore, io nol so.—Come non accendersi di poesia allo spettacolo malinconico e soave di una bella sera dʼestate? Parmi di essere trasportata a quei beati tempi in cui i trovatori erravano le notti solinghi e addolorati sotto le finestre di un castello di gotica architettura; parmi di sentirne i patetici canti, gli appassionati versi dʼamore.
Tutto ciò fu detto da Letizia con un tuono ironico, con unʼespressione così maliziosa, che Ermanno non ebbe più dubbio alcuno sulle confidenze che Laura poteva averle fatte. In quanto a Laura, essa non aveva neanche compresa sillaba della chiaccherata di sua cugina, perchè la sua mente viaggiava in quellʼistante a più alte regioni.
Piegata mollemente sul braccio di Ermanno, lasciava libero sfogo al pensiero abbandonandosi al languore della fantasia come alle illusioni di un sogno.
A poco a poco quella graziosa testolina si piegò sulla spalla del giovane, ed i biondi capelli agitati dalla[51] brezza della sera, sfioravano dolcemente la guancia di lui.—Più volte ella gli aveva stretto il braccio nel suo, ed egli rispondeva collo stesso linguaggio.
La conversazione si ripigliò un poʼ più calma, Letizia moderò alquanto il suo spirito permettendosi solo di quando in quando di scherzare sulla distrazione della cugina.
Si parlò di molte cose, di poesia, di musica, di amore, di stelle, di fiori, ed anzi a proposito di fiori, dobbiamo dire che sebbene Laura fosse molto distratta non lasciò sfuggire inosservato un fiorellino che usciva da una siepe elevandosi sugli altri come per farsi cogliere.—Appena ella lo vide, allungò la mano, lo colse senza incomodarsi perchè presentavasi sul suo passaggio; quel fiore passò naturalmente dalle mani della giovinetta a quelle di Ermanno, e tutto ciò senza che la maliziosa Letizia se ne avvedesse.
A quellʼidea così gentile, a quellʼatto così eloquente nel suo silenzio, Ermanno fu tocco di gioja; non era più una creatura umana che egli si sentiva al fianco, era qualche cosa di soprannaturale, un angelo da cui si elevava un profumo tale di poesia, che lo commoveva in ogni fibra.
Alfredo chiamava al ritorno; si rifece la strada allo stesso modo, questa volta però erano tutti riuniti.
—Signori miei, diceva Alfredo, non possiamo negare dʼaver fatto una bella passeggiata.
—Oh! sì davvero verso il Campo Santo, rispose ironicamente Letizia.
—E il passeggio più ameno che abbiamo; questa bella strada fiancheggiata da cipressi, quellʼedificio in fondo che chiude la vista, queste statue, tutto costituisce un insieme armonioso.
—Insomma il Cimitero è ciò che vʼha di più bello in Brescia, osservò madama Ramati sorridendo.
—Non dica così zia; già si sa che Brescia non è Milano, ma è senza dubbio una bella città.
—Per conto mio non lo nascondo, disse Laura, la situazione dal paese mi piace assai; ai piedi delle colline; eppoi qui si gode di tutta la pace. Anche papà è bresciano, non è vero? chiese ella a sua madre.
—Sì, e mi ci volle non poca fatica per trascinarlo a Milano. Infine pregato da me, pressato daʼ miei parenti si lasciò indurre; ora vi sta da diciassette anni ed è tanto bene abituato che non abbandonerebbe mai la casa sua.
—Ed ella signor Ermanno, non ha conoscenti in Milano? chiese Laura.
—Molti, ed uno specialmente è il più caro deʼ miei amici al quale sono legato fia dallʼinfanzia; professa la pittura.
—Ah! tu parli di Paolo, disse Alfredo.
—Appunto.
—Anchʼegli è bresciano, un bravo giovinotto che farà fortuna col suo talento....
—Ed abita in Milano? domandò Laura.
—Da varii anni, mi sorprende anzi che non lo conosciate.
—Non cʼè da stupirsi, disse madama Ramati, noi frequentiamo sì poco la società.... Ma giacchè parliamo di quel pittore, è da molto che desidero di avere i ritratti della nostra famiglia eseguiti da un abile artista, e se questo signor Paolo fosse veramente di vaglia....
—Glie lo garantisco zia; è unʼeccellente artista, e molto stimato.
—Allora mi darai il suo indirizzo.
—Io non lo so, Ermanno potrà favorirla.
—Certamente, sarà mia premura, rispose Ermanno, anzi senza che ella si disturbi, gli scriverò io, invitandolo a passare da Lei.
—Meglio così.
Laura non parlava, ma nellʼudire che un amico intimo di Ermanno le avrebbe fatto il ritratto, ne ebbe molto piacere.—Di questo passo la comitiva giunse davanti al palazzo Ramati; ivi tutti si fermarono; era tardi, e fu giocoforza salutarsi.—Ermanno strinse per lʼultima volta il braccio a Laura, prima di separarsene; madama Ramati lo ringraziò della buona compagnia che le aveva fatto, gli strinse la mano, indi egli se ne andò.
Non era più per Ermanno il caso di resistere, ma di amare. Anco se egli avesse potuto opporsi alla corrente che lo trascinava, non lʼavrebbe voluto. La lotta che tende a debellare la felicità, è lotta da stolto.
Ermanno accettava il suo bene senza esaminarlo, nè calcolarne la durata; egli era felice, e per quanto gravi potessero essere le conseguenze del suo disinganno, non valeva certo la pena che loro si sacrificasse la gioja del presente.—Tutto ha fine in questo povero mondo! e lʼuomo viene istintivamente predisposto a non curarsi di questa legge fatale che pesa sui destini del creato.
Eppoi, havvi forse da farne meraviglia se in quel periodo di tutta luce che si chiama giovinezza, lʼuomo ragiona più col cuore che colla mente? Egli è solo allora che si spera ciò che si desidera; in quellʼetà di aspirazioni ardenti, non si bada gran fatto agli ostacoli che frappongonsi ad una meta prefissa.—Il senno e la ragione lasciano libero passo ai voli della fantasia che nel suo giovanile entusiasmo spiega arditamente le ali ad eccelse mire.—A ventʼanni lʼumile artista che abita la soffitta, e mangia pan nero, vagheggia il sorriso della dama che scorre i passeggi sdrajata in cocchio sontuoso; ronza con ingenuità veramente rara sotto le finestre di un ricco palazzo per incontrare lo sguardo di una giovinetta che sciupa[55] tanto in guanti quanto egli potrebbe guadagnarsi col lavoro assiduo di unʼanno.
Dal buco della sua soffitta egli ha il coraggio di palpitare per qualsiasi nobile donzella, avrà anche il coraggio di amarla, e la follia di sperare—Mormorate un poʼ allʼorecchio di quel povero paria:—ma disgraziato, non vedi che ti colse la più strana delle pazzie? Non pensi che fra te e quella giovinetta vi sta unʼabisso senza fine? non pensi tu che sei povero, che dormi sulla paglia fra due cenci di lenzuola, mentre ella riposa fra i morbidi velluti?—Nella tua casa regna lo squallore, questa tua stamberga scarseggia financo di luce, ed ella abita invece un palazzo immenso, ove i tappeti, la seta e lʼoro sono profusi con tutto lo splendore—Non vedi che tu ora sei vittima di un sogno, e che domani ridestandoti troverai amaro il tuo pane, insipida la tua acqua, orrida la tua soffitta?»
Ebbene, egli maravigliato vi risponderà che ben poco gli cale di tutto ciò, e ripigliando la sua miserabile esistenza proseguirà collo stesso ardore a sperare.
Ecco come il più delle volte si ragiona in gioventù. Non è che col frutto di una crudele esperienza imparata col volgersi degli anni che ai cerca col dolce lʼutile; egli è solo nella prima giovinezza che lʼuomo lascia libero sfogo agli slanci del suo cuore senza calcolo dʼinteresse. Saranno follie, ma le sono dolci follie preferibili mille volte alla rigida diffidenza delle anime volgari che passano sotto i raggi ardenti del sole di gioventù facendosi scudo col freddo raziocinio inspirato da un cuore senza vita—La soverchia ragione nei primi anni di esistenza, non può essere che il frutto di ottusità di mente, e dʼaridità di cuore—Meglio è ardere nel Vesuvio di unʼillusione, che trascinare la vita fra fuochi fatui.
Malgrado che la notte fosse già di molto avanzata, tuttavia Ermanno non seppe decidersi dʼandarsene a casa; egli aveva bisogno di abbandonarsi alla foga deʼ suoi pensieri. Giammai la notte gli era parsa tanto bella, giammai il freddo raggio della luna gli era sembrato così malinconico—Errò per le vie della città senza darsi ragione della strada che percorreva: Si pensa forse ove si vada allorchè la mente è confusa ed eccitata da memorie soavi?
La mezzanotte era già trascorsa quando Ermanno giunse verso la sua abitazione.—Alzando a caso gli sguardi alla finestra debolmente rischiarata, vi scorse sua madre.
Ingrato, egli lʼaveva dimenticata!—La buona donna infatti era tutta sconvolta per lʼinsolita assenza del figlio, ed invano aveva cercato riposo; il timore che fosse avvenuto qualche malore a lui, la tenne in una veglia angosciosa. Da due ore quella povera madre stava alla finestra spiando sulla via, e palpitando ad ogni risuonar di passo.
Ermanno entrò in casa, e subito ella gli corse premurosa incontro per sapere se fosse stato trattenuto da qualche incidente.
—Rassicurati madre mia, nulla mi è successo, rispose Ermanno stringendole la mano, sono stato da Ramati....
—Così tardi?
—Che vuoi, non mi lasciavano mai; se avessi saputo che tu mi aspettavi....
—Oh! non monta; temeva solamente.... non si sa mai di notte le strade non sono troppo sicure.
—Or via calmati buona mamma, sclamò il giovane accarezzandola, va a letto, va a riposarti che nʼhai di bisogno.
—Che hai Ermanno, chiese ella sorridendo, mi sembri di buon umore stassera?
—Sì, non so perchè, ma sono tanto contento.
—Che Dio ti conservi sempre tale figlio mio?
Ermanno restò alzato ancora per qualche tempo sempre pensando alla graziosa fanciulla che tante prove dʼamore gli aveva date in quella sera felice; baciò più volte il fiore che ella gli aveva posto fra le mani, indi lo collocò accanto ad un mazzolino di altri fiori appassiti—La freschezza dellʼuno, ed il languore degli altri formavano uno strano contrasto che non sfuggì allʼocchio di Ermanno—Poveri fiori! Ieri ancora erano belli e rigogliosi, oggi il soffio della materia passò sovrʼessi, ed eccoli collo stelo curvato; di quei brillanti colori, di quel soave profumo appena rimangono pallide vestigia.
Ecco il passato! Pensò Ermanno sospirando; ma il suo sguardo si fermò allora sul fiore deposto ancor bello, ancor pieno di vita e di freschezza. Fu un raggio di speranza che sperdè la malinconia che già assaliva il povero giovane: Ecco il presente! gli mormorò una voce interna, ed egli baciò anco una volta lo stelo profumato del fiore che ridonavagli la speranza.
Andò a letto, si addormentò ed i suoi sogni furono una catena di rose che si rivoltava in giri senza fine. Si addormentò felice, e si svegliò felicissimo. Laura fu lʼultima parola della sera, e la prima del mattino.
Durante la giornata però, fu spesse volte preda di mesti pensieri; nel colmo dellʼebbrezza egli erasi dimenticato della prossima partenza di Laura; ed appena se ne rammentò, il suo cuore gemette amaramente.
—E sarà vero chʼella debba allontanarsi, che non potrò più vederla? pensava fra sè.
Ciò che mitigava alquanto il dolore della separazione era senza dubbio la certezza di possedere lʼamore di[58] lei; ma finora ella non glie lo aveva detto; ed è tanto dolce il sentirsi dire che si è amato. Dʼaltronde come trovare il tempo per strappare a Laura quella dolce confessione? I cugini le erano sempre dietro—Due giorni ancora, e poi ella partirebbe senza poter pronunziare la parola che doveva essere il sostegno del povero Ermanno nei giorni di amarezza.
Andò alla sera da Ramati, ma senza frutto, vale a dire senza poterle parlare da sola; non vi rimaneva che un giorno, lʼultimo. Alla vigilia della partenza il povero giovane pensò con tutte le forze del suo ingegno onde trovare un mezzo per parlarle; ma tutto fu vano, ed al mattino di quel giorno disgraziato, egli aveva ancor nulla risolto. Verso mezzogiorno gli nacque unʼidea che gli parve buona; prese il cappello ed uscì frettoloso—Pochi minuti dopo egli entrava nel portone di casa Ramati.
Salì le scale collʼanimo agitato dal timore e dalla speranza, e fu introdotto da un servo che lo lasciò in anticamera dicendogli: Le damigelle sono nel gabinetto da lavoro, il signor Alfredo è uscito col padrone.
—Bene, rispose Ermanno, annunziami alle signorine.
Il servo eseguì, e poco dopo ritornò per dirgli che poteva passare.
Il salotto da lavoro era assai ben riparato dalla luce giacchè entrandovi stentavasi a discernere gli oggetti; tanto è vero, che Ermanno si arrestò sulla soglia mormorando confuso:
—Mille perdoni madamigella Letizia se....
Per tutta risposta sentì una mano che aveva stretta convulsivamente la sua, ed una voce delicata e commossa che gli disse:
—Venga avanti signor Ermanno, la cugina Letizia è in giardino con mia madre, non tarderà molto a venire. In così dire Laura, giacchè era ben dessa, lasciò[59] la mano di Ermanno per aprire un tantino le imposte onde lasciarvi penetrare un poʼ di luce.
Ermanno sedette macchinalmente sulla seggiola ove ella lo aveva guidato, ma allorchè si vide solo con lei, sentì che gli mancava il coraggio di parlare; tutti i suoi proponimenti erano iti in fumo alla sola vista della giovinetta, e stette per qualche tempo a contemplarla senza far motto.
Laura rispose con un lungo sorriso al lungo esame elle ei fece sul di lei volto; quel sorriso pareva unʼeccitamento a farlo parlare; nella dolce espressione di quello sguardo che si fissava in lui, eravi unʼaria sicura del perdono che poteva trovare per qualche parola troppo azzardata.
Ermanno tentò una seconda volta di parlare, ma inutilmente; la parola si ribellava sulle labbra. Eppure egli leggeva chiaramente nel placido sguardo di lei che i suoi detti erano aspettati; in quel sorriso languido eravi unʼespressione voluttuosa ed affascinante che altro non poteva essere se non amore. Ma appunto lʼincontro di quelle pupille mettevagli lʼanimo a soqquadro.
Laura ruppe per la prima il silenzio.
—Come mai, dissʼella, come mai caro signor Ermanno abbiamo la fortuna di vederlo qui a questʼora? E sì dicendo si sedette a lui dappresso.
—Egli è madamigella, rispose Ermanno quasi balbettando, egli è che.... ella parte questa sera, non è vero?
—Ah pur troppo!
—E siccome non so se mi sarà possibile di venirla a salutare per lʼultima volta....
—Come? chiese Laura con accento di collera, ella avrebbe cuore di non venire alla stazione!... La sarebbe bella, e sì dicendo fece un gesto così espressivo[60] di dispetto, che Ermanno fu a poco per stringersela al seno.
Vi fu un breve silenzio; la conversazione da bel principio erasi troppo inoltrata perchè quei due cuori non palpitassero violentemente—Infine Ermanno fattosi animo riprese con voce mesta.
—Dunque è proprio deciso?
—Oh! non me lo dica più, sclamò Laura, mi viene da piangere al solo pensarci. Anzi ho già pianto stamane, e per tutta la notte non potei chiudere occhio. Io prevedo che in quella brutta Milano morrò di malinconia; si sta tanto bene qui in Brescia!... e dopo tutto per darmi lʼestremo colpo, ella ha tanto cuore di dirmi che forse stassera non potrà neanche venire a salutarmi!—Non potè proseguire, le lagrime le bagnavano gli occhi, e si portò singhiozzando il fazzoletto sul viso.
—Mi perdoni, madamigella, rispose Ermanno tutto commosso a quelle lagrime; mi perdoni. Io stesso non so più quel che mi dica, nè quel che mi faccia; da due giorni ho una spina in cuore che mi fa molto male; io non so ciò che succedette in me, ma è un fatto che oggi sento di soffrire!—Ella partirà dunque, ed io me ne resto qui solo!... Oh Laura, è inutile che io più oltre combatta per serbare il silenzio, non posso più tacere—Mi perdoni se le dico che colla sua partenza ella mi rapisce la pace, ma il mio dolore per il suo abbandono è troppo grande e non saprei celarlo—che più? non seppi reggere allʼincertezza, e venni qui a questʼora per sentirmi dire che ella serberà qualche memoria di questi giorni, e penserà talvolta a questo infelice che sente di perdere ogni bene in lei?
—Oh! sempre, sclamò Laura stringendogli la mano.
—Mi dica, proseguì egli, mi dica che nel suo cuore ella sente qualche cosa per me, che nel lasciarmi prova alcun dolore. Ciò mi sarebbe di gran conforto.
—Ermanno, signor Ermanno! E non sono per sè sole eloquenti queste lagrime?—Oh! io sono ben infelice; se la certezza del mio dolore le può arrecare qualche bene, lo sappia: Sì io soffro nellʼabbandonare questa città, e tutto ciò perchè mi separo da lei che in sì poco tempo ho imparato a conoscere; ma ora non voglio più piangere, ora sono felice perchè ella pure si addolora per la mia partenza—Egli è ben doloroso questo destino che ci condanna a vivere separati; perchè non si può essere sempre là dove il cuore inclina? Perchè non si può sempre stare con chi.... si ama!
—Grazie Laura, sclamò Ermanno stringendole ambe le mani, grazie per queste parole che mi ridonano la vita—Mi prometta che ella penserà qualche volta a me, ed io le giuro che non avrò memoria se non per lei, che non avrò un palpito che non sia suo.
—Come potrei dimenticarlo! mormorò Laura.
Ermanno si strappò una medaglietta che teneva al collo, e presentandola a Laura le disse:
—Eccole una mia memoria. Questa medaglia è ciò che io abbia di più sacro; è di mia madre...
Laura la prese, la baciò, indi posela in seno; Ermanno proseguì:
—Mi permetta altresì che questa sera le consegni una mia lettera.
—Oh qual piacere!
—Con preghiera di non leggerla che al suo arrivo in Milano.
—Lo giuro.
—Ed ora a rivederci questa sera, ci saluteremo per lʼultima volta collo sguardo, e col cuore!
La sera era fresca e tranquilla. Il sole aveva già segnata la sua ritirata dietro le cime dei monti, e della sua luce splendida ed abbagliante altro non vi rimaneva che un rosso crepuscolo. Verso levante vedevasi apparire sullʼorizzonte un grandʼarco luminoso del disco lunare; era lʼastro della notte che nella sua fase di massima pienezza succedeva quasi immediatamente al sole.—Era una di quelle sere in cui sʼimpegna una lotta accanita tra la luce della luna che nasce e quella del sole che muore; ma i raggi crepuscolari cedono sensibilmente il campo, la striscia di fuoco che brillava allʼoccaso si restringe lentamente, e poco dopo vi rimane un barlume appena di luce che spegnesi con lenta agonia lasciando la luna trionfatrice sola nel dominio della volta celeste.
Spirava una brezza fresca e soave il cui carezzevole alitare temprava alquanto lʼafa soffocante di quella calda giornata.
Una ricca carrozza scoperta tirata da due bei cavalli, stava ferma davanti al palazzo Ramati, e poco dopo vi salirono sopra Laura, sua madre, Letizia ed Alfredo.—Laura e Letizia si collocarono in faccia ad Alfredo e madama Ramati. Sul balcone eravi lʼavvocato elle mandò loro lʼultimo saluto; indi la carrozza si allontanò velocemente.
Laura mollemente adagiata sui cuscini col capo abbandonato allʼindietro, stava immersa in profonda meditazione—Per[63] la velocità della corsa lʼaria fendeva più rapida il di lei viso scomponendole leggermente i biondi capelli di cui alcuni fiocchi svolazzavano allʼindietro come se volessero fuggire. I suoi sguardi erravano sulle case fiancheggianti la via, e parevale che gli oggetti circostanti fuggissero rapidamente il suo mesto saluto.
Nel dare lʼaddio estremo ai luoghi ove erano state concepite tante dolci speranze, ella provava una dolorosa emozione; quelle mura, quelle case, quei giardini; tutto insomma aveva unʼespressione di dolcezza affascinante che le commoveva lʼanimo.
»Sospira, sospira povera fanciulla a sì straziante addio; ogni passo di quei focosi cavalli, ogni tratto percorso dalla carrozza, porta via a brani il caro edifizio delle tue illusioni, ed accrescendone il loro incanto, rende più grave il dolore della separazione—Le speranze del tuo casto amore erano sublimi, ignara dei disinganni accarezzasti confuse lusinghe; la realtà scosse il tuo trasporto, ti svegliò dal tuo dolce sopore, ed un destino amaro ti porta lunge dal teatro delle tue dolcezze—Le lagrime che ti brillano sugli occhi sono le prime che trovano eco nel tuo cuore; la tua mestizia tragge fonte per la prima volta dal più profondo dellʼanima tua!
»Piangi pure! o fanciulla, piangi con lagrime amare nel dare lʼaddio a questa città che racchiude nel suo seno colui che solo fra gli uomini potrebbe fare la tua felicità; colui che la tua dipartita renderà altrettanto sventurato quanto fu felice nello scoprire il secreto del tuo cuore.
»Piangi e spera! Le lagrime dellʼoggi vengono cancellate da quelle del domani: Ecco la vita!
La carrozza si fermò dinnanzi alla stazione, tutti discesero; Letizia tentava invano di distrarre la povera[64] Laura il di cui abbattimento era portato allʼestremo. Lʼamabile giovinetta aveva pianto, e teneva gli occhi ancor pieni di lagrime rivolti verso la città.
Ermanno non era ancor giunto, ed ella nʼera inquieta; non già che dubitasse di lui, il cuore le diceva che a qualunque costo ei non avrebbe mancato; ma temeva che un qualche incidente gli facesse ostacolo—Ella voleva vederlo ancor una volta per rivelargli collo sguardo tutte le pene che soffriva il di lei cuore—E quella lettera? in essa la meschina fondava tutte le sue speranze per qualche conforto, allorchè fosse giunta a casa.
—Partenza per Milano, gridò una voce roca.
Ed egli non veniva ancora; invano Laura spingeva lo sguardo ove più glie lo permetteva la scarsa luce della luna—Ad un tratto il di lei occhio scintillò di gioia, ed il cuore le balzò vivamente in seno—Era desso!
Diffatti Ermanno apparve poco lungi. Era tempo!
Laura senza punto curarsi degli altri, e spinta da un moto involontario, gli si fece incontro stendendogli la mano.
Una lettera passò da una mano allʼaltra in un baleno, e mentre Ermanno volgevasi a salutare Madama Ramati, Laura la nascose lestamente in seno.
—Per Milano si parte, ripetè la stentorea voce del guardia sala.
—Buon viaggio, tanti saluti allo zio.
—Mille grazie!
—A rivederci signor Ermanno, disse madama Ramati, venga presto a trovarci a Milano; lʼaspettiamo.
—Non mancherà occasione.
—Addio Laura!
—Addio Letizia, e le giovinette si baciarono.
—Addio signor Ermanno sclamò Laura afferrandogli la mano... si ricordi di noi... e delle sue promesse... Non potè proseguire; le lagrime le troncarono la parola sulle labbra—Fuggì soffocando i singhiozzi, e mandandogli unʼultimo sguardo addolorato.
Non eravi tempo da perdere; madre e figlia presero posto nel vagone.—Laura si lasciò cadere oppressa in unʼangolo accanto allo sportello, e subito dopo il convoglio si mise in via.
Ermanno era a poco per piangere; Alfredo voleva ad ogni costo che salisse in vettura, ma egli si rifiutò; strinse la mano a Letizia, la quale era pure alquanto commossa, indi sʼincamminò lentamente verso la sua dimora.
Il dolore di una separazione così amara è troppo grande, troppo immenso perchè la parola possa rivelarlo.—È questa una di quelle sofferenze che non trovano espressione in tutte le umane favelle. Per comprendere quale fosse il dolore di Ermanno, è necessario porsi una mano sul cuore, interrogarlo in tutte le sue rimembranze, richiamarlo a tutte le emozioni del passato, farne rivivere i palpiti; e se il cuore risponde a questa pressione con un sospiro, allora soltanto si potrà comprendere quanto male arrechi una sì triste separazione!
Non parliamo no a quelle anime volgari che sorrideranno cinicamente al racconto di questi dolori. Si sa, essi non saprebbero compiangere lʼinfelice Ermanno—Ridano pure costoro, che poco importa; il disdegno per i dolori degli altri è per essi la più gran felicità che possono godere in terra—Ridano pure giacchè non sanno piangere; il riso è la più sublime delle loro sensazioni.
Le ironie di costoro stanno al basso come le loro intelligenze.
Ermanno giunse a casa mesto e silenzioso; si abbandonò sulla poltrona e stette immerso neʼ suoi pensieri senza neanche volger parola a sua madre—Egli soffriva come se gli venisse lacerata qualche parte del cuore. Il suo sguardo vagava sugli oggetti circostanti, ma il suo pensiero volava dietro alla graziosa giovinetta.
Per quella sera non volle uscire malgrado che il tempo invitasse al passeggio; sua madre poverina lo pressava con incessanti domande a cui egli rispondeva appena, e la buona donna infine credendo miglior partito lasciarlo solo a meditare, si ritirò nellʼaltra camera.
Allorchè Ermanno fu solo, si mise in moto per la stanza, e passando dappresso al caminetto si fermò a guardare alcuni fiori che languivano in un bicchier di acqua—Erano appassiti! Egli sospirò e volse altrove gli sguardi.
Aperse il pianoforte colla massima noncuranza, ne sfiorò i tasti stando in piedi, quindi lo rinchiuse sorridendo amaramente—Anche la musica aveva perdute le sue attrattive—Trascinò la poltrona sul balcone, vi si adagiò sopra e se ne stette per lungo tempo immobile vagando collo sguardo fra le stelle del cielo.—
La natura era bella illuminata dal patetico raggio lunare; ma egli chiuse gli occhi per richiamarsi alla mente la figura di Laura.—Certo lʼimmagine di lei sì ardentemente evocata rispose al suo desiderio, perchè egli aveva sulle labbra un mesto sorriso—Suonò la mezzanotte, ed ei conservava ancora la stessa attitudine. Quella specie di letargo durò molto....
Una rondinella accovacciata sui ferri del vicino balcone intuonò sommessamente il suo cicalio....
Ermanno apri gli occhi, guardò il cielo e vide che la luna già tendeva al tramonto, mentre ad oriente appariva una luce biancastra.
Era lʼalba.
Il treno su cui viaggiavano Laura e sua madre era diretto, epperciò la velocità assai maggiore dellʼordinario.—Nello scompartimento di prima classe da esse occupato, non eravi altri elle un prete dallʼaspetto venerando.—Madama Ramati erasi collocata in un angolo riparato dallʼaria; Laura invece stava affacciata allo sportello guardando al di fuori le campagne che sfuggivano rapidamente siccome le vedute di un panorama meccanico.
Già da molto tempo ella era assorta in quella contemplazione, quando la madre la esortò a ritirarsi per evitare gli sbuffi dellʼaria troppo umida.—Laura ubbidì macchinalmente, e si rincantucciò nellʼangolo senza far motto.
La poca luce malinconica che mandava il fanale, il monotono rullo delle ruote, ed il silenzio dei tre viaggiatori davano unʼaspetto di tristezza alla scena. Il prete dormiva saporitamente, madama Ramati aveva chiusi gli occhi; soltanto Laura era inquieta ed addolorata. La povera giovinetta non piangeva più, ma lʼespressione malinconica deʼ suoi grandʼocchi, era tutta di dolore. Dallo sportello aveva visto sospirando scomparire lentamente le torri di Brescia, ed allorquando lʼestrema punta della città si perdette nelle tenebre, la salutò con un addio che racchiudeva un tesoro di rimembranze.
Il viaggio era lungo, e parve lunghissimo a lei che anelava di essere in casa sua, nella sua camera per isfuggire la tristezza che inspiravale il lugubre silenzio[68] che lʼattorniava; e più di tutto per leggere la lettera di Ermanno, quella cara lettera che avrebbe già baciata le mille volte se non vi era sua madre.—
Arrivarono finalmente, e Laura nel discendere guardò ancor una volta sulla via percorsa pensando che per di là ella sarebbe ritornata a Brescia, presso il suo Ermanno.—Papà Ramati era ad aspettarle, e non appena le vide uscire dalla stazione, corse ad abbracciare Laura, che per la prima volta rispose mestamente alle carezze del padre.—Giunta a casa madama Ramati stanca del viaggio si ritirò; Laura pure poco dopo entrò nella sua camera ove appena giunta congedò la fante che si disponeva a spogliarla.—Chiuse la porta a giro di chiave, sedette al tavolo estrasse dal seno la lettera, la baciò, indi ruppe il suggello e lesse:
Laura!
«Vengo or ora da te, ed è sotto lʼimpressione delle tue parole che ti scrivo. La mano mi trema ancora come poco fa fra le tue, il cuore mi batte violentemente come se fossi a te davanti, il mio sguardo è tuttora acceso dal fuoco che trovò nel tuo.—Sono espressioni dellʼanima, accenti del cuore quelli che scrivo. Ascoltami dunque o Laura.—Nei pochi anni della mia vita trascorsa, io acquistai una ben triste scienza, la certezza cioè che non havvi per lʼuomo felicità reale, e dal giorno in cui questa crudele certezza mi apparve chiara ed incontestabile, diedi lʼultimo addio alle bugiarde speranze della vita.—
«Lo scetticismo divenne la mia bandiera; lʼarte sola non presentava per me le impronte caratteristiche di una folle speranza: amai lʼarte come si ama la[69] donna, ed al culto di questa fata misteriosa dedicai me stesso e lʼintera mia vita.—Ma ahimè! ben tosto mi accorsi che anche lʼarte è una promessa senza fine, una meta che si allontana quanto più tentasi di avvicinarla! Disperai allora di poter riempire quel vuoto che erasi formato nella mia esistenza, ma il mio cuore aveva necessità di amare, e ribellavasi ostinatamente alla solitudine a cui lo aveva dannato.
«Amai la natura nel suo assieme, confusi in un punto solo creato e creatore, spirito e materia; ma le grandezze e le meraviglie del cielo, e le bellezze della terra se mi entusiasmarono la mente, non seppero commovere dʼun palpito questo povero mio cuore che assisteva indifferente allo spettacolo maestoso dellʼuniverso.—
«Prostrato da inutili tentativi, mi abbandonai al mio destino lasciando che il cuore languisse incompreso, e lʼanima se ne stesse neghittosa; mi concentrai in me stesso lasciando alle poche risorse dellʼarte le cure di qualche conforto.
«Io era in tale stato ancora qualche giorno fa, prima di vederti; ma appena il mio sguardo sʼincontrò nel tuo, appena udii il suono della tua voce, qualche cosa di nuovo si agitò nellʼanimo mio; al solo contatto della tua mano, il cuore si scosse, e finalmente trovò un palpito!
«Oh! Io non so dirti la lotta che sʼimpegnò in me fra la ragione e lʼaffetto. In quella sera del nostro primo incontro passai una notte di mille angosce di innumerevoli tormenti.—Dio mi è testimonio con quanta ardore combattei contro una speranza di cui paventava le conseguenze; ma che vuoi? Allʼindomani mi alzai prigioniero; il cuore lʼaveva vinta: io ti amava!
«Ora mʼodi, o fanciulla, e che le mie parole ti restino[70] impresse.—In questo momento non sono io che ti parlo, ma la parte migliore dellʼesser mio, lʼanima, lʼanima che nellʼabbandonarsi allʼamor tuo trae un triste presagio sul mio avvenire.—Lo so che tu mi ami, me lo dicesti, le tue lagrime me lo confermarono, ed io ti credo, perchè si può dubitare di tutto, ma non delle prime parole dʼamore che sfuggono dal labbro di una giovinetta.—
«Io credo adunque colla massima convinzione allʼamor tuo, nè tenterò per parte mia una lotta colle tendenze del cuore; sarebbe vano. Tale è il mio destino, mi abbandono in balìa di questo bel sogno, e ti amo!—Ti amo tanto, che ora al punto di separarmi da te sento aggravarmi da grande sventura. Ti amo tanto, e sento che dellʼamor tuo farò la mia vita. Soffrirò, che monta? Tu mi ami, e questa certezza mi sarà di gran conforto; tu parti ma la mia esistenza si lega a te, ed il mio cuore dʼora in poi non avrà più un moto che non sia tuo, lʼanima non avrà più una aspirazione che non sia per te.
«Per quanto recente sia il legame che a te mi unisce, io prevedo che esso durerà per tutta la vita: ma tu o giovinetta, potrai sempre amarmi come io ti amo? Nuova affatto del mondo, tu sorridi facilmente a tutte le soavi impressioni che ti cagiona; io lo so, quando si è privi dellʼesperienza pratica della vita, si pecca per eccesso dʼentusiasmo. È questa la spina che mi tormenta! Tu mi ami forse collʼinscienza di chi ama per la prima volta, ed il tuo affetto non è forse altro che una prova della gentile suscettibilità del tuo cuore.
«Ai primi moti dellʼanima, scambierai forse per amore quel facile accendersi della fantasia che domani potrebbe venir spenta dalla ragione; epperciò la coscienza mʼimpone in questo momento di palesarti[71] tutti i miei dubbi, ed il tuo amore mi lasciò ancora tanto di percezione da poter travedere sebbene da lungi il fine di questo dolce episodio della mia vita.—La confessione che ora ti faccio del mio convincimento ti servirà per togliere dallʼanima tua ogni ombra di rimorso che potesse assalirti allorchè il tuo cuore cesserà di battere per me.—
«Mʼascolta o giovinetta, ascolta lʼamaro vaticinio del mio destino.
«Tu mi ami perchè rappresento la prima promessa del bene che ti apparve alla mente non appena lʼanima tua tendè alle aspirazioni dʼamore.—Io invece ti adoro perchè sei lʼultima larva di felicità che ancor sorrida alle mie speranze; ti adoro perchè col fascino dellʼamor tuo ravvivasti col soffio della mia esistenza, e mercè tua rivedo il sole in tutta la sua luce.—Ti amo, e mi avviticchio alla speranza dellʼamor tuo come il naufrago allʼultima tavola non ancora travolta dal turbinoso sconvolgersi dellʼonde.
«Il tuo amore è inspirato dal benessere, il mio dallo sconforto, ed il frutto di questo affetto sarà necessariamente diverso per entrambi giacchè il tuo cuore amando si apre alla speranza, mentre il mio si concentra nel dubbio e nel timore.—La tua ricca condizione, la tua avvenenza ti danno diritto ad aspirare alle dolcezze della vita; il mondo si apre al tuo sguardo siccome un paradiso di fiori ove ti è dato lo sciegliere a piacimento.—I piaceri del mondo per quanto falsi e fuggevoli affascinano, seducono e rapiscono; ed in breve nella varietà deʼ tuoi desideri, nellʼincertezza delle tue aspirazioni, fra le cure dellʼuno le sollecitudini dellʼaltro, tu dimenticherai ben tosto il tuo povero Ermanno che vive solo del tuo amore.
«A poco a poco la memoria di me, cederà il posto ad unʼaltra più recente, lʼamore per me verrà consumato[72] dallʼamore per unʼaltro, e nello svolgersi di tante nuove sensazioni nellʼanimo tuo, sarà per me gran ventura se ti ricorderai qualche volta i tratti del mio volto.—Io la prevedo questa inevitabile conseguenza; è legge di natura che alla tua età si mutino spesso inclinazioni ed affetti; ma io o Laura, sarò sempre lo stesso, lʼimmagine tua sarà lʼultimo sorriso di gioja che splenderà fino allʼestremo della mia vita.
«I piaceri del mondo non hanno più attrattive per me che ne conosco la trama; io vivrò della tua immagine; e quando il tuo cuore non avrà più un palpito per me, quando la mia memoria verrà travolta nella tua mente, io ti adorerò sempre colla stessa religione, ne accadrà giammai che ti rimproveri menomamente unʼincostanza alla quale sono già fin dʼora rassegnato!
«Perdonami Laura, lʼamarezza di queste parole; lo so, esse ti suoneranno come unʼingratitudine da parte mia, e forsʼanco ti strapperanno una lagrima di dolore; ma un giorno pur troppo ti persuaderai che il presentimento del mio cuore era una ben triste verità.—Ricordati allora o Laura, che nel pronunziare questo fatale vaticinio, io ti ho anticipatamente perdonata ed assolta da ogni rimorso.
«Ed ora, fanciulla mia, ora che il mio amore ti ha tutto svelato il suo dubbio tremendo, ora che questʼanima innamorata ha letto nel libro dellʼavvenire, tergi le lagrime, ed ascolta la voce del mio amore:—Tu parti! fra poche ore abbandonerai questa città, e chi sa quando ci rivedremo.—Addio anima mia! il mio più ardente saluto ti accompagnerà per via; la mia mente ed il mio cuore saranno sempre teco, e benedico con tutto il trasporto la buona stella che ti addusse sul mio cammino.... Addio Laura! in questo[73] estremo saluto si concentra tutto lʼardore deʼ miei sensi, tutto lo spirito della mia esistenza! Voglia il cielo restituire a te tutta quella felicità che mi viene dal tuo amore; io vivrò solo, lontano da te ma ti amerò sempre benedicendo al fuoco deʼ tuoi sguardi che mi accesero in seno tal fiamma a cui sarò debitore di tutte le gioje del mio avvenire.—
«Amami come io ti amo; pensa qualche volta a questo infelice che vivrà solo della tua memoria.—Nelle gioje, nelle feste e nei piaceri a cui ti destina lʼelevatezza del tuo grado, non dimenticarti di colui che dal fondo di una piccola città passa tutti i giorni, le ore ed i minuti nello sconforto della solitudine.—Pensa al tuo povero Ermanno che si smarrì neʼ tuoi beglʼocchi, e che non avrà mai più pace lontano da te.—
Addio per lʼultima volta! . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La povera giovinetta nel terminare la lettura di quelle pagine, aveva gli occhi molli di lagrime. Lʼamarezza dei sentimenti espressi in quella lettera, era troppo straziante; Ermanno aveva crudelmente oppresso il di lei cuore, violando con un orribile dubbio lʼamore di quella cara fanciulla, giacchè sotto quelle parole velate da unʼapparente rassegnazione si nascondeva un desolante sconforto.
Era troppo amaro il colpo per il cuore di Laura che amava del più santo affetto. Egli dubitava dunque di lei perdonando anticipatamente unʼincostanza che non aveva diritto di supporre? lʼingrato! A tali riflessioni, Laura sentivasi opprimere di dolore; nullameno rilesse la lettera.—Anche quelle frasi crudeli le erano care perchè sue, e le lagrime elle le solcavano silenziose il ciglio contenevano il perdono a tanta ingratitudine.
Lʼagitazione della gentile fanciulla mentre ripassava le tristi predizioni di Ermanno, era una forte protesta contro quei dubbi scagliati con tanta barbarie.
Ella cercò invano nel riposo un poʼ di tregua al profondo dolore che rattristava, le parole di Ermanno suonavano sempre al di lei orecchio. Tutto il resto della notte lo passò in una veglia angosciosa, e solo sullʼalbeggiare ella potè addormentarsi.—Ma ohimè anche i sogni riproducevano lo strazio dellʼanimo suo; anche in sogno le appariva la figura malinconica di Ermanno che la rimproverava di aver fatta la sua infelicità.
Si alzò palliduccia ed abbattuta. Aprendo gli occhi ella si credette a tutta prima in Brescia, ma volgendo lo sguardo attorno si trovò in casa sua, nella sua camera lontana da lui, da lui che in quella notte di angoscia aveva imparato ad amare maggiormente.
Durante la giornata che le sembrò lunga e nojosa, rilesse varie volte la lettera di Ermanno; ciò lʼattristava vieppiù, ma anche quella tristezza aveva il suo lato gradevole, ed ella compiacevasi nellʼaccrescerla.—La sua casa, il suo giardino, i suoi fiori non avevano più per lei alcuna attrattiva; per tutto eravi un vuoto, ovunque vi mancava una cosa, e Milano, la grandiosa città col suo movimento era diventata per lei un deserto. Oh! Brescia nella sua semplicità le sembrava assai più bella! quei passeggi, quei colli verdeggianti le stavano sempre nella mente. Quanto migliore ella trovava la placida casetta dello zio Ramati! Là tutto era tranquillo, là ella poteva affacciarsi al balcone e respirar lʼaria della sera senza venir disturbata dallʼassordante andirivieni di carrozze.—Ripensando ai bei giorni colà passati, la giovinetta sospirava amaramente trovandosi come dispersa nelle vaste sale del suo alloggio.
La madre si accorse benissimo del cambiamento subitaneo operatosi nel carattere della figlia; ma non ne feʼ gran caso attribuendolo al dispiacere di aver lasciata la cugina Letizia; tuttavia cercò di distrarla conducendola ai passeggi, ai teatri, ovunque insomma vi fosse da impiegare bene il tempo.
Tutto fu vano.—Dopo alcuni giorni, Laura era rassegnata, ma non guarita, e sulle sue labbra più non comparve quel sorriso dʼingenuità che prima le era abituale. Lʼimpressione del distacco erasi alquanto scemata nel volgere di alcuni giorni, nullameno il suo pensiero era sempre rivolto alla cara Brescia, a lui!
Oh! la prima volta che si ama non si può conciliare il dolore colla necessità; collʼesperienza poi si ragiona di più, ma si ama di meno.—È questo un fatto incontestabile; lʼamore è tanto più grande quanto maggiore è lʼegoismo chʼesso inspira.—Laura era egoista, perchè amava per la prima volta, e mal sapeva adattarsi a soffrire.
Tuttavolta veniva a calmarla alquanto lʼidea che un giorno o lʼaltro conoscerebbe quel pittore Bresciano, amico intimo di Ermanno, ed in cuor suo la giovinetta anelava a quel momento, giacchè avrebbe potuto parlare di lui con altri, e ciò era già molto.—Eppoi unʼamico di Ermanno doveva essere necessariamente il suo, e già senza conoscere questo pittore ne sentiva simpatia.
Ma intanto per ora nulla valeva a distrarla.—La memoria di Ermanno era impressa nel di lei cuore, e la lontananza accrebbe quellʼaffetto già così grande.
Con dolorosa compiacenza riandava col pensiero al punto della sua partenza da Brescia, ricordava le sue lagrime, quel saluto scambiatosi dagli sguardi che rivelavano unʼinfinita di pene, una promessa di lunga fede. Rammentando quellʼistante la giovinetta sentivasi ancora inumidire le ciglia.
Madama Ramati potè dar passo per alcuni giorni alla mestizia della figlia quantunque fosse lontanissima dal supporne la vera causa; ma un giorno stanca di consolarla invano, le disse:
—Sii certa figlia mia che non ti condurrò mai più a Brescia. È giusto lʼaffliggersi per qualche tempo, ma infine bisogna pure essere ragionevoli.
Questa minaccia fece divenir Laura più cautelata, e dʼallora seppe nascondere in faccia aʼ suoi la sua mestizia.
Ritorneremo ad Ermanno che abbiamo lasciato triste e malinconico per la partenza di Laura.—Egli passò come dicemmo la notte sul balcone abbandonato aʼ suoi pensieri, ed allʼalba solamente si scosse per andarsene al riposo. Cercò invano unʼora di sonno essendo troppa la folla delle idee che gli facevano ressa nella mente. Allʼindomani si alzò molto abbattuto, e sua madre, premurosa come sempre, che aveva scoperta sulla di lui fronte la traccia di un affanno, lo interrogò in mille guise senza che egli volesse dirle ciò che lʼopprimeva.—La buona donna non seppe darsene pace, era troppo avvezza a vedere la serenità sul volto del figlio per istarsene tranquilla a quellʼimprovviso cambiamento.
Ermanno era per natura pochissimo robusto; la sua tempra troppo delicata, le forze sciupate dal lungo studiare in unʼetà in cui è necessario muoversi ed agitarsi.—Di più egli era stato più volte ammalato gravemente, e lʼultima malattia gli aveva lasciato la traccia di un pallore costante.
È facile immaginarsi la costernazione di quella povera donna nel vederlo tanto malinconico; ella temeva che ciò fosse causato da qualche indisposizione, epperciò non cessava di esortarlo a consigliarsi col medico; ma ohimè la scienza non sa ancor guarire queste afflizioni di cuore!
Passarono alcuni giorni senza che Ermanno desse un segno di miglioramento, e non si potrebbe ridire il dolore di quella buona donna nel leggere nello sguardo del figlio le tracce di una crescente desolazione.
Ermanno comprese i timori di sua madre, e talvolta sforzavasi al sorriso, ma il cuore di una madre non si può ingannare, e quel sorriso era maggior strazio per colei che ne conosceva lʼamarezza.
Alcuni giorni dopo la partenza di Laura, Alfredo si recò da Ermanno, e lo sorprese appunto mentre stava abbandonato sul seggiolone in preda alla sua mestizia.
—Buondì, mamma Alvise, sclamò Alfredo stringendole la mano, la salute è buona?
—Oh! per me, non cʼè male, rispose ella sospirando; ma Ermanno soffre.
—Oh diavolo! Che hai trovato di male?
—Non ci badare sai, rispose Ermanno alzandosi, la mia buona mamma si ficcò in testa che io debba essere malato, e non cʼè caso di farla ricredere.
—Voglia il cielo figlio mio che mʼinganni! Ma è un fatto che per esser sempre col broncio e di pessimo umore, bisogna aver qualche indisposizione.....
—Ma no, tuttʼaltro, non mi sono mai trovato tanto bene.
A tal risposta alquanto asciutta, la madre abbassò sospirando il capo, e riprese il suo lavoro.
—Meno male, sclamò Alfredo, la cosa infine non è tanto seria, e speriamo che fra qualche giorno tutto sia finito.—E volgendosi ad Ermanno soggiunse: Sono venuto da te, perchè ho molte cose a dirti. Prima di tutto mia cugina ha scritto, e fu un vero miracolo la sua sollecitudine; è tanto pigra!
Ermanno al sentire che Laura scrisse provò un indefinibile turbamento, e temette a bella prima che quellʼingenua giovinetta avesse fatta qualche imprudente[79] confidenza; era ansioso di sapere ciò che ella aveva scritto, ma in faccia ad Alfredo ostentò la più grande noncuranza.—Alfredo proseguì:
—Scrisse una lunghissima lettera a mia sorella, nella quale rammaricava la sua partenza da Brescia. È tanto carina quella fanciulla: e come scrive bene; ti farò vedere la lettera, cʼè da leggere per unʼora.—Ella cʼincarica di farti i suoi più distinti saluti, sono sue parole, e ti prega di non dimenticare la famosa romanza che le hai promesso.
—Ah! è vero, sclamò Ermanno come se si ricordasse appena allora.
—Oh! mostro, tu eri capace di dimenticartene! Decisamente di voi altri artisti cʼè poco da fidarsi; ma tu la farai ad ogni costo questa romanza.
Mamma Alvise non lavorava più. Appena sentì parlare della cugina di Alfredo fissò gli sguardi scrutatori sul volto del figlio; unʼidea le era balenata alla mente. Il cuore dʼuna madre non sʼinganna mai, e per quanta indifferenza abbia ostentata Ermanno, ella indovinò perfettamente quale fosse la causa di tanta mestizia. Egli aveva potuto ingannare lʼamico, ma non la madre.—Di questa scoperta la buona donna ebbe a rallegrarsi, e pensò che trattandosi non dʼaltro che dʼun poʼ dʼamore, non aveva a temerne serie conseguenze, confidando nel facile rimedio del tempo.
Alfredo continuò:
—Figurati con quanta ansietà ella attende quella musica.
—Hai ragione, rispose Ermanno, sempre con fare indifferente; nella settimana mi accingerò.
—Vʼha di più riprese Alfredo, la cuginetta ti prega anche a nome di sua madre di non dimenticarti di scrivere a Paolo per quei ritratti.
—Va bene.
—Articolo quarto, lʼintera famiglia Ramati, ti prega di recarti presto a Milano, ed incarica me di trascinarviti ove tu non voglia accondiscendere.
—Ne riparleremo poi, grazie tante.
—Quinto ed ultimo, la zia ti saluta particolarmente; ho finito.
Era tempo, giacchè Ermanno non ne poteva più, temendo ad ogni momento che Alfredo ne dicesse qualcuna grossa; e solo quando costui ebbe terminato sentì allargarsi il cuore.
—Oh! mi dimenticava di unʼaltro articolo: sclamò Alfredo: mia sorella ti pregherebbe di volerle continuare il corso di lezioni sospeso da qualche tempo, non si sa il perchè.
—Madamigella Letizia ha tutte le ragioni; verrò....
—Ed ora ho finito. Ricordati dunque della romanza, di Paolo e di mia sorella.
—Ma sì, mio Dio, non sono uno smemorato!
—Quanto meno, non dai saggio di buona memoria, rispose Alfredo.—Esci?
—Sì, disse Ermanno; ho due lezioni da dare.—Egli ne aveva abbastanza di essere sulle spine; fermandosi più oltre lʼamico poteva venir fuori con qualche altra storia, ed in faccia a sua madre ciò gli sarebbe dispiaciuto assai.
Uscì con Alfredo che lo accompagnò per poco, e quando Ermanno fu solo sì abbandonò alle riflessioni.—Laura si ricordava di lui, lo aveva nominato, e con prudenza; chissà quale impressione aveva fatta in lei la sua lettera! forse la poverina ne aveva pianto.
Ma fra tutto eravi una cosa che non permettevagli di gioire della buona memoria che ella serbava di lui. Egli sperava che Laura dopo quella lettera gli avrebbe scritto una parola almeno; ella conosceva il suo indirizzo,[81] nè ignorava certo che una sua lettera gli avrebbe fatto un gran bene. E perchè dunque non scriveva?
Per una damigella, se riesce difficile il ricever lettere, non lo è tanto lo scriverne; un pretesto qualunque basta per mandare alla posta un bigliettino. Tuttavolta per iscusarla, tentava di persuadersi non essere conveniente che una ragazza scrivesse ad un giovinotto, ma tale riflessione valeva assai poco—Quando si ama davvero si pensa forse alle convenienze? Ecco la sua logica.
—Quale reticenza può mai assalire una giovinetta, nello scrivere una lettera che può formare la felicità di un uomo?... Perchè quel silenzio, ella lo amava dunque sì poco da non poter superare dʼun grado le convenienze sociali?
A tali pensieri Ermanno si sentiva oppresso e passeggiava agitato e convulso; sensibilmente lʼidea predominante divenne quella che lʼaffetto di Laura fosse passeggiero, e fu preso da tale sconforto che ricadde tosto nella sua tristezza.
Lo sfogo nel cuore di un amico è gran sollievo, ma Ermanno ne aveva un solo in Brescia, ed appunto con quello non poteva confidarsi—Paolo era a Milano.... Ricordando Paolo, si sovvenne pure della lettera che aveva promesso di scrivere per invitarlo a passare in casa Ramati.—Ritornò a casa, ed ecco la lettera diretta allʼamico.
Caro Paolo,
«Ti scrivo sotto una triste impressione.—Da alcuni giorni mi pesa al cuore una rilassatezza sconfortante; da alcuni giorni sono assalito da tutte lo noie, oppresso dai più crudeli pensieri.—Chi mai lo[82] avrebbe detto? Poco tempo fa io ti scrissi lʼultima mia lettera collʼanimo pieno di felicità e di speranza, in allora non aveva unʼidea che non fosse un sorriso: lʼarte e mia madre erano il mio mondo, viveva di esse e per esse; ed ora mio buon amico, tutto è cambiato!
«Titubai qualche giorno a darti sì triste novella, ma infine non so più reggere al peso di tanti dubbi, ed ho bisogno di sfogare la piena dellʼamarezza che mi tormenta.—Permettimi dunque, mio caro Paolo, che nel tuo seno io volga un riflesso deʼ miei dolori.
«Lʼamore; quellʼeterno sentimento che da tutti i secoli agita i poveri mortali, quel misterioso senso a cui nulla resiste, incatenò me pure ad una vana illusione.—Mi sono opposto con tutte le forze, mi armai di tutta la mia abnegazione per combatterlo, ma indarno; io caddi e passai anima e corpo sotto lʼimpero del vincitore.—Ecco come.
«Ti ricordi di Alfredo Ramati nostro amico fin dallʼinfanzia? Fu egli involontaria cagione di tutto. Alcuni giorni fa, venne qui in Brescia una sua cugina che abita in Milano; e per farle cosa grata, Alfredo mʼinvitò a casa sua per fare un poʼ di musica.—
«Puoi figurartelo, vi andai; non so negar nulla a quel caro Alfredo che mi ama sinceramente.—Vi andai, ma io non avrei mai creduto di lasciare la mia pace in quella casa; non so dirti come, ma il fatto è che nella stessa prima sera, mi sentii stranamente commosso. Ritornai allʼindomani, e.... cosa vuoi che ti dica amico mio: Laura è una creatura celeste, e sono certo che appena la vedrai, ti piglierà desiderio di disegnare quella figurina sì delicata e gentile.—
«Per abbreviare; in capo a tre o quattro giorni mi accorsi di esser perdutamente innamorato di quella fanciulla; la fatalità volle che essa pure divida i miei[83] sentimenti; è tanto ingenua che mal seppe celarmi il suo segreto.—Oh! non lʼavessi mai scoperto! Lʼuomo è decisamente troppo ardito nelle sue aspirazioni, e non so come mai ho potuto concepire una sì strana follia; come mai unʼamore così insensato venne ad impossessarsi di me!
«Io aveva in mio soccorso la più salda ragione, ma ciò valse a nulla.—Ora essa è partita da sette giorni trovasi in Milano, da sette giorni, capisci la noia e lo sconforto mi tormentano, e questo povero mio cuore non ha più pace.—Lʼimmagine di quella giovinetta, le sue carezze, i suoi sorrisi mi rimasero impressi in quello slancio della fantasia che si chiama lʼanima.
«Dopo tutto; non è egli un sogno, un sogno molto, ma molto lontano da ogni ombra di realtà! Eppure io lo vagheggio questo sogno come una cara speranza.—Mio buon amico, tu più che nol sii ti ostini a parer scettico; ebbene sacrifica per poco il tuo sistematico dubbio e credi, credi che soffro, credi che amo. Che lʼidea del mio dolore tenga lontano dal tuo labbro il sorriso dellʼironia; non tutti sono forti, ed io ne dò chiara prova, io che mi sono smarrito nello sguardo di una fanciulla che ora per frutto dʼinesperienza crede dʼamarmi, e domani forse mi dimenticherà.
«Già prevedo il triste fine di questo episodio di amore; lo prevedeva prima ancora che il mio cuore ne subisse lʼinfluenza, e nonpertanto non seppi ritrarre il piede, ed eccomi vittima di una follia che io stesso deploro senza cercarvi rimedio.
«Si può forse amare unʼessere lontano? Dal canto mio sì, perchè nella continua lotta dellʼesistenza vidi cadere mille speranze deluse, perchè io posso isolarmi moralmente dalla società per dedicarmi in secreto al culto di una memoria; perchè io non temo più il fascino[84] lusinghiero del mondo.—Ma per lei la cosa corre ben diversa; giovane, nuova alle emozioni della vita, ne vagheggia le dolcezze; bella e ricca si accuserà un giorno di essere stata ben sciocca a cercare la luce nelle tenebre. Al primo sorriso di qualche elegante della capitale si scorderà dellʼoscuro artista che vive nel fondo di una provincia. Nellʼappariscenza dei saloni brillanti a cui le danno largo accesso i suoi pregi, e la sua dote, le svaniranno dalla memoria, financo le mie sembianze, ed un giorno forse incontrandomi cercherà nelle sue reminiscenze per rammentarsi dove e quando mi abbia veduto.
«È doloroso a dirsi! e non pertanto mi abbandono alla corrente per ciò solo che non avrei nè la forza nè la volontà di ritirarmi; mi abbandono al mio sogno, assaporandone tutte le illusioni.—Chissà che un giorno io non mi svegli guarito! Lo spero perchè questa guarigione mi è necessaria; perchè ho bisogno della mia pace per istudiare, giacchè lʼarte oramai non ha per me più nessun conforto.
«Lʼamore immenso della mia povera madre mi
lascia ancora un vuoto nellʼanima. Io la veggo questa
buona donna addolorarsi per la mia mestizia; ella
teme che io sia malato, epperciò mi usa mille attenzioni;
la sua vita è di affannarsi per cercarmi qualche
conforto; ma io non le dirò mai la causa del mio
male. Ella sarebbe gelosa di colei che le invola tanta
parte del mio affetto.—
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
«Passo ora alla seconda parte della mia lettera. Nel breve soggiorno che fecero Laura e sua madre in Brescia ebbimo occasione di parlare di te, e la stessa madama Ramati mi pregò di scriverti onde invitarti a passare da lei per alcuni ritratti.—Il signor Ramati, che forse tu conoscerai abita in via...
—Unisco le mie alle loro preghiere, e sono certo che non mancherai dʼandarvi: credo inutile dirti che se farai il ritratto di Laura, ne desidero ardentemente uno schizzo.
«Mi raccomando dunque a te, e perdonami se alle volte ho potuto colla presente, non dirò annoiarti, ma involarti un tempo prezioso. Reciproca confidenza fu il patto di nostra amicizia, e nel tuo cuore io rinvenni sempre un tesoro di conforti; tu invece non ne abbisogni, sei felice, e che il cielo ti conservi quella felicità come te lʼaugura con tutta lʼanima il tuo
Ermanno.»
Paolo Franzoni pittore, era un giovinotto smilzo e magro sui ventisei anni. Lʼelogio che di lui aveva fatto Ermanno, non era punto esagerato, e giovine ancora egli godeva di bella fama—Per vaghezza dellʼarte aveva abbandonato Brescia, e recatosi a Milano ove aveva fatti i suoi studii, impiantò sulle prime un piccolo studio che andò a poco a poco ingrandendosi grazie alle frequenti commissioni, talchè Paolo dopo un anno fu costretto di lasciare la sua dimora al fondo di Porta Romana, per portarsi in luogo più centrale.
Allʼepoca in cui Ermanno gli scrisse la lettera che abbiamo vista, il nostro pittore occupava un modesto alloggio in via di Brera—In quanto a carattere egli era giovialissimo; la mestizia anche passeggiera non era per lui. Aveva dello spirito, e ne faceva buon uso nella società che ei frequentava.
Riesciva mirabilmente nei ritratti che sapeva condurre con rara maestria; guadagnava molto, ma spendeva tutto, e bene spesso ricorreva alle sovvenzioni di suo padre, agiato negoziante Bresciano.
Paolo aveva un cuore eccellente ed amava molto Ermanno a cui era legato in amicizia fin dallʼinfanzia, nè passava mese senza che essi si scambiassero almeno un paio di lettere—Il racconto degli amori dellʼamico aveva alquanto eccitata la sua curiosità,[87] per cui fu più sollecito a recarsi in casa Ramati ove venne accolto con tutta famigliarità e dimestichezza.
Ermanno frattanto aspettava, aspettava sempre. Da dodici giorni Laura era partita, da dodici giorni ella aveva letta la sua lettera senza nemmeno rispondergli parola. Tutta le mattine correva alla posta colla speranza nel cuore, e ne ritornava oppresso e desolato a mani vuote—Possibile che ella lo avesse assolutamente dimenticato? Possibile che tante promesse e tante lagrime non avessero serbata una traccia nel cuore di lei?
Talvolta temeva di averla offesa colla troppa sincera confessione deʼ suoi dubbi; ma non era forse anche quella una prova dʼamore? Egli sperava che Laura tenterebbe di disingannarlo rispondendo aʼ suoi timori con assicurazioni dʼaffetto che gli avrebbero fatto un gran bene; ed invece, nulla, nulla affatto; non si degnava di scrivergli una parola.
Invano egli cercava una qualche scusa per giustificarla, ma pur troppo non ne rinveniva alcuna. Quel silenzio rivelava una barbara indifferenza, una crudele dimenticanza.
Un mattino finalmente si realizzarono i suoi desideri. Recandosi alla posta trovò due lettere al suo indirizzo; entrambe venivano da Milano, una la conobbe, era di Paolo; lʼaltra era quella tanto aspettata di Laura.
Prima ancora di leggerla, Ermanno ne voleva indovinare il contenuto. Si prova gran piacere nel prolungare una dolce emozione! egli bruciava dalla voglia di rompere il suggello di quella letterina; nondimeno volle prima leggere lʼaltra di Paolo: eccola:
«Mio caro Ermanno
«Se tuttʼaltri mi avesse scritta una lettera del genere della tua, ti giuro che non avrei saputo trattenere le risa; ma tu sei il mio primo e più caro amico, epperciò ti feci grazia.
«Che vuoi? le mie idee sullʼamore sono tuttʼaffatto opposte alle tue, ed è forse per ciò che non so comprendere come mai si stia tanto male allorchè si è innamorati—Secondo i miei principi si ama per stare allegri, per avere una distrazione piacevole; lʼamore per me è un mezzo, non uno scopo. Sarà un cattivo metodo il mio, ma è evidente che in vista delle malinconiche idee che tʼinspira la tua passione, è preferibile dʼassai la mia libertà.
«Per conto mio ti assicuro che tutte le donnine a cui faccio la corte potrebbero tradirmi in massa, senza che perciò si alteri la mia mente, e si scemi il mio appetito—Ma tu sei dʼunʼaltra tempra; tu abbisogni di forti emozioni, di palpitazioni violente, e lascia o caro Ermanno che su questa tua debolezza io sparga una lagrima di compianto—Se la fede e la sensibilità conducono al mal partito di soffrire di giorno e non dormire le notti, io preferisco il mio scetticismo mercè cui non posso seriamente attaccarmi alle gonnelle di una donna.
«Dopo tutto il mio benessere a questo riguardo, non deve farmi dimenticare la tua disgrazia; ma non so capire come mai con tutte le tue belle previsioni sulle spiacevoli conseguenze di questʼamore, ti sii abbandonato in braccio ad una speranza che tu stesso riconosci infondata—Permettimi di dirti che hai commessa una vera imprudenza abbandonandoti alla speranza di un bene colla certezza dʼilluderti.
«Ma già, quel che è fatto è fatto; tu sei innamorato sul serio, ed allorchè il male è incurabile tace il consiglio per lasciar passo al conforto—Io credo dunque colla più profonda convinzione alla realtà del tuo amore, credo perchè non si può scrivere una lettera del genere di quella che mi mandasti senza avere il cuore palpitante a grande velocità; farò di più, credo anche che pur troppo non ti caverai sì presto la spina che ti punge; e non so tacerti che sarebbe bene se tu dubitassi alquanto... ma io prevedo che tu già muori dʼimpazienza, e vengo allo scopo.
«Due giorni dopo ricevuta la tua lettera mi recai in casa Ramati ove fui ricevuto dal padre col quale avevo qualche conoscenza per ragioni di famiglia; venni tosto presentato a madama, ed a madamigella—La verità è il mio forte—Laura è bellissima, e la pittura animata che me ne facesti non esagera punto. Osservai inoltre che quella ragazza mi ricevette con un sorriso che voleva dirmi: Voi lo conoscete!
«Fui accolto benissimo, con tutta famigliarità, e ciò mi piacque assai. Madama Ramati è di una bontà senza pari; abbiamo chiacchierato insieme una buona ora parlando di Brescia, e di te; la cosa è naturale—Vʼha di più, se lʼetà di madama non sommasse ad una cifra alquanto rassicurante, sarei tentato di credere che questa signora fosse innamorata di te. Mi parlò con tanto ardore della tua abilità al pianoforte e deʼ tuoi bei modi, da soverchiare gli elogi di madamigella Laura che non si faceva scrupolo di arrossire ogni qual volta si pronunziava il tuo nome.
«Da unʼora tu eri il protagonista della conversazione, ed in fede mia fui tentato da credere che tu mi avessi colà mandato per assistere alla tua apologia—Finalmente madama mi parlò dei ritratti mostrando[90] vivo desiderio che mi accingessi al più presto allʼopera, ed io persuaso di farti piacere non mi feci aspettare dʼavvantaggio.
«Da alcuni giorni lavoro dietro al ritratto della madre, in seguito farò la figlia ed il papà. Mi fu assegnata una bella camera per portarvi lʼoccorrente, e ti assicuro che il tempo delle sedute passa di volo; tanto più che ormai sono trattato come unʼamico di famiglia.
«Madamigella Laura, lo ripeto è veramente bellissima, ma mio Dio! giacchè eri sulla strada potevi addirittura innamorarti di una ragazza che giuochi alla bambola—Lʼamore che tu intendi di dedicarle è peso troppo grave per tal fanciulla—Queste verginelle ingenue commettono colla massima indifferenza le più gravi iniquità amorose: guardatene bene amico mio; è un frutto prematuro quello che tu vuoi cogliere, e sà di agro—Io leggo in quegli occhi cilestri una grande instabilità di carattere: dʼaltronde rifletti che alla sua età tutto è passeggiero—Nella terra troppo vergine non nasce neanche lʼortica, e dal canto mio ti permetterei di nutrire per quella ragazza tuttʼal più unʼaffezione paterna.
«Eppoi la distanza che ti separa da lei, se non è insormontabile, è quanto meno grave—In fede mia se non ti conoscessi per unʼartista entusiasta e sognatore, supporrei facilmente che tu abbia tirato un buon colpo—Capperi centomila lire, ed unʼeredità certa sono un bel boccone!
«Ma io lo so che tu sei troppo nobile perchè una simile idea ti passi per la mente; so altresì che io predicherò al deserto, e che le mie parole saranno sciupate come la goccia dʼacqua che cade in una fornace ardente.
«Fa del tuo meglio; non ho altro a dirti—Se[91] verrai a Milano, come non dubito, ricordati che ho una camera preparata per gli amici, e perdonami se abusando dalla nostra amicizia, mi permetto di darti certi consigli che ti auguro con tutto il cuore di poter mettere in pratica.
«Paolo»
Ermanno terminò quella lettera traendo un sospiro—Pur troppo lʼamico divideva la stessa sua diffidenza riguardo a quellʼamore insensato, e come per scacciare le tristi idee che lo assalivano, passò subito alla lettera di Laura—Ruppe il suggello, ed estraendo il foglio dalla busta, fu primo suo moto di guardare quante fossero le pagine scritte; indi lesse:
«Ermanno!
«Perdono al tuo dolore lʼamarezza delle tue parole, ma non so tacerti che quella crudelissima lettera mi fece molto male—Io non so qual sia quella triste esperienza che tʼinsegna tante brutte cose ed oscura i tuoi pensieri, ma so che la tua lettera mi fece piangere amaramente, so che il mio povero cuore ebbe a soffrirne assai!
«Non ti rimprovero no le mie lagrime, tutto ciò che mi viene da te e per te mi sarà sempre caro; anche il dolore; ma che io non senta mai più dal tuo labbro così neri pronostici. Dubita finchè vuoi della tua fede forse troppo isterilita dalle peripezie della vita, ma per pietà non condannare alla mia nel suo primo nascere!
«Mio buon amico: io vorrei poterti infondere parte di quella speranza che ravviva lʼanima mia, vorrei poter dissipare dʼun tratto le nere nubi che ti offuscano[92] la mente, ma sento che tutto sarebbe vano, e tale certezza raddoppia il mio dolore—Perdono alla crudeltà deʼ tuoi detti, perchè scorgo in essi una vera prova dʼamore, ed ho fiducia nel cielo che a forza di costanza gli amari tuoi dubbi verranno cancellati.
«Tu dici che il mondo e le sue attrattive distruggeranno nel mio seno financo la memoria di te, ed io ti giuro, o mio Ermanno, che dal giorno della mia partenza, sento che lʼamore per te, si accrebbe immensamente.
«Il mondo! Ma lo curo io forse!... Da sedici giorni sono in Milano, e me ne accorgo solamente perchè tu non sei meco. Ingrato, credi tu dunque che io sia tanto leggiera? Non meritavi davvero che io piangessi nel lasciarti, giacchè tu hai sì poca fede in me!—O credi al mio amore, ovvero ti dirò: rendimi la mia pace, io era felice, contenta, ignorava cosa fossero le aspirazioni del cuore; ed ora sono malinconica, addolorata ed infelice! Rendimi quel sorriso che mi hai rapito; io lo cerco invano dacchè abbandonai la casa della cugina.—
«—Spesso la mammina mi rimprovera per esser io distratta, annoiata, e procura con mille modi di richiamarmi allʼallegria: ma tutto indarno! Quei piaceri che una volta erano la mia vita, ora mi sono indifferenti affatto; più nulla vale a rallegrarmi lontana da te.
«Oh Ermanno se tu sapessi quanto ardentemente io desidero dʼaverti meco, non avresti al certo scritta una lettera tanto crudele!—Ovunque io ti vedo, ovunque parmi di udire il suono della tua voce; alla sera mi è di gran conforto il rinchiudermi nella mia camera, e là mi abbandono in balìa del mio pensiero che subito mi trasporta in Brescia al tuo fianco. Parmi vederti e parlarti, e sento risuonare dolcemente per[93] lʼaria le soavi armonie che tu solo sai trarre dal pianoforte.—Perchè scuotendomi dal dolce letargo mi trovo sola e cogli occhi lagrimosi?
«E dopo tutto, potrai tu ancora dubitare del mio amore! Te lo giuro Ermanno, il mio carattere ha subito in breve tempo una strana trasformazione; non sono più una fanciulla senza pensieri, la mia mente si è dʼun tratto illuminata, e guardando addietro sul tempo trascorso mi accorgo di aver fatto un gran passo nella vita.—Tu mi porgesti mano per guidarmi sulla via della vera felicità che trova unʼeco nel cuore, e mʼinsegnasti colla mestizia del tuo sorriso un mondo di delizie da me ignorate.
«Dimenticarti tu dici? Oh! mai, mai mio Ermanno; e questa mia promessa che emana dallʼanima, abbila per cancellare ed abbattere i tristi pensieri.—Che importa a me delle ricchezze, del lusso, delle sale dorate? Io ti amo, e questa parola è la più eloquente protesta che io sappia trovare contro la tua incredulità.—Oh! tu non sai quanto più grande mi sembri dʼogni uomo anche da lontano.—Credimi Ermanno, la supremazia che tu prendesti in questo povero cuore, è troppo grande perchè io non possa dimenticarti per tutta la vita, e ti assicuri il giuramento che ti faccio al cospetto di Dio, di amarti sempre come lʼessere a me più caro.—
«Credi tu che il mio cuore non sia capace di nutrire un lungo affetto?.... Finora che io sappia non ti diedi ancora il minimo dubbio sulla mia costanza, e tu non puoi nè devi anticipatamente condannarmi.—Chissà quello che avverrà di noi. Ma qualunque cosa sia per accadere, sento che tu sarai sempre lʼoggetto deʼ miei più cari pensieri.—Il cielo non può avermi male di questo affetto che mi avvicina maggiormente ad esso, Dio non potrebbe punirmene se[94] non mi ha data la forza di resisterti..... Io pure tentai di non soccombere, ma fui rapidamente sconfitta; lʼunico rimorso che mi aggrava la coscienza, si è quello di celare a mamma questo segreto, e tʼassicuro che spesse volte allorchè la vedo mesta per la mia mestizia, mi viene una gran voglia di tutto confessarle.—Ella mi perdonerebbe, ne sono certa; mi ama tanto!
«Che hai tu fatto Ermanno di questa povera Laura? Io sono ben stranamente cambiata, giacchè mi rubasti col cuore quel poʼ di senno che aveva.—Mentre ti scrivo, sento che ho mille e mille cose a dirti, ma tutte mi attraversano il pensiero senza che io possa afferrarne una.
«Eppure ieri stando in giardino sola per pensare a te, mi venivano in mente un mondo di concetti, e se allora ti avessi scritto, quante belle cose avrei saputo dirti!—Ed ora che sarebbe necessario un aiuto a queste mie povere idee, più nulla; mi succede precisamente come allorquando tu venivi a trovarmi in casa della cugina: prima di vederti avevo gran che da dire; la sola tua presenza mi turbava talmente da togliermi financo la parola.
«Io guardo invano questa penna che mi sta fra le dita come per spronarla a scrivere, ma tu sei entrato nella mia mente, e ne occupasti tutti i punti.—Ho io forse torto se tu distruggi tutti i miei pensieri, se la mia memoria non trova più una di tutte le belle idee che mi nascono nella meditazione? Ma giacchè tu sei causa di questa impotenza sopportane le conseguenze e perdona se non so trovare altra parola di quella che esprime il mio amore: ti amo!...
«Io non vivo che della tua memoria e della speranza di presto rivederti. Non so se torneremo presto a Brescia, ma tu dovresti venirci a trovare in Milano; ieri ancora ho pensato ad una tua visita, e mi parve[95] dʼindovinare che tu verrai.—Il tuo amico signor Paolo me lo fece sperare; deh! fa che sia presto.
«Molte volte parliamo di te colla mamma, e ti assicuro che anchʼessa ti vedrebbe molto volontieri: stamane ancora facevamo il tuo elogio ad una signora di Milano amantissima della musica. Insomma per una cosa o per lʼaltra io trovo sempre mezzo di parlare di te.
«Vieni adunque. Io ti aspetto per dirti tutto ciò che la penna non sa scrivere; vieni per accertarti della fede della tua povera Laura, per dissipare quei tristi pensieri che ti assalgono nella tua solitudine; vieni ad accertarti che io ti amo sempre, e più di prima!
«La tua presenza sola potrebbe riconciliarmi alquanto con questa noiosa città.—Ho bisogno di vederti per svelarti tutte le dolcezze di cui ti sono debitrice, per farti noto il secreto dei miei pensieri.—Tu vedrai la mia camera ove passo le notti sognandomi a te vicina, il mio giardino di cui ogni fiore mi rammenta un sospiro a te diretto.
«Spesso trasportata dalla corrente del pensiero parmi di essere in quello della cugina Letizia, e figurandomi che tu debba venire da me, raccolgo un mazzo deʼ miei fiorellini come per presentartelo alla tua venuta.—Li porto nella mia camera, e me li vedo appassire tra le mani senza che tu li ravvivi di un tuo sorriso.
«Serbi tu ancora quel mazzolino che ti diedi quella sera in casa della cugina? Lo spero, anzi ne sono certa. Benchè appassiti quei poveri fiori ti ricorderanno quei giorni felici in cui le nostre mani potevano stringersi, i nostri sguardi favellarsi.—
«Ho sempre sul seno la medaglietta di tua madre, ed ogni sera la bacio con trasporto pregando Dio di[96] conservarti alla mia tenerezza, e di tenermi sempre viva nella tua memoria come tu lo sei nella mia.
«Da alcuni giorni il signor Paolo viene in nostra casa.—È unʼamenissimo e garbato giovane, mi piace assai; e come non mi piacerebbe un tuo amico che mi parla spesso di te? Egli ti ama molto, e mi promise di scriverti per invitarti a venirci a trovare.
«Questo caro signor Paolo è diventato ormai di casa, ed è per me gran ventura.—Io sono certa che tu verrai presto a vedermi, e ricordati che io vivo di questo desiderio.
«Non tʼincarico deʼ miei saluti per la cugina Letizia, perchè non si deve sapere che io ti abbia scritto; neanche mamma lo sa, e davvero ne ho qualche rimorso. Ma se si tratta di far del bene a te, ho la forza di superare ogni scrupolo, purchè io riesca a persuaderti che il mio cuore è tuo, che la memoria di te non si cancellerà mai da questʼanima.—Addio mio Ermanno! Io prego ardentemente il cielo affinchè vengano dispersi i dubbi crudeli del tuo cuore, e spero che ti verrà finalmente concessa quella fede che forma lʼunica gioia della tua.
Laura»
Non si poteva dire di più, la lettera di Laura era inspirata dalla fede più profonda, dal più fervido amore. La confusione che regnava in quelle idee palesava chiaramente lo stato di unʼanima che aprivasi con tutta tenerezza agli slanci ineffabili di un primo affetto.
Non sarà necessario il dire che la lettera di Laura fece dimenticare affatto quella di Paolo, ed il giovane pittore non fu mai tanto felice nelle sue previsioni come quando scrisse: So altresì che io predico al vento e che le mie parole saranno sciupate.—Ma chi mai potrebbe far colpa di una tale dimenticanza al povero Ermanno dopo di quanto gli scrisse Laura? Lʼamico poteva aver tutte le incertezze su quellʼamore, ma la rivelazione della giovinetta era troppo eloquente e spontanea, perchè finalmente Ermanno non si abbandonasse alla fede.
Unʼincredulità più a lungo portata non si addice ad un cuore sensibile ed entusiasta.—Lʼultimo lembo di barricata dietro cui Ermanno erasi trincerato venne distrutto; in tal caso trovandosi esposto e scoperto al fuoco nemico, era miglior consiglio ceder le armi e capitolare.
Così fece egli, si arrese rassegnato allʼinfluenza troppo grande che esercitava su di lui la memoria di Laura; e recandosi a casa, piena la testa di mille idee,[98] pensava seco stesso quando potrebbe fare una gita a Milano.
Decisamente egli aveva una faccia molto più allegra, giacchè sua madre nel vederlo entrare, mandò unʼesclamazione di gioia, e gli corse incontro chiedendogli se si sentisse meglio.—Ermanno difatti era di molto sollevato, il ritardo di Laura nel rispondere gli aveva destato nellʼanimo crudeli sospetti che tosto si dileguarono alla lettura di quei cari accenti.
Occorre forse dirlo? Appena si trovò solo, rilesse varie volte quella lunga lettera; ed in ogni parola parevagli di trovarvi un nuovo senso confermandosi viemmeglio nella certezza di essere amato.
Noi cerchiamo invano per la mente qualchecosa da paragonare alla felicità di Ermanno, ma non è possibile di trovare idea che vaglia appena a darne sembianza.—Amato! questa parola che per sè stessa non esprime che un sentimento naturale, porta seco tanto prestigio, racchiude tante dolcezze e diciamolo pure tante illusioni, che lʼanima di chi ne risente lʼinfluenza si commove fino al delirio.
La lettera di Laura portò un lungo riflesso di felicità ad Ermanno, che per qualche giorno visse si può dire di essa; ma pur troppo anche la felicità diventa abituale, e dopo poco tempo, non bastavano più a consolarlo alcuni pensieri scritti sulla carta, e lentamente ritornò alle sue malinconie.—La madre non fu tarda ad accorgersi della ricaduta, ed aveva non pochi timori, tanto più che da qualche tempo la salute di Ermanno erasi sensibilmente alterata. Quegli slanci troppo arditi, quelle emozioni troppo profonde, danneggiavano quel corpo già per natura fragile e malaticcio.
Ormai per quella donna non era più un mistero lʼamore del figlio; lʼaveva veduto più volte con quella[99] lettera in mano; dallʼultima visita di Alfredo che si era tradito con quelle parole, aveva studiato attentamente tutti gli atti di Ermanno; rimarcò la sua agitazione prima di ricevere la lettera, poi quel mutamento improvviso; e mille altre inezie che non sfuggono allʼocchio di una madre.
Stanca infine di vederlo sempre di malumore, e colla speranza di usare un buon consiglio, ella gli disse un giorno:
—Figlio mio, tu lavori troppo, ed il caldo della stagione non è propizio alle lunghe occupazioni.—Dovresti divagarti alquanto, fare un viaggio.—Giacchè lavori tutto lʼanno, è pur giusto che ti prenda qualche passatempo.
Ermanno per quel giorno nulla decise, ma allʼindomani, quando la madre gli rifece la stessa proposta, le rispose che aveva stabilito di recarsi per qualche giorno a Milano.
—E quando partirai? chiese ella sorridendo.
—Oggi è martedì..... partirò sabato.
Subito dopo scrisse a Paolo avvisandolo della sua decisione e del giorno della partenza.—Nei pochi dì che gli rimanevano, Ermanno si mostrò tuttʼaltro che tranquillo; lʼimpazienza lo dominava, e parevagli che il tempo scorresse più lento del solito. Al venerdì divenne alquanto più calmo, ed egli ne trasse profitto accingendosi subito a comporre la Romanza promessa a Laura.
La notte tra il venerdì ed il sabato gli parve eterna, ed è proprio vero che il desiderio è sempre osteggiato dal tempo.—Sarebbe assai arduo il descrivere lo stato dʼanimo di Ermanno in quella notte così lunga passata quasi intieramente in una veglia agitata. Egli stesso era incapace di farsi un pensiero ordinato e chiaro nella mente; tutto gli appariva confuso e parevagli[100] perfino che la memoria di Laura fosse estranea a quella confusione.
Finalmente apparve lʼalba sospirata, e siccome il convoglio per Milano partiva di buon ora, Ermanno si alzò tosto. La madre gli aveva fin dalla sera precedente preparata la malla, per cui allo spuntar del sole il nostro giovinotto era pronto per la partenza.—Salutò la madre colla gioia nellʼanimo dicendole:
—Addio mamma..... a rivederci presto.
—Non prenderti troppa premura, rispose ella, divertiti fin che puoi. Nella giornata passerò ad avvisare i tuoi allievi della tua partenza.—Scrivimi una parola se ti fermerai più dʼuna settimana..... Abbi riguardo alla tua salute.....
—Non dubitare; addio.....
E baciandola in fronte Ermanno se ne andò alquanto commosso. Per via era agitato da molti pensieri, e camminava senza quasi avvedersene; parevagli di essere in mezzo ad un sogno, ma frattanto era giunto alla stazione, e la chiamata della campanella lo persuase della realtà.—
Non staremo certo a narrare lʼemozione del viaggio.—Ognuno può facilmente immaginarsi, che per quanto veloce procedesse il convoglio non si appagavano punto le esigenze di Ermanno che era in preda allʼimpazienza. Affacciato alla finestra, respirava lʼaria fresca del mattino e dappoichè le mura di Brescia erano scomparse, egli rivolse lo sguardo sulla direzione di Milano anelando di giungervi presto.
Giammai in vita sua egli fu tanto contento. Il cielo gli pareva più bello, lʼaria più pura, la terra più ridente; il panorama dei bei paesaggi che sfilavano innanzi agli occhi suoi, aveva unʼespressione giubilante, e sembravagli che tutta la natura sorridesse salutandolo con felici augurii.—Dopo un viaggio di qualche[101] ora, apparve finalmente sul lontano orizzonte la guglia maggiore del Duomo dipinta colle più leggiadre sfumature.
A quella vista il cuore di Ermanno palpitò di gioja indicibile; man mano che si avanzava il panorama di Milano spiegavasi al di lui sguardo, ed infine un lungo fischio avvertì che la desiderata meta era toccata.
Da due anni egli non era più stato a Milano; il movimento sempre crescente di questa grandiosa città lo rese alquanto confuso, tra la gioja e la premura nel discendere, mal sapea quel che si facesse.—Certamente chi è abituato alla tranquillità della provincia, rimane non poco stordito davanti al fracasso e la confusione predominante in una stazione come quella di Milano allʼarrivo di ogni convoglio.
Quellʼirruzione straordinaria di vetture dʼogni genere le grida dei conduttori dʼomnibus e cittadine, frammiste al fracasso dei carri ed al chiacchierio della folla portano uno sconcerto tale che dallʼudito passa al cervello, e lo confonde stranamente.—Sortendo dal vestibolo esterno, Ermanno sentì stringersi per il braccio, e voltandosi vide Paolo.
—Ah! finalmente, disse costui, era tempo che tu venissi a farmi una visita; ed i due amici si strinsero affettuosamente la mano.
—Tua madre sta bene?
—Egregiamente.
—Quali novità porti da Brescia!
—Nessuna che io sappia; tuo padre lʼho visto jeri, e mʼincarica deʼ suoi saluti.
—E tu testardo che sei, perchè farti desiderar cotanto? da Brescia a Milano non vi ha gran tratto.
—Eh mio caro, rifletti che mi riesce assai difficile lʼassentarmi, ho molte lezioni e capirai.....
—Dunque a quel che pare, fai buoni affari?
—Discreti.
—Spero peraltro che ti fermerai qualche giorno qui.—Ho una camera a tua disposizione; eppoi ci divertiremo sai, non dubitare. Davvero che sono ben contento di vederti! in così dire Paolo strinse nuovamente la mano dellʼamico.
Salirono entrambi nellʼomnibus per piazza del Duomo onde giungere più solleciti a casa; strada facendo la conversazione dei due amici si avviò comʼè naturale sul punto più interessante. Paolo per il primo disse:
—Giovedì ricevendo la tua lettera fui molto contento, e siccome non bisogna essere egoisti, così partecipai la notizia a madamigella Laura.
—Davvero? chiese Ermanno scosso a quel nome.
—Certamente, rispose Paolo sorridendo, le mostrai la lettera, e la poverina nel leggerla divenne rossa come brace per la gioia.
—Ma.... interruppe Ermanno; e la madre?
—Eh! via, rispose Paolo con un segno espressivo, non sono già un ragazzo.... consegnai la lettera mentre eravamo soli—Ciò ti sorprenderà, ma io sono più che intimo in casa Ramati, e davvero ti sono grato per avermi tu procurata lʼottima relazione di questa famiglia.
—Vai spesso a trovarli?
—Quasi tutti i giorni; quel signor Ramati è una perla dʼuomo, madama è gentilissima; in quanto poi a Laura, essa è tanto buona e bella che non mi sorprende punto se.... Paolo voleva dire di più, ma si accontentò di sorridere maliziosamente fissando Ermanno.
La carrozza si fermò, ed essi discesero incamminandosi verso casa; strada facendo Ermanno parlava poco; lʼidea di essere a Milano nella stessa città dovʼera[103] lei, di respirare lʼaria istessa; il pensiero che era possibile anche incontrarla per via, gli cagionavano grande emozione.
—Ecco la mia casa, sclamò Paolo additando al terzo piano di un bel palazzo. Andiamo prima a far colazione, e poi ti farai pulito giacchè per le dieci ho promesso di condurti in casa Ramati.
—Come? chiese Ermanno, dicesti che madama sa nulla del mio arrivo.
—Ma no, hai mal compreso, a madama non ho consegnata la lettera, perchè non era necessario, nondimeno stimai bene prevenirla—Ella pure se ne mostrò soddisfattissima; ma il più bello si è che Laura da giovedì, vale a dire dacchè sa del tuo arrivo, è fuor di sè dalla gioia, e quasi quasi mʼavrebbe abbracciato quando glie ne diedi novella.
—Ti piace adunque quella giovinetta?
—Che vuoi? ho per lei una debolezza quasi paterna; mercè poi la tua influenza, io ho molto acquistato nella di lei amicizia. Più volte fu sul punto di farmi delle confidenze; ma sempre se ne trattenne; sai bene, lʼaffare è delicato.... Però spero un giorno o lʼaltro di godere la piena confidenza di questa ragazza come ora godo la tua.—Anzi sono certo che tu avrai già fatto dei calcoli su ciò....
Ermanno fece aria di sorpresa, e Paolo soggiunse:
—Non sorprendertene per carità! tanto più che questa parte di medium non mi è sgradita. Io credo che ingenuamente a questʼora dubiti di doverti valere di unʼamico in questʼaffare, ma non tarderai molto ad essere del mio parere.
Così ragionando giunsero in casa di Paolo, ed Ermanno fu sorpreso dallʼeleganza di quel grazioso alloggio.
—Non ti faccia meraviglia, gli disse subito lʼamico,[104] se ti sembro un poʼ troppo ambizioso; è necessità per me che ricevo tanta gente di avere unʼappartamento discreto; ciò contribuisce a far sembrare meno caro agli avventori il prezzo dei lavori.
Passarono nello studio ovʼerano schierati vari ritratti.
—Hai dunque molto a fare? chiese Ermanno.
—Moltissimo, non so più ove voltarmi; e siccome penso anche a divertirmi alquanto, così la sollecitudine nel lavoro, non è il mio forte.
—E quando farai il ritratto di Laura?
—Ci sono già appresso; terminai quello della madre, ed ho subito cominciato lʼaltro. Le farò un ritratto monstre, come se lo merita quella bella testolina. Ne farò due, uno per te... glie lʼho già detto.
—Ciò non era necessario.
—Perchè no? mio caro, sapeva di farle piacere. Sta certo che me ne intendo io... mi fece un certo visino di ringraziamento quando glie lo dissi! Spero dʼaltronde che ciò non ti farà ingelosire. Intanto prima di tutto facciamo colazione, e poi non dobbiamo dimenticare che in questo momento il cuore della povera giovinetta palpiterà per incertezza, e non è bene lasciarla in unʼansia così crudele.—Animo dunque, sbrighiamoci, giacchè vedo che lʼaria di Milano ti stordisce.
—Abita lontano di qui il signor Ramati?
—Dieci minuti di cammino.
Poco dopo i due amici discendevano nella via. Paolo era allegro, e cantarellava con aria molto soddisfatta; Ermanno invece era molto preoccupato; dopo di aver tanto desiderato quel momento, si sentiva agitato ed inquieto, come se si trovasse in grande imbarazzo.—Lʼidea che fra brevi minuti egli la vedrebbe, che il suo desiderio più ardente stava per essere appagato;[105] il timore di non trovare in quella prima visita quelle dolcezze che si era ripromesse, lo turbavano assai, e camminava macchinalmente seguendo lʼamico che lasciavalo a suo bellʼagio meditare.
—Eccoci, sclamò Paolo fermandosi davanti al portone di un palazzo.
Tale parola scosse Ermanno che durante la strada percorsa, non aveva saputo trovare un accento che gli servisse dʼintroduzione.
—Coraggio, dissegli Paolo che aveva rimarcato quel turbamento; non valeva la pena di venire fino a Milano per tremare come tu fai. Pensa che ella ti aspetta, che ti vedrà con gioia, e tu potrai stringere quella graziosa manina.—Ah! briccone fortunato! Davvero che ti invidio.
Intanto erano giunti al secondo piano, e Paolo tirò audacemente la corda del campanello. Mancò poco che ad Ermanno si piegassero le ginocchia per lʼemozione, ed allorquando fu aperta la porta, venne preso da sì forte palpito, che gli tolse quasi il respiro.
Un servo introdusse i giovinotti in anticamera, indi andò ad annunziarli ai padroni.—Madama Ramati giunse per la prima, e corse tosto a stringere la mano di Ermanno sclamando:
—Era tempo, bel signorino che ella ci restituisse la visita.... Come va la salute? Che buone nuove ci porta da Brescia... Stanno tutti bene?
—Sì signora, rispose Ermanno quasi interdetto.
—Oh! come sarà contenta la mia Laura per la sua venuta! Ciò servirà a distrarla alquanto. Si figuri che dalla nostra partenza da Brescia, quella biricchina non si conosce più.
—Amor di patria! sclamò Paolo sorridendo.
—Perchè mai signor Paolo? Io credo che fra Brescia e Milano, non siavi da esitare nella scelta.—Se[106] mia nipote Letizia fosse qui, Laura ritornerebbe allegra.
—A proposito, mio cognato, sta bene? chiese ella volgendosi ad Ermanno.
—Credo di sì, dico credo, perchè da varii giorni non vidi più nessuno deʼ suoi parenti.
—Ma questa Laurina, che fa? domandò Paolo.
—Non tarderà molto, rispose madama Ramati guardando verso la porta.... Eccola!
Difatti Laura apparve sulla soglia raggiante di gioja; appena sʼincontrò in Ermanno, arrossì fin nel bianco degli occhi, e con uno slancio alquanto imprudente corse a stringere quella mano che egli le aveva stesa.—Tutto ciò senza pronunziar parola, e dʼaltronde noi non sapremmo trovare espressione più eloquente di quella stretta di mano fra due esseri divisi per tanto tempo che nella gioja dellʼincontro non trovano miglior accento di un rapido sguardo in cui si compendiano tutti gli affanni del passato.
Paolo frattanto aveva destramente attirata a sè lʼattenzione di madama, epperciò quel silenzio traditore di Ermanno e Laura passò inosservato.
Era degna di rimarco la metamorfosi operatasi in Laura. Pochi giorni erano scorsi appena dacchè ella aveva abbandonato Brescia, eppure in sì breve tempo la giovinetta aveva subita una trasformazione ben strana.—Quel senso delicato, fino e soave che si chiama amore, aveva impresse delle traccie visibili in tutta la di lei persona: non era più la ragazza ingenua di pochi giorni prima che Ermanno si vedeva innanzi, ma la donna nel suo più voluttuoso concetto, nel suo pieno sviluppo.
Quellʼeterno sorriso di soddisfazione che le brillava nello sguardo, aveva lasciato il passo ad una espressione di languore vago ed indefinibile, che rivelava[107] la lotta di una novità dʼidee.—La fronte disegnavasi con unʼaltro contorno, lʼatteggiamento del labbro esprimeva tuttʼaltro che lʼallegrezza; il volto insomma e tutta la persona di Laura avevano subita tal modificazione che accennava ad un repentino cambiamento di carattere.
Ne ciò è certo una novità, questo fatto si ripete tutti i giorni, e sembra quasi che lʼamore sia necessario più di ogni altra cosa allo sviluppo della donna.—Le ragazze dovrebbero serbare eterna gratitudine a colui che fu lʼoggetto delle loro prime cure affettuose, giacchè ad esso sono dovute quelle correzioni radicali del loro carattere; ed è solo per esse che il cuore incomincia quel dolce lavorio che tanto raffina e nobilita le secrete tendenze dellʼanima.—Il primo amore è il punto fondamentale dellʼeducazione della donna; tanto più puro e casto sarà lʼaffetto, altrettanto nobili e delicati saranno i primi germi del sentire che si manifestano a quellʼimpulso.
Il primo amore è per la donna una scuola di perfezionamento fisico e morale, la base della sua educazione, il punto che le traccia la via dellʼavvenire.
Ad Ermanno non sfuggirono tutte queste osservazioni, e rimase dolcemente sorpreso di quel mutamento improvviso sulle cui cause egli lusingavasi di non essere affatto estraneo.—Con vera gioia ei trovò nel di lei sguardo lʼespressione di una soave malinconia che rivelava lʼinfluenza di seri pensieri.
Quella trasformazione quasi miracolosa, mitigò alquanto le incertezze del povero Ermanno, che si era più volte accusato segretamente di aver consacrato il suo affetto ad una giovinetta che difficilmente poteva comprenderlo; ma ora non era più così; il mesto pallore di quel volto, la modestia di quello sguardo, le graziose movenze di quella figura, davano la più[108] ampia testimonianza della vittoria riportata dallʼamore sulle puerilità della giovinezza.—Laura non era più la fanciulla amata, ma la donna che amava.
Le prime parole tradivano la confusione delle loro anime, e scorgevasi palesemente che la piena della gioia non aveva trovato uno sfogo sufficiente in quella semplice stretta di mano.—A poco a poco però Laura prendendo lena e coraggio divenne più loquace ed espansiva; fece mille e mille pressanti domande ad Ermanno su tutto quanto egli aveva fatto durante la loro separazione, e parlando calorosamente non si accorgeva di stringergli spesso le mani, e di dimostrare forse troppo la sua allegrezza.
Madama Ramati non si sorprese punto della eccessiva espansività di Laura; anzi ne era molto contenta in cuor suo, pensando essere quella la prima volta dopo tanti giorni che sua figlia dimostrasse di essere lieta.
—Bisogna dirlo, sclamò essa volgendosi a Paolo, questo simpatico Ermanno, si fa da tutti amare, e la mia Laura è tutta gioia quando può vederlo.—
In quelle parole si racchiudeva unʼingenuità veramente materna, giacchè chiunque altro si sarebbe dʼun tratto avveduto che lʼintimità di Laura ed Ermanno era tuttʼaltro che il frutto di una semplice amicizia.—A giustificazione però della madre, si può addurre lʼaver ella sempre considerata la figlia come una ragazza lontanissima ancora dal prendere sul serio una relazione qualunque ella fosse. Il rapido cambiamento di Laura non sfuggì certo alla sua penetrazione, ma ne attribuì una causa più fisica che morale.
Tutto ciò è necessario dichiarare affinchè niuno possa supporre che la madre a quellʼepoca avesse qualche sospetto del vero; dʼaltra parte madama Ramati poteva esser ancora una bella donna, per cui ci[109] sarà permesso dire che una madre in tal condizione non pecca certo per eccesso di prudenza, ne può adontarsi per certe preoccupazioni innocenti che potrebbero ancora esercitare su lei qualche debole riflesso.
Madama Ramati si compiaceva dunque colla massima confidenza delle ingenue manifestazioni di Laura, e la lasciò liberamente favellare con Ermanno, certa che ciò le faceva gran piacere.
I nostri giovani innamorati dopo brevi minuti erano padroni del campo, nè si curavano di coloro che stavano presenti, e parlando di cose da nulla trovavano modo di inebbriarsi a vicenda dimenticando di essere alla presenza di altre persone.
Oh quanti sguardi, quanti sorrisi, quante promesse dʼamore vennero scambiati fra di loro!
Laura era raggiante di contentezza; parlava in fretta movendosi in mille guise, agitando le mani sorridendo, e sospirando in un punto; il colorito del di lei volto erasi animato di una tinta rosea eccitata dalla piena dellʼemozione. Sedeva sul divano accanto ad Ermanno, ma non conservava la stessa posa più di un secondo. Le sue mani erravano dappertutto, ora a scomporre le pieghe delle vesti, ora ad aggiustarsi i biondi capelli intrecciati con tutta grazia, ora tormentando una fila di perle che le cingevano il collo; e più spesso stringendo le mani del giovane con tutta effusione.
Non eravi moto o gesto che non tradisse lʼamore della giovinetta, ed Ermanno stava estatico a guardarla, anzi ad ammirarla, perchè in tutto quel disordine egli scopriva la reale esistenza dellʼaffetto. Quellʼinquietudine, quella febbre dʼagitazione provavano chiaramente il dilatarsi dʼun cuore che si sente vicino allʼoggetto desiderato per tanto tempo.—
Frattanto entrò il signor Ramati; eccellente persona di una bontà senzʼesempio, pacifico e tranquillo[110] quanto un patriarca. Ei conosceva già Ermanno, e mostrò vero piacere nel rivederlo.—Chiese nuove del fratello e di tutta la famiglia e volle ad ogni costo che i due amici si fermassero a pranzo.
—Ma signor Ramati, disse Paolo, voi pranzate alle due, e prima di quellʼora ci avanza un poʼ di tempo. Io ho qualche cosa da fare, esco ma ritornerò tosto, lascio qui il mio Ermanno in ostaggio, e sono certo che non potrei trovargli miglior compagnia in tutta Milano.
Fu dunque convenuto che Ermanno resterebbe da Ramati fin dopo il pranzo, e Paolo se ne andò, non senza prima di aver promesso formalmente a madama di ritornare.—Papà Ramati si ritirò pure poco dopo lasciando la moglie e la figlia a far compagnia al novello ospite.—La conversazione fra Ermanno e le signore durò animatissima per unʼora.
—Mi perdoni signor Ermanno, sclamò infine madama Ramati, vado a dare ordini per il pranzo affinchè quel maldicente di pittore non trovi da farne commenti.
—Se tu Laura ne avessi voglia, potresti dare una rivista alla Romanza che egli ti ha portata, sarà questo un ottimo impiego per passare il tempo.
—Se madamigella lo desidera.....
—Certamente, interruppe Laura, mi farà un vero piacere; con lei imparerò più presto.
—Fra breve verrò anchʼio ad assistere alla prova, e ad applaudire il maestro, disse madama Ramati sorridendo, e si ritirò.
Il pianoforte era in una sala attigua alla stanza da letto di Laura.—Due parole prima in elogio, allʼappartamento del signor Ramati.
Lʼalloggio occupava tutto il secondo piano del palazzo, e lʼinterno delle sale era addobbato con una straordinaria eleganza. Mobili, specchi, tappeti erano profusi colla massima prodigalità; vi era un ampio salone arredato in tutto punto allʼorientale, tappezzeria di velluto cremisi, cortinaggi di seta guerniti ai lembi da festoni dorati. Fiori, porcellane, bijou, e tutto quanto lʼarte dellʼaddobbatore può immaginare di bello e di elegante non mancava in ogni angolo di quelle sale.—
Ermanno rimase colpito alla vista di tanto lusso, e mentre attraversava quelle sale attirato per mano da Laura, parevagli di essere rimpicciolito al cospetto di quelle ricchezze, e provò un vero senso di dolore ricordandosi che egli abitava una meschina casuccia priva di ogni ornamento, povera di qualunque arredo.
La stanza di Laura era una piccola sala ove tutto era ridotto a graziose proporzioni; sedie piccole e leggiere come piume, tavolini gentili di legno prezioso intarsiato di finissimo lavorio.—Il letto era a foggia di conchiglia, lavorato con rara maestria, anchʼesso piccolo e gentile; al di sopra eravi unʼangioletto fisso alla volta che lasciava cadere dalle[112] sue manine ricche pieghe di seta che scendevano bizzarramente formando i cortinaggi di quel nido degno di accogliere nel suo grembo la madre degli amori.—
Un ricco tappeto damascato a vari colori copriva il pavimento rendendo il passo sdrucciolevole come se si camminasse sopra un tappeto di muschio—Le finestre di quella stupenda cameretta erano due prospettanti in unʼampio giardino. Era nelle ore del meriggio, regnava il più alto silenzio, e la luce opprimente del caldissimo sole veniva temprata dalle chiuse persiane; solo qualche barlume di raggio passando per le fenditure, andava a frangersi sopra i cortinaggi di seta color cilestre scuro, lanciando un magnifico effetto di luce per tutta la camera—
Si fu in quel paradiso che Ermanno venne introdotto da Laura che lo teneva sempre per mano sclamando:
—Ecco questa è la mia stanza da letto.
Ermanno non rispose; lʼaspetto di quella voluttuosa eleganza invece di destare la sua ammirazione, fece nascere in lui una sensazione penosa—Checchè se ne dica, il lusso impone anche a coloro che sdegnano di ammirarlo; attraversando quelle sale una più dellʼaltra ricca; abbagliato dal continuo luccicare delle dorature; stordito dal profumo dei fiori e delle essenze, il povero Ermanno pareva infatuato, e nellʼanimo suo, senza volerlo, riconobbe la gran distanza che correva fra lui e la ragazza che tenevalo per mano—Ad ogni passo svaniva quel fumo dʼorgoglio artistico che disconosce ogni disuguaglianza sociale, e quando pervenne nella camera di Laura, egli era al massimo grado di prostrazione, ed ebbe quasi ad arrossirne vedendosi trattato con tanta famigliarità da quella fortunata giovinetta a cui natura era stata prodiga di tutti i sorrisi.[113]—
Laura non si accorse della di lui confusione, nè avrebbe potuto comprendere perchè vi fosse da far le meraviglie alla vista di quella sontuosità che era per lei divenuta indifferente—Diciamolo pure a suo elogio, ella non ebbe il minimo intendimento di eccitare lʼammirazione del giovane col prestigio di tanto sfarzo. Troppo felice del momento, non seppe neanche comprendere il doloroso silenzio di Ermanno—
In un gabinetto attiguo eravi il pianoforte; Laura andò ad aprirlo ed invitando Ermanno gli disse:
—È tanto tempo che desidero di sentire il bel notturno Al chiaro di luna. Vorre....bbe ella compiacermi?
La giovinetta non aveva saputo superare il momento, ed evitò di parlare ad Ermanno con un accento che lo avrebbe tutto consolato. Ei sedette al piano ed ella gli fu subito accanto appoggiata leggermente sulle di lui spalle.
Ci vengano ora a negare la forza irresistibile dellʼarte; ai primi accordi Ermanno sentì modificarsi il suo dolore, e la triste impressione che lo dominava; continuò per pochi istanti a modular frasi melodiche, e quegli accenti dettati dalla fantasia erano come lo sfogo di un dolore che sensibilmente si dilata e svanisce.
Lʼarte è la natura, lʼanima dellʼartista; ed appena Ermanno abbandonò la mano al dominio della mente, narrò in concetti musicali la lotta che opprimeva lʼanima sua. Quello sfogo tanto necessario, rialzò il suo spirito, man mano egli ripigliava la sua individualità, e riuscì a sperdere completamente le penose impressioni che lo agitavano. Quando ebbe terminato si volse a Laura calmo e sorridente.
Laura non comprese il senso di quelle note, ma ne fu commossa, il suo spirito, erasi totalmente abbandonato[114] alle capricciose modulazioni armoniche. La musica era cessata, lʼultimo accordo, moriva oscillando mestamente, ed ella ancora non tornava in sè.
—Oh la bella musica! sclamò, è una qualche fantasia questa?... come si chiama?
—Sì Laura, mormorò sommessamente Ermanno prendendole le mani, è una fantasia senza nome che si potrebbe intitolare Il Ritorno della speranza; non è un volo della mente, ma un gemito del cuore che chiede: Ti ricordi sempre di me?...
La giovinetta si fece rossa in viso, abbassò modesta lo sguardo abbandonandosi languidamente sulle sue braccia, e mormorò con voce tremante e confusa:
—Oh Ermanno!... può ella... puoi tu dubitarne?...
Quel rimprovero racchiudeva in sè tanta ingenuità, tanto amore, che il giovane provò rimorso dʼaverlo provocato, e facendola sedere a lui di fianco soggiunse mirandola dolcemente negli occhi:
—Perdona Laura se la mia prima parola fu lʼespressione dʼun dubbio, ma io aveva tanto bisogno di sentire che la memoria di me non è puranco cancellata dal tuo cuore, che tu pensi qualche volta al povero ed oscuro artista che vive solo di te...
—Oh! sempre, Ermanno, sempre e per sempre! Come mai potrei dimenticarti se io ti vedo dappertutto, come, come obliarti se tu mi fai felice?...
—Sei tu sempre la stessa, ferma neʼ tuoi sentimenti? Ripetilo, ciò mi sarà di gran conforto nellʼavvenire—Dacchè tu lasciasti Brescia o Laura, io ho perduta la mia pace e tutto me stesso. Non so dirti la desolazione che produsse in me la tua lontananza, e dopo pochi giorni dʼinutile resistenza, eccomi qui a chiederti se ti ricordi ancora del tuo Ermanno.... Non esagero credilo dicendoti che tu prendesti il primo posto nel mio avvenire; non esagero dicendoti che mia madre[115] potrebbe essere crudelmente gelosa dellʼaffetto che ti porto; ma prima dimmi che in tutto questo lungo intervallo di separazione tu hai continuato ad amarmi!...
—Più di prima... Ma come fartelo credere mio Dio, se tanto radicato è il dubbio nellʼanima tua?... Ho molti rimproveri da farti; cattivo, scrivermi una lettera così brutta che mi fece piangere per due giorni—Come mai ti vennero in testa tante brutte idee, mentre a me succedeva tutto al contrario!...
—Ebbene, dimentica quella lettera per ricordarti solamente che ti amo!
—Non basta no dimenticare, signorino mio, rispose Laura stringendogli la mano, bisogna sconfessare, bisogna ricredersi di tutti quei neri pensieri... Animo dunque, non trovi una parola a tua giustificazione? Ben sapeva che tutto era frutto del dolore, pure mi fecero molto male le tue espressioni... Ma ora non parliamo di ciò; prima di tutto, quanto tempo ti fermi in Milano?
—Qualche giorno...
—Ma quanti?...
—Una settimana...
—Che coraggio! Una sola settimana!... oh! io sono certa che non partirai sì presto...
—È necessario Laura; per conto mio figurati se vorrei lasciarti, se ti lascierei mai... ma mia madre povera donna rimane sola, e ben vedi...
—Oh! sì, hai ragione... ti ama dunque assai!
—Immensamente...
—E tu?
—Puoi immaginartelo; è tutto ciò che mi resta della mia famiglia... non ho altri al mondo che pensi a me...
—Taci là, interruppe Laura chiudendogli la bocca, ora non si può più dire così... Ed io, io Ermanno non penso forse sempre a te... non ti amo io forse?
—Cara fanciulla!
—Dimmi dunque, hai ricevuta la mia lettera?
—Sì, e con che piacere; ma perchè tardar tanto a rispondere?
—Oh! dissʼella sorridendo, se tu sapessi quanta carta ho sciupata per quella lettera! Ne incominciai più di venti, e nessuna mi piaceva; non ero padrona delle mie idee... aveva tante cose a dirti, ed infine ho scarabocchiate varie pagine senza dir nulla—La tua lettera poi la so quasi tutta a memoria... Oh! Ermanno come scrivi bene, come la parola esprime giustamente tutti i tuoi pensieri—Io leggo e rileggo spesse volte quelle frasi scorrevoli, e parmi sempre di scoprirvi qualche nuovo concetto... leggendo le tue parole mi sembra di sentirti a suonare...
...Non saprei dirti quanto ansiosamente io attendessi dʼarrivare a casa in quella sera della mia partenza da Brescia; e tutto per aprire quella lettera che mi faceva morire dalla curiosità—Non dimenticherò mai più lʼemozione che mi cagionarono quelle pagine; piansi amaramente, e se tu fossi stato al mio fianco, avresti potuto convincerti di esser ingiusto... Ma ora perchè mai ritorno a quel tempo? ora che sei qui vicino a me, ora che ti stringo la mano... che sono tanto felice!...
Ermanno stava contemplandola religiosamente; non parlava, non rispondeva; ma collo sguardo pieno di dolcezza e compiacenza seguiva tutti i moti della giovinetta—Ogni parola di quel bel labbro gli sollevava un peso dallʼanima, ogni accento lo scuoteva in tutte le fibre—Lʼattenzione di Ermanno era come quella di una madre che ascolta sorridendo tutto ciò che le dice la sua creatura; e che dopo terminato quel puerile chiaccherio, non trova miglior risposta di un sorriso e di un bacio.
La voce soave di Laura, le sue ingenue espressioni dʼaffetto, sgorgavano spontanee dal cuore, ed egli lʼascoltava rapito come si ascolta una musica divina che empie lʼanimo di misteriose dolcezze.
—Laura! se tu sapessi quanto bene mi fanno le tue parole, ne diverresti orgogliosa!—Grazie a te fanciulla, angelo mio che rialzi il mio spirito e lo sollevi alla pura atmosfera dellʼamor tuo. Accetto giubilando questo slancio dellʼanima tua, non come una promessa, ma come il sorriso di una dolce speranza!—
—Debbo dirti poi, aggiunse Laura, che mia madre è divenuta entusiasta di te; forse istintivamente ella riconosce lʼinfluenza che tu eserciti sopra di me. Quando il signor Paolo le recò la nuova del tuo arrivo venne subito a riferirmela... ma io già lo sapeva perchè Paolo mi mostrò la tua lettera—È molto amabile quel giovinotto, e varie volte fui tentata di svelargli il nostro secreto...
—Non era necessario, rispose Ermanno, giacchè io gli aveva tutto confidato.
—Perchè? chiese Laura alquanto sorpresa.
—Tu mi perdonerai; io aveva troppo dolori, troppe pene per non sentire il bisogno di un sollievo. Paolo è lʼunico mio vero amico, ci conosciamo fin dallʼinfanzia; ebbimo comuni gioie ed amarezze—Ei non ha secreti per me, ed io dovrei averne per lui?... È tanto dolce il confidare ad unʼamico i nostri dolori, le nostre gioie, le nostre speranze! Non dubitare della sua fedeltà Laura, perchè gli faresti un grave torto...
—Oh! no, rispose Laura rassicurata, non temo di nulla... infine poi non abbiamo commesso un delitto, ed anzi ho quasi piacere che egli sappia tutto. Nella tua assenza, potrò poi parlargli di te liberamente... Doveva accorgermene, perchè quel furbaccione, mi aveva sempre unʼaria... tu hai in lui unʼaltro ammiratore.
—Che mi ama assai!
—Ma non come ti amo io—... Ah! per carità, ora che mi ricordo; e la Romanza?... A momenti mamma sarà qui—Presto dunque signor Maestro, fuori la musica e proviamo; sì dicendo gli strinse la mano, mormorando: Siamo due smemorati!...
Ermanno tutto lieto, trasse di tasca un piccolo rotolo di musica, lo stese sul leggio ed incominciò con Laura la prova di quella sfortunata Romanza. Non erano ancora a metà quando sopraggiunse madama Ramati a levar la seduta dicendo non essere la stagione troppo favorevole al lungo studiare.—
Così ebbe fine quella gradevole lezione di canto!—
Prima dellʼora di pranzo, sopraggiunse Paolo, frattanto madama Ramati, Laura ed Ermanno, erano passati in una bella e fresca sala dʼestate i cui ampii finestroni accoglievano tutta la pocʼaria che veniva dal giardino; ivi stettero molto tempo discorrendo, e madama Ramati mise in pratica tutte le possibili gentilezze col suo giovane ospite, il quale dopo tante premure finì per riprendere la sua abituale franchezza.
Il pranzo fu piuttosto animato, Paolo era un prodigio di giovialità e compiacevasi nel far ridere il signor Ramati a più non posso. Laura stava accanto ad Ermanno, e più volte mentre fingeva di assecondare lʼilarità del padre, aveva compresso il piede al suo commensale. Ermanno non sentiva, non vedeva più a lui dʼattorno altri che la giovinetta; il pranzo durò più di due ore fra le risate e lʼallegria da una parte, sorrisi e sospiri dallʼaltra—Verso la fine, madama Ramati prese parola di una certa signora di sua conoscenza, che era amantissima della musica e brava dilettante, e terminò dicendo di averle promesso che alla prima occasione della venuta di Ermanno, non mancherebbe di presentarglielo—
Ermanno aderì di buon grado, e fu deciso che alla dimane si fisserebbe lʼora di quella visita.—Finito il pranzo il signor Ramati volle ad ogni costo sentire un poʼ di musica eseguita da Ermanno, e si dovette[120] compiacerlo malgrado che Paolo protestasse essere la musica cosa indigesta dopo pranzo.—
Ermanno si assise al piano, scelse un pezzo di studio di madamigella, e lo eseguì colla massima facilità, e diremo quasi con noncuranza, perchè in quel momento era preoccupato da ben altro—Il signor Ramati che aveva libato piuttosto in abbondanza, inarcò le ciglia a tanta abilità, e predisse al giovane pianista unʼavvenire di fortuna—
—In fede mia, diceva Paolo ad Ermanno qualche tempo dopo, tu sei il più fortunato briccone che io mi conosca, e non so davvero con quali arti tu abbia stregati in un punto padre, madre e figlia—Con tali successi, caro mio, non ti mancherà mai più pane, ed un giorno o lʼaltro infilzandone una per bene, farai la tua risorsa...
—Bada Paolo, rispondeva Ermanno alquanto risentito, tu spingi troppʼoltre il sarcasmo, e ciò non va bene. Per te pessimista di cattivo genere, non havvi nulla di sacro, tu scherzi e facezii anche sulle cose più serie, e davvero che non invidio questo eccessivo buon umore. Tu hai molte buone qualità, ma hai pure il grave difetto di vedere del calcolo in tutto—Per me non te ne faccio un mistero, adoro quella fanciulla, ma ignoro se la sposerei...
—Come, chiese Paolo stralunato, anche questo saresti capace di fare?
—Certamente, e spero che ciò varrà a provarti almeno che io non calcolo tutto, e lascio libera azione al cuore ed alla ragione...
—Niente affatto, protesto... per mia garanzia in avvenire, che tu faresti una grossa corbelleria rifiutando queste nozze, qualora se ne presentasse lʼopportunità...
—Dʼaltronde mio caro Paolo, queste sono facezie,[121] perchè siamo fortunatamente lontani, da ogni probabilità...
—In amore non si è mai lontani da questo scioglimento che potrebbe nascere da un minuto allʼaltro, basta una mezzʼora per creare la necessità dʼun matrimonio...
—Oh! basta, interruppe Ermanno, basta e non se ne parli più; il tuo spirito mi fa male, e decisamente non andremo mai dʼaccordo sopra un punto sì delicato, perchè la pensiamo troppo diversa.—
—Se ti fa piacere il non parlarne, rispose Paolo sorridendo, taccio; ma bada che tu per il primo non infranga la consegna. Dopo tutto però ti prego di non dimenticare la mia protesta.—
Così ragionando i due amici avevano fatto il giro dei Giardini Pubblici. Era tardi, Ermanno manifestò il bisogno di riposarsi, ed entrambi si avviarono verso casa, ove giunti si riattaccò una nuova discussione sullo stesso soggetto; infine la stanchezza assalì Paolo, che se ne andò a letto lasciando lʼamico solo nella sua stanza.
Noi non sapremmo dire se più dolce del sonno fosse la veglia che lo precedeva, ma è certo che tanto lʼuno che lʼaltra furono un continuo succedersi di dolcezze. La giornata portava seco troppi avvenimenti, perchè Ermanno malgrado la stanchezza potesse tosto abbandonarsi al riposo; si prova grandissima compiacenza nel riandare di notte sugli eventi fortunati del giorno, ed al nostro giovane, non mancava certo materia da pensarvi sopra.
Vegliando pensò al tempo che ancora gli rimaneva di restare in Milano, alle gioie che avrebbe trovate presso Laura; sognando rivide quella gentil cameretta profumata, fiorita, irradiata da quella luce misteriosa.—Ei ritrovò in quel nido dʼamore la cara[122] fanciulla sua, bella e pura come patetica visione, rivide quelle bionde ciocche di capelli, di cui ogni fiocco segnava giù per le spalle una linea morbida e voluttuosa piena di misteri, rivide quei beglʼocchi che lo entusiasmarono dʼamore, ritrovando in quello sguardo le più sublimi dolcezze, le più caste voluttà.
Questo mago che si chiama sogno, questo abbandono della fantasia che crea dal nulla un mondo suo particolare ora spaventevole, ora leggiadro allorchè la materia riposa assorta in profondo sonno; questo riflesso dʼimpressioni che è forse il fenomeno più prodigioso della mente umana, concorse col suo fascino ad abbellire il bel quadro di realtà che aveva sedotto Ermanno, ed allʼindomani aprendo gli occhi trovò che il suo amore erasi raddoppiato, e ciò perchè nel sogno aveva intravedute mille soavità ignote alla mente fino allora.
Erano appena le cinque del mattino allorchè Ermanno si destò; malgrado che fosse molto di buonʼora, non potè più fermarsi a letto provando bisogno di muoversi.—Paolo dormiva ancora saporitamente, nè dava alcuna speranza di svegliarsi tanto presto; per cui Ermanno stimò bene lasciarlo tranquillo; si vestì in fretta ed uscì a respirare lʼaria del mattino.
La giornata era serenissima, il sole splendeva in tutta la sua luce, e le vie di Milano erano già tutte in movimento. Ermanno poco pratico del frastuono di quella grande città, assorto e concentrato neʼ suoi pensieri, correva rischio ad ogni tratto di restare schiacciato dalle carrozze; pur nondimeno la vista di quelle grandiose vie, dei palazzi monumentali, lʼurtarsi continuo della folla, avevano unʼinsieme imponente che gli faceva dilatare il cuore.
Oh! quanto bella gli parve Milano confrontandola con Brescia, ove tutto era monotono.—La eccessiva[123] tranquillità prostra lo slancio dellʼanima che ha sempre bisogno dʼemozioni, e tende istintivamente a tutto ciò che è grande e bello.—Egli attribuiva alle case, a tutto quellʼammasso di uomini e di cose che forma Milano lo slancio inusitato della sua mente, nè sʼavvedeva il poverino che tolta una sola persona da quella Babilonia, tutto gli sarebbe apparso monotono, e quelle numerose carrozze, quei grandiosi palagi avrebbero tosto perduto il loro prestigio.
Rientrò in casa verso le otto, trovò Paolo che stava vestendosi, ed uscirono insieme per fare colazione; indi fissarono lʼitinerario della giornata, e fu stabilito che Ermanno dopo le dieci si recherebbe da Ramati solo; Paolo passerebbe poi a prenderlo per pranzare alla trattoria, non essendo conveniente fermarsi due giorni di seguito dal signor Ramati.—Così fu fatto, alle dieci i due amici si separarono, Paolo andò peʼ suoi affari, ed Ermanno si avviò verso quella casa, ove giunse non al certo inaspettato.
Laura da più di unʼora era sulle spine non vedendolo comparire; anchʼessa povera fanciulla aveva premura di raccontare ad Ermanno il suo sogno che non lasciava nulla certo a desiderare. Madama Ramati propose una passeggiata, Laura in pochi minuti fu pronta, ed Ermanno le accompagnò.—Durante la strada madama chiese al pianista se si sentiva disposto di far visita a quella signora, ed Ermanno non ebbe alcuna difficoltà, tanto più che Laura ne mostrò vivo desiderio.
La signora in discorso era una certa madama Salviani elegantissima dama lanciata un tempo nel gran mondo, ove sfoggiava per gran lusso e ricchezze.—La morte di suo marito, ricco negoziante, la addolorò talmente che decise di troncare tutte le sue abitudini, durante lʼanno vedovile, rinunziando ad ogni sorta di[124] divertimenti. Amava però molto la musica, di cui era discreta cultrice; aveva appena trentacinque anni, era una bella donna, e non le sarebbe mancata lʼaccorrenza di giovani dilettanti e maestri in casa sua; ma ella preferiva ricevere persone attempate, onde premunirsi anche contro le calunnie e le maldicenze dei tristi.
Madama Ramati aveva contratta relazione con questa signora per mezzo del marito il quale era stato legato per ragione dʼaffari al defunto negoziante, ed allorchè questi viveva ancora, nè Laura, nè sua madre frequentavano quella casa che era il convegno del bel mondo.—Ma quando il signor Salviani venne a morire, e la vedova rinunziò alla società, si strinsero maggiormente i vincoli dʼamicizia fra costei e la famiglia Ramati.
Laura recavasi spesse volte a visitarla, e fu appunto in una di quelle occasioni che la giovinetta discorrendo di musica, venne a parlare di Ermanno con tanto entusiasmo, da eccitare la curiosità di madama Salviani, la quale mostrò vivo desiderio di conoscerlo.
Ermanno fu accolto con tutti i riguardi, e dopo le cerimonie di presentazione, si passò a discorrere sulle novità del giorno, e di tante altre cose che costituiscono lʼinsulso frasario delle visite officiose. Ermanno pregato, passò al pianoforte, e suonò alcuni pezzi presentatigli da madama Salviani. Erano nuove per lui quelle fantasie da Salon, giacchè ei studiava quasi sempre sui Classici, ma la sua abilità era tanta che anche suonando come suol dirsi a prima vista, eseguiva la musica con tanta finitezza da farla parer provata e riprovata.
Lʼentusiasmo di madama Salviani, non ebbe più limite allorchè presentandogli una fantasia nuovissima di Fumagalli sul Poliuto, se la vide eseguire colla[125] massima indifferenza.—Laura orgogliosa per riflesso di tanta abilità applaudiva a tutte mani.
—Signore, disse madama Salviani ad Ermanno, la mia villa nella Brianza confina con quella di madama Ramati, e sarei felicissima se ella facendo una visita a queste signore vorrà ricordarsi che io soggiorno non molto lontano.
—A proposito mamma, sclamò Laura, se non era della signora ti dimenticavi dʼinvitare il nostro amico alla campagna, e volgendosi ad Ermanno aggiunse, fra quindici giorni, noi vi saremo con papà e ci fermeremo per tutto lʼautunno; non credo necessario il dirle che speriamo vorrà onorarci di sua presenza per qualche giorno.—Lo diremo anche al signor Paolo.
Madama Ramati, rinnovò la preghiera, e dopo qualche minuto di saluti, Laura, sua madre ed Ermanno scendevano le scale.
Sarebbe certamente affare troppo lungo se si prendessero a narrare tutte le vicende di quella settimana passata da Ermanno a Milano in generale, ed in casa Ramati in particolare. Tutto quanto può concepirsi di riguardi e gentilezze fu messo in pratica dai coniugi Ramati in suo favore; madama specialmente spingeva le attenzioni fino allʼincredibile; si opponeva vivamente ogni qualvolta Paolo cercava di trascinar via lʼamico, e negli ultimi giorni della settimana Ermanno non abbandonò mai un istante quella casa, salvo che alla sera nellʼora in cui Paolo soleva ritirarsi.
Laura intanto in quel poco tempo aveva ripresa tutta la giovialità del suo carattere, era sempre allegra sempre festevole, e pareva che la felicità traspirasse da tutta la sua persona.—Se può farsi un carico ai genitori, si è quello di essersi troppo compiaciuti per lʼilarità ed il buon umore rinati improvvisamente[126] nella figlia, senza indagarne la causa; persuasi che ciò dipendeva dalla presenza di Ermanno, la lasciavano godere liberamente della di lui compagnia, colla speranza di poterla guarire da quella tristezza che lʼaveva colpita dopo la partenza da Brescia.—
Non sapremmo invero ove trovare altra colpa se non quella di un eccessivo amore per lʼunica figlia, amore che trascendeva alquanto in debolezza; ma mio Dio, noi siamo più che persuasi, per quanto questa debolezza possa sembrare imputabile, che tutti i sistemi dʼeducazione per damigelle, hanno il loro lato difettoso.—Lʼeccessivo rigore ha pure gravissimi inconvenienti, e può portare a serie conseguenze.
Balzac nella sua Fisiologia del matrimonio condanna il rigore esercitato dai genitori sulle figlie allontanandole da ogni contatto colla società, e preferirebbe che questa repressione si applicasse più alla sposa che non alla ragazza.—Il mondo è certo una gran scuola; chi non lo frequenta da giovane, e non apprende a conoscerlo, non saprà mai premunirsi contro le sue insidiose apparenze; e nel punto in cui abbisogna di una pratica esperienza, trovasi debole ed incerto a sostenere le lotte della vita.
Ma lo ripetiamo i coniugi Ramati non tenevano questo sistema per principio, ma per eccessiva deferenza, ed anche su questa deferenza non si potrà mai tirarne una condanna: lʼamore è un gran peccatore, ma anche una gran scusa; e noi non sapremmo ove trovarne una migliore.—Il fatto è che Ermanno e Laura, potevano stare liberamente insieme; quella certa Romanza era il punto cardinale dei loro ritrovi, e mercè lo studio di essa i due giovani si trovavano soli per delle ore, intenti a tuttʼaltro che a studiare.—
Il tempo non aveva rispettata la felicità di Ermanno, e già sei giorni di beatitudine erano caduti sotto la sua gelida falce, senza quasi che i due innamorati se ne fossero accorti.—Nello avvicendarsi di tutte quelle ore di dolcezze era scomparsa ogni traccia di passato e dʼavvenire; Laura ed Ermanno vivevano del presente; perchè pensare al domani se erano felici?—Sarebbe però savia cosa il tener conto del tempo nei momenti di benessere, sembrerebbe meno rapido il suo passaggio; mentre non curandosene affatto, si trova poi che il principio e la fine di un bene vanno confusi in un punto solo passato in un baleno.
Nè Ermanno nè Laura usarono di questa precauzione, e quando pensarono ai giorni che loro rimanevano ancora, si accorsero di essere alla vigilia dellʼultimo. Lʼultimo giorno di una felicità che si spegne, è come lʼestrema agonia dellʼesistenza.
—Ohimè, sclamò Laura sospirando, quanto brevi mi parvero questi giorni.... come fugge rapido il tempo!
—Pur troppo Laura! La fase della mia felicità volge al suo termine, nondimeno, te ne prego, non lagnartene, ciò accresce il mio tormento.... è tale il nostro destino, unʼora di felicità per unʼanno di dolore; ma che vuoi fanciulla mia! bisogna accettare quel lampo di bene, e rassegnarsi alle lunghe amarezze.—Io non mi lagnerò certo, perchè sarei unʼingrato;[128] ormai sono avvezzo alle sofferenze, ed è per me gran ventura il soffio appena dʼuna speranza.... Ora poi so che tu mi ami, non è vero Laura?
—Oh! tanto....
—Ebbene, non è forse questa una gran cosa? Tu non puoi comprendere ciò che è per me lʼamor tuo, tu non sai forse di quanto io ti vado debitore; ma è bene che tu ne abbia idea.... Giovinetto ancora perdei il mio povero padre, e da quel momento mi parve negato il sorriso della vita. Non ti dirò le pene e gli affanni di quella santa donna che è mia madre; i sacrifizi che essa fece per me, non possono venir ricompensati che in cielo.
Ho studiato ardentemente lʼarte, compresi che per essa io doveva procacciare una tranquilla vecchiaia a mia madre; studiai, e mercè la ferma volontà, pervenni a migliorare la nostra condizione.... Ma ohimè! alla mia età non si vive di solo pane, io aveva delle secrete aspirazioni che mal ardiva confessare a me stesso; lʼarte per svilupparsi abbisogna di qualche cosa più del matematico esercizio; lʼarte deve scaturire dal cuore. Passo sulle soavi e nuove emozioni che mi cagionò la prima tua comparsa, e solo ti dirò che per quanto possa accadere in avvenire, io non avrò altro che a ringraziarti e benedirti per il bene arrecatomi dallʼamor tuo.
Poichè la lotta è impossibile per me che ti amo tanto, lascio alle vicende della sorte lo svolgersi del nostro amore; ma non sono già acciecato al punto da non comprendere quale sia lʼavvenire che mi è riserbato, e lascia che io ritorni sulla dolorosa via di quei presentimenti che ti danno tanta pena....
—Perchè, interruppe mestamente la giovinetta, perchè vuoi tu preoccuparli di ciò che Dio solo potrebbe prevedere? Te ne prego Ermanno, abbandona sì tristi pensieri....
—No Laura, ho bisogno di farti palese lo stato dellʼanima mia.—Egli è per la tua pace che lo faccio, e un giorno ricordando ciò che sono per dirti, troverai che ho agito onestamente.
La giovinetta si tacque sospirando, ed Ermanno dopo una breve pausa proseguì:—È destino per certi esseri una sgradevole chiaroveggenza che distrugge colle nubi dellʼavvenire la felicità del presente; si direbbe che per essi è istintivo il bisogno di soffrire, e che si studiano con ogni mezzo di eccitarne la causa.—Se un fortunato avvenimento li rallegra cercano subito nellʼavvenire per trovarvi un dolore che freni lo slancio della loro gioia.—Io sono fra quelli; la tranquilla esistenza che ora passo al fianco di mia madre, è tutta una sequela di domestiche gioie; quella pace era il più bello deʼ miei desiderii... ho toccata la meta, ma non per questo cesso di preoccuparmi dellʼavvenire.
Lʼamore immenso di mia madre mʼincute lo spavento ed il terrore per il giorno in cui ella mi sarà rapita; e con questo pensiero trovo modo di amareggiare quel poʼ di bene che mi viene concesso.
Tu sei giovane, ricca, e bella!.... bella quanto può esserlo un angelo del cielo, lascia che te lo dica, ciò mi fa gran piacere.—Fissando gli occhi sul tuo volto così sereno, così puro, ammirando le belle pieghe delle tue chiome, abbracciando insomma collo sguardo tutta la tua bella persona, domando a me stesso se quel cuore che dà vita ed anima a tante grazie appartiene a me.—La realtà mi sembra sogno, e tu mi appari come dolce visione che io tento invano di realizzare.... eppure sei qui accanto a me, eppure ho fra le mie la tua graziosa mano e posso carezzare queste bionde treccie!—Io non so se la fantasia la[130] più accesa possa crearsi unʼimmagine più bella e più sublime di quanto tu la sei per me.
Io invece sono povero, oscuro e vecchio dʼesperienza; il sole per te nasce, per me tramonta, oggi tu sei allʼalba, io alla sera; domani avrai il giorno, io la notte.—Tu vivi dellʼavvenire, perchè la via delle illusioni è lunga ancora per te.... a me resta il presente; fra poco non avrò più che un passato!
Vuoi tu conoscere il mio avvenire? ascolta. Tu sei giovane; in questo periodo della prima età, nessuno può arrestare il corso delle idee, e le aspirazioni del cuore ingigantiscono man mano che si realizzano... Sei ricca, e le ricchezze aumentano la foga dei desideri ajutandone il conseguimento. Sei bella epperciò desiderata ed amata.—Nel tuo primo slancio dʼaffetto, ami la natura nel suo modesto stato; ma fra poco e senzʼaccorgertene tu subirai una rivoluzione dʼidee che ti desterà sempre nuove aspirazioni.
La società ti schiude le braccia; nel suo seno tu troverai molte felicità; ma il tuo primo passo nel mondo sarà il segno della mia caduta.—Ovunque tu volga lo sguardo troverai sorrisi, sui tuoi passi si getteranno fiori, e tu rapita, inebbriata, ti dimenticherai del povero Ermanno che non ha mai sorriso.... Troverai uno sposo!....
—Oh! basta Ermanno per pietà! Non hai nessuna compassione di te.... Io non voglio maritarmi, non mi mariterò.... Non andrò in società....
—Lo so, e ti credo; so che tu ora in uno slancio generoso di cuore rinunzi al mondo per me.... Ma non sarà sempre così, nè te lʼauguro certamente, povera fanciulla!—Perchè mai nata appena dovresti ripiegare su te stessa, nasconderti, e consumarti miseramente nella solitudine? Ti giuro che accettando il tuo amore ho accettata questa conseguenza; mi rassegnerò[131] a tutto, purchè sia certo che tu non serberai memoria ingrata di me.—Io formo ora lʼeducazione del tuo cuore perchè unʼaltro ne possa godere le dolcezze, e bramo solo una qualche ricordanza per lʼappassionato maestro....
—È una crudeltà, sclamò Laura singhiozzando, tu non hai cuore se mi maltratti in tal guisa; era così felice, ed ora mi fai piangere!—Le tue tristi profezie sono false, perchè sento che non potrà mai accadere ciò che tu mi dici; perchè sento di soffrir troppo al solo pensarvi....
—Perdono! disse Ermanno stringendole la mano.
—Cattivo, crudele....
—Via madamigella.... alzi lo sguardo, sorrida perchè ho finito....
—Ed ora comincio io....
—Avanti.
Laura si rasciugò gli occhi indi riprese con fuoco tra il serio ed il faceto, tra le lacrime ed il sorriso.
—Ella signor mio è un falso profeta, ella crede che io abbia il cuore duro, duro come macigno, come il suo che si compiace di torturarmi; ma io le dirò: prima, che non sono tanto bella quanto ella vorrebbe farmi credere, che ho tanto giudizio da non essere tenuta per una fanciulla che cambia affetti ad ogni voltar di vento.—Secondo che se sono ricca me ne importa niente, perchè quando si ama le ricchezze valgono a nulla; terzo che non andrò in società; quarto che se non posso maritarmi come la penso io starò zitella, capace anche di farmi monaca; infine che il mio Ermanno è un cattivaccio!....
—Come la mia Laura è la più cara di tutte le creature! interruppe egli abbracciandola.
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Lʼalba del domani, non sembrò più così serena ad Ermanno come quella dei giorni precedenti. Egli doveva partire, separarsi da Laura che ormai formava parte di sua vita, e forse chissà quando gli sarebbe dato di vederla!
La giornata passò triste e malinconica; invano Paolo studiavasi con ogni modo di confortarlo. Questo bravo giovinotto aveva compreso che la ferita di Ermanno era profonda, e prestavasi con ogni cura per dissipare i suoi tristi pensieri.—Dopo pranzo si recarono insieme a salutare la famiglia Ramati, e Paolo dovette sopportare le rampogne del padre di Laura perchè non erano stati a pranzo da lui.
Il commiato fu molto lungo, durò dalle quattro fino alle sette, il signor Ramati erasi in questo frattempo assentato, e Paolo allora spiegò tutto lʼartifizio del suo spirito per far in modo che Laura ed Ermanno potessero dirsi qualche parola da soli; ei sapeva che entrambi si struggevano di questa voglia; ma pareva che madama non volesse più lasciare Ermanno, giacchè gli rivolgeva costantemente la parola.
Finalmente in grazia del ritratto di Laura che da una settimana era rimasto sospeso, riuscì a Paolo di staccare la madre per qualche minuto.
—Dunque domani!.... chiese Laura mestamente appena fu sola con Ermanno....
—Parto.... rispose egli.
—Ah! io sarò ben infelice domani!
—Non dirmelo Laura, io perderei quel poʼ di coraggio che mi resta.—Promettimi che ti ricorderai talvolta di me.
—Sempre.... e tu scrivimi subito narrami tutto.
—Ma come?
—Indirizza pure la lettera a me, che mi verrà consegnata intatta; nessuno legge la mia corrispondenza, ho tante amiche che mi scrivono!
—Posso dunque?
—Ma certo.... scrivi.... scrivi più presto che puoi.
—Ora addio, sclamò Ermanno prendendole le mani, addio o giovinetta, e pensa che io vivrò della tua memoria!
—Non ci vedremo più?
—No, parto domani alle cinque.
—Alle cinque? sclamò Laura, potremo ancora salutarci prima della tua partenza.... ma da lontano; io sarò sul balcone di questa sala; passando nella via, tu potrai vedermi e salutarmi collo sguardo.
—Alle cinque! ciò ti costerà sacrifizio.
—Ma che? sono capace di non dormire per aspettarti.—Ora viene la mamma.... Addio Ermanno, e che il mio saluto ti accompagni durante il viaggio. Pensa a me che non ti dimenticherò mai; ricordati che ti aspetto in campagna.—Non potè proseguire, perchè già sentivasi la voce di madama Ramati che veniva a quella volta con Paolo.
Laura ed Ermanno si scambiarono un ultimo saluto, e si disgiunsero.—Quando gli amici decisero di andarsene, fu chiesto il signor Ramati, e qui cominciò la caterva dei saluti, che pareva non dovessero più terminare.
Suonavano le sette, ed Ermanno e Paolo uscivano allora sulla via. Il primo camminava macchinalmente senza profferir parola; lʼestremo addio di Laura lo aveva grandemente addolorato. Andarono a cena, indi al teatro, dʼonde uscirono di buonʼora dovendo Ermanno alzarsi presto allʼindomani.
Se è vero che quel povero giovane trovò qualche felicità nel suo soggiorno in Milano, è pur vero che in quellʼultima notte scontò con tante angoscie tutte le gioie provate.—Dormì pochissimo, e quando riusciva ad assopirsi, tosto venivalo a tormentare un[134] sogno penoso; se desto ei pensava che tra breve dovrebbe dividersi dalla sua Laura, e lasciarla così bella e seducente senzʼalcuna vigilanza.
La facile famigliarità che si acquistava in casa Ramati, inquietavalo assai riflettendo che un giorno o lʼaltro qualche innamorato dei vezzi di Laura, potrebbe agevolmente introdursi nella famiglia, e rapirgli il cuore della giovinetta.
Vʼha di più, malgrado la certezza che egli aveva di essere amato, tuttavia lo tormentava il dubbio di dovere un giorno rinunziare alle sue speranze.—Abbiamo detto speranze, e rettifichiamo la parola. In questa così bella fase dʼamore non vi entrava nonchè un progetto, nemmeno il principio di unʼidea; era un romanzo costruito senza base, o diciamolo pure, senza scopo; e giova rammentare le lotte morali subite da Ermanno prima di lasciarsi sopraffare da questo amore.
Egli riconobbe che tale relazione stava lontanissima dal concepimento di qualsiasi speranza, e non cessò mai anche amando di rassegnarsi come vittima di un accecamento di cui presentiva per istinto le conseguenze.—Comprendiamo che questo abbandono di Ermanno ad una corrente così fatale, potrà sembrare insensata e condannabile a taluni; ma le sono di quelle cose che si ripetono tutti i giorni, e se la ragione potesse sempre prevalere sulle deliberazioni dellʼuomo, la società camminerebbe certamente senza gruccie.—
Parrà a molti che noi vogliamo giustificare il nostro artista, ma invece non facciamo che schermirlo contro chi, o per pregiudizii di casta e famiglia, o per aridità dʼanimo volesse riconoscere in quel povero giovane unʼinsensato amor proprio invece di unʼeccessiva suscettibilità di cuore.
In fatti consimili non sappiamo se più abbia ragione chi condanna od il condannato; è certo però che mentre[135] questi trova tanto coraggio da concepire idee dʼuguaglianza malgrado la disparità di condizione, fonda il suo ragionamento sopra un principio incontestabile di natura; mentre il primo fabbrica le sue sentenze sui gradi di una gerarchia che sà più di stoltezza che di superbia.
Il giorno si annunziava. Gli estremi lembi del cielo già sʼimbiancavano della luce mattutina, ed Ermanno non aveva ancor trovata mezzʼora di riposo.—Stanco per lʼeccessivo pensare durante la notte, e certo che ormai era inutile lʼabbandonarsi al sonno, si alzò ponendo mano a vestirsi.
Lʼaria fresca del mattino, invitava a respirarla, e riflettendo che molto tempo gli rimaneva ancora prima delle cinque, si assise sul balcone contemplando il cielo che pingevasi dei soavi colori dellʼaurora.
Oh! quanti saluti, quanti sospiri egli mandò alle leggiadre nuvolette dagli orli dorati che si spiegavano leggiere come velo nello spazio celeste!—Era quella lʼultima volta che egli godrebbe di quel ridente spettacolo; lʼalba di quel giorno segnava il tramonto della sua felicità, ed ei voleva impressionarsi di quellʼultimo sorriso di cielo per mai più dimenticare la dolce malinconia di quel placido mattino.
Oh! come dirlo lʼaddio chʼei diede al cielo, al sole, allʼaura?.... a lei!—Non avvi espressione che valga il silenzio di Ermanno e la mestizia del suo sguardo.—Egli solo, il poeta della musica, avrebbe potuto trarne unʼidea cogli accordi del pianoforte; egli che in quel momento aveva lʼanima commossa, il cuore oppresso, la fantasia accesa, avrebbe senza dubbio narrato in note lo straziante dolore che lo assaliva a quellʼestremo saluto!
Alle quattro svegliò lʼamico dicendogli; «Paolo, sono le quattro, ho ancora unʼora di tempo ed esco per poco; ritornerò a prenderti se verrai ad accompagnarmi.»
Discese nella via, le strade erano quasi deserte. Laura non abitava molto lungi, e quando la casa di lei gli apparve in vista, si accorse che tutti erano ancora al riposo; le finestre ed i balconi stavano chiusi.—Aspettò passeggiando lungo la via; era la mezza dopo le quattro, e nessuno ancora! Ella è restata presa dal sonno, pensava fra sè; e già rammaricava di non poterla più vedere, quando sentì un rumore come di finestre che vengano aperte; si volse e vide affacciarsi al balcone una bianca figura.
Era dessa!—Aveva i capelli spartiti in due lunghe treccie che cadevano giù per le spalle; una vesticciuola candida come neve, ed un fazzoletto di seta rossa, legato bizzarramente al collo.
Era pur bella! Sembrava la personificazione di quel ridente mattino, il fiore che sbuccia ai primi raggi di sole.—Appena i loro sguardi sʼincontrarono, ella sorrise come per dirgli: Vedi se son di parola... vedi se ti amo.—Ma tosto quel sorriso si dileguò, e la giovinetta riprese unʼaria mesta, espressione di unʼaffettuoso saluto che costa un palpito al cuore ed una lagrima agli occhi.
Ermanno passeggiò ancora per qualche minuto fintantochè vide apparire sullʼangolo della via una vettura di piazza che ad un suo cenno fu dirizzata alla sua volta.—Era tardi. Alzò unʼultimo sguardo, fece un leggiero saluto col capo, indi salì sulla vettura e partì di galoppo.
Finchè fu possibile, egli si rivolse per vederla, e non si potrebbe dire con quanto dolore si allontanasse da quel luogo.—Laura stette al balcone finchè la carrozza[138] fu in vista, ed allorquando scomparve daglʼocchi suoi, ella rientrò in casa sfogandosi in lagrime..... Povera Laura!
Ermanno ripassò in fretta da Paolo per prendervi la valigia, e trovò lʼamico ancora in letto. Non eravi tempo da perdere, lo salutò promettendogli di scrivere appena in Brescia, e risalì sulla vettura che lo attendeva in istrada.
Giunse alla stazione pochi minuti prima della partenza, e prese posto in un vagone.—Poche ore dopo Ermanno discendeva a Brescia.
Ermanno a Laura—
«Mia cara Laura
«Egli è vero pur troppo che le ore liete trasvolano rapide come lampo, mentre quelle del dolore passano lentamente trascinando a stento i loro eterni minuti—Quei pochi giorni di mia dimora a Milano mi sembrano un sogno di cui io serbo soavissime rimembranze, unʼonda di felicità che passò dʼun tratto, e che ora mi lascia in una angoscia senza fine!
«Da tre giorni sono in Brescia e nonpertanto non seppi ancora avvezzarmi alle mie solite abitudini; da tre giorni vivo qui preda dʼuna tristezza che mi desta lo scoraggiamento della vita. Io lʼaveva preveduta questa fase di dolore che mi assalirebbe nel separarmi da te adorata Laura, e chissà quando potrò trovare un poʼ di tregua a questa sconfortante mestizia che intristisce tutti gli oggetti che mi circondano.
«Quando ti rivedrò?... Quando mi sarà dato di stringerti la mano, di sentire del tuo labbro quelle parole[139] che mi scossero tanto dolcemente?—Ah! chissà quanti giorni vedrò nascere e morire colla stessa monotona regolarità prima che io possa rivederti, prima che il suono soave della tua voce risvegli lʼanima mia dal suo profondo letargo! Quei pochi giorni di felicità che pareva non dovessero mai più terminare, passarono quasi senza che io me ne accorgessi, e quando giunsi agli estremi istanti, allorchè ero sul punto di partire, trovai che aveva ancora mille e mille cose a dirti.
«Chi mi ritorna quelle ore soavi passate al tuo fianco o Laura?... Io penso fra il gelo della mia solitudine alle dolcezze dei nostri cari colloquj in cui più che il labbro parlavano gli occhi ed il cuore; ed ora più nulla che un doloroso ricordo mi rimane di quella felicità che avrei appena ardito di sognare. Tutto mi sembra visione, e parmi di essere solo ed isolato nel mondo, condannato a vivere per sperare in unʼavvenire lontano ed incerto.
«Lʼavvenire!... E può mai questa parola suonare come una speranza per gli uomini se lʼultimo punto di esso è la morte? Come mai fra un presente infelice ed una morte inevitabile può la mente trovare nella via di mezzo qualche bricciolo di fede che lo attacchi ad una speranza; come si può sognare la felicità quando si è in preda del dolore?—Per me lo confesso, tutto è triste, monotono; dacchè io ti ho lasciata, non ebbi che noie e sconforti—Lʼanima mia troppo prostrata non sa trovare nelle memorie del passato un riflesso di calma; e sì che fui felicissimo.
«Ti ricordi Laura, di quel giorno in cui abbiamo passato per la prima volta la Romanza? Io non lo dimenticherò mai più, e solo nel ripensare a quei momenti, parmi di essere ancora nella tua cameretta—Oh! quanto è bella! mi ricordo ancora del leggiero[140] e delicato profumo dei fiori, della mesta luce che penetrava per le cortine; tutto spirava il candore e la purità, e non vʼha oggetto benchè piccolo che non mi sia rimasto impresso—Mi ricordo ancora che noi eravamo soli, io seduto al piano, tu al mio fianco... Ti parlava deʼ miei dolori spingendo lʼingratitudine sino al punto di dubitare dellʼamor tuo; e tu povero angioletto piangevi, piangevi amaramente!—Oh! perdonami perchè allora io vaneggiava; se non avessi tutta la certezza di essere amato, se la speranza che tu potrai amarmi per lʼavvenire non venisse a consolarmi, io sarei ben infelice!
«Ma tu lo dicesti, e le tue lagrime protestarono altamente contro il mio scetticismo; lʼaureola di tutta luce che circonda la cara tua persona, disperse le nubi dellʼincertezza; ed ora credo e ti amo—Credo perchè ho bisogno di credere, amo perchè sento che la più grave delle sventure non vale il sacrifizio del tuo amore—Sia che vuolsi, io vivrò di esso finchè il tuo cuore risponderà al mio; sarò infelice perchè lontano da te, ma mi verrà di gran conforto il pensiero che in qualunque momento ti ricorderai di me compiangendo la mia sorte!
«Addio sogni di gioventù, chimere della fantasia io vi abbandono per vivere di una memoria: non è forse possibile il trovare delle dolcezze riandando sul passato?... Mi proverò. Il tuo nome o Laura sarà la mia bandiera, e formerà collʼarte la mia fede.
«Prima di proseguire, lascia che io ti dica quanto bene mi abbia arrecato il tuo ultimo saluto nel mattino della mia partenza—Per tutta la notte che lo precedeva non potei chiuder occhio; allʼalba ero già vestito, e stava sul balcone di Paolo salutando quel nascente sole al cui tramonto io doveva assistere molto lungi da Milano; la bella e cara città che ospita nel suo seno la mia adorata Laura.
«A tutta prima avrei creduto che tu malgrado la più gran voglia fossi rimasta addormentata; ti accerto che ciò mi avrebbe afflitto, e sai perchè? Perchè così era provato che lʼidea della mia partenza non aveva turbato i tuoi sonni—Ma tu venisti—Oh! come eri bella Laura mia; lascia che lo ripeta, come eri sublime; tu mi apparisti più leggiadra dellʼaurora che aveva poco prima salutata!—Quella vesta bianca, quelle treccie bipartite che ornavano il tuo pallido volto, si sono impresse nella mia memoria, ed io non so ricordarmi la tua graziosa figura senza quel modesto abbigliamento.
«Con quale trasporto avrei baciato il lembo della tua veste, e prostrato aʼ tuoi piedi mormorarti parole dʼamore... ma ciò non era possibile, ed io dovetti appagarmi di vederti.—Quellʼestremo addio mandato in silenzio era ben straziante, e la pena che mi piombò nel cuore in quel momento, è indescrivibile.
«Fu quello un punto ben strano per me, giacchè mi trovava sotto la pressione di due grandi ed opposti sentimenti: non saprei dirti quandʼè che io sia stato più felice di quanto lo era in quellʼistante, come non so immaginarmi in qual ora di mia vita io abbia provato un dolore tanto atroce come quello di separarmi da te così bella, da te che mi salutavi mestamente, senza poterti dire: Addio, senza poter sfogare in parole lʼanima mia, e palesarti che al punto di partire io sentiva di amarti immensamente...
«In tanta tenzone di gioia e dolore, nello avvicendarsi ed urtarsi di sì varie emozioni, io non sapeva più a che decidermi; ma intanto io soffriva perchè il dolore preponderava, e ben annunziavalo questo povero cuore che gemeva oppresso.—Mi rimanevano ancora pochi minuti per recarmi alla stazione, e fu forza partire.... abbandonarti. Mi diedi coraggio concentrando[142] nellʼultimo sguardo tutta la mia tenerezza, e ti salutai con lagrime.
«Quella carrozza colla precipitosa sua corsa ti celò ben tosto a me, ed io non cessai di salutarti finchè lʼultimo punto della tua bianca figura disparve allo sguardo mio. Partii, lasciando teco tutto ciò che è dellʼanima, più non ti vidi ma tu sei rimasta qui in questo cuore.
«Arrivai a Brescia, e puoi figurarti come addolorato. Rividi mia madre; la buona donna non mi aspettava così presto, ed allorchè venne ad aprirmi, cadde nelle mie braccia.—Ingrato! Nel mio soggiorno a Milano lʼaveva quasi dimenticata; ma io sconterò con tante cure e sollecitudini questa piccola ingratitudine di cui sono a te debitore, mia bella Laura.—Eccomi a Brescia colla persona, ma pur troppo a Milano col cuore che tu mʼinvolasti collʼultimo tuo sguardo. Abbine cura fanciulla mia, e perdonami tutti i dolori che posso arrecarti con questo forsennato amore.
«E tu che fai! Come vivi, a che pensi?.... Io mi figuro colla massima compiacenza che tu debba essere sempre afflitta, e vedi quanta barbarie, questʼidea mi cagiona uno strano piacere. Oh! quanto sarei lieto che la stessa mia malinconia venisse ad assalirti; te ne faccio augurio di tutto cuore.—Perdonami questo slancio dʼegoismo; io sono tale che mal so adattarmi allʼallegria, giacchè essa rivela sempre alquanta spensieratezza; un labbro facile al riso non può esser sincero nel parlare dʼamore.
«Scrivimi presto per dirmi che la mia partenza ti ha addolorata, che il mio ultimo saluto ti strappò una lagrima di dolore, ed io ne sarò supremamente lieto.—In quei pochi giorni passati fra tante dolcezze sento che lʼanima mia ha subita una felice modificazione, ed ora se tu mi vedessi mentre ti scrivo, ho il sorriso[143] sulle labbra; parmi di parlarti, o meglio che tu sii qui al mio fianco leggendo tutto ciò che mi cade dalla penna.
«Leggi fanciulla, leggi avidamente, e nel disordine di queste idee, in questo miscuglio di tormenti e di gioie, abbi la più certa prova della confusione che mi desta in cuore la sola memoria di te.—Per essere felice non ho che da chiudere la mente alle dubbiezze dellʼavvenire e vivere del presente, giorno per giorno, senza spingere lo sguardo al domani; ma pur troppo non sempre so frenare questa miserabile fantasia che è feconda solamente nei presagi di tristezza;—Io non mi ricordo che essa abbia mai saputo concepire unʼidea di speranza.... mai!
«Compatisci, Laura mia, a questo difetto che è in me natura, e perdona se per timore di perderti già pavento di averti perduta.—Io farò ogni possibile per renderti meno penoso il gravame di questo cuore malato che tu pietosamente ti assumesti di consolare; il tuo amore è per me onnipossente, e non diffido di poter mercè tua salvarmi.
«Addio, fanciulla adorata, e questo ardente saluto che parte dallʼanima possa volando sullʼaure giungere a te, e confortarti nella tua mestizia—Scrivimi presto, affinchè se mi e negato di vederti, possa almeno conoscere il tuo pensiero. Non dimenticare giammai che il tuo Ermanno vive qui solo e desolato, che suo unico conforto è la certezza dellʼamor tuo, e la speranza di presto rivederti.
«Ermanno»
Questa lettera rivela chiaramente lo stato dʼanimo di Ermanno; il disordine e la confusione delle idee vi appariscono ad ogni tratto. In ogni parte di essa vi regna lo sfasciamento, lʼincoerenza, e mal si potrebbe definirne il carattere. Talvolta lo stile è tenero ed appassionato, talor freddo e monotono, e vi sono dei punti in cui vi si scorge una certa ilarità che per poco ancora cadrebbe nel giocoso.
Il senso predominante ma è lʼamore il più puro e casto, che sorride e sospira ad un tempo istesso.
Però Ermanno aveva detta parte della verità; ma non ebbe il coraggio di dirla tutta; per un sentimento di generosità che si può facilmente comprendere, egli tacque in quella lettera su certo proposito che maggiormente lo inquietava, volendo nascondere a Laura una profonda ferita riportata a Milano, e palliandola con alcuni lampi di allegria non al certo addicevoli allo stato dellʼanima sua.
Allorchè nasce un dubbio, non è sì facile dileguarlo, ed Ermanno che dal suo soggiorno a Milano aveva riportata la fede più sicura dellʼamore di Laura, trovò pur colà maggior alimento alle incertezze sullʼavvenire. La lettera che segue diretta a Paolo è lʼespressione fedele del suo stato; collʼamico ei si mostra più sincero che non collʼamante.
Ermanno a Paolo—
«Mio buon amico,
«Più tento di attaccarmi allʼalbero della vita per raggiungerne la cima, più sento che i miei sforzi per quanto grandi, diventano inutili—Quindici giorni sono, io era tormentato da unʼardente desiderio che[145] aveva prescritto come meta estrema di tutta la possibile felicità; conseguito quel desiderio, parevami che più nulla mi rimanesse a sperare, perchè tutto avrei ottenuto—Ho realizzato il mio sogno, soddisfeci alla mia brama, e nonpertanto eccomi maggiormente afflitto—A guisa dellʼerrante pellegrino che erpicandosi faticosamente sulla vetta della montagna, già si rallegra seco stesso pensando al momento in cui ne avrà toccata la punta, io credetti che recandomi a Milano, potrei dʼun tratto deporre il fardello delle mie pene... Ma ohimè! Non fu così; il pellegrino giungendo al culmine del monte, scopre altre catene di roccie più erte e malagevoli, ed io di ritorno da Milano, trovai dʼaver arricchito di un nuovo aggravio il peso deʼ miei dolori.
«Con te, mio buon Paolo, il mio cuore si dilata e lascia scorrere la larga vena delle sue amarezze, con te solo ho il coraggio di confessare lʼavvilimento del mio spirito.
«Lʼeleganza, il lusso e tutto ciò che proviene dalle ricchezze, mi destò sempre se non lo sprezzo almeno lʼindifferenza, giammai il fasto impose aʼ miei sensi perchè lʼanima mia aspirò sempre a qualche cosa di migliore che non sono i proventi di un lauto patrimonio.—Nellʼarte mia rinvenni i veri tesori di gioie che scuotono lʼanima esaltandola al culto di un bello soprannaturale, non concepibile che negli slanci della fantasia; ma non avrei mai creduto che dallʼalto dei miei sogni spingendo lo sguardo a terra, venissi abbagliato dalla luce di un poʼ dʼoro accumulato.
«Eppure è così, mio buon amico, e con labbro tremante per vergogna ti confesso che il mio spirito rimane soggiogato e riconosce tacitamente la superiorità esercitata dalle ricchezze.—Non ho mai osato di[146] palesarti a voce questa strana reazione deʼ miei sentimenti, perchè mi avviliva il solo pensarvi; ma ora che sono solo, ora che la mia mente si studia sempre di viemmeglio affliggermi, non so più tacerti questa nuova sventura.
«Nel porre il piede per la prima volta nella casa di Laura, io era ben lungi dallʼattendermi un colpo di tal natura; ma quando entrai in quelle sale ricche di quanto si possa immaginare, fra quel miscuglio di tappeti, sete, velluti, mobili, dorature e mille altri fregi, perdetti quel sentimento innato di dignità che ci pareggia a chiunque, e pensai essere ben meschina cosa lʼelevatezza dellʼanima a fronte di tante ricchezze accumulate dalla fortuna.
«Condannami pure, ridi anche se lo potrai, ma io rimasi sorpreso alla vista di quel fasto, rimasi soggiogato; e mi fu forza riconoscere la distanza enorme che mi separa dalla famiglia Ramati.
«Oh mia povera cameretta delizia dei tempi passati, io posi due anni di continue cure per adornarti ed abbellirti, fra le tue mura era felice; ed ora disparve tutto il tuo prestigio! Più ti guardo e più mi sembri squallida. Ove sono le bellezze che io scorgeva altre volte in te? Le tue mura sono aride e disadorne, ed un lembo solo del tappeto che cuopre il pavimento di quelle sale, vale ben più di te e deʼ tuoi miseri arredi.
«E dire che qui, in sì meschino tugurio ho ardito di concepire le più strane follie; ho sperato lʼamore di una donzella che abita un palazzo, e respira in unʼatmosfera di sontuosità, avvezza alla luce dellʼoro come io a quella del lumicino che mi rischiara nelle notti di studio.—Oh il pazzo! Ora solamente comprendo tutta lʼassurdità delle mie speranze, ma troppo tardi perchè io possa approfittare di un ravvedimento che[147] mi getta nella più profonda desolazione; troppo tardi perchè il cuore possa gridarmi: ritirati sciocco, e pensa a lavorare per guadagnare il pane a tua madre!... Mia madre, povera e santa donna; se tu sapessi quante cure si prende di me vedendomi sempre sì malinconico.—Pretende che mi consigli col medico, perchè teme che io possa ricadere in quel malore che mi colpì qualche anno fa; ma conosco troppo bene il mio male, e so che la scienza non vi rimedia.
«Malgrado che la stagione sia poco addicevole, passo intiere giornate studiando i capi–lavori dellʼarte mia; nella ventura settimana, o tuttʼal più fra quindici giorni spero di potermi riposare alquanto evitando la fatica di dar lezioni. Buona parte delle mie allieve sono ite in campagna, le altre non tarderanno molto.—Ebbi incarico da un distinto prelato Bresciano di musicare una messa per funerali; è questo un genere di musica che mi piace sopratutti, e puoi figurartelo ho subito accettato; ma è un lavoro lungo e difficile, e converrà che mi accinga con tutto lʼimpegno.
«E tu che fai a Milano? Per te che sei di tuttʼaltro carattere che non del mio, non vi sono nè pene nè dolori, e col tuo formidabile buon umore, puoi distruggere unʼesercito di dispiaceri.—Oh quanto tʼinvidio, e come di buon grado mi farei potendolo seguace dei tuoi principii!
«Taluni tenderebbero a credere che la malinconia sia unʼaffettazione... no mio caro Paolo; sonvi proprio degli sciagurati, ed io fra quelli, che non sanno mai appagarsi di nulla nè vʼha cosa che ecciti la loro allegria. Te beato le mille volte che sei in Milano e puoi vedere la mia Laura ad ogni giorno!
«Ieri le scrissi una lunga lettera, tuttavia ti prego di salutarla tanto e poi tanto per me; non prenderti soggezioni giacchè ella non ignora che tu sei al fatto[148] di tutto; sollecitala per quanto puoi a scrivermi che ho gran bisogno di una sua lettera in questi giorni di tristezza. Ricordati della copia del suo ritratto che mi promettesti. Lʼattendo ansiosamente; e quando mi sarà dato dʼaverla, non mi sembrerà più dʼesser solo, perchè fissando quella tela, potrò colla mente far rivivere le sembianze di lei, ed in esse consolarmi alquanto.—Se egli è destino che un giorno io debba rinunziare al suo amore, mi sarà caro di poter talvolta mirare lʼimmagine di colei che prima e sola fece battere questo cuore.
«Ti prego inoltre di renderti interprete per me presso i genitori di Laura, ringraziandoli per le tante premure e cortesie usatemi; e tu mio carissimo abbiti una stretta di mano dal tuo
Ermanno.»
Paolo ad Ermanno—
«Se la mia penna fosse abile quanto la tua, se io sapessi dirti in parole tutto ciò che mi destò nellʼanimo la tua lettera, ne avresti una di quelle epistole formidabili al cui confronto le prediche del reverendissimo Fra Paolo Segneri starebbero come Giotto a Raffaello; ma siccome, veh! come sei fortunato, per scrivere qualche pagina di roba, ho duopo di spremere e torturare il mio povero ingegno, evito un prolegomeno troppo fastidioso, e passo subito in materia.
«Da quanto ho potuto finora osservare nel poco tempo che mi trascino in questa Valle di lacrime che si chiama mondo, parmi di aver scoperto le tracce di un fenomeno psicologico molto curioso. Vi sono di[149] quei cotali a cui un filo dʼerba sembra una trave, e scambiano un mucchio di terra per una montagna; fanatici, provani, che vedono nero in pieno sole, intolleranti ad ogni dolore, impazienti ad ogni fastidio, e debolissimi di spirito, si adombrano per nonnulla, si esaltano per unʼinezia; e creano nei voli lirici della loro fantasia tutta quella congerie di spettri che turbano i sonni, e scoprono precipizi fra i ciottoli delle vie.
«Si direbbe che costoro guatano il mondo traverso ad una lente che ingrandisce a dismisura le cose più piccole; e non mi stupirei per niente se scambiassero la marmitta che scalda al fuoco per Sodoma e Gomorra divorate dalle fiamme. Non vʼha pena per quanto lieve che essi non la caratterizzino fra le orribili, e per la puntura dʼuna zanzára, sarebbero capaci di rinnovare le lamentazioni del fatidico Geremia.
«Uno sprizzo di sangue è per essi un torrente senza fine, lʼincostanza di una pettegola, unʼinfamia, unʼabbominio; il sorriso di una donna un raggio di sole, e Dio sa se un giorno o lʼaltro non mi diranno che le lucciole sono aquile di Giove colle loro saette.
«Oh! anime disgraziate, toglietevi gli occhiali che vʼingannano la vista, se non volete che si dica di voi come del bue che si aggioga facilmente per ciò solo che vede grosso. Toglietevi gli occhiali, e guardate moʼ se il mondo è tanto brutto quanto ve lo pinge la vostra malata immaginazione. Risparmierete così la fatica di un compianto inutile sui destini dellʼuomo nato per tuttʼaltro che per crucciarsi di tutte le inezie che gli traversano la via!
«Tu mio buon Ermanno hai la disgrazia di appartenere a quella schiera di predestinati; tu pure negli slanci dʼun febbrile esaltamento studiando la vita traverso a quella malaugurata lente, trovi che tutte le sciagure, tutti glʼinfortuni sono a te solo riserbati,[150] e spingi lʼerrore al punto da invidiare financo quei tapinelli a cui natura più benigna alquanto concesse un bricciolo di senno per distinguere il reale dallʼimmaginario.
«Se la ragione si potesse trangugiare come un farmaco dello speziale, te ne consiglierei lʼuso di buona dose; ma pur troppo non avviene dello spirito come del corpo che si può curare colle risorse della medicina! Però lascia che te lʼ dica questa tua smania di esagerare trasmoda in eccessiva. Mio Dio, io non so vedere tutto il male che tu scorgi in questo amore, e se tutti dovessero crucciarsi tanto per simili cose, il mondo risuonerebbe ovunque di lamenti, pianti ed alti lai; e perchè poi?.... In fondo a tutte queste peripezie, non vi si trova altro che la cenere di un poʼ di paglia bruciata rapidamente.
«Bada che ti parlo da vero amico, perchè mʼinteresso vivamente delle cose tue: sii più ragionevole, e non pensar troppo profondamente su ciò che potrà accadere; sii filosofo, e prendi il bene ove lo trovi, senza curarti dʼaltro.—Hai per le mani un romanzetto patetico, interessante, e tu sciagurato già ne predici una spaventevole catastrofe.—A tuo modo mio caro distruggi tutto il prestigio di questo dolce idillio del tuo cuore; già si sa, tutto finisce al mondo, ma se lʼuomo dovesse affliggersi pensando che dopo pranzato perderà lʼappetito, che dopo dormito non avrà più sonno, la sarebbe ben grossa: tal succede di te, non hai ancora colta la rosa, e già pensi che domani sarà appassita; ma allora mio caro rifletti che tu pure un giorno o lʼaltro morrai, e così sarà finita.
«In quanto poi alle tue idee sulla mia felicità, lascia che io ti disinganni alquanto, ed a quel che sembra tu guardi colla stessa lente tanto il bene quanto il male; non mi stupisco dunque se tu trovi in me alcunchè[151] da muoverti invidia; accade di noi che ci crucciamo poco dei nostri affari come degli infermieri i quali a motivo della loro salute sono costretti al penoso incarico di vigilare sugli ammalati.
«Conti tu per nulla il servizio di moccolino che vado facendo da qualche giorno a questa parte? Se tu mi vedessi in certe occasioni non sono più riconoscibile.—Laura sempre desolata per la tua partenza mi mette a parte di tutte le sue pene, mi confida tutti i suoi dolori, ed io la consolo per quanto posso offrendomi per avallo e garanzia sul conto tuo.—Il da fare che ebbi nei giorni passati mi merita un diploma di Confratello della benemerita Compagnia di Misericordia, e per quanto tu faccia, non potrai restituirmi tutta quella riconoscenza che ho diritto di pretendere per servigi prestati.
«Oltre a ciò aggiungi le piaghe tue che io debbo medicare con cataplasmi e cerotti, e Dio sa con qual frutto! rispondere alle tue lettere che mettono i brividi al solo leggerle, e curare certe malattie di cuore, che non entrano per nulla nel mio comprendonio.—Dà retta a me, e sii più assennato nel giudicar le cose; tutti, qual più, qual meno abbiamo i nostri piccoli fastidii, e bisogna saper tollerare alquanto.
«Io spero che attorno a questa buona lavata di testa, non avrò sciupato ranno e sapone, e che saprai compatire se la mia amicizia, trasmoda forse in rigore; ma voi altri poeti siete come i cavalli capricciosi; più si rallenta loro il morso, e più essi si danno a precipitosa corsa, mentre basterebbe una buona stretta ai fianchi per calmarli.—Se io ti lasciassi sempre dire a tuo modo, proseguendo in questa via esaltata, finiresti poi per crederti davvero un gran martire, ed allora daresti nelle smanie prorompendo in parolone contro la vita, le sue lusinghe, ed i suoi disinganni;[152] come quei tali che si vedono tuttodì passeggiare per le vie con tanto dʼocchialetto e di cravatta, allegri, vivaci che è un piacere il vederli, che hanno poi il coraggio scrivendo ad una qualche signora del bon ton di parlar di torture, di morte; e taluni anzi spingono la cosa al punto da paragonar la loro vita alla passione del Nazareno, e la via dal caffè al teatro allo scosceso calle del Golgota.
«Di tali esaltazioni sono pieni i romanzi, ma pur troppo nella vita reale il tedio dei bisogni materiali scema per gran parte il volo della fantasia, e ne rallenta il corso; ed io compiango di tutto cuore quegli sventurati che colpiti da una specie di mania si abbandonano preda delle idee formando di esse la parte essenziale dellʼesistenza.—Accusami pure, se il credi, di materialismo e pessimismo; ma che vuoi? la Teoria delle Anime, non entra nelle mie competenze.
«Nel mondo fisico vi sono troppe realtà, nel morale troppe illusioni, perchè io debba esitare nella scelta; ed è perciò che una donna, non sarà mai altro per me che una donna, e non mi viene certamente il ticchio di concentrarvi in essa tutte le mie aspirazioni.
«È però ben strana la potenza di questo vostro cuore, o visionarii, che sʼimmischia in tutte le cose vostre; per me ti assicuro che il mio anche funzionando regolarmente, se ne sta ozioso e polveroso in un angolo dello stomaco, e davvero non ho nessun lagno da fare sul suo conto. Il tuo invece mio caro Ermanno, è un repubblicano sfegatato, non quieta mai, e ad ogni momento ti scivola sulle labbra. Il cuore e la ragione formano in te due partiti ribelli come i Guelfi e Ghibellini, e finchè non verranno fra loro dʼaccordo, prevedo che il regno del tuo spirito, non avrà mai pace.—Impegnati per quanto puoi in queste trattative di riconciliazione, del resto a te[153] toccherà la peggio. Lʼodio delle fazioni, è la rovina di un paese; procura dunque di porre sulla buona via il cuore e la ragione, ed allora soltanto sarai tranquillo.
«In altri tempi, forse, erano dʼuso certe abitudini poco lodevoli. Nella dubbiezza delle intelligenze non del tutto incivilite, accadeva talvolta che fra le moltitudini, qualcuno emergesse per una stranezza sua particolare; la storia ci tramanda i nomi di una quantità di donne, che dedite al culto dʼamore, fecero ad esso i più grandi sacrifizii.—Era consuetudine nei paladini del Medio Evo, il farsi ammazzare per gli occhi della loro bella; ma per buona sorte ai tempi che corrono, si ha ben altro a pensare. Il progresso colle sue emanazioni invade la mente degli uomini preoccupandoli di mille e mille cose, per cui ben poco tempo si avanza da sciupare dietro al carro di Cupido; e tu potresti percorrere in lungo e in largo tutta la superficie del globo, senza trovarvi più nè una Penelope, nè una Lucrezia, nè una Didone, nè una Saffo.—Il salto di Leucade, ora lo fanno i banchieri falliti, e gli inglesi affetti di spléen acutissimo.—Persuaditi infine, che Werter e Jacopo Ortis altro non sono che caricature sbagliate di unʼalienazione mentale.
«Se tu fossi con me qui a Milano in questa graziosa città emancipata da ogni pregiudizio, vorrei in breve convertirti e rimetterti a dovere quella parte di cervello che ti scappò fuor deʼ gangheri.
«Ma tu sei lungi, ed altro non mi è dato che sovvenirti di buoni consigli, i quali se a nulla ti giovano, tolgono per altro a me ogni rimorso inquantochè in questi momenti, ebbi il coraggio di dirti la verità schietta e netta.
«Ho finito quasi il ritratto di Laura, e presto te[154] ne manderò copia.—Sentii con vera soddisfazione lʼincarico che avesti per un lavoro di tutto impegno; spero che nelle ore di tue occupazioni tu potrai ritornar padrone assoluto della tua mente. Lʼarte è una grande egoista, e confido che essa potrà, se non guarire, almeno modificare la tua infiammazione di sentimentalismo.
«Te ne faccio augurio di tutto cuore.
Paolo.»
Laura ad Ermanno.
«Amico mio.—Mio caro Ermanno! e non sarà mai che io veda distolta dallʼanima tua quella tristezza crudele che avvizzisce le gioie del nostro amore? Il cielo sì prodigo a me di conforti, ti è tanto avaro da non concederti mai unʼistante di calma.... non è dunque vero che unʼaffetto profondo abbellisce lʼesistenza anche allora che si è lungi da chi si ama, se tu soffri cotanto lontano da me?.... La tua lettera fu uno strazio per il mio cuore, e su quelle pagine improntate dʼamarezza, ho versate molte lagrime.—Oh! quante volte lʼho letta e riletta; fermandomi sopra ogni frase, studiandone ogni accento, cercava di trasfondere nellʼanima mia un riflesso delle tue pene; con ciò mi pareva di alleviare il tuo travaglio.
«Perchè mai, mio buon Ermanno, non puoi tu essere felice quanto io la sono. La certezza, del tuo amore paralizza in me ogni altro pensiero, e non vivo, non respiro che della tua memoria. Guardo ed accarezzo con estrema compiacenza tutto ciò che hai tocco colle tue mani, nella mia stanza serbo gelosamente il tuo bastoncino di giunco che nascosi a tua insaputa; tutto mi parla di te, e sembrami talora di vederti là sulla poltrona ove eri solito a sedere mentre[155] io in piedi a te dʼaccanto, ti contemplava collo sguardo, ed ammirava col cuore....
«Là tu mi sorridevi stendendomi la mano che io premeva fra le mie senza trovare una parola che ti dicesse tutta la mia gioia, tutto lʼamor mio.—Oh! pensa Ermanno, pensa come me a quegli istanti passati così rapidamente, e dimmi se non ti senti nellʼanima un sussulto di felicità pari alla mia.
«Non dubitare di me, mio caro, non reputarmi tanto leggera da credere che al primo volger di vento io possa menomamente obliarti. Chi ti conosce come io ti conosco, non potrà a meno di amarti, e per sempre.—Feci più volte lʼesame della mia coscienza, ed alla notte quando lʼimmagine di te viene a carezzarmi la mente, penso aʼ tuoi dubbi sulla mia costanza, e ponendomi la mano sul cuore come per interrogarlo sulla durata del mio affetto, egli mi risponde palpitando: Sempre. Sì mio amato, sempre, nè accadrà mai che per un solo istante io possa dimenticare che tu sei per me la persona più cara di questo mondo.
«Ed è vero che vi siano donne capaci di mutar sentimenti ad ogni tratto?.... Non lo credere, è una calunnia: le donne che tradiscono la fede non possono amare.—Io guardo il cielo, il sole, le stelle, e dovunque incontro il tuo mesto sorriso; ogni alitar del vento, ogni folata dellʼaria, mi porta allʼorecchio il tuo nome.
«Talora passeggiando in giardino, vedo un fiore che si dondola leggermente agitato dallo zeffiro; lo guardo, lo fisso, e sembra chʼei mʼinviti a coglierlo dicendomi: vieni Laura, vieni a recidermi per lui, ed allora corro, schianto il fiore, e lo bacio.—Tuttociò che faccio e dico, parmi che sia a te diretto; alla sera prima di mettermi al riposo, mi aggiusto i capelli senza saperne il perchè, mi alzo alla mattina ed indosso quella veste bianca che ti piace tanto.
«Non sai tu che facesti di me una gran vanerella? Figurati che tormento di continuo lo specchio per vedere se sono tale da poter realmente piacerti; non sempre rimango contenta dellʼesame, e vorrei persuadermi dʼesser proprio tale da farmi amare sempre più dal mio adorato Ermanno.
«Come ci trasforma lʼamore! Non mi riconosco più, e parmi di mutar carattere ogni giorno. Se tu sapessi quanto buona sono diventata da che ti amo! Le cose più piccole mʼinteressano vivamente, e talora sono trascinata a certe idee, che sembrano follie.—Ieri per esempio, mentre metteva il solito zuccaro nella gabbiuola del mio cardellino, mi venne un triste pensiero che quasi quasi mi forzava al pianto.
«Ho pensato fra me che quella povera bestiolina tenuta prigioniera poteva avere la sua famiglia altrove, e che in cuor suo dovesse dolersi amaramente di me che lo privai della libertà per mio diletto. Pensai che quella povera creaturina dovesse soffrire e piangere perchè separato e lontano daʼ suoi piccini, e mi pareva che fissando in me i suoi occhietti mi dicesse: Madamigella, mi lasci in libertà, mi lasci volare al mio nido; ho dei piccini da nutrire, una compagna fedele che mi aspetta, che mi ama e piange la mia perdita....
«Mi venne voglia di fare la sua felicità, parevami che tu fossi dietro di me a mormorarmi: lascialo fuggire, lascia che scorrendo le libere aure del cielo ei possa raggiungere colei che lo attende tanto ansiosamente.... lascialo per amor nostro!—Aprii la gabbia e mi staccai dʼun passo per osservare.
«Il cardellino sulle prime non si accorse di aver la prigione aperta; quando se ne avvide, discese con tanta precauzione, lento lento come se fosse colto dallo stupore.... salì sullo sportellino, guardò parecchie[157] volte allʼintorno come se cercasse di persuadersi della realtà; volgendo la sua graziosa testolina verso di me stette a fissarmi alquanto, mandò un leggiero gorgheggio, battè le ali, e via di volo nel libero cielo.
«In un baleno egli scomparve dagli occhi miei, ma io stetti lungamente rivolta a quella parte donde era sparito, e quando rinvenni in me, mi accorsi di avere gli occhi umidi di pianto.—Or non è più quella cara bestiolina che mi rallegrava coʼ suoi melodiosi gorgheggi, non sarà più necessario che io sciolga fra le erbe del mio giardino quei fuscellini a lui sì graditi; il piccolo prigioniero non è più, partì salutandomi e dimenticando persino lo zuccaro di cui era sì ghiotto.
«Non ho agito bene, mio Ermanno? Perchè fare lʼinfelicità di cotesti esseri per soddisfare un semplice capriccio? io vorrei poter beneficare tutto il mondo, e ciò perchè ti amo tanto, e penso che tutto quello che faccio possa meritarmi sempre più il tuo affetto.
«Ho tanti saluti da porgerti per la signora Salviani. Ieri fummo a trovarla, ed in confidenza, se io non fossi più che certa dellʼamor tuo diverrei gelosa per gli elogi che essa ti fece.—Ricordati che ti aspettiamo in campagna, verrai bene a passare qualche giorno alla mia villa? La mamma incaricò il signor Paolo di rinnovartene invito, e conta su te. Partiremo alla fine del mese, vale a dire fra qualche giorno.
«Non vedo lʼora di abbandonare questa nojosa Milano per recarmi in campagna. Sono certa che colà passerò vita felice, perchè fra quella solitudine beata, mi sarà dato di pensare sempre a te, mio caro Ermanno.
«Scrivimi subito per dirmi quando verrai a trovarmi; noi ci fermeremo sin verso la fine di ottobre. Anche il signor Paolo sarà dei nostri; che bravo[158] giovinotto! io lo amo come un fratello, è tanto compiacente, tanto caro! Figurati che viene quasi tutti i giorni a trovarci. Il mio ritratto è finito, per quello di papà abbiamo deciso di aspettare.—Io so che il signor Paolo, farà due copie del mio; una per te. Egli me lo ha detto, egli che con una delicatezza veramente squisita, mi parla sempre di cose che mi danno gran piacere.
«Quando mi ricordo del giorno della tua partenza, mi viene ancora un sospiro.—Figurati che in tutta la notte precedente non mi fu dato di dormire unʼora. Parevami ad ogni tratto che spuntasse lʼalba, e per accertarmene scendeva dal letto onde scrutare il cielo, ma desso era ancora coperto di stelle.—Lʼultima volta che mi destai, la mia camera era tutta inondata della luce del mattino; temetti che fosse tardi, e mi vestii in fretta per venirti a dare lʼultimo saluto.
«Credo al tuo dolore nellʼabbandonarmi, perchè il mio era pur grande; e non vʼha parola che possa dirti tutto quello che mi veniva alla mente.—Oh quanto ho desiderato di stringerti la mano! Potendolo avrei avuto il coraggio di scendere nella via, giacchè non sapeva più reggere allʼaffanno; in quel momento dolce e terribile sentii quanto grande fosse lʼamor mio, e se tu mi avessi letto in cuore, mai più ti verrebbe il minimo dubbio sulla mia costanza.—Nellʼatto che tu salisti in carrozza, poco mancò che non mi sfogassi in dirotto pianto, ma mi feci forza, e cercai un sorriso per rivolgere a te mio povero amico; un falso sorriso che ti consolasse alquanto. Partisti, la carrozza si allontanò rapidamente, ed il fragore delle ruote mi piombò amaro nellʼanima. Un minuto dopo tu non eri più in vista, ed angosciata, oppressa, mi ritirai nella mia camera per lasciar libero sfogo al pianto che mi soffocava.
«Oh! Ermanno, cattivo amico; dopo tutto ciò, potrai ancora dubitare di me, potrai tu credere che io debba dimenticare quel dolore che nella stessa sua intensità serbava alcunchè di soave al punto, che desidero talvolta di piangere come allora? Non ci voleva meno di una tua lettera per calmarmi, e Dio sa quanto ansiosamente lʼattendeva; ti seguii col pensiero durante il viaggio, ti accompagnai a casa tua ove credetti che appena giunto tu mi avresti subito scritto. Ma non fu così, perchè il domani tanto desiderato mi portò nessuna novella. Nelle ore che per solito mi giungono le lettere, io era tutta sconvolta, ed appena sentiva suonare alla porta, correva io stessa ad aprire... ma nulla, nulla affatto!—Quando mi pervenne finalmente la tua carissima lettera, poco mancò che non venissi meno per la gioia.
«Perchè non sei tu qui, mio Ermanno per comprendere ciò che non so dirti con parole!.... Perchè non sei qui vicino a me a vedere le mie lagrime che sono emanazioni di pensieri che non posso esprimere, ma che sento nascere dal cuore ed attraversarmi la mente come lampi di fuoco.—Ah! è vero pur troppo che io sono una bambina, se non so tradurre su questa carta una sola di quelle emozioni che si agitano nellʼanima mia per farti credere che per tutta la vita io non potrò mai altro che amarti, e sempre amarti.
«Che io non le senta più quelle tue parole di desolazione che mi straziano; se tu sapessi quanto male esse mi fanno, ne saresti assai più avaro.—Deh! fa che non sia troppo lontano il giorno in cui noi ci rivedremo: ricordati che la tua Laura ti aspetta ansiosamente per piangere sul tuo seno e dirti con quelle lagrime tutto lʼamore che ti porta.
«Vieni, vieni presto
Laura».
Ermanno a paolo.
26 Luglio
«Mio caro, io debbo prima di tutto ringraziarti per i tuoi buoni consigli che vorrei poter accettare se entrassero nel mio modo di vedere.—I tuoi sforzi però, ottimo amico, sono come quelli del medico che cerca di combattere un male sconosciuto. Ciò nonpertanto non deve scemare a me la riconoscenza; ora però sono in condizione da abbisognare più dellʼopera tua che deʼ tuoi consigli. Ti prego di ringraziare Laura per la sua carissima lettera, e dille che le sue parole mi fecero un gran bene.
«Il conte S.... uno deʼ miei più affezionati protettori, vuole ad ogni costo che mi ritiri per qualche tempo nella sua villa onde lavorare attorno alla Messa Funebre.—Ciò mi torna molto giovevole, perchè come sai in campagna si è assai più concentrati; mia madre verrà con me, e ci fermeremo colà finchè avrò terminato il mio lavoro.
«Esitai molto prima di accettare, ma il conte mi sollecitò con tanta premura, che infine dovetti accondiscendere.—Tu conosci quel bravʼuomo, e sai quanto mi ami, lʼinteresse e le cure che ei si prende a mio riguardo sono tali che per quanto io faccia, non potrò mai sdebitarmene.—Partirò dopo domani, e ti prego di notificarlo a Laura. Dimmi pure quandʼè che la famiglia Ramati lascierà Milano per recarsi in villa, e mandamene lʼindirizzo affinchè io possa sapere ove dirigere le mie lettere.
«Attendo sempre quel ritratto.—Ti scriverò poi più a lungo; per ora una stretta di mano, e credimi tuo
Ermanno».
Ermanno a Laura.
12 Agosto
«Sono le quattro del mattino.—Il cielo è serenissimo, azzurro e limpido come immenso oceano, e dalla finestra ove ti scrivo abbraccio collo sguardo il grandioso panorama di uno dei più ridevoli paesaggi.—Dallʼalto di questo colle sulla cui vetta sorge la villa che mi ospita, vedo sotto di me un lago tranquillo che giace fra i colli verdeggianti, terso e trasparente come puro cristallo, increspato appena dalla brezza mattutina.—Spingendo più oltre lo sguardo, veggo spiegarsi una bella corona di graziose colline fresche e ridenti, popolate di case e paeselli che spiccano come rose sopra un tappeto verde e cupo. Più in là chiudono lʼorizzonte le cime delle Alpi illuminate con tinte dʼoro dal nascente sole, e fra quei dirupi io discerno ancora qualche striscia di neve che perdura ostinata malgrado i calori della stagione. Al di là del lago sorpassando i colli ed i monti ritrovo gli estremi lembi del cielo sfumati a mille colori che si perdono nella nebbia dellʼinfinito.
«Rivolgendo lo sguardo ad occidente, vedo un caos interminato di pianure e colli che si alternano bizzarramente, confondendosi in lontananza collʼorizzonte; il sole che sʼinnalza lentamente, spande i suoi raggi luminosi su quella striscia di terra, che irrorata dalle rugiade della notte, si presenta come unʼimmenso piano lucente di mille colori a guisa di un vasto campo di perle.
«Le gemme della natura, sono ben più modeste e più belle di quelle che sortono lavorate dalle officine;[162] bastano un raggio di sole ed una goccia dʼacqua per formare i più brillanti rubini.
«Oltre al limite che lʼimperfezione dello sguardo non può varcare, oltre alle sfumature dellʼorizzonte, havvi una terra benedetta come questa dal sorriso della natura; dessa è la Brianza, ed io senza poterla scorgere mi figuro di vederla segnata nei confini del cielo come un punto quasi impercettibile, mi figuro che appena al di là di quel velo sottile ed impenetrabile che mi sbarra la via dello sguardo, debba trovarsi quellʼEden delizioso che non ha nulla da invidiare a tutto quanto mi sta innanzi.—A quel punto immaginario, sono costantemente rivolti i miei sguardi, se potessi raggiungerlo lo farei con tutta lʼanima; ma pur troppo malgrado i miei ardenti desiderii, quel punto vagheggiato, serba la sua desolante distanza.
«Io non so se tu mia Laura mi abbia già compreso. Non è la Brianza per sè stessa che mi attiri tanto ardentemente, ma sei tu fanciulla mia, tu mia Laura che soggiorni in cotesti luoghi; tu che io cerco col pensiero fra i ridenti colli e le balsamiche aurette.—Ti cerco in quel punto lontano che brilla come un faro luminoso.... La tratta non è lunga, io penso che una rondinella, un passero, una mosca potrebbero in brevʼora trasvolare su quel tratto di spazio che mi allontana da te, e raggiungerti; ed io che agisco sotto lʼimpulso di unʼintelligenza, io che ho il coraggio di concepire i più strani desideri, non ho la forza di conseguirne un solo.
«Egli è ben meschina creatura lʼuomo! Fu detto che volere è potere, ma se ciò fosse, a questʼora non sarei qui ma in Brianza nel tuo colle, nel tuo giardino, aʼ tuoi piedi per dirti che ti amo tanto!.... Ma ohimè pur troppo quellʼardito aforisma chiude nel[163] suo concetto unʼidea inconseguibile, ed altro non posso che mandarti un saluto da lungi.
«Da quindici giorni, mi trovo qui fra queste allegre collinette con un cielo calmo e delizioso, unʼaura soave come carezza di piuma; e sento che il mio spirito abbattuto si rialza, che lʼanima mia penetrata dallo sconforto, riprende la via di una fede sublime.
«Tutto qui è placido, affettuoso, tutto ha lʼimpronta di un ingenuo sorriso, tutto sembra armonico, ed il sibilo dellʼaria che striscia fra i fogliami dei vigneti, racchiude in sè le modulazioni di un canto pastorale che mi commuove le più recondite fibre del cuore. In questi pochi giorni ho tanto bene dimenticato il mondo, che mi ricordo solamente di quelli che amo.
«Io non so dirti, mia Laura, quale soave mestizia trasfonda in me questo patetico soggiorno, ma egli è certo che qui mi trovo cambiato, e solo fra il riposo di una sì placida esistenza posso concepire una felicità possibile allʼuomo che sa contentarsi delle scarse gioie che presenta la vita.
«Oh quante belle speranze mi si ridestano in seno fra le mollezze di questa dolce solitudine, quanti bei sogni!.... Ma non senza dolore mi accorgo che anchʼessi sono baleni di luce artificiale che spariranno colla mia partenza da questi luoghi.—Ho lavorato molto, ma più di tutto ho pensato a te mia bella Laura, alle gioie del nostro amore, e stamane non seppi resistere al desiderio di mandarti un saluto dallʼalto di questi colli.
«Addio dunque, fanciulla mia, in queste parole si comprendono unʼinfinità di dolcezze che io stesso non so dirti. Addio, possa questo mio saluto trascorrendo il tratto di cielo che mi separa da te, giungerti nellʼistante del tuo risveglio, sicchè il primo pensiero[164] ed il primo sospiro che ti partono dal cuore siano per il tuo
Ermanno».
Ermanno a Laura.
18 Agosto
«Grazie, mille volte grazie, la tua cara lettera fece completa la mia felicità; io non so dirti quante volte lʼabbia letta e riletta, ed ancora mentre ti scrivo, tengo spiegato innanzi a me quel piccolo foglio di carta, che mi fece tanto bene.—Le rugiade della sera, il sole del mattino non sono sì benefichi al fiore come lo furono per lʼanima mia le tue dolci espressioni che mi rimasero impresse nella mente a caratteri indelebili.—Dunque mia cara Laura, tu pensi sempre al tuo povero Ermanno? tu mi ami sempre come prima, e lascia che prostrato a te dinnanzi, angelo mio, io te ne renda grazie, lasciami dire che le tue care parole operarono in me la più santa delle rigenerazioni.
«Oh! io non so descrivere la mia felicità, ma tu devi comprenderla; fra i nostri cuori esiste una tal relazione, per cui si svela ogni mistero dei nostri affetti, direi quasi che tutto ciò che mi hai scritto, io lʼho già ascoltato altre volte dal tuo labbro. Dove.... quando? Non lo so.—Forse i nostri pensieri sprigionandosi dallʼangusta cerchia in cui sono costretti, per librarsi ai voli dellʼinfinito, si incontrano talora per via, si confondono scambiandosi il loro secreto. Le tue idee sono allora le mie, ed unificati mercè di questa corrente misteriosa, ci parliamo spesso quel linguaggio che va diritto al cuore, agitandolo dolcemente.
«Tutto ciò è follia mʼavveggo, le mie parole sanno[165] di eccessivo romanticismo, ma io non ho nessuna colpa, o mia Laura, se tutte le volte che penso a te, mʼinebbria un profumo tale di poesia, che mi trae fuori della realtà.—Io non ho nessuna colpa, se ovunque nel cielo, nel lago, nei colli, nei fiori, ed in tutta natura veggo la mia Laura.
«Spesso mʼassale una vaga inquietudine, una stanchezza morale che mi opprime e sconforta; anche la natura nel suo grandioso assieme, inspira talora la malinconia più desolante.—Nel contemplare questʼimmenso tratto di colli, valli, e pianure che si spiegano agli occhi miei, penso fra me stesso che questo soggiorno può essere un cielo di delizie per coloro ai quali arride la felicità; alla vista di tanta maravigliosa creazione assorta nel riposo, vergine da ogni corruttela del mondo, il cuore si dilata, e pregusta le gioie di una fortunata calma.
«Io pure cerco dʼinebbriarmi nellʼabbracciare avidamente questo immenso giardino che perdesi lontanamente in un roseo orizzonte, mi trasporto col pensiero su pei ciglioni delle Alpi, ed allorchè il giorno sta sul cadere, allorchè la natura, tutta sʼimbruna dei morenti colori del tramonto, e la brezza vespertina mi aleggia in viso, fissando lo sguardo sul tranquillo specchio del lago solcato in lontananza da una barca che si discerne appena per un punto nero ed una lunga striscia sullʼonda, mi figuro che quella navicella sia lʼimagine della speranza.—Costringo lʼocchio a seguirla finchè il punto nero rimpicciolendosi sempre più perdesi in una vaga sfumatura, e quando tutto è scomparso, me ne resto immobile, fisso a quella volta.—Le tenebre della notte, celano il punto delle mie illusioni, e sospirando ritraggo lo sguardo.
«Tal è la vita mia buona Laura.—Una memoria, una speranza e un punto.—Jeri nel silenzio della[166] notte allorchè tutto era tranquillamente sepolto nelle tenebre, mi affacciai alla finestra; il cielo era bruno e tempestato di stelle, la luna era nel suo primo quarto, e già tendeva a celarsi, dietro le Alpi. Ecco unʼaltra immagine della fugacità della vita, pensai fra me, e fissando lo sguardo su quellʼarco lucente e sottile come lama di pugnale, stetti contemplandolo finchè lo vidi scomparire, e quando lʼestrema punta fece capolino dalla vetta del monte, la salutai sospirando!—Non vi rimase che unʼaureola di luce biancastra, che lentamente andava dileguandosi; indi a poco, più nulla, oscurità completa....
«La notte regnava tranquilla, il lugubre silenzio, era rotto solamente dai monotoni strilli delle cicale; queste allegre colline verdi e fiorite apparivano come unʼammasso di ombre cupe, ed il lago riflettendo i pochi raggi luminosi sparsi nellʼaria, sembrava simile a vasta palude, ornata dʼuna corona di tenebre.—Oh quante volte cercai nello straziante spettacolo della notte per trovarvi il secreto dellʼesistenza! La natura muore tutti i giorni, lʼestremo saluto del sole che si spegne, non precede di molto il sorriso del sole che rinasce, ma lʼuomo non gode di questʼalternativa regolare di luce e tenebre; pur troppo nella vita, al dolore sussegue spesso lo sconforto, allo sconforto la desolazione, senza che mai lʼalba di una speranza, apparisca anco da lontano!.... Ma io vaneggio, e tu mia Laura, puoi con tutte le ragioni, tacciarmi di oscuro ed ipocondriaco. Tu sei appena sullʼaurora della vita, ed io crudele cerco di sconfortarti colla pittura del tramonto.
«Perdonami sai fanciulla mia, perdona a questo povero pazzo che si trascina per un mare di deliri. È tanto strano ciò che succede in me da rendermi incerto sulla realtà del mio stato. Parmi di esser felice,[167] e di non esserlo, nè so spiegare come ciò avvenga; ma già la colpa è tutta tua se questo cervello si esalta.
«Le ombre della sera che si avanzano, mʼimpediscono di più oltre estendermi; ho promesso meco stesso di dirti tuttociò che mi passerebbe per la mente prima che sopraggiungesse la notte, ed ecco adempita la mia promessa; ci vedo appena, e non mi rimane che il tempo di farti un saluto.
«Addio, mia Laura, scrivimi presto, dimmi tante cose, ma sopratutto ripetimi che mi ami. Il pianoforte è a pochi passi da me.... vado a mandarti un saluto melodico suonando quel Notturno che ti piace tanto «Al chiaro di luna».
«Addio, adorata
Ermanno».
Laura ad Ermanno.
29 Agosto.
«Mancando da alcuni giorni di tue novelle, io era assai inquieta, tanto più che non ebbi ancora risposta allʼultima lettera che ti scrissi. Questo ritardo straordinario mi sorprese non poco, giacchè se è vero che tu ricevi con gioia le mie lettere, le tue io le attendo ansiosamente, e non so darmi pace allorchè vengono deluse le mie aspettazioni.
«Jeri il signor Paolo mi scrisse da Milano, dicendomi che tu sei ammalato. Ed è vero mio Ermanno? Pur troppo così devʼessere, perchè diversamente come potresti lasciar correre tanto tempo senza mandare una lettera alla tua Laura che aspetta sempre.—Povero amico, povero Ermanno!.... e dire che io fui tanto ingiusta da dubitare unʼistante che tu mi avessi[168] dimenticata.—Oh! perdonami sai, non era la tua Laura che pensava così, no, il mio cuore era troppo sicuro; fu una stranezza crudele della mente.
«Pensai molto sulle cause che potevano trattenerti dallo scrivermi, ma infine non ne trovai una plausibile sembrandomi che non vi possa essere giustificazione alcuna per tale dimenticanza. Sapeva che hai molto lavoro, cercai di persuadermi che le occupazioni ti togliessero il tempo di scrivermi, ma che vuoi? Sono tanto egoista da non voler cedere davanti a qualunque ostacolo.
«Vedi come si corre nel pensar male! Mentre io mʼinsospettiva, tu mio povero Ermanno eri malato e sofferente.—Mio Dio questʼidea mi dà rimorso; lʼhai detto tante volte che sono una bambina, e finisco col persuadermene.
«Frattanto tu mio buon amico, sei oppresso dal male; il signor Paolo, mi disse non esser cosa tanto seria, ed aggiunse che tu stavi meglio, ma io non ci credo, potrebbe essere una pietosa bugia, e non presterò fede al tuo miglioramento, finchè tu stesso non ne darai prova scrivendomi appena ti sarà possibile.
«Jeri lʼaltro la signora Salviani venne a farci visita accompagnata da un giovinotto milanese suo cugino; le prime parole di quella buona signora, furono per te; ella ti aspetta sempre.—Domani andremo con papà alla sua villa che dista pochi passi dalla nostra; mi fermerò fino a sera, e ciò mi fa lieta perchè almeno potrò parlare di te con qualcuno che ti conosce.—Quanto sarei felice, se al mio ritorno trovassi una tua lettera! oso appena sperarla, e tu mio Ermanno fa di non tardarmi troppo questa gioia.
«Povero amico, è ben crudele il nostro destino! Nel dolore della lontananza eraci non lieve conforto[169] lo scambio di lettere, ed ecco che subito la fatalità ci perseguita, e ti fa cadere ammalato. È una barbarie.—Intanto, finchè tu non sia guarito, ti scriverò tutti i giorni; sono certa che ciò ti farà piacere, perchè ogni mattina, svegliandoti, tu troverai una mia lettera al tuo capezzale che ti porterà il primo saluto.
«Così potessi venir io a surrogare la tua povera mamma! Con quanto amore ti assisterei vegliando le notti, e prestandoti tutte quelle cure che io sola saprei immaginare. Stamane iʼ era in giardino con questʼidea per la mente, e parevami di vederti nella tua camera più pallido dellʼusato; io era al tuo fianco, ti parlava del nostro amore e di tutte quelle cose che tu solo sai comprendere; tu mi guardavi sorridendo, stendendomi spesso la mano come per ringraziarmi... Oh! sono certa che tu a questo modo, guariresti presto, perchè tanto farei, tanto pregherei la Santa Vergine, che infine tu saresti salvo.—Ma ohimè, ciò non è possibile, ed io debbo starmene lontana da te che amo tanto, e che soffri forse per causa mia; questo pensiero mi eccita al pianto; perchè mio buon Ermanno, io sento che per quanto faccia, non riuscirò mai a renderti felice!
«Sopportiamo, o caro, lʼamarezza del nostro destino; non può essere che il nostro amore debba recarci per unico frutto una lunga serie di dolori.... Chissà, un presentimento secreto, mi dice che un giorno forse, saremo felici.—Spera, mio buon Ermanno, spera con me nellʼavvenire; esso è incerto, ma non potrà essere ingiusto.
«Il signor Paolo, mi scrisse che fra pochi giorni verrebbe a trovarci; se tu fossi allora guarito, sono certa che non mancheresti di venire; la sarebbe pure una grande fortuna!
«Jeri ho detto per te una grossa bugia, della quale[170] spero non ne terrà calcolo il cielo. La mamma mi vide al collo la tua medaglietta: chi te lʼha data, mi chiese—io era davanti allo specchio, e mi vidi venir rossa per la confusione, perchè fui colta troppo di sorpresa. Non mi passava in mente neanche il nome di una qualche amica; infine mormorai: Letizia, ma colla timidezza di chi è persuaso di non essere creduto.
«Il cuore mi batteva tanto forte da togliermi financo il respiro; e perchè poi? Se anche avessi detto alla mamma che quella medaglia era una tua memoria, sono certa che non le avrei fatto dispiacere, ed in confidenza, credo che ella sospetti alcunchè del nostro amore.—Non me ne tenne mai parola, ma io indovino tanto bene dal suo volto ciò che le passa nellʼanimo, che giurerei di non errare.
«Ti assicuro, mio Ermanno, che non mi preoccuperei per niente, se il nostro secreto venisse scoperto; il tuo amore mʼinfonde tanto coraggio, che mi sento orgogliosa di possederlo, e colla massima compiacenza volgendo uno sguardo alla turba dei giovinotti eleganti, non ne trovo uno che sʼuguagli menomamente a te....
«Ma io parlo, parlo e forse troppo, perchè tu avrai bisogno di calma.... Oh la cattiva ciarliera che io sono! Per dirti tutte queste fanciullaggini, scordava quasi il tuo male, e comincio a credere che se fossi al tuo capezzale ti sarei poco giovevole. Compatiscimi mio caro, e procura di guarir presto.—Ricordati che io conterò i giorni, lʼore, i minuti sempre anelando ad una tua parola apportatrice di buone nuove, e che non avrò più pace finchè non mi verrà una tua lettera.
«Addio, a domani.
Laura».
Paolo ad Ermanno.
10 Settembre.
«Da due giorni mi trovo qui alla villa Ramati, ove appena giunto mi colmò di gioia la notizia che mi diede Laura della tua guarigione. Ti assicuro che ero assai inquieto per la mancanza di tue lettere, e se Laura non avesse saputo qualche cosa del tuo stato, non avrei indugiato a venirti a trovare. Fortunatamente ciò non è necessario, e ne sia lode al cielo; ora sapendomi qui non ti costerà gran fatica lʼindovinare lo scopo di questa mia lettera, della quale prima di tutto, dichiaro che intendo essere assolto.
«Se ti scrivo, non è tutto per mio volere, giacchè in questi giorni passai sotto gli ordini di madamigella Laura che mi comanda di rivolgerti la parola, mettendomi a forza la penna fra le dita.
«Laura adunque mi ordina di dirti, che noi siamo felicissimi per la tua guarigione, e ne rendiamo grazie al Signore; ma siccome tu hai la smania di occuparti di soverchio e facilitare così una ripresa al male, noi ti preghiamo, e se fa duopo ti comandiamo di dar passo per ora agli impegni, e goderti la convalescenza. Per ciò, al solo scopo di prevenire i funesti effetti di una ricaduta, ti dichiariamo che sei atteso qui senza fallo entro domani, od al più tardi per il giorno dopo.
«Questʼordine è scritto sotto gli occhi di Laura che in questo punto mi dice averti già ella tenuto parola in proposito, perciò credo che non ti farai di troppo desiderare, e.... volerai ad appagare le nostre brame.—È inutile che io ti aggiunga preghiere dopo quanto ti avrà scritto questo angioletto che mi sta[172] alle spalle sorridendo ad ogni parola che mi sfugge dalla penna.—Ho meco la copia di quel certo ritratto, e ti giuro che se non vieni tu stesso a prenderla, perderai sovrʼessa ogni diritto.
«A me parrebbe di averti detto tutto, ma il consigliere che mi sta ai fianchi, non la pensa così, e mi ordina di scrivere sotto il suo dettato.
«Ecco: la mamma ed il papà Ramati ti pregano per mezzo mio di ricordarti della tua promessa. La signora Salviani ti desidera, io ti aspetto, ma Laura ti vuole. Ella ha sognato la notte scorsa che tu le dicesti di venir domani, epperciò ti previene che allʼora dellʼarrivo della vettura ella sarà sul terrazzo a spiare sulla strada, e che se tu non verrai sfogherà il suo rancore collo scrivente, il quale perciò ti supplica di salvarlo da tanto periglio.....
«Qui tace la delicata vocina della mia direttrice, e qui faccio punto anchʼio perchè dopo tanto, non mi resta più nulla a dirti.—Addio.
Paolo».
Ermanno si arrese alle preghiere di Laura e dellʼamico; sua madre stessa lo consigliò a divagarsi alquanto per rompere le fatiche di una soverchia occupazione.—La buona donna tremava per i giorni del figlio minacciato dal ritorno del morbo che lo aveva assalito alcuni anni prima.
Il lungo studio e lʼeccessiva applicazione avevano più contribuito a conservare che a distruggere le traccie della malattia, e diffatti fin dalla sua prima guarigione, Ermanno non aveva più ritrovata quella salute che è una specialità della gioventù; un qualche rimasuglio del male vi era sempre; e ciò spiega il perchè del suo costante pallore e dellʼirritabilità di carattere tanto facile allo scoraggiamento.
Ricevuta appena la lettera di Paolo Ermanno partì, e giunse nella stessa sera alla villa Ramati.—Passò colà diciassette giorni, i quali furono certo i più belli che mai egli avesse trascorsi; e la lettera che ei ne scrisse a Laura al ritorno, riflette ancora un raggio di quella felicità che forse si gusta una sola volta in vita.—Noi la trascriviamo tutta intera, perchè essa rivela il punto più elevato di quellʼaffetto nobile e grande.
«Laura mia
30 Settembre
Ho giurato varie volte meco stesso di non più prestar fede alle promesse del bene, e mal mio grado debbo ora fare ampia ritrattazione della mia incredulità.—Nellʼincertezza delle mie idee, nella desolazione di tutto me stesso, io era giunto a tanto da dubitare se la luce del sole fosse luce vera; e tu mia Laura colla tua bontà, col tuo candore diradasti le nebbie del più sconfortante pessimismo.
«È vero sì che la missione degli angioli sulla terra è la redenzione dei miseri mortali, perchè tu fanciulla mia, angiolo di dolcezza hai salvo il mio spirito dal brutale abbattimento che lo minacciava. È vero che il bene è cosa di questo mondo, perchè esso si concretizza in te; nella tua graziosa persona si chiude quella misteriosa potenza che io voleva negare.—Il bello, il buono, il sublime esistono perchè tu vivi mia Laura, ed il mondo che ricetta nel suo seno una schiera dʼanime elette come la tua, non può essere ovunque un ammasso di sventure.—
«Oh! giovinetta, tu che operasti il santo miracolo della rigenerazione di unʼanima inferma, esulta meco della vittoria, e ringrazia quel Dio che ti mandò dal cielo, chè la tua missione ebbe lʼesito più felice.
«Laura, mia Laura, ed è vero che io possa scriverla questa parola? Sono felice!.... Non mʼilludo io forse nel concepire una simile idea, non sogno?.... Dimmelo tu, perchè ciò che succede in me è tanto nuovo da rendermi incerto sulla realtà di quello che provo.—Felicità..... quella stella lontana che brillava come un punto quasi impercettibile, lʼavrò io raggiunta? Come ho attraversato quellʼimmenso spazio[175] di aria, e di tenebre che me la tenevano lungi?.... Non lo so; ma è certo, che cercando attorno a me non trovo più nulla dʼinvidiabile, più nulla da desiderare.....
«Laura, tu farai la più santa delle cose scrivendomi subito, che tutto ciò che provo, tutto il fuoco del cuore, lʼesaltamento che mʼinvade, è realtà. Ho bisogno di una tua lettera nella quale tu mi dica che il passato non è un sogno, che ti ho veduta per diciassette giorni..... Oh i bei giorni! io voglio ripensarli, voglio riandare colla mente ad ogni ora ad ogni istante di essi, perchè la mia felicità si fonda intieramente su quelle dolci memorie.—Mi ricordo che al mio arrivo, tu eri ad aspettarmi là sulla porta del tuo giardino; appena mi riconoscesti da lontano, agitasti il fazzoletto, tu mi attendevi ed io sarei volato per raggiungerti tosto; ma questo meschino cuore, si agitò siffattamente, che dovetti fermarmi per lʼaffanno.—Era verso sera, lo ricordi?.... io saliva lʼerto pendio che guida alla tua villa..... il sole salutava coʼ suoi ultimi raggi le cime di quei graziosi colli. Tu stavi appoggiata ad un grosso albero e sorridevi malinconicamente.
«Chi mi sa dire la gioia, la voluttà di quel momento? Già pochi passi ne separavano, ed io correva leggiero come se avessi avuto lʼali. Un passo ancora, due, tre, e ti accolsi fra le mie braccia.—Ricordati Laura di quellʼistante e di quelle lagrime che ci toglievano la parola; ricordati di quel bacio strappato ai nostri labbri da una forza superiore ad ogni reticenza.—Quel bacio esalato dallʼalto del colle al cospetto del morente sole fra unʼaria balsamica, ed un cielo orientale, non si perdette no nei vortici dello spazio, perchè io lo sento ancora qui sulle mie labbra, e si ripete tuttavia nel cuore.
«Adorata creatura, leggiadra come visione celeste, superiore ad ogni concetto che mente umana possa formarsi della bellezza, lascia che qui dalla mia solitudine, col più santo entusiasmo ti dica che fra le tue braccia ritrovai lʼobblio a tutti i mali dal passato, il conforto per quelli dellʼavvenire.
«Non è vero no che lʼuomo sia tutto di materia, non è vero che le sue gioie come i suoi dolori abbiano un limite ristretto a questo meschino pianeta che è la terra; ci sono dei momenti in cui lo spirito umano esce dagli stretti confini del noto, ed erra nellʼimmensità dellʼignoto, ne sente il mistero senza comprenderlo; ma in quellʼistante qualche cosa di più che non una macchina di carne, agisce e pensa.—Quel fremito misterioso non è più unʼemozione meccanica, ma la luce di una scintilla divina.....
«La memoria di quel giorno mi seguirà lo sento, fino allʼestremo di mia vita, ed è perciò che non cesserò mai di benedirti ed amarti.—Te lo giuro col cuore commosso, o Laura, io spero nellʼamor tuo, credo alla tua fede perchè in quel momento di abbandono soave, mi apparisti qual sei, unʼangelo del paradiso.
«Non ripeterò nè le gioie della mia dimora costì, nè il dolore della nostra separazione; cʼè da venir pazzo ripensando a tutto ciò; una sola cosa ti dico che ti farà gran piacere, ed è che sebben lontana, mi sembra dʼaverti qui presso di me nei momenti appunto che abbisogno della tua immagine. Io posseggo un secreto, mercè cui posso riprodurre lʼespressione tenera del tuo sguardo.
«Il tramonto coʼ suoi raggi dʼoro, è pur sublime! Tutta natura si pinge di quei colori morbidi vellutati che i pittori chiamano tinte calde; e tiepide invero esse sembrano, tiepide e voluttuose come il bacio di[177] una donna amata. Al di là dei colli il cielo sʼincolora degli estremi raggi solari che riflette come specchio, e la natura si chiude in un sorriso mesto, malinconico, ineffabile, che ha solo riscontro nel sorriso di una vergine adorata.—Sì mia Laura, io osservai che quellʼinsieme armonioso e delicato del tramonto, riassume uno deʼ tuoi sguardi, epperciò non lascierò passar sera senza contemplare quel cielo che ti rassomiglia, e cercare nel suo sorriso il secreto del tuo sguardo.
«Dopo alcuni giorni di beatitudine mi fu forza lasciarti, ma portai meco un tesoro di ricordi, una ciocca deʼ tuoi capelli, ed il tuo ritratto.—Il genio del nostro Paolo ha trasfusa su quella tela tutta lʼanima tua, ti colse in tutto il fascino della tua bellezza, e più guardo quel dipinto, più parmi di vederti viva a me dinnanzi.
«La pittura è uno dei più gran segreti del genio; il poeta più elegante ed immaginoso, potrebbe pur cercare nella sua fantasia e stillare lʼanima neʼ suoi versi, nè perciò riuscirà mai ad animare di tanta realtà un ritratto.
«La musica colla vaga elasticità deʼ suoi concetti, è lontanissima da unʼidea definita; ma il pittore fonda lʼarte sua sulle basi incrollabili del vero, ed opera il gran prodigio di riprodurre in tutte le parti più dettagliate la natura, carpirne il segreto e dare agli oggetti quella vitalità che sarà sempre un mistero per la parola.
«Non farò elogi al modello, sarebbe vano quanto voler dire la bellezza dʼun fiore.... lo si guarda sorridendo in silenzio, lasciando che il cuore lo esalti con palpiti dʼammirazione.
«Ciò che più di tutto mi desta sorpresa si è che[178] nel tuo sguardo, o Laura, trovo unʼespressione di serietà che rivela un sensibile mutamento di carattere e di pensiero; parmi che queglʼocchi non siano più quali li mirai per la prima volta in Brescia. Non sparger lagrime sul dileguarsi delle tuo giovanili fantasticherie, non sospirare dietro lʼabbandono di certe gioie troppo puerili, giacchè la tua intelligenza che si sviluppa, tʼinsegnerà altre gioie a cui il cuore non sarà più estraneo.
«Io saluto con tutta lʼanima la malinconia del tuo sguardo.—Via quellʼeterno sorriso ingenuo, che rivela una completa ignoranza della vita: la mestizia dello sguardo è un sorriso del cuore, e gli angeli sono rappresentati dai grandi artisti in atteggiamento malinconico.
«Benedetta le mille volte lʼaura dei tristi pensieri che cancella dalle vergini fronti lʼingenuità di fanciulla per lasciarvi lʼespressione della donna. Io guardo i tuoi occhi così ben disegnati, la mossa graziosa della cara testolina, le linee purissime della tua fronte, e trovo ovunque un senso di poesia che non so esprimere, ma di cui assaporo tutta la voluttà.
«Ieri verso sera volli regalarmi una passeggiata in barca; lʼaria era fresca, il cielo sereno; tutto invitava a quella gita.—Quando fui nel bel mezzo del lago, mi colpì uno spettacolo veramente patetico. Sorgeva la luna, ma il cielo era ancor tinto di un roseo incerto per i riflessi crepuscolari.—Vedendo la faccia pallida dellʼastro notturno, mi sovvenni che nella sera precedente lʼavevamo contemplata insieme dal tuo terrazzo; lo rammenti? Concentrato in quella memoria, mi parve di essere trasportato nel tuo giardino, a te dʼaccanto....
«Queste sono illusioni, è vero; ma la vita non è forse per sè stessa una lunga fila dʼillusioni? Chi lo[179] sa; chi potrebbe giurare che sia reale tutto ciò che si vede e sente?
«Quando rinvenni dalla mia contemplazione, mi accorsi che lʼaria era troppo umida, e mi affrettai verso casa, non prima però di aver affidato un saluto per te, alla brezza che mi sfiorava il viso.—Erano le otto.... Che facevi tu a quellʼora? Termino questa lettera, altrimenti chissà dove mi fermerei.—Ho molto lavoro da compiere, e sarò costretto a vegliare per alcune notti.
«Addio mia bella, mia buona Laura. Scrivimi, scrivimi presto e sopratutto non dimenticarti mai del tuo povero amico.—Nelle delizie del tuo soggiorno fra il bacio delle molli aurette, ed il sorriso di un cielo sempre sereno, ricordati sempre di me.
«Nelle tue gioie, nei tuoi divertimenti, abbi ognora un pensiero per il tuo
Ermanno».
Laura ad Ermanno.
7 Ottobre.
«Hai tu pensato mai, mio buon amico ai primi giorni del nostro amore? non ti ricorrono talvolta alla mente i nostri primi colloquii?—Ieri mentre stava leggendo la tua lettera, si ridestarono dʼun tratto nellʼanimo mio le memorie del passato, e provai una vera gioia richiamandomi tutti i particolari del nostro primo incontro a Brescia in casa della cugina Letizia.—Quante dolci rimembranze, quante care memorie! Cercai tosto la tua prima lettera, la lessi attentamente, e da quellʼesame del passato mi accorsi di quanto il nostro amore siasi ingrandito.—Provati,[180] mio Ermanno, provati a risollevare nel tuo seno quelle rimembranze, e vedrai se io fallo.
«Appena pochi mesi trascorsero, dʼallora in poi, eppure parmi che in quel frattempo siano accaduti dei grandi avvenimenti; non so persuadermi di conoscerti sì da poco, e sembrami che la memoria di te, si leghi alla mia infanzia; parmi che il corso dʼanni ed anni, abbia assodati quei legami che ci uniscono.
«Non so dirti quanto bene mi abbia arrecato la tua lettera; giacchè dessa è la prima in cui tu lasci libero corso al tuo cuore, senza offuscarne i concetti colle nubi della tua barbara logica; è la prima volta che tu mi parli con tanta fede, o dirò meglio con tanto entusiasmo.
«Come sono belle le tue lettere! Non lascierei mai di leggerle; sono tanto soavi, dolci armoniose le tue parole che mi sembra quasi di udire la tua musica.—Oh! come invidio la tua sorte o Ermanno, tu puoi esprimere tutto ciò che ti passa nellʼanimo colla massima facilità; non vʼha idea che tu non colga a perfezione, e quando tu mi parli dei colli del lago, del cielo, parmi di respirare in grembo a quella natura così ben descritta, quando mi parli delle tue emozioni, sembrami di vederti a me dinnanzi con quella cara mestizia impressa nello sguardo.
«Da alcuni giorni sono qui sola; Paolo è partito, nè valse preghiera a trattenerlo; papà e mamma fecero il possibile per indurlo a fermarsi ancora, ma tutto vano; egli fu inesorabile nella sua decisione, come tu lo fosti nella tua.
«Ora la campagna mi è divenuta insopportabile, parmi di essere isolata in un deserto, ed attendo ansiosamente che la mamma si decida di ritornare a Milano. Non oso fartene domanda, perchè ti so occupatissimo,[181] ma parmi che sarei felicissima, ricevendo più spesso tue lettere.
«Stamattina, per esempio quando vidi il nostro domestico con un fascio di giornali e carte del papà, avrei giurato che vi era una tua lettera; ma nossignore, fui disingannata, eravi una lettera, ma della cugina Letizia. Stetti col broncio per più di unʼora, e non mi venne neanche in mente di vedere ciò che mi scrivesse la cugina: ma poi tutto passò; prima ho riflettuto che tu hai molto da fare; poi perchè toccava a me il rispondere alla tua ultima.—In vista di tali circostanze ti ho perdonato.
«Tu dunque mio Ermanno, sei felice, ed è vero.... non fu una pietosa invenzione la tua? Sia ringraziato il cielo! tu credi finalmente allʼamor mio, e questo è tutto ciò che desiderava, perchè mio caro, il dubbio di non riuscire ad inspirar confidenza, diviene penoso per un cuore che ama.... Ma io sono una gran ciarlona; creo castelli, fabbrico progetti a mio piacimento, ed infine poi nulla ci rimane, e dobbiamo tenere a gran ventura se ci vediamo parecchie volte durante unʼanno.... noi che ci amiamo tanto!
«Se io fossi agile come la rondinella che svolazza dʼintorno al mio balcone, spiegherei tosto lʼali alla tua volta, ed invece di una lettera, ti sorprenderei con una visita mentre stai seduto al piano creando qualche cosa colle tue magiche dita.
«Ti ricordi di quella sera che ci recammo alla villa della signora Salviani?.... Noi precedevamo gli altri tenendoci al braccio; tu mi dicevi tante cose belle, tante parole dolci, ed io ti ascoltava religiosamente, perchè quando tu parli mio Ermanno, preponderi su tutti i miei sensi, e non so far altro che ascoltarti, ascoltarti sorridendo.—In quella sera fosti pregato di suonare, ed io mi sedetti subito al tuo[182] fianco, mormorandoti parole di tenerezza fra gli accordi della tua musica....
«Madama Salviani va pazza per quella Fantasia sullʼUltimo pensiero di Weber, ma a me restò più impressa la Campana dei morenti. Oh! la bella musica, e con quale straziante effetto tu la eseguisti! Io aveva voglia di piangere tanta era la commozione che mi destava quel canto lúgubre e morente; e se fossimo stati soli, ti sarei caduta nelle braccia per dirti che quella musica divina, mi strappava lagrime dʼamore.
«Tu lasciasti un mondo di ricordi in questa nostra piccola villa.—Entro spesso nella camera che era a te destinata, e ne esco talora colle lagrime agli occhi, perchè parmi che colà tutti gli oggetti piangano la tua assenza.—Trovai un volumetto che tu dimenticasti, sono le poesie di Leopardi. Tengo nascosto quel prezioso ricordo donatomi dal caso e lo leggo spesso perchè so che è il tuo poeta prediletto.—Vi sono dei segni, ed uno specialmente sui versi:
«O speranze, speranze; ameni inganni
Della mia prima età! Sempre parlando
Ritorno a voi; che per andar di tempo
Per varïar dʼaffetti e di pensieri,
Obliarvi non so!........»
E di quelle speranze che formano il mistero della vita mi pasco io pure.—Spera amico mio, è questa una tale felicità che compensa tutti i dolori.
«Tu che ora vedi il primo barlume della speranza, saluta con gioia la sua luce apportatrice di tante dolcezze....
«Mi dici che in pochi mesi, cambiai dʼaspetto, che il mio sguardo è più serio; ma non sei tu il primo a fare questo rimarco. La mamma già me lo disse, e[183] cento altri mi vanno ripetendo che io non sono più quella di altre volte.—Tutto ciò lo devo a te mio Ermanno che facesti guerra alle puerilità che mʼingombravano il cuore, e sono a te debitrice di questo salutare sviluppo delle mie idee che sʼimpronta sul mio volto.
«Se tu non eri, io sarei ancora una bambina vanerella e senza pensieri; tu mʼinsegnasti a pensare ad amare; colle tue parole, le tue lettere, e la tua musica, mi empiesti lʼanima di novelli affetti, e vado a te sola debitrice della prima educazione del mio cuore.
«La cugina Letizia, verrà fra qualche giorno collo zio a trovarci, ma a quanto essa mi dice nella sua lettera, non si fermerà molto perchè si accingono a fare un viaggio in Toscana. Per vero, andrei anchʼio molto volentieri con essi, ma siccome mi preme assai più di ricevere le tue lettere, ed aver sempre novelle di te, non mi lascierò certo indurre.
«Il più bel viaggio per me sarebbe quello di venirti a trovare; ma ciò è tanto improbabile, che ti autorizzo di mettere questa mia idea nel numero delle tante follie che ti avrò già scritto.
«E tu, mio buon amico, lavori sempre? Bada però di non affaticarti troppo, sei debole e mal reggeresti ad una soverchia occupazione. Pensa mio Ermanno, che se tu ricadessi ammalato, io vivrei in angoscia mortale; pensa che la tua Laura ti comanda di conservarti per lei, pensa che da quellʼegoista che sono non soffro rivali, e non voglio che lʼarte usurpi quelle ore che debbono essere riserbate al nostro amore.—
«Ti proibisco dʼora innanzi di raccomandarti alla mia memoria.—È questa una contraddizione a tutta quella fiducia che dicesti di avere riposta nellʼamor mio.—Insegnamelo tu cattivo diffidente un mezzo[184] per dimenticarti unʼistante appena, giacchè io ti ho sempre nella memoria.
«Tu mi hai circondata della tua atmosfera, tu sei dappertutto, nel cielo, nei fiori, nellʼaria chʼio respiro; tu sei entrato nelle mie più piccole cose, e diventasti il padrone di tutte le mie azioni. Il tuo linguaggio è sì dolce, il tuo modo di parlare e pensare si distacca tanto dal comune che rappresenti per me unʼindividualità isolata e grande fra la turba.—Tu infine colle tue parole, colle tue lettere, colla tua musica hai ammaliato questo povero cuore che non potrà mai altro che amarti ed ammirarti.
Laura».
Ermanno rispose subito alla bella lettera di Laura, nè qui è caso di trascrivere quel che ne disse, giacchè quella lettera, altro non conteneva che le solite assicurazioni dʼamore, le solite frasi di tenerezza. Solamente egli ringraziava la giovinetta per la prova dʼaffetto che gli dava non partecipando al viaggio della cugina, onde non interrompere la dolce corrispondenza, e le raccomandava di non lasciarlo a lungo, senza sue novelle.—Ma sia dimenticanza, o che altro, Laura non rispose a quella lettera.
Passarono così più giorni senza che Ermanno potesse darsi ragione di quel silenzio tanto insolito; scrisse unʼaltra volta, ma collo steso frutto, ed è facile immaginare quanta agitazione ed incertezza tormentassero lʼanimo suo.
Finalmente, dopo venti giorni, ricevette il seguente biglietto:
Caro Ermanno,
«Due righe in fretta per dirti, che questa sera parto colla cugina Letizia alla volta di Firenze.—La mamma vuole ad ogni costo che io mi divaghi alquanto, e debbo compiacerla.
«Ti scriverò da Bologna ove ci fermeremo qualche giorno.—Per ora addio, amami sempre come ti ama la tua
Laura».
Questa lettera dʼun laconismo straniante, parla molto per sè stessa sulla fermezza di proposito della giovinetta, la quale abbenchè memore della promessa fatta ad Ermanno, non seppe resistere al desiderio di fare quel viaggio. Il pretesto che la madre ve lʼavesse quasi forzata era troppo meschino, e tradiva il di lei imbarazzo nel trovare una giustificazione ammissibile alla sua inconseguenza.
Il dolore di Ermanno nello scorrere quella lettera, fu grande, giacchè egli era ben lungi dallʼattendersi un simil colpo. Troppo persuaso dellʼamore di Laura, e sorpreso del di lei silenzio, aveva cercato in cuor suo una scusa qualunque per distruggere i cattivi presentimenti che gli sorgevano nellʼanima; egli supponeva pietosamente che un qualche avvenimento, una malattia forse, facesse ostacolo aʼ suoi desiderii; ma quando dopo un silenzio di tanti giorni gli giunse quella lettera, dovette pur troppo lasciare libero passaggio ai funesti pensieri che lo incalzavano.
Qui ci tocca il doloroso compito di ricaricare sullʼanima dello sfortunato giovane il peso delle amarezze.—Ci duole doverlo dire, ma da questo punto noi dobbiamo seguire Ermanno nella via del disinganno più crudele—Egli non aveva puranco perduta ogni speranza, Laura prometteva di scrivergli da Bologna, e forse si sarebbe giustificata; ma attese invano.
Passarono più giorni, e niuna novella. Lʼinnamorata[187] giovinetta aveva forse perduta ogni memoria durante il viaggio.—
Non ci basta lʼanimo di narrare la tristezza di quei lunghi giorni di aspettativa angosciosa. Il novembre toccava quasi al termine, ed in tutto quel tempo Laura non aveva trovato modo di mandare un saluto al suo sventurato amico.
La stagione non era più propizia per rimanere in campagna, dʼaltronde Ermanno aveva già terminata la sua messa, giacchè nel dolore che lʼopprimeva era per lui unico conforto quello dello studio.—Ritornò colla madre a Brescia, ove appena giunto sʼebbe incontro con Alfredo dal quale seppe che Laura si trovava in Milano già da dieci giorni.
Un simile procedere, eccedeva ogni limite. Ermanno aveva con tutti gli sforzi trascinate le sue speranze di giorno in giorno, ma ormai non eravi più dubbio; Laura non ricordavasi più di lui.—Per quanto tentasse di calmarsi pensando che egli stesso aveva preveduto questo miserabile scioglimento del silenzio, pure non sapeva darsi pace per la rapidità con cui erano stati dimenticati gli eventi del passato.—
Per poco cuore che si abbia una donna, in simili casi tenta sempre di giustificarsi; è la coscienza istessa che impone questʼammenda alla fede vacillante; ma non curarsi assolutamente del passato, dimenticare in un punto amore e promesse, è unʼatto barbaro, una violenza alle fini cortesie che inspira nellʼanimo la memoria di una persona che si è tanto amata.
Finalmente Ermanno mal reggendo allʼincertezza, e desideroso di avere una spiegazione che lo togliesse da sì penosa esistenza, scrisse allʼamico Paolo la lettera che segue:
Amico mio,
10 Dicembre.
«Le mie previsioni si sono troppo presto avverate. Da due mesi sono privo di novelle di Laura. Io non so se questo inqualificabile silenzio, debba ascriverlo a mia colpa; ad ogni modo siccome io non mi dimentico tanto presto del passato, ed ho una spina qui nel cuore che mi opprime, ti prego di dirmi ciò che sai intorno a quella giovinetta.
«Credo che tu sarai ancor di casa presso i Ramati, epperciò ti raccomando di non far sapere ad alcuno di questa mia lettera..... nemmeno a lei; che se alle volte le pesasse alla coscienza la memoria di me, desidero di esser presto dimenticato, acciò non mi tocchi il rimorso di amareggiarla neppure per un istante.
Tutto tuo
Ermanno.»
A quanto sembra, malgrado il divieto dellʼamico, Paolo mostrò a Laura quella lettera.
Sia rimorso, sia pietà, giacchè non oseremmo dirlo amore, Laura fece il sublime sforzo di scrivere ad Ermanno; ma ohimè quale diversità da quella lettera alle precedenti! allora lʼamore, la poesia ed il sentimento spiravano naturali ad ogni frase. In tutte quelle pagine scritte senza concetto determinato, si scorgeva il caro disordine che regna ovunque negli epistolari amorosi; quellʼavvicendarsi di frasi inconcludenti era fondato sopra una solida base: la fede.—
Ora più nulla di tutto ciò, lʼultima lettera di Laura era di una regolarità quasi commerciale, vi si vedeva lo sforzo ad ogni parola, lʼinerzia in ogni idea, e pareva[189] che lo scopo predominante fosse la grammatica.—Noi presentiamo questa lettera al lettore, pregandolo di riflettervi sopra se sembra possibile che dopo due mesi appena si possa giungere a tanta indifferenza.
Ermanno,
15 Dicembre
«Giacchè tu ti ostini a tacere, rompo per la prima il ghiaccio per darti nuove di me e della mia famiglia. Io sto bene, altrettanto mamma e papà, e spero che tu pure ti troverai in sì favorevole condizione. Debbo chiederti tante scuse per non averti scritto come ti promisi, durante il viaggio; ma che vuoi? Firenze coi suoi monumenti toglie ogni modo dʼoccuparsi; oltre a ciò aggiungi lʼessere noi continuamente in giro, giacchè abbiamo peregrinato per tutta la Toscana; vi sono tante cose da vedere in quel bel paese che ci rimaneva ben poʼ di tempo per noi.
«Fummo fortunati abbastanza nel nostro viaggio, perchè il cielo fu costantemente sereno; ci fermammo quindici giorni a Firenze, e ti assicuro che non avrei mai più lasciata quella bella città.
«La passeggiata di LungʼArno è deliziosa, o vi facemmo varie gite in barca al chiaro di luna. Abbiamo visitato Pisa, Pistoja e Livorno; gran bella città questʼultima, e fu vero peccato che lo zio siasi opposto al progettato viaggio di mare per Genova.
«Ebbi un brutto momento a Livorno, immagina, mancò poco che non rimanessi preda del mare. Eravamo in barca scorrendo tranquillamente quelle onde solcate da tante navicelle; io me ne stava seduta a poppa e per aver tentato dʼalzarmi mentre la barca oscillava, caddi nellʼacqua. Fui presa e portata sulla riva, e quando ricuperai i sensi mi trovai fra le braccia della cugina che si struggeva in lagrime.
«Per buona sorte fu maggiore la paura del danno, però un tale avvenimento poteva aver serie conseguenze.
«Del resto mi sono molto divertita; non dimenticherò mai più le belle sere passate a Firenze, quel cielo sereno, quellʼauretta molle, mi lasciarono una cara rimembranza.
«Al mio ritorno, papà e mamma avevano già lasciato la campagna, epperciò mi diressi a Milano.—Voleva scriverti subito le mie impressioni di viaggio, ma ebbi tanto da fare, tante visite da restituire che me ne mancò il tempo.
«Scrivimi tu, e lungamente, così passerò qualche ora lieta colla tua lettera.—
Addio abbiti i saluti della tua
Laura».
Era troppo! Una tal lettera indignò giustamente Ermanno, che senza frapporre indugio, e colla rabbia in seno, subito rispose a quella lettera umiliante in questi termini:
«No madamigella, non doveva rompere il ghiaccio di un silenzio che nascondeva una voragine senza fine; chissà che la ruggine del tempo non avesse consumato il mio rancore, ed al nostro primo incontro, avrei potuto mostrarle un volto sereno, senza che il mio labbro tentasse un rimprovero.—Ma vivaddio mi si tasta troppo presto una ferita ancora aperta perchè io non debba trarne lamento.—Creda pure madamigella, ella mi scrisse troppo presto.
«Credeva forse la signorina che bastasse il dirmi che a Firenze la luna era chiara, la brezza molle, il[191] LungʼArno delizioso, per giustificarsi di non avermi scritto prima? Non sono tale io dʼappagarmi di sì poco, e mal sopporto che dopo due mesi di crudele dimenticanza, mi si venga a dire: Oh! signor Ermanno, ora che sono a casa, ora che mi annojo e non so più come passare il tempo, mi ricordo di lei.—Durante il viaggio non potei scriverle perchè aveva troppo da fare, ma adesso che sono annojata, la prego di una sua lettera lunga, che leggerò fra gli sbadigli della solitudine per iscacciare il sonno.—
«Mia cara, il signor Ermanno che ha la disgrazia di prender tutto sul serio, non può reggere a tanta derisione; egli ha forse il difetto di pretendere troppo, ma in confidenza unʼamicizia che si dissolve per un chiaro di luna, non è tale da lusingarlo gran fatto; e piuttosto che aver sì poco, egli rinunzia a tutto.
«Nella descrizione del suo viaggio, non trovo un cenno che mi riguardi; ciò mi lusinga assai..... ella si è divertita, e mi basta; valeva forse la pena di ricordarsi di me? No davvero, si viaggia per divagarsi!
«Ciò che più di tutto mi consola, si è la sua fermezza di proposito, giacchè, se non erro, in una lettera dalla Brianza, ella mi diceva che avrebbe rifiutato di fare il viaggio preferendo assai più di ricevere mie lettere.—Posso rallegrarmi che ella abbia cambiato dʼavviso, così non mi graverà il rimorso di averle fatto perdere una buona occasione per..... divertirsi.
«Confessiamo però che lʼaver io creduto alle sue promesse fu conseguenza dʼun deplorabile eccesso di buona fede.....
«Più ci penso, e più mi avveggo che commisi una sciocchezza pretendendo che ella mi scrivesse qualche volta; figuriamoci dove trovare il tempo? Bisognava andare sullʼArno a goder la frescura in barca di notte per contemplar la Luna e numerare le stelle del cielo,[192] e farsi mollemente cullare dalle onde.—È naturale, non è colpa sua se il tempo volava tanto rapido da non permetterle di mandare un saluto a quel povero diavolo che ebbe la disgrazia di sperarlo!....
«Seppi subito il di lei ritorno da Firenze. Venti volte la penna mi venne fra le mani per scriverle, e sempre ne abbandonai lʼidea.—Cosa avrei potuto dirle?.... Ella taceva, segno questo che aveva tuttʼaltro per la mente, ed io colla mia lettera avrei forse sturbate le dolci reminescienze del viaggio.
«Glie lo confesso, aveva deciso di non più scriverle..... mai più. Non ci voleva meno di una sua lettera per rimettermi la penna fra le dita, ed ecco che violando ciò che mi ero promesso, le scrivo ancora una volta..... sarà lʼultima? lo ignoro, ciò non dipende da me; è certo che io ho duopo di calma, che mia cura principale si deve essere quella di evitare ogni commozione che potrebbe aver funeste conseguenze, e non correr dietro al turbine di false lusinghe, sognar chimere per poi destarmi nello scoraggiamento coi dolorosi avanzi di poche illusioni svanite.—
«Posso essere ancora in tempo per non disperare, e sono certo che la mia stessa Laura vedrà che a ragione mi appiglio ad energica risoluzione.
«Non so se questa lettera avrà come le precedenti alcuna influenza sullʼanimo suo; riuscirò forse con inutili lagni ad annojarla; ma più di tutto la prego di risparmiarmi un sorriso di compassione caso mai le venisse spontaneo sulle labbra.—Io lo so, in certe condizioni si leggono ridendo quelle parole che altra volta ci strappavano lagrime, ma io scrivo col cuore troppo straziato per meritarmi un motteggio.
«Povero sogno! Fu vera fortuna la sua brevità; il mattino non è lontano; al sorger del sole svaniscono le dubbiezze della notte, e si tronca la trama[193] delle illusioni.—La realtà, sotto lʼapparenza di tiranna rappresenta la giustizia; tutto ciò che si agita nel suo dominio esiste, e non può essere; mentre in sogno, quanti errori di buona fede si commettono!.... Non è vero Laura? Me lo dica lei che fu la prima a svegliarsi, e tanto fortunata da aprir gli occhi in pieno sole; ma io mi dibatto ancora tra veglia e sonno, ed aprendo gli sguardi non vedrò che tenebre!....
«Aspetterò, pazienza! Lʼalba della rigenerazione viene per tutti, ed io attendo la sua pallida luce per rimettermi sul cammino di questo pellegrinaggio che si chiama vita, con un disinganno di più, ed una speranza di meno.
«Lʼavvenire è incerto, ma alla mia età non si può dubitare di lui; malgrado tutto posso ancora sperare che un giorno il cielo rasserenato mostrandomi la sua faccia stellata e ridente, mi dica: coraggio, dopo la tempesta viene la calma; è tale il destino di tutti gli uomini.—Tu vuotasti la tazza dei dolori..... Spera!
«Con questa parola chiudo la mia lettera. Per quanto scettico io possa essere, non credo certamente che operando il bene sʼincontri il male. Ho molti doveri da compiere, e lʼaffetto di mia madre esige da me i più grandi sacrifizii; però qualunque cosa possa accaderle, si ricordi madamigella di avere in me unʼamico sempre pronto a prestarle lʼopera sua, ogni qualvolta potesse abbisognarne.
«È possibile che queste siano le ultime nostre parole epperò non debbo perdere occasione per dirle che in tutte le vicende della vita ella sarà sempre accompagnata dai voti sinceri che io faccio per la sua felicità.....
«A lei sono certo riserbati alti destini, e le vie che noi prenderemo nel mondo, saranno ben diverse; pure[194] non dispero affatto dʼincontrarla un qualche giorno.—Dal canto suo faccia come meglio le detta il cuore; se crederà la memoria di me degna di qualche ricordo, sarà per me gran ventura.—Egli è certo però o Laura che lʼultimo saluto che sta per cadermi dalla penna, parte dal più profondo dellʼanima, e che non scrivo senza trepidazione e dolore la parola..... addio!—»
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pochi giorni dopo, Ermanno ricevette da Milano un piego nel quale erano accluse due lettere, una di Laura a Paolo, e lʼaltra di questʼultimo ad Ermanno.—Lesse la prima avidamente; e ad ogni parola dava segno di agitazione; giunto al termine gettò via il foglio con disdegno, senza nemmeno curarsi della madre che assisteva alla scena.—
Stette alquanto pensoso, indi con atto di rassegnazione prese la lettera di Paolo e si pose a leggerla.—Quando lʼebbe finita ripiegò il foglio, raccolse quella che aveva gettato via, sclamando con freddezza straziante:
—Va bene!.... e poi più nulla.
Studiò al piano fino a tarda notte, come se non un pensiero lo turbasse.—
Ecco le lettere.
Laura a Paolo.—
Preg. Sig. Paolo.
«Ricevo in questo punto dal suo amico signor Ermanno, una lettera tale che mi desta più sorpresa che risentimento; glie la trasmetto, perchè ella stessa, caro amico, possa convincersene.
«Educata per lunghi anni nella via della virtù mi colpiscono dʼindignazione quelle barbare espressioni; ma è mio dovere non rispondervi e dimenticarle.—Non si creda il signor Ermanno che io voglia contraccambiargli alcune pagine di sottile ironia, nè tanto meno giustificarmi di un operato che non riconosco come mancanza. Io tacerò usando tutta la possibile rassegnazione per sopportare quelle amarissime ingiurie, e dimenticarle col tempo.
«Io non so se più prevalgano nellʼamico suo la ragione o lʼegoismo, ma è un fatto che davanti a un simile contegno debbo credere che egli venga tratto talvolta a deplorevoli eccessi da rancore misterioso frutto forse di un abituale sconforto.
«Contro simili attacchi ho duopo premunirmi, giacchè essi straziano troppo lʼanima mia; noi non fummo fatti per amarci; havvi troppa discrepanza fra i nostri caratteri perchè possiamo mai vivere in pace. Feci tutto quanto era in me per prendere un sopravvento sulla sua funesta mania che spesso lo trascina a sragionare..... non vi riuscii, e con vero dolore mi ritiro desistendo da quella missione rigeneratrice che mi era imposta, perchè riconosco inutile ogni tentativo.
«Non risponderò alla lettera del signor Ermanno, perchè se a ciò mi accingessi, dovrei lasciare la mia penna preda di un giustissimo risentimento.—Rispetto il suo dolore, e prego il cielo che presto lo guarisca, e gli conceda quella pace che io non oso consigliargli.
«Ella signor Paolo, sono certa comprenderà le alte ragioni che pongono sul mio labbro un simile linguaggio; ho già molto mancato verso la mia buona mamma nel celarle ogni cosa, ma a questo punto, lo riconosco, la mia condotta diventa incompatibile coi miei doveri di figlia. Ho un avvenire di cui dovrò[196] render conto un giorno, e la coscienza mʼimpone un riparo alle deplorabili conseguenze a cui potrebbe trascinarmi una leggierezza di gioventù.
«Favorisca signor Paolo di significare allʼamico suo questa risoluzione che mi detta il dovere, cerchi di confortarlo, se pur ne abbisogna, e lʼassicuri che per parte mia non gli nutro alcun risentimento.
«Mi permetta poi, caro signore, che alla sua prima venuta in casa nostra, io le consegni tutte le lettere di Ermanno; sono preziose memorie che non ho il coraggio di distruggere, nè posso ritener meco senza derogare da quella linea di condotta che mʼimpone il mio dovere.—Faccia ciò che crede di quelle carte, giacchè per conto mio sono certa di fare il meglio rimettendole a lei.
«Perdono di tutto cuore ad Ermanno, dimenticherò le sue amare espressioni, ma richiedo da lui altrettanto oblio su quanto avvenne.—Riguardo a lei signor Paolo, che fu finora affettuoso testimonio delle mie azioni, non ho alcuna raccomandazione a fare. Io la conosco perfettamente, e so che per ogni evento noi saremo sempre buoni amici.
«Venga presto a trovarci, e mi creda di lei affezionatissima
Laura».
Paolo ad Ermanno.
«Troverai colla mia una lettera di Laura.... Voglio dire di madamigella Laura Ramati. Leggila prima dʼogni cosa, ed ascolta poi quanto vado a dirti.
«Non è certamente questo il caso di ritornarti alla mente come altra volta io biasimai la fiducia da te riposta in quella signorina, troppo bionda per esser[197] costante.—Il dolore che senza dubbio ti assale in questo momento, mʼimpone un sacro dovere: quello di giustificarti, e dar passo alla luce della verità.
«La verità anzi tutto, essa è il mio forte, e se mille di queste damine mi tentassero coi loro seducenti sorrisi, non saprei tacerla.
«Le donne sono diplomatiche per istinto; la più ingenua di esse vale almeno due uomini; è questo un antico adagio che sarà di unʼeterna attualità.
«Lessi attentamente la tua lettera di rimprovero a madamigella Laura, e non vi trovai quelle amare ingiurie, quel barbaro linguaggio a cui mi si vorrebbe far credere.—Io riconosco in quelle espressioni il grido di dolore che parte dal profondo dellʼanima; in ogni accento, in ogni parola, e persino nella straziante ironia che scoppia ad ogni tua frase, vi trovai una sola espressione, un solo concetto: lʼamore.
«Una donna che ami davvero, non potrebbe leggere quelle pagine senza piangere ed espiare la sua colpa con una pronta riconciliazione.—Madamigella Laura, trovò lʼinsulto nella preghiera, la rabbia nellʼamore, e sai perchè?..... perchè quella ragazzina sorta appena dallʼinfanzia, adorna di tutte le grazie, quellʼangioletto dai capelli dorati, ha le ali di farfalla; perchè infine a madamigella Laura è passata la febbre, e non ti ama più.—Il risentimento sorge dalle ceneri dʼamore.—Non si tratta nè di virtù, nè di doveri, ma sibbene dʼinfedeltà e dʼincostanza.
«La donna quando ama è simbolo dellʼegoismo, tutto tace davanti alla sua passione; ma quando la ragione e la logica entrano per una parte nel suo cuore, lʼamore ne esce dallʼaltra. Laura ha mentito, perchè non ebbe nemmeno il coraggio di confessarti la verità; sotto lʼapparenza di una falsa virtù ella nascose la sua leggierezza.
«Mio buon Ermanno, io spero che non ti darai alla desolazione perchè una donna ti ha tradito; scuoti per quanto puoi il tuo amor proprio, la tua stima dʼartista, e sollevati dallʼavvilimento in cui ti trasse un fatale errore.—Vuoi tu sapere perchè madamigella Laura trovò la tua condotta biasimevole? perchè la prima volta le venne il rimorso di alimentare unʼaffetto incompatibile coʼ suoi doveri?... Vuoi tu sapere infine, perchè durante tutto il viaggio in Toscana, ella non ti scrisse mai? Ascolta.
«Prima di tutto, è bene il dirti che fra i suoi compagni di viaggio, eravi quel certo cugino di madama Salviani. Tu lo conosci, è un giovane distinto, figura discreta, spirito discreto, con un reddito di venti mila lire annue; e questo fra parentesi passa la discrezione. Il signor Filippo insomma si presenta sotto unʼottimo punto di vista agli sguardi di una signorina da marito.
«Ignoro quel che può essere avvenuto durante il viaggio, ma so per altro che fin dal primo giorno del loro arrivo in Milano, quel signore è diventato intimo di casa Ramati; vi entra di lungo e largo, accetta spesso inviti a pranzo, accompagna madama e madamigella al corso, le visita in palco; e di notte passeggia sotto al balcone di Laura.
«Ecco la chiave di tutto; ecco come quella debole creaturina ha trovato il filo di tutte quelle virtù, e di tutti quei doveri di cui si mostra tanto gelosa.
«Mi pesa orribilmente allʼanimo il farti questa rivelazione; ma è mio stretto dovere dʼamico di nulla tacerti, perchè non voglio prolungare la tua incertezza con un crudele silenzio.
«Io lo so, queste mie parole ti suoneranno amare, ma spero nella reazione; dissi tutto dʼun fiato per darti uno scrollo improvviso; è un rimedio estremo[199] consigliatomi dalla prudenza.—In certi casi, le dubbiezze potrebbero esser fatali, ed io feci ciò che mi dettava il cuore; domani farò quanto mi consiglia la ragione con madamigella Laura. Non soffrirò mai che tu debba essere sotto il peso di una recriminazione ingiusta, non soffrirò che quella farfallina venga arditamente sfoggiando una falsa virtù per celare i suoi difetti.
«Domani vado da lei, e forse per lʼultima volta, ma ti giuro che io prenderò ampia rivincita del tuo amor proprio offeso.
«Armati di tutto il tuo coraggio, mio buon amico per dare unʼaddio a queste larve che trasvolano leggiere nello spazio; non addolorarti se una ragazza si è mostrata qual è una bandiera disciolta al vento.—Il tuo genio deve porti al disopra di tutte queste piccole miserie; attorno a quella giovinetta, tu creasti un mondo dʼillusioni, e lʼideale che ti sei fatto di lei, non è cosa sua, ma parto della tua fantasia dʼartista.—Essa non è quale tu la vedi una creatura sublime, ma sibbene una donnicciuola qualunque con tutti i difetti e le leggierezze del suo sesso.
«La tua meta sia ben altra: la tua innamorata devʼessere lʼarte; confida in lei, volgi ad essa i tuoi pensieri e le tue aspirazioni, che non lo farai invano.—Pensa infine che tua madre, quella povera donna ti adora, e che tu potresti cercare tutto il globo senza trovare un cuore pieno di te come il suo. La sua esistenza è legata alla tua, il tuo avvenire è la sua vita; serba per essa i tesori del tuo affetto.
«Io spero che non sarà lontano il giorno in cui tu saluterai con gioia il ritorno della tua pace. È questo il migliore augurio che sappia farti il tuo affezionato
Paolo».
Passeremo dʼun tratto due mesi che scorsero per Ermanno in una sola angoscia. Dopo la lettera di Paolo egli perdette tutte le speranze, e comprese dʼesser stato vittima di una dolorosa illusione.—Non si strappa da un cuore nobile la radice di un affetto che vʼimpresse profondo solco, senza lacrime, e senza sangue; non si abbandonano di subito le più care speranze, nè si soffrono i più grandi disinganni senza che lʼanima non riceva tremende scosse, senza amaramente soffrire.
Ermanno concentrò sè stesso in unʼattività febbrile, nascose a tutti il suo dolore che tentava dʼimprontarglisi sul volto, ingannò financo sua madre, simulando talora allegrezza; ma per ciò fare, dovette chiudere nel suo seno tutta lʼamaritudine che voleva farsi strada, dovette celare una serpe che gli rose ogni speranza.
Debole per natura, affranto dalle fatiche che sʼimponeva studiando continuamente, ricadde ammalato; il morbo che già due volte lo aveva minacciato, ritornò allʼassalto più possente di prima.
Verso la fine di febbraio fu obbligato a letto, ove lo troviamo ancora al principio dʼaprile.
Da qualche giorno però, dava segni di miglioramento,[201] ed il medico si azzardò alla promessa che presto lʼinfermo riacquisterebbe la salute.
Paolo che viveva nellʼincertezza, volle un giorno persuadersi egli stesso sullo stato dellʼamico. Partì pertanto da Milano per Brescia, ove appena giunto, si recò alla casa di Ermanno.—Lo trovò alzato, accanto al fuoco in arnese da camera.
Era pallido e macilento a tal segno, che Paolo provò una stretta al cuore in vederlo. La madre stava seduta accanto a lui; da due mesi quella povera donna, trascinava una vita di martirio accanto a quel malato scontento di tutto.
Quando Paolo entrò quella buona madre pianse per consolazione, giacchè ella sapeva quanta influenza egli esercitava sullʼanimo del figlio, e certa che essi avevano molte cose a dirsi, li lasciò soli.
I due amici parlarono per poco di cose indifferenti, infine Ermanno si lasciò sfuggire il nome di Laura.—Paolo, afferrata lʼoccasione spiegò tutta la sua eloquenza per consigliare lʼamico a non più pensare a lei, e con una pittura viva ed animata, tentò di persuaderlo che egli poteva essere ancor felice.—Tutto fu vano.—Ermanno stette ad ascoltarlo, e quando Paolo ebbe terminato, sclamò con aria dʼindifferenza agitando la cenere con una canna.
—Tu dici mio buon Paolo che non bisogna mai disperare, che al mondo ve nʼha per tutti della felicità; ma tʼinganni dʼassai.—Per convincerti di quanto asserisco, è necessario che tu entri alquanto nella mia condizione, è necessario dirti che se gli avvenimenti del passato sono a te larghi di promesse per lʼavvenire, per me la cosa corre ben diversa.—Ho tentato varie volte di credere, mi sono spesso confortato alla speranza; ma infine, non trovai che delusioni!....
Per taluni sciagurati, la vita è unʼanatema; costoro facciano bene o male, raggiungono invariabilmente la meta loro assegnata: il dolore.—Non è paradosso mio caro, non è scetticismo: tal quale mi vedi, ho tentate tutte le vie che mente umana possa immaginarsi; eppure lo crederesti? Mi trovai sempre qual prima annojato a morte.—Ho tentato sai di aver fede nellʼavvenire; lo sa Iddio con quanta forza mi accinsi allʼimpresa! ma il destino mi avversa fatalmente....
La mia missione sulla terra è quella di vagheggiare le cose lontane nè mai avvicinarle.—Avviene di me come del viandante, che si trascina sulle ardenti arene del Sahara torturato dalle bugiarde promesse della Fata Morgana.
Ermanno stette alquanto in silenzio, poscia proseguì con un sogghigno quasi beffardo.
—Ah la virtù ed il dovere! Ecco due maschere dʼipocrisia, dietro cui si celano spesso abbominevoli delitti.... Gran bella cosa il dovere, è una scappatoja comodissima.... una risorsa!—Bada a me Paolo mio, non ti fidare mai di queste parole, ricordati che il più delle volte sono merce di contrabbando.... Ah! ah! mi piace assai quel dovere che impose a madamigella Laura Ramati di troncare una relazione incompatibile colle sue.... virtù!... Ti saluto leggiadra creatura dai capelli biondi come lʼoro, dagli occhi cerulei come il cielo.—Seducente e vezzosa tu mi chiamasti colle tue grazie per poi respingermi collo zelo delle tue virtù.... Vola farfalla, vola leggiera come piuma sulla buccia dʼun altro fiore.... il mio è già consumato!....
Paolo stava attonito contemplando lʼamico, che andava man mano agitandosi fino al delirio; lo prese per il braccio, e sentì che i suoi polsi battevano fortemente; aveva la febbre. Tentò di calmarlo, ma invano;[203] Ermanno proseguì: «Sarebbe forse il dovere che consigliò a madamigella Laura di mandarmi questo regalo», e sì dicendo trasse una lettera che consegnò a Paolo—Ecco il più bel saggio; la signorina gonfia di tutte le virtù, non conosce quella che si chiama Carità. Si calpestano tutte le promesse; si spergiura in nome di quanto vʼha di più sacro, indi si canzona quel poveraccio che ebbe la disgrazia di credere.
Paolo lesse sorpreso quanto segue:
Pregiatiss. Signore,
I coniugi Ramati hanno lʼonore di partecipare alla S. V. Preg. che la loro unica figlia Laura passerà a nozze col signor Filippo Salviani da Milano—Sabbato prossimo si farà alla presenza dʼamici parenti la cerimonia per le promessa nuziali.
I suddetti fanno calcolo sulla presenza di V. S. Ill.
—Spero bene che non vi andrai, disse Paolo.
—Certo sì, è un invito in tutte le forme, e non mancherei per tutto lʼoro del mondo, sarebbe un rendersi scortese a tanta.... premura!
—Ermanno, sii ragionevole, da retta a me che parlo per il tuo meglio. Promettimi che non andrai.
—È inutile amico mio.... Ma non sai tu che attendo quel giorno con febbrile impazienza!—Io la vedrò ancora quella giovinetta ingenua, la vedrò festevole, profumata, inghirlandata... bella! Oh! perchè moʼ vorresti che io mi privi di tanta fortuna?... Eppoi più di tutto, io debbo farle le mie felicitazioni.... Certo, ella deve pretenderli questi riguardi dallʼumile artista che degnò altra volta di uno sguardo...
—Saprò contenermi, saprò celare il mio dolore.... eppoi, ma che dolore debbo io avere! Importa forse a[204] me che madamigella Ramati si faccia la sposa dʼun altro?.... Val forse la pena che io mi prenda tanto fastidio per unʼincostanza naturalissima, o dirò meglio... virtuosa? Ma che? non si hanno cento mila lire di dote per non avere il diritto di ridere, e divertirsi crudelmente alle spalle degli sciocchi, ed io mio caro Paolo sono fra questi.
—Con tante ricchezze si può liberamente lasciare da una parte la coscienza.—A ciascheduno il suo; tu hai pennelli, tavolozza, tela e colori; io il pianoforte, Haydn, Herz, Beethoven, Mendelssohn e Weber; madamigella Laura ha la sua dote.
—Prevedo che quel giorno delle sue promesse sarà uno dei più lieti di mia vita; ritornando a Milano, ti prego di annunziare a madamigella il mio arrivo per lʼepoca fissata. È questo un dovere troppo sacro di gratitudine, e quella virtuosa signorina si merita assai più che non le congratulazioni dʼun par mio.
—Tu le parlerai dunque della mia profonda... riconoscenza....
Non potè più proseguire, i singhiozzi gli soffocavano la parola; la violenza che egli fece per mostrarsi calmo collʼamico, lo prostrò del tutto, e si rovesciò sul seggiolone preda di un accesso di tosse secca e straziante.
Havvi unʼetà nella vita in cui tutte le emozioni, tutti gli avvenimenti lasciano sullʼanimo una traccia così leggera, che poco dura e si cancella tosto; lʼetà di Laura.—Nella donna specialmente si constata questo fatto.—È arduo assai lʼammettere che tutto ciò che sente una ragazza neʼ suoi primi anni tragga sorgente dal cuore; questo organo del nostro corpo è di tempra sì delicata e sensibile che serba sempre un rimasuglio di ricordo per tutto quello che vi è passato sopra.—Non si può negarlo, i grandi sentimenti della gioventù sono eccitati per la massima parte dalla fantasia che si compiace dʼingrandire ed esagerare ogni piccola cosa.—Egli è solo in età più avanzata, allorquando il cuore ha preso il sopravvento sullʼimmaginazione che gli affetti, le aspirazioni, i desiderii hanno un senso più vero, un carattere più stabile.
Se così non fosse, in qual modo sarebbe giustificabile la condotta di Laura, dove trovare un argomento per menomare alquanto, e rendere scusabile la sua incostanza?... Niuno oserebbe dire che Laura fosse di cattivo cuore; no, quella giovinetta per quanto frivola e leggiera, era buona, e sensibile; solamente ella fu tratta al mal passo per unʼallucinazione della sua fantasia.
Lʼesaltamento del suo amore per Ermanno, fu più opera della mente che del cuore, ed è perciò che dopo tante promesse, tanti giuramenti di eterna costanza, noi la veggiamo abbandonarsi lieta e tranquilla alla gioia, nella sera di sua fidanza.—Passata la nube che aveva alquanto offuscata la sua pace, la giovinetta riprese il suo solito sorriso di soddisfazione, e chissà se poco dopo, di Ermanno le venne a memoria neppure il nome.
Ammirata, lodata, vezzeggiata da parenti ed amici, ella rispondeva alle congratulazioni di tutti senza far mistero della sua gioia.—Non era una gran festa, giacchè il signor Ramati da uomo moderato non volle sfoggiarla in inviti. Trattavasi di alcuni amici raccolti a festeggiare le promesse senza grande etichetta, ma con molto buon umore.
Paolo era fra glʼinvitati.—Stava seduto sopra un divano accanto a madama Ramati colla quale aveva un discorso molto animato.—Ogni volta però che il domestico introduceva qualcuno, il nostro pittore volgeva rapidamente lo sguardo a quella parte, come chi aspetta con ansietà.
Un attento osservatore avrebbe rimarcato che Laura evitava di trovarsi con Paolo, e se talora i loro sguardi sʼincontravano ella li ritraeva tosto.
Le sale erano discretamente popolate dʼuomini di tutte le età, e di eleganti signore. Madama Salviani primeggiava fra tutte per venustà di forme messe assai bene in rilievo da un abito ingegnoso.—Il signor Filippo Salviani di lei cugino, sposo fortunato di Laura, era pure oggetto delle congratulazioni di tutti.
Per dare un saggio dellʼabilità del fidanzato, Laura lo pregò di eseguire un pezzo sul pianoforte.—Era una suonata di circostanza, epperciò si fece un silenzio[207] di convenienza; tutti interruppero il filo delle conversazioni, e si posero in ascolto.
Dopo i primi accordi fu spalancata la porta della sala, ed un servo annunziò: Il signor Ermanno Alvise—Laura era in quel momento al fianco di Filippo; quel nome gettato là dʼimprovviso le gelò il sangue nelle vene. Tutti gli sguardi furono rivolti alla porta, essa sola non ebbe il coraggio di alzare i suoi.
Ermanno comparve sulla soglia calmo e dignitoso, ma pallido come cadavere; lʼapparizione di quel volto freddo e sofferente, produsse uno strano effetto su tutti gli astanti.
Papà Ramati gli mosse incontro, e presolo affettuosamente, per mano, lo condusse presso sua moglie, indi pregò il futuro genero di continuare il pezzo incominciato.
Laura si trovava precisamente di fronte ad Ermanno, ma i di lei sguardi non si staccavano mai dalla tastiera ove parevano incatenati.—Filippo suonò con discreta abilità, e non aveva ancor finito, che già glʼinvitati battevano fragorosamente le mani.
Il signor Ramati presentò il suo nuovo arrivato ad alcune signore, indi lo lasciò in libertà, e Paolo approfittando del momento si avvicinò allʼamico, e gli disse sommesso.
—Te lʼaveva pur detto che tu avresti turbata la gioja della festa.
—Oh, perchè mai? chiese Ermanno.
—Io spero che farai uso della ragione per evitare una sconvenienza.... Sei livido.
—Ho la rabbia che mi divora....
—Bada che sei osservato.
—Sta tranquillo.
Laura frattanto erasi riavuta alquanto; ci affrettiamo[208] a dichiarare essere ella affatto allʼoscuro dellʼinvito mandato ad Ermanno.—Dal momento in cui egli entrò nella sala, la povera giovinetta venne oppressa da sì violenta emozione che la obbligò a starsi seduta. Fu spavento, e rimorso; un rapido sguardo passato sul volto di Ermanno, le fece palese tutta la triste verità.
Con un pretesto trattenne il suo fidanzato al pianoforte tanto per guadagnar tempo, e riaversi del colpo; ma lo sa Iddio se ella pensava a ciò che si dicesse in quel momento.
Ad un tratto Ermanno, lasciato Paolo, portossi al fianco di Laura, e con piglio ardito le disse:
—Mi permetterà madamigella Laura che io le faccia prima i miei ringraziamenti..... poi le mie congratulazioni.
Laura si scosse a quella voce, sorrise balbettò una risposta: ma avrebbe preferito esser sotterra in quel momento.
Ermanno proseguì con fare disinvolto volgendosi a Salviani.
—Ed a lei pure signor Filippo i miei complimenti..... In fede mia, ella ha agito da vero diplomatico; nessuno di noi avrebbe sospettate le sue intenzioni..... Forse neanche madamigella Laura.—Quando mi pervenne la buona nuova, cascai dalle nuvole.....ma bravo ancora, mille volte bravo; ella seppe scegliere il momento. Sì dicendo Ermanno sedette a loro di fronte; il signor Filippo ricambiò di buon grado quei complimenti, lʼaccento del giovane era sì naturale; ma Laura non sʼingannò punto, ella conobbe lo strazio che celavano quelle parole, e non ardiva ancora alzare lo sguardo.
Filippo, postochè era sopra un piacevole discorso, tentò di proseguirlo indirizzando un elogio a Laura. Ermanno[209] riafferrò prontamente il filo per accrescere lʼimbarazzo della giovinetta.
—Certo, sclamò egli sorridendo, senza offendere la modestia di madamigella, io farei sincero augurio a tutti i miei amici dʼincontrarsi in una sposa quanto lei leggiadra..... e virtuosa.—Pur troppo la è questa tal sorte che tocca a pochi prediletti, fra i quali ho il piacere di contarvi il signor Filippo.—Creda pure signor mio, che lʼinvidio di tutto cuore.
Laura alzò lo sguardo per la prima volta ad Ermanno, ed in quegli occhi eravi un accento tale di preghiera, unʼespressione sì supplichevole, da disarmare la collera di chiunque; ma Ermanno fu inesorabile; prese a caso vari quinterni di musica, e sciegliendo fra essi vi trovò una Romanza dʼHoffmann.
—Madamigella, dissʼegli, è da molto che non ho più il bene di sentire la sua voce; questa Romanza deve starle a meraviglia, e la sentirei volontieri.
Laura tentò di ricusare, ed egli si volse allora a Filippo dicendogli:
—Tocca a lei signore, ella ha più influenza di quanto possa averne io; la sua preghiera vale assai più della mia, e madamigella non oserà rifiutarsi.....
Non cʼera riparo, la crudeltà era troppo raffinata, e Laura non potendo schermirsene si abbandonò alla sorte.—Tutti fecero silenzio, Filippo accompagnava, ed Ermanno fissò gli occhi in volto a Laura che sotto quello sguardo si sentiva oppressa, nullameno; fecesi coraggio, e cantò:
«Ombre amene, amiche piante,
Il mio bene, il caro amante
Chi mi dice dove andò?
Zeffiretto lusinghiero
A lui vola messaggiero,
Diʼ che torni e che mi renda
Quella pace che non ho!»
La musica era buona, ma lʼesecuzione fu pessima; Laura aveva la voce incerta e tremante.—Naturalmente alla fine tutti gli astanti applaudirono, e la sposa si lasciò cadere spossata per la forza che dovette farsi.
—Per buona sorte, sclamò Ermanno sorridendo, per trovare il suo bene madamigella non ha che a fare un passo..... il signor Filippo è qui.....
Paolo riuscì a staccare lʼamico dal pianoforte e conducendolo altrove gli disse:
—Ermanno, tu soffri?
—Io? sei pazzo..... sto benissimo.
—Il tuo pallore è aumentato.
—È la gioia.... lʼallegria!....
—Tu hai la febbre; andiamo a casa.
—Mai no; resterò fino alla fine.
—Ascolta Ermanno, sii caritatevole verso quella povera fanciulla..... sii generoso.
—Non le faccio già del male! rispose egli cinicamente; finora non mi sono che congratulato.....
Il signor Ramati non aveva certo invitato il pianista per lasciarlo ozioso, e ad un punto eccitò nel circolo una specie di sommossa; tutti pregarono Ermanno di suonare, ed egli si arrese, a condizione che madamigella Laura gli voltasse i fogli sul leggio.
Era impossibile rifiutarsi.
Egli si assise al pianoforte, e Laura ritta in piedi alla sua destra sfogliazzava nella musica.—Quale diversità! Una volta allorchè egli disponevasi a suonare, ella si collocava amorosamente a lui dʼaccanto, i loro cuori palpitavano in segreto, e spesso le mani si stringevano furtivamente; ora Laura tremava, Ermanno soffriva, i loro cuori battevano ancora, e più violenti, ma per angoscia.....
Ermanno scielse, non a caso, la Grande Polonnajse[211] di Herz; è una suonata molto lunga, ed in tal modo rimaneva prolungato quella specie di supplizio imposto a Laura.
Lʼartista aveva in quel momento il concorso di molte passioni che lo ajutavano. Lʼebbrezza della strana vendetta che si prendeva, diede unʼagilità convulsiva alle sue dita, e suonò con quella maestria ed inspirazione data a pochi.—Terminata la prima parte ei fece pausa per asciugarsi la fronte, ed alzo gli occhi a Laura come per dirle: Una volta toccava a te!—Laura comprese ed arrossì.
Incominciò la seconda parte; il signor Salviani prorompeva ad ogni tratto in accenti dʼammirazione e la povera Laura invece sentiva svegliarsele in cuore mille affetti che si urtavano a vicenda causandole unʼindicibile oppressione. Lʼira, la rabbia che animavano Ermanno glie lo fecero apparir più grande, e noi crediamo che in quel momento ella si dimenticasse di esser fidanzata.
Lʼuditorio era sospeso e subiva il fascino di tutte quelle vibrazioni melodiche; la musica di Herz ha questo carattere che allegra, commove e strazia nello stesso tempo. Alcune battute soavi e malinconiche vengono bruscamente rotte dallʼurto di unʼaccordo tetro e misterioso, da cui si sviluppa bene spesso un canto allegro e popolare.—Weber è uniforme, spesso monotono; Herz è sfrenato; la sua musica è come il vento che passa su tutti i punti.
Il pezzo già volgeva al suo fine; ciò sollevava alquanto Laura, che nellʼultima pagina scorgeva il termine di una posizione difficile.—Ad un tratto però Ermanno cedendo allo slancio della fantasia, fece una digressione, ed abbandonò le mani in balìa del pensiero. Come altre volte nei momenti dʼinspirazione, egli si diede ad improvvisar melodie.—Il suo primo[212] incontro con Laura in casa dʼAlfredo lʼaveva salutato con un grido dʼamore tradotto musicalmente.—Ora dopo il volgere di pochi mesi, egli si trovava ancora vicino a Laura forse per lʼultima volta; ora doveva salutarla collo strazio dellʼanima.—Il primo incontro si ebbe unʼinno; lʼultimo una nenia!
E tale fu la musica improvvisata da Ermanno; in quelle note che si succedevano lente, in quegli accenti lugubri, era raccontata tutta la storia di un amore infelice. Le amarezze, i dolori più grandi ebbero un espressione così straziante, che molti avevano le lagrime agli occhi.
Nel tetro susseguirsi di tristi accordi che parevano gemiti profondi, sentivasi tratto tratto un canto confuso e lontano che doveva certamente scuotere lʼanima di Laura: era il canto del Notturno al Chiaro di Luna, che ricordava allʼincostante giovinetta i giorni felici del suo primo amore!
Laura piangeva; sarebbe stato vano celare quelle lagrime che non erano più un mistero per gli astanti; dʼaltronde ella non piangeva sola alcune signore, e specialmente madama Salviani la imitavano.
Anche ad Ermanno illanguidivasi la fantasia, ed accarezzava oziosamente alcune cadenze per pensare al passato che in quel momento gli ricorreva alla memoria. Volse intanto gli sguardi a Laura, che resa più bella per la commozione, stavagli al fianco, seducente quanto sia dato immaginarlo.—Aizzato dalla gelosia, abbandonò dʼun tratto il metro patetico della sua musica, e suonò con rabbia.—Le note incalzavano le note producendo strane dissonanze; le mani volavano agitate da un punto allʼaltro della tastiera, col fremito della convulsione.
Nessuno comprese quella musica infernale, quel delirio del pensiero; ma ogni nota rintronava nel cuore[213] di Laura come una rampogna acerba e sanguinosa. Dal complesso di quel frastuono ella concepì il vero significato, comprese che in quella musica eravi lʼamore, lo sdegno e la disperazione; compreso che quelle note dovevano esser concepite fra gli spasimi di atroci torture.—
Lʼartista si era vendicato..... ma lʼuomo cadde annientato a tanto sforzo di mente; lʼurto di tanti pensieri, la lotta di tanti sentimenti, oppressero talmente il povero Ermanno che si rovesciò allʼindietro quasi svenuto, fra le braccia di Paolo che era accorso a sorreggerlo.
Lʼinverno era trascorso. Ai geli della temperatura, alle nevi che coprivano la campagna, erano succeduti i zeffiri primaverili e le erbette.—Ovʼera il ghiaccio, giù pei burroni ammantati di bianco, spuntavano timidette le viole schiudendo i loro profumati petali alle aure vivificanti.—Le colline avevano perduta la loro squallida apparenza, ed ai tiepidi raggi solari spingevano dal loro seno i primi sbucci del muschio che le rende sì belle.
Le nebbie della notte dileguavansi sul mattino, posando roride stille di rugiada sulle zolle fiorenti, gli alberi già si coronavano della loro verzura nascondendo gli stecchiti rami.—Eppure tanta dovizie di vegetazione, i primi saluti di natura che ritorna al sorriso, segnarono gli ultimi giorni dellʼesistenza di Ermanno.
—A metà della primavera, fra il profumo dei fiori e le carezze dei zeffiri, il povero giovane esalava lʼultimo sospiro sulle labbra dellʼinfelice madre.
Fu una lunga agonia! Durante lʼinverno stette a Brescia; nella primavera i medici gli consigliarono lʼaria pura dei colli, epperciò fu ricondotto alla villa del conte. Ma tutte le cure e le sollecitudini furono[215] vane!.... Un mese dopo, appunto in un bel mattino lieto e ridente, il povero Ermanno morì.....
Morì fra quei colli che lʼavevano ospitato nei giorni di sua felicità.—Povera madre, egli diceva morendo, tu resterai sola, sola al mondo perchè io lo sento, non vivrò più a lungo..... E diffatti due giorni dopo, Ermanno non era più!....
Poco lungi dalla villa del conte, dopo il cammino di una mezzʼora si scorge non molto lontano un modesto cimitero, poetico sempre come tutti i cimiteri di villaggio, ove non vi ha lusso di monumenti, e la natura opera a suo capriccio..... Vi si giunge per una stradicciuola che scende dolcemente; dintorno tutto è bello; da una parte il lago e le colline, dallʼaltra i monti.—La costruzione di quel sacro luogo è di una semplicità elementare; tutto consiste in una cinta di rozza muraglia.
Lʼentrata è chiusa da un cancello di ferro; nel mezzo del campo si erge una gran croce di legno che sembra il trono della morte; indi attorno, fra lʼerba che cresce confusa, spuntano molte croci, talune portanti ghirlande appassite.—
Eppure tutto è bello là dentro. Quella semplicità parla al cuore, e sembra che quei morti riposino sotto la protezione della gran croce che sʼinnalza fra loro.—Accanto al cimitero havvi una chiesuola col campanile quasi in rovina; una piccola campana appare fra quelle macerie; è dessa che chiama i pietosi popolani del dintorno, allorquando qualche anima passa da questa allʼaltra vita.—
Verso sera di un bel giorno di Maggio, una donna vestita a bruno, col dolore più profondo scritto sul volto, si avviava alla volta del campo santo; assorta nè suoi pensieri, procedeva cogli occhi a terra asciugandosi talvolta una lagrima; giunta al cancello lʼaprì,[216] ed entrò nel recinto.—In fondo, allʼombra di un salice, lʼunico che vi fosse colà, eravi una croce nuova piantata nella terra smossa di recente; appiè di quella croce la donna cadde in ginocchio, e pianse a dirotto.
Da tre giorni Ermanno riposava là sotterra!....
Era unʼincantevole dimora degna al tutto dellʼartista che ebbe al mondo vita affannata e tempestosa; là, sotto le povere zolle quel cuore straziato aveva forse trovata la sua pace.
Ermanno non era più! Il soffio di morte spense la sua debole esistenza. Il cuore più nobile, il dolore più grande, il genio più sublime, si compendiavano in quella povera croce che sovrastava mestamente al tumulo.—Ermanno non era più! La sua vita fu breve come lampo..... Passò e sparve, lasciando dietro di sè una traccia luminosa.—
Egli non era nato a tempo; lʼanima sua precorse lʼepoca a cui era destinata, epperciò la sua fase fu una tortura continua, un martirio straziante. Passò rapidamente la corruttela del mondo non ancora pervenuto aʼ suoi alti destini; ovunque trovò seminata la perfidia, ovunque ebbe a soffrire disinganni.—Oppressa e sfinita quellʼanima nobile, sʼinvolò dalle nostre basse regioni per risalire al suo cielo dʼonde erasi dipartita prematuramente, e nascose il corpo che la vestiva in un cimitero deserto e solitario; lo nascose allo sguardo dei profani, affinchè quel frale che non ebbe pace in vita non venisse insultato in morte!....
Ermanno morì lasciando nel più doloroso isolamento la povera madre sua che tanto lo amava.—Se è vero che le vicende di quaggiù sono governate da Dio, bisogna dire che la sapienza divina e talora inesplicabile!—A noi miseri mortali non e certamente dato di confutare e comprendere le sante leggi della creazione; ma bisogna dirlo, noi sortiamo dalla natura[217] un carattere diametralmente opposto e ribelle alle disposizioni sui destini umani!
Quella povera donna aveva sperato che la sua vecchiaia venisse confortata dallʼamore dellʼunico figlio educato con tanto affetto; aveva sperato che egli le chiuderebbe gli occhi nellʼestremo istante della vita; invece..... cosa straziante! toccava ad essa vecchia e cadente, di compiere sì doloroso ufficio sulla sua creatura.
Quel poco che le rimaneva dʼavvenire doveva attaccarlo alle speranze dʼuna tomba.—Sola, abbandonata con un dolore inestinguibile che solo una madre può comprendere, quella sventurata doveva ancora vivere..... e vivere forse per anni ed anni, fra una moltitudine che le era indifferente.—Vivere della memoria del suo Ermanno estinto!
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—Per di qua, per di qua, gridava un ragazzino precedendo una comitiva di cittadini giù del pendio.—Ecco la chiesa, essa è là sicuramente, aggiunse additando la chiesuola del cimitero.
—Va bene, rispose un signore elegantemente vestito,—va abbasso e bada ai cavalli; e volgendosi agli altri sclamò: da brave signorine si diano coraggio. E tu poltrone ajutale. Questa rampogna era diretta ad un altro giovane di aspetto distinto che dava il braccio a due giovani donne. Una era vispa ed allegra, e durante tutta la salita, non aveva fatto altro che chiaccherare..... e lʼaltra, sebbene pure giovanissima, aveva unʼaria più grave, e col suo pallore dava segni dʼinterna sofferenza.—Era infine Laura. Il giovane che le dava il braccio era suo cugino Alfredo; negli altri il lettore avrà già riconosciuto Paolo e Letizia; tutti buoni amici di Ermanno.
Laura da qualche mese si chiamava madama Salviani; ma in vederla sembrava che le gioie del matrimonio valessero poco a consolarla.—
Paolo seppe subito della ricaduta di Ermanno, la notificò a Laura che ne ebbe grave rimorso.—Al momento di partire per la campagna secondo il consiglio deʼ medici, Ermanno ne fece avvisato lʼamico.
Dʼallora in poi non vi fu più scambio di novelle, per cui Paolo decise di recarsi in Brescia e passare alla villa del conte, onde saperne qualche cosa.—Nessune nuove, buone nuove, pensava egli, tuttavia volle assicurarsene.
Giunto a Brescia, trovò facilmente un compagno in Alfredo. Laura in quei giorni era appunto in casa dello zio, e parte per desiderio di rivedere colui che aveva amato..... e che forse amava ancora; parte per tentare una riconciliazione che la coscienza le imponeva, decise di unirsi essa pure con Letizia alla gita di Paolo.
Partirono dunque in carrozza, il pittore faceva da auriga, ed in brevʼora giunsero ai piedi del colle per cui si sale alla villa del conte.—Discesero e presero la salita. Nessuno si trovava alla villa, ed un ragazzino richiesto da Paolo, disse che madama Alvise era andata alla chiesa.
Paolo persuaso che Ermanno fosse colla madre non chiese altro, e si fece guidare sul luogo.
—Faremo una bella sorpresa ad Ermanno, sclamò egli entrando per il primo nella chiesuola. Ma subito dopo ne uscì dicendo: non cʼè anima viva..... Eppure quel ragazzo assicurò dʼaverla vista.
—Sarà nel giardino, osservò Alfredo.
—Dovʼè questo giardino?
—Eccolo qui.
—È un cimitero, non ne vedi la croce.
—Allora sarà un cimitero..... entriamo.
—No, no signor Paolo, sclamò Laura, io non vado volontieri in questi luoghi, mi attristano troppo..... piuttosto ripassiamo alla villa del conte.
—Cʼè un cancello, disse Alfredo, si può vedere senza entrarvi; in così dire si liberò dal braccio delle due donne appressandosi allʼentrata del recinto.—
In quel mentre una donna vestita a bruno, comparve fra le sbarre del cancello, lʼaperse, e senza nemmeno alzare lo sguardo sugli astanti, sʼincamminò via.
Un senso di terrore gelò le fibre dʼognuno; Paolo, Alfredo e Letizia, riconobbero in quellʼinfelice la madre[220] di Ermanno; Laura non la conosceva di persona, ma fu pur colta dalla stessa pietà, ed il di lei cuore provò una stretta dolorosa, perchè su quel volto addolorato, vi trovò una rassomiglianza che le fece tutto palese.—Le gramaglie ondʼera vestita suscitarono un dubbio crudele nellʼanimo di tutti, e Paolo con passo incerto, senza poter profferir parola, mosse incontro a quella donna, e lʼarrestò per il braccio.
Ella si volse, lo guardò in volto, mandò un grido di sorpresa che scoppiò in un singulto, e si nascose il volto fra le mani.
Gli altri si avvicinarono, ma nessuno osò turbare lo sfogo di quel dolore; tutti avevano le lagrime agli occhi.
—Per pietà di voi signora! sclamò finalmente Paolo, diteci, diteci qualche cosa.... che è avvenuto?
—Mio figlio.... il mio Ermanno, non è più!
Queste parole dette con tanto strazio caddero come colpi di pugnale sullʼanima di Laura, che non ebbe più freno al pianto.
—Oh! Paolo, aggiunse la madre fra i singhiozzi, se tu sapessi quanto ha sofferto quel povero angelo!... certamente egli è in cielo, perchè mio Dio, non si può morire così senza premio!.... ora è là, riprese additando il salice, è là che dorme la mia creatura, è là mio buon Paolo il tuo amico.... tuo fratello. Ed io non sono morta di dolore! Il cielo mʼinfligge di vivere in tanta desolazione peggiore di morte.—Sono tre giorni appena che il mio Ermanno è morto; tre giorni che il suo corpo sottile e consumato riposa là, sotto quel salice!....
Nessuno sapeva trovare una parola di conforto.—Letizia e Laura si erano abbracciate piangendo; Paolo ed Alfredo si facevano forza, ma le lagrime scaturivano dai loro occhi.—Era un quadro straziante oltre[221] ogni dire. Già da alcuni istanti, tutti serbavano un assoluto silenzio, nessuno aveva più parole; quando quella povera madre interruppe collʼaccento un poʼ più rassegnato:
—Ho una lettera per te Paolo, ed unʼaltra che non so a chi sia diretta, eccola; e trasse dal seno due lettere una delle quali portava scritto—PER LEI—e più sotto: consegnarla a Paolo.—Le ho trovate nel suo tavolo, fu anzi egli stesso che mi disse di mandartele.... povero figlio mio! Tu farai recapitare quella lettera a chi tocca... non dirmi chi sia colei, non voglio aver alcuno da maledire; non dirmi chi essa sia, non voglio conoscerla.—Nel consegnarle questa sua ultima lettera, le dirai che io le perdono tutto il male che ella fece a quello sventurato..... le dirai che allʼultimo suo sospiro si frammischiò col nome di sua madre quello di unʼaltra donna... certamente il suo.—Le dirai infine che io pregherò Iddio affinchè risparmii a lei lʼespiazione del male, che fece a noi.... non uno deʼ suoi dolori, non una delle mie lacrime le cadano sulla coscienza, giacchè ne avrebbe un eterno rimorso!
Ora vieni Paolo.... vieni a vedere la tomba di mio figlio; a mandargli lʼultimo saluto, tu che lʼamavi tanto!....
Paolo si lasciò condurre macchinalmente, gli altri lo seguirono.
Giunti presso il cancello la madre di Ermanno si fermò ad un tratto.—Ella osservò che dal collo di Laura pendeva una medaglietta sfuggita di sotto al velo della giovine sposa che si era scomposto nellʼabbracciare Letizia.—La povera madre ravvisò quella medaglietta, e la verità le brillò dʼun lampo alla mente; ma fece forza a sè stessa e tacque; però mentre gli altri erano già entrati nel recinto e Laura si[222] preparava a seguirli, ella la prese ruvidamente per il braccio sclamando:
—No signorina..... voi non potete entrare; e la respinse con sdegno.
Laura cadde in ginocchio, si celò il volto fra le mani, e stette immobile finchè gli altri ritornarono.—Ella aveva pregato!
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Ultima lettera di Ermanno a Laura.
«Permettimi o Laura che colla stessa famigliarità di altra volta, colla stessa confidenza rivolga a te le mie parole; saranno le ultime, e per dirti tutto quello che mi viene dal cuore, ho bisogno di richiamarmi alla mente i giorni più felici del mio passato; per dirti lʼanimo mio ho duopo di credere che tu sii sempre qual prima lʼangelo delle mie speranze.
«Non aspettarti amare rampogne.—In questi momenti supremi, sento che io non appartengo più alla terra; sono tranquillo, calmo e sorridente come nei primi anni di giovinezza, allorchè il mondo mi appariva come un giardino di fiori.
«Fra pochi giorni, io non sarò più! Sento che la mia vita volge al suo termine, e quando tu leggerai queste pagine, il mio corpo poserà sotterra.—Ascolta adunque o Laura le ultime parole, lʼultima preghiera di un moribondo che negli ultimi istanti di sua esistenza ti manda un tenero saluto.
«Al punto di separarmi da questo mondo, e dare lʼaddio estremo alle cose sue, mi sento in obbligo di sciogliere la tua coscienza da qualsiasi rimorso, e far sì, che tu possa liberamente rivolgere a me i tuoi pensieri, senza che nessun ostacolo mi contenda quelle poche reminiscenze che tu serberai del tuo Ermanno.
«Se lo rammenti, io fui sventurato profeta del mio avvenire: lʼamor tuo era cosa troppo grande per me, perchè potesse a lungo appartenermi. La felicità suprema, trae seco per legge di natura sui destini umani una sequela di sacrifizii, e quel poʼ di bene che lʼuomo incontra in vita, deve pagarlo a prezzo di dolore.—Il triste vaticinio si avverò, e dal momento che le più ridevoli speranze presero possesso nel mio cuore, venne a colpirmi il disinganno più amaro.
«Non a te Laura io volgo lamentanza; se alcuno si può cagionare della mia disgrazia, è questi il destino di cui tu fosti innocente esecutrice.—Non a te, povera fanciulla, tocca la taccia di avermi aperta una tomba; io soccombo al male che già rapì di vita il padre mio.—Può darsi che alcune circostanze mi abbiano tratto immaturamente a sì dolorosa catastrofe, può darsi che alcuni avvenimenti abbiano affrettato il termine della mia esistenza; ma di ciò non debbo incolpare che me stesso.
«Dʼaltronde, credi tu Laura che tanto mi spaventi lʼidea di morire?... Da lungo tempo mi sono rassegnato al duro passo, e mi ricordo che sino dalla prima giovinezza presentiva che la mia vita sarebbe stata breve.—Se è tale il mio destino, si compia; piego il capo ai voleri supremi; ma prima di lasciare questa terra, prima che il mio cuore abbia cessato di battere, voglio svelarti che se di qualche bene mi sorrise la vita, ne debbo a te gran parte, che le più belle speranze, le gioie più pure mi vennero da te.—Voglio dirti di quanto amore tu mi empiesti lʼanima, e che nessuno più al mondo ti amerà quanto io ti ho amata.
«Il tuo affetto per me fece nascere nel mio cuore delle grandi cose, mi arrecò grandissimi conforti.—Or fa quasi unʼanno che noi ci siamo incontrati per la prima volta, unʼanno trascorso come sogno, e che[225] fu tutto un sol sospiro.—Oh i bei giorni! me li vedo ancora apparire in lontananza lieti e sorridenti, ne risento ancora il loro passaggio!
«Laura mi abbandonò, ed essi con ella.... Ora sono solo desolato, stanco di tutto; ora non ho più nulla a desiderare, nulla a sperare....
«Vivere sarebbe per me di peso. Le memorie del passato non bastano per sè sole a confortare il presente, qualora la speranza cessi di sorridere: le reminiscenze dei dì felici aggravano vieppiù nella sventura.
«Abituato alle tenebre, mi trascinava sul cammino della vita un passo dietro lʼaltro; la via era forse più lunga, ma assai triste.—Volli veder la luce; era cosa troppo grande per me, ne rimasi abbagliato. Mi toccò la sorte della farfalla che corre anelante alla fiamma ove sciagurata, si brucia lʼale.
«Ma io non ignorava quale dovesse essere lʼultima scena del dramma.—Ti ricordi Laura della mia prima lettera?.... Profeta veridico io fui di tutte le mie vicende; tu mi amavi collʼentusiasmo dellʼinesperienza, il primo barlume di ragione cacciò dal tuo cuore ogni memoria di me, e mi dimenticasti.
«Eppure, dopo tutto io mi serbava ancora una dolce speranza!—Oh! perchè Laura mia invece di ricorrere ad un pretesto, non trovasti il coraggio di confessarmi la verità? Perchè non dirmi che la prima fase del tuo cuore era compiuta?.... Lʼamante avrebbe ceduto il posto allʼamico, e ti giuro che mai uno più fedele ne avresti trovato. Quanto rassegnato mi sarei se tu penetrata di pietà mi avessi stesa la mano confortandomi colla tua amicizia a sopportare il peso di tanta sciagura!—Tu sola avresti potuto operare questo miracolo.
«Ma nulla! Ecco ciò che mi amareggia; ti circondasti di una noncuranza opprimente, simulando la più[226] barbara indifferenza col povero Ermanno, che pur tanto ti amava.—Fu una ben crudele prova quella che mi toccò subire! Non ti dirò tutte le mie torture, nè quanto straziante mi giungesse quella tua lettera scritta a Paolo.—Tentai una bassa vendetta in quella sera della tua fidanza, ma tu mi avrai già perdonato, perchè in quei terribili momenti io era fuor di senno.
«Ormai, lo ripeto, sono tranquillo; gli sconforti ed i disinganni della vita, le noje ed i disagi della malattia, hanno paralizzata la mia suscettibilità. Ormai ho rinunziato al più ridente sogno che mai mente umana abbia vagheggiato.
—Sai tu qual era questo sogno?.... Ora appena oso confessartelo; ora non temo più di offendere la tua verecondia svelandoti il secreto del mio cuore, perchè la mia morte troncherà qualunque suggestione.
«Fissando lo sguardo nel passato, veggo ancor da lontano quella bella speranza.... essa fugge, fugge nello spazio, e fra poco sparirà aʼ miei sguardi;—Oh! di quanti secreti palpiti non ho io alimentato questo caro sogno! Al di là di tutte le gioie umane, io ne pregustava una sola, grande, immensa;.... quella di divenire un giorno tuo sposo.—Vedi che bella follia! eppure lʼho cullata nel mio cuore per molto tempo questa dolce lusinga, ho vissuto per essa.
«Tuo sposo! Ma havvi parola che riassuma maggiori felicità.... havvi idea più dolce, speranza più bella?—Oh! di quante cure saresti lʼoggetto se tu fossi mia: vorrei circondarti deʼ miei sospiri, avvolgerti nelle mie carezze; vorrei seminare una via di fiori sul tuo cammino, dividere le tue gioie, confortare i tuoi affanni, asciugare le tue lagrime.—Tu saresti felice, perchè io tanto farei, tanto ti amerei che non troveresti una spina sotto aʼ tuoi passi, anche a costo di piantarmele tutte in cuore.
«Vorrei chiudere colle mie dita i tuoi beglʼocchi al riposo, e riaprirli sul mattino coʼ miei baci; vorrei sempre guardarti, bearmi neʼ tuoi sguardi; sempre vivere dellʼamor tuo!.... Ma ciò non può essere, è destino che la vita scorra fra unʼalternarsi di speranze e dʼaffanni.—Noi saremmo troppo felici, sempre felici, e la felicità duratura non è per i mortali; lʼuomo si santifica sulla via del dolore; è quella la sua missione.... la sua scienza.
«Perchè non sei tu nata povera come me? perchè la sorte ti pose a tanta altezza sicchè io non possa mirarti senza arrossirne?.... Tu saresti stata la compagna di mia giovinezza, mia madre, la povera mia madre avrebbe benedetta in te una figlia.—Soli, lontani dal mondo, racchiusi nel nostro nido, avremmo trovata una felicità rara in terra.
«Sarebbe stato allora il mio compito di provvedere alla tua esistenza; avrei lavorato sino allʼincredibile per procurarti tutti i comodi di una vita agiata.—Oh Laura, lʼamore fa dei prodigi, ed io sento che con te sarei diventato grande. Qual dolce sogno, mio Dio! Perchè mai la mente può concepire una felicità che non può realizzarsi?
«Io ti avrei celata allo sguardo di tutti per conservarti mia, tutta mia per sempre.—Con un angelo come te al fianco, avrei sfidate tutte le avversità della sorte;.... ma che dico, poteva mai il soffio della sventura alitare sui nostri cuori uniti? Poteva colpirci affanno tanto grave da farci per unʼistante dimenticare la nostra felicità?
«Laura, tu potrai cercare per tutto il mondo, ma non troverai un paradiso quale io lʼho sognato per te! Nè la turbolenza delle feste, ne il fasto, il lusso ed il sussidio delle ricchezze, potranno mai avvicinare[228] quellʼaureola di tutta gioia che avrebbe coronata la nostra unione.
«Vivere per te, amarti dellʼamore degli angeli; ecco quale sarebbe stata la mia meta! e nelle recondite dolcezze del nostro santuario abbellito dal sorriso ineffabile dʼun amore senza fine, noi avremmo provato che il cuore è il più ricco dei tesori, e che solo per esso si possono dimenticare le angustie dellʼesistenza!....
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
«Ecco il secreto che ora oso confidarti perchè sono sullʼorlo della tomba; ecco il sogno che allegrò di qualche dolcezza la mia povera vita.—Dimmi tu Laura se si poteva più oltre spingere lʼillusione; dimmi tu se non sono un povero pazzo!
«Ciò che è strano si è che ti scrivo colla dolce persuasione di avere una risposta: davvero che sarei molto ansioso di sapere quel che penserai dopo la lettura di queste pagine; e sono certo che tu mi perdoneresti di aver sollevato il velo di una speranza che sinora nascosi tanto gelosamente.... Ma io sarò morto allora, e la tua lettera giungerebbe troppo tardi!
«In queste ore supreme, mi attraversano la mente tutti gli episodj della vita; gli anni passati si schierano nella mia memoria... oh la triste corona! Ognuno dʼessi porta lʼimpronta di illusioni svanite, di speranze deluse. I primi appariscono come pallide larve, e già si confondono nelle tenebre dellʼoblio.—Lʼultimo appena si presenta adorno di qualche conforto... Fu una lunga illusione, una lunga speranza, morta essa pure miseramente come tutte le altre!....
«Vivi felice, o Laura; è questo il voto più ardente dellʼanima mia: possa tu ritrovare nella pace domestica, nellʼamore del tuo sposo quelle gioie che io ho[229] cercato invano.—Vivi felice, e questʼaugurio si mescerà allʼultimo mio sospiro.
«Io non vedrò più i tuoi beglʼocchi, non udrò più il suono della tua voce penetrante, non stringerò più la tua bella mano, ma tu ti ricorderai spesso di me, perchè lascio nel tuo cuore un tesoro di memorie.... fra qualche anno, allorchè lʼaffetto di madre vincerà quello di sposa, volgendo il pensiero al povero Ermanno, ti sentirai commossa.... rammentati allora per tua pace che io abbandono la terra perdonandoti.
«Unʼaltra preghiera.—Se mai ti accadesse di recarti in Brescia, vieni Laura, vieni fra questi colli a visitare la mia ultima dimora.... vieni a deporre un fiore sulla croce che segnerà il mio nome.—
«Ah! pur troppo non sarà incolta quella tomba! È riserbato alla mia povera madre lo straziante compito di vegliare al tumulo... mia madre, che mentre ti scrivo mi guarda cogli occhi lagrimosi. Essa mi legge sul volto lʼamara sentenza del mio destino; mi vede lentamente morire, senza che le sue lacrime, le sue preghiere ritardino dʼun istante il colpo fatale che la spingerà al sepolcro.
«Povera madre! Tanti anni di cure consumati a crescere un figlio che presto spirerà fra le sue braccia, lasciandola col triste retaggio di un dolore senza fine.—Io lʼabbandono sola per tutto il resto di sua vita nella più straziante desolazione.... Ove volgerà i suoi passi per cercarmi questa misera creatura, allorchè sarò morto?.... Chi asciugherà le sue lagrime; chi le chiuderà gli occhi allʼeterno riposo!
«Oh! faccia il cielo che ella trovi la forza per reggere a tanta sventura.—Povera madre!—
«Bisogna credere in fin di vita, bisogna credere nella Provvidenza divina; ed io spero che il martirio di questa[230] donna avrà il suo premio.—Rassegnazione e confidenza nei decreti supremi!.......... Ora Laura, mio angelo..... addio!—Se una lacrima ti venisse sul ciglio a questo estremo saluto, pensa che io pure piango.... Ah! mi saranno care le tue lacrime.... piangi, piangi sulla sventura di colui che pur morendo sente di amarti ancora immensamente!
Ermanno.»
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